7. Luce nel buio
Finron non aveva capito bene le dinamiche di ciò che era accaduto all'accademia, però una cosa era certa: il menestrello aveva dovuto ammaliare il rettore perché Iamila non era riuscita a convincerlo.
Be', almeno si era reso utile.
La nausea colpì il mezz'elfo prepotente e perdurò per secondi irritantissimi anche dopo essere spuntato in una grande piazza ciottolata. I tre compagni non sembravano infastiditi dalla cosa, visto che era lui l'unico piegato con una mano su un ginocchio e l'altra a tenersi le labbra.
Nell'aria l'odore di salsedine si mischiava ad aromi dolciastri e profumi di cibo, mentre le orecchie si riempivano di un vociare basso e costante.
«È il posto giusto?»
Il menestrello parve confuso e Iamila e Phime si presero per mano senza guardarsi.
«Sì.»
Risposero all'unisono, imperscrutabili.
Finron tossì appena per riprendere il controllo dei suoi organi interni e si raddrizzò. Intorno alla piazza si stagliavano bassi edifici chiari tutti di forme diverse: erano squadrati e i tetti erano piatti, scendendo obliqui con gradazioni diverse da struttura a struttura. Le finestre erano numerose, strette; a illuminare la zona c'erano moltissime torce appese ai muri, per la maggior parte azzurri.
Le persone si muovevano a passi lenti, fermandosi di tanto in tanto davanti ai numerosi baracchini su ruote sparsi alla rinfusa nella piazza; qualcuno vendeva tessuti e abiti variopinti, altri strane boccette, ma la maggior parte era colma di cibi stravaganti che Finron non aveva mai visto. L'odore era invitante e lui mosse un paio di passi verso un carretto con sopra quelli che parevano spiedini di carne, però si fermò quando il suo sguardo si posò sul venditore: era altissimo, massiccio, pelato, con la pelle verdastra e quattro zanne gialle che gli spuntavano dalle labbra, due sopra e due sotto.
«Un orco!»
La voce gli fuoriuscì strozzata e la mano andò di getto a stringersi intorno all'elsa della spada al suo fianco.
«No, è un mezz'orco. Sono comuni nelle città costiere del Cintira Yasa e poi gli orchi sono molto più grossi e meno inclini a stare tra le altre razze.» Il menestrello rassicurò Finron, affiancandolo, poi posò i palmi sui fianchi e guardò Iamila, sorridendo. «Ehi, mi sono ricordato qualcosa! Siamo già stati qui, vero? Ha un'aria familiare... La mia memoria sta tornando!»
Ecco, quello non andava bene.
Finron mise un braccio intorno alle spalle dell'infame e gli grattò la testa con le nocche dell'altra mano.
«E bravo il nostro Ben! Direi che è ora di festeggiare!»
Doveva aver messo troppa violenza nei suoi gesti goliardici, perché il menestrello li subì acquattandosi in avanti ed emise un gemito trattenuto. Fargli male era sempre divertente, ma Finron lo aveva fatto solo per poter veicolare il suo sguardo lontano da Iamila quel tanto che gli bastò per scambiare con lei un'occhiata complice. La donna, infatti, lasciò la mano di Phime e indicò una via tra un edificio bianco e uno azzurro.
«Concordo. Conosco il posto giusto. Tra l'altro, sarà perfetto come alloggio per stanotte.»
S'incamminò a passi svelti e Phime mise una mano dietro alla schiena di Allan, invitandolo a camminare con troppa delicatezza; Finron avrebbe volentieri colto l'occasione per spintonarlo un altro po'.
«Cosa intendete con festeggiare? Qualcosa che facciamo di solito? Dite che mi aiuterà a ricordare più in fretta?»
Il menestrello continuava a parlare con quella sua voce insopportabile e Finron, seguendone i passi, si morse la lingua per non interromperlo, poi trattenne una risatina. Quel fottuto bastardo voleva a tutti i costi ricordare ed era divertente vederlo pendere così dalle loro labbra, fidarsi di loro come un animaletto ubbidiente.
Che idiota.
Allan stava riacquistando la memoria in modo troppo veloce: la pozione avrebbe dovuto funzionare meglio di così.
Era un disastro.
Con le braccia incrociate sotto al seno e lo sguardo truce, Iamila lo stava fissando mentre tracannava l'ennesimo boccale di birra, incoraggiato da Finron. Appoggiati coi gomiti al tavolo nell'angolo più nascosto della locanda, entrambi ridevano sguaiati e biascicavano discorsi poco sensati. Sembravano ubriachi fradici, ma il mezz'elfo stava fingendo: lui non aveva bevuto le sue pinte, scambiando con destrezza i bicchieri in modo che il bardo non se ne accorgesse e si sbronzasse più in fretta.
L'alcool era perfetto per annebbiare la mente, ma sarebbe bastato a ritardare i ricordi del cantastorie?
