15. La vostra tomba
Controllare la rabbia era davvero difficile.
Fermo in ginocchio con tutti quegli umani armati intorno, Finron non poteva neanche provare a liberarsi dalle corde che gli tenevano i polsi ben legati dietro alla schiena.
Doveva stare calmo, però, anche se il senso di umiliazione per essere stato fregato in quel modo becero bruciava ancora. Avrebbe tanto voluto farla pagare a quegli infami, ma era consapevole che non poteva fare una strage.
I possibili risvolti degli eventi erano due: o Iamila si sarebbe messa d'accordo col governatore, pagandolo per poter proseguire, oppure no. Nel secondo caso, era probabile che o lei o il cantastorie avrebbero cominciato a fare casino in quella specie di piccola baracca in cui erano entrati e che Finron vedeva benissimo, dalla sua posizione.
Doveva tenersi pronto a ogni evenienza ed era proprio per quello che, quando gli avevano imposto di mettersi a terra, lui aveva deciso di poggiare al suolo le tibie e sedersi sui polpacci; in quel modo sarebbe stato davvero semplice afferrare il fedele coltello che teneva nascosto nello stivale e che quei deficienti non gli avevano tolto.
Phime era a giusto un paio di passi da lui e ben più legato: gli avevano costretto insieme le ali, gli avambracci e i polsi. Il celeste se ne stava seduto con le gambe quasi incrociate e lo sguardo serio puntato sulla baracca. Era evidente che anche lui stesse aspettando un qualsiasi segnale per poter agire.
Il mezz'elfo si figurò in testa diverse volte i movimenti da compiere per liberarsi nel minor tempo possibile e sentì le dita formicolare, impazienti. Il coltello era a pochi centimetri, Phime raggiungibile in un passo, quattro uomini intorno a loro e altri impegnati a scaricare e caricare casse e bauli da un paio di scialuppe del mercantile, attraccate da poco.
Il capitano si era disinteressato del loro destino, a quanto pareva, visto che era entrato in una delle palafitte di quegli strani uomini verdastri dalle estremità palmate. Finron non ce l'aveva troppo con lui, in fondo... era ovvio che non avrebbe potuto inimicarsi il fantomatico governatore, dato che forse era uno dei pochi folli con cui commerciare su quell'isola dimenticata dalla maggior parte degli spiriti.
Finron stava riflettendo sull'evitare di bestemmiare Ninli in quella terra, quando un boato assordante proruppe dalla baracca del governatore e un fascio di luce bianca distrusse parte del tetto in un battito di ciglia.
Dovevano aver fatto incazzare Allan.
Tutta la gente sulla spiaggia si voltò in quella direzione e Finron non perse tempo: infilò due dita nello stivale e prese il coltello, rigirando la lama per recidere le corde ai suoi polsi mentre già si stava alzando. Al contempo, Phime scattò in piedi e tese ogni suo muscolo, riuscendo a strappare le corde che gli tenevano ferme le braccia con la sola forza bruta.
Intorno a loro c'era chi stava gridando, chi si era immobilizzato e qualcuno che stava andando verso la baracca; un paio di uomini si girarono verso lui e Phime proprio mentre Finron aveva afferrato il coltello più saldo e compiuto già il passo che lo separava dalla schiena del compagno. Con la mancina afferrò una delle corde tra le piume del celeste, mentre la mano destra andò a tagliarla di netto; l'impeto delle ali che si spalancavano fu tanto violento che Finron quasi perse l'equilibrio, ritrovandolo solo dopo aver mosso indietro una gamba.
Era probabile che Phime sarebbe presto volato da Iamila e il mezz'elfo non avrebbe mai potuto fronteggiare tutte quelle persone da solo con l'ausilio di un unico piccolo pugnale, così optò per saltare dietro al sorpreso tizio più vicino per puntargli la lama al collo.
Infine la situazione si era ribaltata.
Phime richiuse le ali per darsi lo slancio e volare, ma in quel momento la porta della baracca si spalancò e, uno dopo l'altro, uscirono prima Iamila con un kukri al collo del tizio chiamato Dean, poi un uomo parecchio muscoloso a petto nudo e con le braccia alzate seguito dal cantastorie, tutto tronfio e sorridente con giusto una mano puntata alla schiena del colosso.
