16. Le grida della rinascita
Quando l'infame menestrello cadde in ginocchio con la testa tra le mani, Finron riuscì ad avvicinarsi: la strana forza invisibile che gli aveva impedito di toccarlo fino a quel momento era svanita.
Allan aveva cantato la preghiera senza musica, piangendo, e ora fissava la stele con la bocca semi aperta; era evidente stesse soffrendo, così com'era ovvio che ormai il tempo era giunto.
Stava ricordando.
Merda.
Iamila, poco dietro al mezz'elfo, si tolse la borsa dalle spalle e la aprì; i suoi movimenti erano impacciati, frettolosi, guidati da un'evidente agitazione.
Voleva prendere quell'affare che cancellava la magia?
Il menestrello sgranò le palpebre e Finron capì che lei non ce l'avrebbe fatta. Con le viscere in subbuglio ma i muscoli rilassati, il mezz'elfo irrigidì la mano destra e tirò un colpo molto forte alla nuca del bastardo, che si accasciò di lato, svenuto.
Restò a fissarlo per lunghissimi attimi senza suoni o sensazioni, consapevole solo che l'istinto aveva guidato il suo corpo ancora una volta, spinto dalla necessità di sopravvivere.
«Lo hai fermato! Fin, lo hai fermato davvero!»
Iamila gli afferrò un braccio, regalandogli un sorriso ampio e meraviglioso, i denti candidi che parevano brillare grazie alle luci magiche del santuario e in contrasto con la pelle scura.
Finron restò fermo, incapace di reagire; forse in una situazione normale le avrebbe sorriso di rimando, godendo per quell'ammirazione, ma l'essere arrivato tanto vicino al punto di non ritorno gli stava facendo provare sensazioni che non comprendeva.
Phime entrò nella grotta, ingobbito a causa della sua mole e con le ali abbassate e un po' aperte; li raggiunse e afferrò il menestrello, poi tornò sui suoi passi.
«Lo porto all'altare.»
Il mezz'elfo lo seguì con lo sguardo mentre usciva e spiccava il volo, poi la sua attenzione tornò su Iamila, poiché lei gli strinse entrambe le mani.
«Non so come avrei fatto senza di te, sei stato un compagno prezioso. Grazie.»
Quello era un congedo?
Lei lo lasciò e corse fuori, i capelli legati nella coda alta che ondeggiava coi suoi movimenti. Finron scosse la testa e abbandonò il santuario senza voltarsi, tornando lesto sul sentiero stretto e illuminato dalla luce del sole offuscata dal fumo.
Il suo lavoro era terminato: aveva pestato il menestrello, lo aveva controllato, aveva impedito che tornasse in sé quel tanto che era bastato a raggiungere la meta e infine lo aveva reso inoffensivo un'ultima volta.
Aveva svolto un lavoro eccellente e ora non restava che godersi il suo meritato premio.
Iamila aveva già cominciato a scalare la parete rocciosa, proseguendo di lato mentre si teneva con le mani e coi piedi; in effetti il sentiero sotto di lei non c'era più e Finron dovette aguzzare la vista per rendersi conto che ricompariva più avanti. Anche lui avrebbe dovuto arrampicarsi, quindi.
Raggiunse l'ultimo centimetro di roccia camminabile, poi prese esempio dalla donna e si aggrappò alle rocce. Un passo falso avrebbe potuto farlo cadere verso morte certa, anche perché non c'era più Phime a poterlo afferrare, ma pensarci non era utile.
«Non guardare giù, cazzone.»
Si spronò da solo, anche perché sapeva che di certo avrebbe vomitato se non avesse seguito il suo stesso consiglio. Per una volta fu felice del suo fottuto sangue elfico: perlomeno poteva contare su un'agilità invidiabile e s'impose di proseguire spedito.
La parete forniva molteplici appigli e non fu troppo complesso raggiungere la nuova parte di sentiero. Quando i piedi ritrovarono la stabilità, Finron continuò a tenersi con una mano alle rocce poiché la pendenza divenne subito molto pronunciata.
Stavano salendo parecchio.
Più su c'era uno spiazzo ampio a cielo aperto e, quando lo raggiunse, ormai aveva la schiena e la fronte imperlate di sudore. L'aria era pesante, la montagna ancora più scura e sembrava proprio che quel luogo fosse un cerchio perfetto. Non c'erano altre strade a proseguire lungo il pendio, solo metri e metri di rocce che conducevano alla bocca del vulcano, ormai troppo vicina.