Il sedere di Iamila scivolò un poco più in basso sulla sedia mentre lei si catturava le labbra tra i denti, stringendo il suo abbraccio silenzioso. Era seduta proprio davanti a loro e poteva vedere la totalità della minuscola bettola che aveva scelto per l'occasione: giusto cinque tavoli, un pavimento appiccicoso, un candelabro appoggiato al piccolo banco dell'oste e una torcia accanto alla porta che dava sulle stanze della locanda.
L'ambiente era affollato nonostante fosse molto tardi e il berciare degli avventori ubriachi minacciava di sovrastare persino i pensieri. Ovunque regnava la sporcizia e il degrado: il posto perfetto.
Per fortuna Iamila aveva trovato due stanze libere e aveva obbligato Finron a dormire con Allan per tenerlo d'occhio, così lei avrebbe potuto stare un po' da sola con Phime. La donna spostò lo sguardo verso l'ingresso senza riflettere, poi si portò un pugno al petto. Stava viaggiando con uno degli incantatori più potenti di Endel, ingannandolo, e in ogni momento qualcosa sarebbe potuto andare storto. Con le sue scelte, ora anche Phime era in pericolo, non più solo lei.
Cosa stava facendo?
Dal tavolo accanto al loro, un tizio ammantato di verde le vomitò a pochi centimetri dai piedi e Iamila si alzò dalla sedia come un fulmine, trattenendo il disgusto. Finron balzò di scatto e lo spintonò via.
«Ehi, feccia! Vai a far schifo da un'altra parte!»
«Sì, da un'arte paltra!»
Allan gli fece eco ridendo mentre agitava il boccale nell'aria e lo sconosciuto si accasciò all'indietro, forse svenuto. Iamila osservò la scena impietrita, poi piantò gli occhi in quelli del mezz'elfo.
«Ho bisogno di uscire. Voi non fate cazzate.»
Senza attendere risposta, salì con un piede sulla sedia e poi sul tavolo in modo da evitare il vomito che ormai si era propagato come un morbo sul pavimento già lurido. Nessuno le disse niente mentre balzava giù e, raggiunta l'uscita, finalmente si concesse di respirare l'aria salmastra a pieni polmoni.
«Il sacrificio è sotto controllo?»
Iamila sobbalzò e si girò verso sinistra col cuore frenetico, calmandosi subito quando capì che a parlare era stato Phime. Lui la guardava da sotto al cappuccio marrone, le braccia lungo il corpo; si era messo davanti al muro accanto alla porta, senza tuttavia appoggiarsi perché, lei sapeva, non gli piaceva che le ali toccassero le pareti.
«Ti ho già detto che non devi chiamarlo così. In pubblico, poi...»
Iamila parlò dura, allontanandosi dall'uscio.
«Non mi ha sentito nessuno.»
Phime restò immobile e lei scosse la testa.
«Non puoi saperlo.»
«Sei tesa, ti serve pace.»
«No! Phi—»
Troppo rapido, lui le mise un braccio dietro alla schiena e con l'altro le afferrò le gambe da sotto le ginocchia, mentre già aveva dispiegato le ali.
Proprio lì, dove tutti l'avrebbero visto; gli piaceva così tanto mettersi in pericolo? Era impossibile ragionare con lui.
Iamila non poté far altro che stringersi al suo petto e godersi il volo, ormai abituata al vento che le sferzava il viso, le scompigliava i capelli e le alleggeriva l'anima.
Sorvolarono la zona del porto, poi Phime seguì la costa per qualche minuto, allontanandosi dalla città e immergendoli nell'oscurità. Gli occhi di Iamila non erano fatti per scrutare nel buio e quella notte nuvolosa rendeva vana anche la luce delle stelle, però lei sapeva esattamente dove stavano andando.
Chiuse le palpebre e restò in silenzio, respirando il profumo di quella pelle calda; il ritmico e calmo suono delle ali in movimento la cullò fin quasi a farla addormentare e ci restò male quando infine lui rallentò.
Riaprendo gli occhi, Iamila intravide la sagoma del santuario di Serendhien che si ergeva proprio sul ciglio di una scogliera a picco sul mare. Era un luogo molto difficile da raggiungere per chi non aveva le ali e infatti non c'era nessuno nel piccolo spiazzo ciottolato di marmo. Una luce magica blu illuminava dal basso la bianca statua dello spirito del cielo e del mare, magnifica sebbene le intemperie avessero rovinato un po' i capelli sciolti nel vento e un piede scolpito all'indietro; le mani giunte al petto e il viso serafico erano ancora perfetti.
Phime lasciò libera Iamila a pochi passi dalla grande stele incisa, poi andò a inginocchiarsi davanti alla statua lì accanto e restò immobile con lo sguardo verso il cielo. Lei lo lasciò fare e si allontanò, cercando quale fosse la roccia più levigata tra le innumerevoli che circondavano quel luogo sacro per i celesti.