L'ostaggio di Finron risultò subito irrilevante e il mezz'elfo lo lasciò libero, poi seguì i passi di Phime che aveva già quasi raggiunto i compagni. Intorno alla piccola spiaggia rocciosa ogni persona si era fermata e l'atmosfera era pregna di un silenzio raggelante, rotto solo dalle onde del mare che s'infrangevano sulla costa.
«Mi sa che non vi siete accordati.»
Finron parlò sogghignando e ruppe la tensione, raggiungendo Iamila. La donna era persino più seria del solito e si fermò nel punto dove erano stati attaccati poco prima.
«Ridateci le nostre cose e ce ne andremo senza ammazzare nessuno.»
Fu perentoria e nessuno si oppose quando Phime recuperò dalle mani di uno la loro borsa e i kukri tolti alla compagna. Finron ne approfittò per appropriarsi della spada lunga e dei due pugnali che rimise dietro alla cintura, poi raccattò anche il liuto del cantastorie, poggiato accanto a un barile poco distante, visto che lui era impegnato a minacciare il capo di quella feccia.
Andarsene a quel punto non sarebbe stato difficile, ma il mezz'elfo non poté fare a meno di riflettere su cosa sarebbe successo al loro ritorno dopo il rito. C'era forse qualche altra spiaggia dove attraccavano mercantili? Tornare da quelli non sembrava una cosa fattibile... bah, ci avrebbe pensato a tempo debito.
Iamila tolse la lama dal collo di Dean e lo spinse in avanti; quello strinse i denti, si girò a guardarla malissimo, ma restò in silenzio e spostò la sua attenzione sul menestrello, ancora intento a tenere il palmo contro alla schiena nuda del governatore.
«Non seguiteci o sarà peggio per voi.»
Iamila continuò a minacciarli mentre rimetteva le sue piccole armi al loro posto, poi camminò all'indietro accanto a Phime, avviandosi lungo un sentiero che si perdeva tortuoso verso l'entroterra. Finron restò fermo e, indeciso sul da farsi, attese che il menestrello avanzasse. Con la coda dell'occhio scorse che il ragazzo che lo aveva fregato poco prima era ben visibile tra la folla di persone ammutolite che li fissava e anche il menestrello doveva averlo visto, perché indugiò con lo sguardo su di lui, prima di scattare verso Finron con ancora il palmo aperto.
Il governatore abbassò le braccia e si voltò a guardarli con in viso un'espressione di pura rabbia.
«Quest'isola sarà la vostra tomba.»
Parlò calmo, come se ciò che aveva detto fosse una verità inconfutabile. Finron deglutì, allontanandosi pian piano lungo il sentiero senza dar loro le spalle, Allan al suo fianco.
Si girarono solo dopo una svolta della strada e ben presto cominciarono a camminare in salita, lasciandosi alle spalle il vociare incazzato della gente sulla spiaggia.
L'odore del mare venne sostituito da quello della cenere e l'aria divenne subito pesante, l'atmosfera più calda. Il sole colpiva le rocce, disegnando ombre tra gli anfratti spigolosi, e il sentiero proseguiva irregolare, svoltando in tornanti lungo le pareti della montagna.
Guardando verso il cielo si scorgevano scie di fumo scuro perdersi nell'aria da innumerevoli vette; possibile fossero circondati da vulcani pronti a eruttare? Forse il governatore aveva ragione... forse Finron si era cacciato in qualcosa che andava oltre le sue possibilità.
Ora che l'umana e il celeste camminavano fianco a fianco davanti a lui, fu evidente come la sua utilità stesse per finire. Lo avrebbero aiutato, se le cose si fossero messe male? L'ambiente poteva ucciderlo e il maledetto menestrello era sobrio da giorni, vicinissimo a scoprire il suo destino: anche Allan avrebbe potuto ucciderlo, se i ricordi gli fossero tornati prima di giungere a destinazione.