Misurandolo a spanne, era probabile che il diametro di quella circonferenza fosse di una decina di metri e al suo centro esatto c'era una statua di Ninli grossa più di Phime, fatta di una strana pietra rossa. Lo spirito era in piedi, lo sguardo burbero e i palmi uniti davanti a sé a formare una coppa verso l'alto che copriva quello che il celeste poco prima aveva definito altare: una semplice roccia bianca rettangolare e squadrata, alta quanto un tavolo e con la superficie liscia. Dai quattro angoli superiori spuntavano delle catene nere che parevano nascere dalla roccia stessa.
Tra le mani della statua scoppiettava del fuoco e non c'era altro in quello spiazzo levigato, oltre a loro. Iamila era accovacciata a terra e stava frugando nella borsa, mentre Phime la osservava a braccia incrociate, in piedi vicino all'altare su cui il menestrello era sdraiato supino, senza camicia, con la testa verso la statua. Non era ancora legato e la cosa era intollerabile, quindi Finron avanzò, deciso a dare una mano.
«Lo sistemo io.»
«No!» Iamila si girò di scatto e allungò un braccio teso verso di lui. «Non intrometterti, sono l'unica a poter compiere ogni fase del rito.»
Il mezz'elfo si bloccò, interdetto. Quindi poteva solo assistere? Sbuffò e si sedette a terra con le braccia incrociate al petto.
Iamila estrasse una daga lucente, ricoperta di rubini nell'impugnatura, e una pergamena arrotolata, poi Phime prese la borsa e si allontanò di qualche passo all'indietro. Lei lo guardò, poi diede loro le spalle e fissò il cielo grigio di fumo oltre lo strapiombo, lì dove si poteva vedere la sagoma offuscata dalla foschia del sole prossimo al tramonto. Sospirò e tornò con l'attenzione all'altare, lo sguardo cupo.
Dopo un istante di stasi, lanciò l'arma verso l'alto e cominciò a danzare, muovendo le braccia in ritmi ipnotici. Indossava pantaloni larghi che arrivavano poco oltre il ginocchio e una camicia rossa senza maniche; i bracciali dorati ai polsi tintinnarono, quelli stretti ai bicipiti catturarono i bagliori del fuoco tra le mani di Ninli per attimi fugaci e la daga fluttuò proprio lì, bloccandosi in mezzo alle fiamme.
Il calore divampò, un'invisibile forza surreale si propagò dalla statua e fece perdere l'equilibrio sia a Finron che a Phime, che caddero al suolo senza potersi opporre. Il fumo si diradò come mosso dal vento e il cielo mostrò quanto fosse già arancione tra i picchi a ovest, salendo nel giallo per raggiungere un esteso blu intenso, sopra di loro.
La luce improvvisa abbagliò il mezz'elfo, ma lui smise di guardare l'orizzonte in fretta, poiché Iamila aveva finito la sua danza e ora reggeva la pergamena aperta davanti a sé con entrambe le mani.
Con voce decisa, formulò parole incomprensibili una dietro l'altra e Finron riuscì solo a rimettersi seduto con le labbra semi aperte.
Le catene si mossero da sole e si serrarono ai polsi e alle caviglie del menestrello, allungandogli gli arti finché non furono tesi verso le quattro estremità della roccia bianca.
Senza smettere di salmodiare, Iamila arrivò ai piedi dell'altare e la daga fluttuò via dalle fiamme, fermandosi per qualche secondo a mezz'aria sulla pancia del sacrificio. Dopo che la donna ebbe ripetuto per la terza volta la stessa frase, l'arma si abbassò e la lama si mosse a incidere dei segni sulla pelle nuda di Allan Drayt, che gridò.
Le palpebre chiuse, strizzate, i muscoli tesi e la bocca spalancata a urlare senza sosta quasi avesse il fiato infinito.
Finron tremò, le iridi verdi perse a fissare il volto sofferente della sua nemesi mentre si contorceva nel dolore.
Infine il momento che aveva atteso per oltre otto anni era giunto: avrebbe dovuto provare una gioia sconfinata, godersi attimo dopo attimo, eppure quell'urlo gli stava straziando l'anima, penetrando fin dentro alle ossa.