Nonostante tutto ciò che era loro successo, Phime continuava a pregare gli spiriti.
Che stupido... quegli esseri infidi non ascoltavano i mortali, preferendo crogiolarsi nel loro potere. Lei avrebbe tanto voluto interromperlo, ma non sarebbe servito e, anzi, avrebbe fatto riaffiorare discorsi inutili; così si sedette e attese, paziente, con una gamba accavallata sull'altra e le mani poggiate alla fredda roccia. Phime era imponente anche da inginocchiato e il suo corpo nascondeva la luce blu, immergendo la realtà nella penombra.
Non c'era vento, non c'erano uccelli a cantare o stridere: in quel momento Iamila si sentì come in una bolla, persa nel tempo. Da lontano, sotto di lei, il flebile suono delle onde che s'infrangevano sulle rocce scandiva i secondi, interminabili, e Phime ci mise una vita a rialzarsi; si slacciò il mantello scombinato a causa del volo e si voltò a guardarla, l'accenno di un sorriso sulle labbra.
«Grazie di aver aspettato.»
Iamila alzò le spalle.
«Perché mi hai portata qui?»
«Viaggeremo per mare: ho chiesto a Madre Serendhien di proteggerci.»
Lei incrociò le braccia sotto al seno ed emise un versetto sdegnato.
«Potevi venirci da solo qui, allora. Sai che gli spiriti mi odiano.»
Phime si avvicinò e si sedette accanto a lei, una mano a carezzarle la schiena.
«Non tutti.»
Il suo pragmatismo era fastidioso, ma quei tocchi gentili le sciolsero un pochino i muscoli. Restò zitta, fissando le curve della statua accentuate dalla luce magica.
«Sei preoccupata.»
«Già.»
«Non devi. Il piano procede bene.»
Iamila sospirò e scosse la testa. Avrebbe tanto voluto essere ottimista come lui, ma continuava a rimuginare sui passi ancora da compiere e sul viaggio che li attendeva.
«L'estate arriverà presto... abbiamo poco tempo.»
Phime le condusse la testa contro a una sua spalla, continuando ad accarezzarla.
«È sufficiente. Ce la faremo. Finron è bravo a tenere buono il sacrificio: abbiamo fatto bene a liberarlo.»
«Temo che sulla nave dovremo far ubriacare Allan in continuazione...»
«Non è un problema.»
«Tu la fai troppo facile!»
«E tu troppo difficile.»
Iamila alzò gli occhi per trovare il suo sguardo, cercando di assimilare anche solo una piccola scheggia della tranquillità che Phime emanava.
Le serviva.
Lui la scrutò per lunghi attimi, poi si alzò e le porse le mani.
«Mila, ti devi calmare.»
Come sempre, lui aveva ragione. Iamila allungò le braccia e accettò la sua stretta, permettendogli di aiutarla ad alzarsi. Lui abbassò la testa e la baciò, stringendola al suo petto nudo; spalancò le ali e le sporse in avanti a rinchiuderla in quell'abbraccio caldo che, in effetti, funzionava sempre. Le piume la solleticavano, le loro lingue danzavano gioiose e le dita non potevano che godere del tocco di quella pelle liscia.
Iamila non oppose resistenza quando Phime si staccò da lei e la girò con movimenti bruschi, conducendo poi la sua schiena a piegarsi in avanti. Lei si appoggiò con le braccia tese alla roccia e fissò l'oscurità che si stagliava immensa, mentre Phime le alzava la gonna della tunica da viaggio, infilando senza sforzo una mano tra le sue gambe, sotto alle mutande. Lui sapeva come muoversi e gli ci volle un attimo per eccitarla; con altrettanta rapidità, tolse la mano, sostituendola col suo membro.
Iamila si lasciò sfuggire un gemito basso quando lui la penetrò e continuò a fissare il mare oscuro davanti a lei, concentrandosi sull'ondeggiare dei loro corpi, sulla presa salda di lui sui suoi fianchi, su quel piacere intenso, profondo...
Era bello, era luce nel buio.
Phime c'era, ci sarebbe sempre stato per aiutarla nel suo cammino.
Lei avrebbe dovuto lasciarsi andare, eppure gli occhi erano vispi a ricercare qualcosa che non potevano vedere, la mente divisa tra il piacere e tutto il resto, tutto il peso che lei si sentiva addosso.
I segni sulla sua schiena sembravano pizzicare, anche se era irrazionale.
Phime spingeva in profondità, toccando i punti giusti perché il corpo di Iamila godesse, ma la sua mente non riusciva a staccarsi da pensieri distruttivi.
«Non distrarti.»
Phime parlò autoritario, si sporse in avanti, le strinse un seno e accelerò il ritmo. Funzionò e una scarica di libidine la investì dal profondo, ma lui non le diede tregua.
Sì, forse aveva ragionee Iamila doveva smetterla di preoccuparsi così tanto: loro due, insieme,avrebbero potuto fare qualsiasi cosa.
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