Per le corna di Enoder... Nonostante camminasse al fianco di tre persone, Finron non si era mai sentito più solo di così.
Era terrificante e ogni cazzo di roccia appuntita sembrava ricordargli che quello non era il suo posto, che lui non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Erano già saliti lungo il sentiero per parecchi metri, quando il mezz'elfo non riuscì più a contenere i suoi pensieri distruttivi: doveva dire qualcosa.
«Cosa facciamo se uno di questi vulcani si mette a eruttare?»
Udire la sua voce spezzare il silenzio fu quasi surreale, ma da davanti né Iamila né Phime si voltarono. Forse l'essere arrivati tanto vicini alla loro meta li stava agitando o forse non gliene fregava un cazzo di lui. Non c'era da stupirsene, visto che lo avevano usato promettendogli vendetta.
Loro non erano brave persone, così come non lo era lui.
«Non preoccuparti: Ninli di certo ci sta guardando e dubito voglia metterci i bastoni tra le ruote, visto che è per lei che stiamo compiendo quest'impresa. La terra resterà quieta, il fuoco non ci colpirà.»
Finron ascoltò la donna poco convinto, poi si liberò in un lungo verso nasale e puntò l'indice verso l'alto.
«È qui che dobbiamo salire?»
Lei negò col capo.
«Non è questa la montagna giusta. Di norma ci vorrebbero due giorni per arrivare al luogo del rito con calma, ma il mio tempo scade domani al tramonto. Dobbiamo muoverci anche di notte o non ce la faremo.»
«Abbiamo due pozioni della resistenza. Le tengo per me. Quando sarete esausti, vi porterò io in volo a turno.»
Phime voltò appena il capo, prima di tornare concentrato in avanti. Ecco perché non stava volando in quel momento... forse si stava riposando in vista dello sforzo che avrebbe dovuto compiere da lì a qualche ora.
La prospettiva di essere trasportato per aria a metri e metri d'altezza fece venire a Finron il voltastomaco; si era ripromesso di non volare mai più, quindi c'era da capire quanto avrebbe resistito in una marcia forzata in salita giorno e notte, prima di cedere all'invito di Phime.
L'aria rarefatta, il caldo e il fumo non aiutavano la sua povera psiche martoriata.
Quando il buio era divenuto impenetrabile, Ben aveva fatto fatica persino a invocare le sue luci magiche da quanto sentiva la testa pesante. Il sentiero che Iamila seguiva senza esitazioni troppo spesso diventava strettissimo, obbligandoli a procedere in fila, aggrappati alla roccia da una parte e con lo strapiombo dall'altra.
Avevano mangiato camminando e il primo che Phime aveva portato in braccio per un tratto era stato proprio il bardo, dopo essere quasi caduto per la stanchezza.
Non aveva idea di quanto tempo avesse passato tra le braccia possenti del celeste, visto che era buio e non c'erano stelle nel cielo; a volte si era intravista la luce dello spicchio di luna spingere per brillare nella notte, ma il fumo opprimente l'aveva coperta in continuazione.
Forse Ben aveva dormito un po', la mente invasa da immagini.
Erano sogni o era il suo passato?
Perché in quelle visioni confuse i suoi tre compagni non c'erano mai?
Sempre più spesso vedeva una bellissima guerriera col volto sfigurato, una rosa incisa sull'armatura lucente, e un'elfa con profondi occhi azzurri e ricci candidi a circondarle il viso, draconiche ali di vento dietro alla schiena.
Loro due gli sorridevano.
Vedeva anche un uomo con lunghi capelli lisci e neri con in mano una spada in fiamme e una donna con un corpo marcescente a cui mancavano una gamba e un braccio.
Loro due erano sempre infuriati.
Chi erano quelle persone?
Infine c'era anche una bambina, la piccola elfa oscura che lo osservava con sguardo rammaricato mentre dietro di lei vorticavano l'oscurità e le scie vermiglie di Varodil: era proprio il corpo senza forma dello spirito della magia che Ben vedeva ormai sempre più spesso.
Varodil.
La magia.
Varodil.
Il tempo.
Perché?
Passarono l'alba e il mezzogiorno senza che il bardo riuscisse a darsi una risposta.