Le grida della rinascita erano permeate dall'orrore e per attimi senza fine credette di provare lui stesso quell'insano tormento.
La lama smise di tracciare i suoi segni, tornando tra le mani della statua, e i tremori di Finron crebbero senza ritegno quando Allan Drayt prese fuoco. Le fiamme lo circondavano in spire rosse, verdi, blu, viola... mutevoli, frenetiche, ma la sua pelle era ancora intatta, i capelli e persino i pantaloni non stavano bruciando.
Era assurdo, eppure non c'era fumo e Finron poteva vedere attraverso le lingue incandescenti il corpo del menestrello ancora teso, ancora urlante, ancora integro.
Perché non moriva?
Fino a quel punto si spingeva il rito? Per quanto tempo Allan Drayt sarebbe bruciato vivo?
No, c'era qualcosa che non andava e divenne evidente quando la voce di Iamila s'incrinò, seppur stesse leggendo sempre le stesse frasi, indietreggiando a piccoli passi.
Ancora immerso nel fuoco, il bardo smise di gridare e spalancò gli occhi: ogni centimetro della sua pelle irradiò una luce accecante e Finron si portò un braccio a coprirsi il volto, il cuore ormai arrivato in gola.
Iamila si zittì e, quando Finron poté tornare a vedere, inorridì nello scorgere Allan seduto sull'altare con la schiena dritta e nessuna ferita sulla pancia; le catene erano svanite e lui stava scrutando Iamila con gli occhi socchiusi e le labbra strette.
Lei era immobile con ancora la pergamena tra le mani e Finron vide di sfuggita Phime infilare un braccio nello zaino; di colpo il maledetto menestrello girò le iridi nocciola verso il mezz'elfo, i denti serrati e l'espressione colma di quello che Finron riconobbe benissimo come puro odio.
Ecco, alla fine tutto era andato a puttane.
A quanto pareva, quel fottuto bastardo era impossibile da uccidere e neanche i riti degli spiriti potevano nulla. Finron non avrebbe mai avuto la sua vendetta e, anzi, ora non poteva far altro che attendere di essere disintegrato dal potere senza senso di quell'umano mingherlino.
Colto dall'impotenza, il mezz'elfo evitò persino di mettere mano alla spada e resse lo sguardo dell'infame per un tempo indefinito, fino a che udì Phime chiamare Iamila. Guardò verso il suono e la speranza si accese prepotente nel constatare che il celeste aveva appena lanciato l'artefatto mangia-magia verso la donna. Lei lasciò andare la pergamena e allungò un braccio ad afferrare l'oggetto, ma quello sparì proprio quando lei stava per prenderlo.
Iamila restò ferma, interdetta, e Finron tornò subito con l'attenzione all'altare: anche il bastardo era svanito nel nulla. Qualcosa era cambiato, però, perché ora la borsa senza fondo non era più tra le mani di Phime, ma abbandonata al suolo, aperta, con diversi oggetti tra vestiti, viveri e ampolle tutto intorno.
«Che cazzo è successo?»
Finron si alzò, rompendo quella stasi surreale proprio mentre Iamila si stava abbassando a raccogliere da terra qualcosa con le mani tremanti.
«Ha distrutto il cristallo. È... è andato via. Non capisco... c-cos'ho sbagliato?»
Iamila lasciò ciò che restava dell'artefatto e si sedette a terra pesante e sgraziata, abbracciandosi le gambe. Phime era ancora fermo in piedi a fissarsi le mani col torace che si alzava e abbassava rapido e le ali che si muovevano in piccoli scatti.
«Era lui l'anima pura... perché il rito non ha funzionato?»
La donna bisbigliava fissando il vuoto, lo sguardo liquido e la voce strozzata.
Il cielo era ormai una distesa d'arancio e il sole non era più visibile, nascosto dalle montagne; presto sarebbe giunta la notte.
«Non può finire così.»
Finron parlò coi pugni stretti, determinato. Avrebbe fatto qualcosa, sì: lasciò lo spiazzo e ridiscese dal sentiero fregandosene dell'altezza.
Non aveva idea di come, ma lui avrebbe trovato quello stronzo e lo avrebbe riportato al fottutissimo altare di Ninli, lì dove già da un po' avrebbe dovuto crepare, liberando Endel dalla sua insopportabile esistenza.
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