Camminava ormai trascinato dalla consapevolezza che c'erano quasi, che da lì a poco avrebbero potuto compiere il rito e salvare Iamila. Era quella l'unica luce a guidarlo, l'unico motivo per cui non si era ancora accasciato al suolo con le mani intorno alla testa, gridando la sua frustrazione.
Phime aveva portato in volo anche Iamila e Fin, ma in quel momento procedeva da solo. Qualche ora prima avevano mangiato senza fermarsi e già da parecchio tempo il sentiero era diventato strettissimo, al punto che bisognava proseguire con lentezza estrema, un piede avanti all'altro. La paura di cadere allontanò Ben dai pensieri sul passato fino a quando nell'aria qualcosa mutò: profumo di fiori.
Fiori? Su un vulcano?
Si fermò e voltò la testa con le sopracciglia ravvicinate.
«Fin, lo senti anche tu?»
Da dietro di lui il mezz'elfo annuì, restando zitto con la maggior parte dei muscoli in tensione. Si era fatto molto silenzioso da quando erano saliti così in alto e guardava solo in avanti: era ovvio fosse terrorizzato dall'altezza.
Il bardo sorrise appena, tornando a camminare: Fin era proprio un bravo ragazzo, visto che stava affrontando quella grande paura solo per poter aiutare Iamila nella sua missione.
«Siamo al santuario! Manca poco!»
Iamila parlò con una punta d'eccitazione nella voce e accelerò il passo, ma Ben proseguì cauto, visto che non era agile come lei. Phime atterrò più avanti, dove il sentiero si apriva in uno spiazzo ampio e il bardo fu felice quando ci arrivò, visto che finalmente poté stare in piedi senza la paura di cadere giù dal pendio.
Fin quasi corse verso la parete rocciosa, allontanandosi dallo strapiombo mentre respirava in modo sonoro, poi si girò per guardare il grosso buco scavato nella montagna dal quale proveniva il profumo.
Anche Ben si avvicinò, ammaliato dall'incredibile quantità di potere spirituale che percepiva senza fatica da lì dentro. Anche restando all'imboccatura, scorse due pilastri piatti illuminati da delle luci magiche; l'odore dolce veniva da parecchi fiori che crescevano tra le rocce, bianchi da un lato e neri dall'altro.
«Non fermatevi! Ormai siamo arrivati!»
Iamila parlò alle sue spalle, ma Ben non riuscì ad ascoltarla: qualcosa lo attirava all'interno di quel santuario, un richiamo.
Allan...
Una voce femminile, una voce che lui conosceva e che non sentiva più da tanti, troppi anni.
«Ben? Dove vai?»
Ben?
Iamila lo chiamava con quel nome.
Era sbagliato.
Il cuore pompava frenetico, la bocca era asciutta e la realtà intorno a lui si fece ovattata.
Fin disse qualcosa e provò ad afferrarlo per un braccio, ma si ritrasse, bloccato dall'aura arcana che il bardo stava generando senza accorgersene del tutto.
La sua anima stava gridando, ma la mente era ancora confusa.
Avanzò nella piccola grotta e raggiunse le due stele, fermandosi davanti a quella vicino ai fiori candidi. C'era inciso qualcosa: una preghiera a Minelye, spirito protettrice dei beati.
Allan...
Era da lì che la voce lo chiamava con quel nome.
«Bianche ali e dolce sorriso,
accoglili ora con animo intriso
di gioia e speranza che, un giorno, sapran,
i lor tristi amati li raggiungeran.»
Il bardo lesse ad alta voce, cantando con gli occhi pieni di lacrime.
Allan.
Jaira.
Era stata lei a risvegliarlo, direttamente dall'oltretomba.
Il dolore alla testa esplose e Allan cadde in ginocchio, le mani alle tempie, lo sguardo liquido e la gola che bruciava.
Come aveva potuto dimenticarla?
Come aveva potuto dimenticare lei ed Eatiel?
Come aveva potuto dimenticare la caduta, la clessidra incrinata, tutto ciò che aveva passato?
Come aveva potuto dimenticare il suo potere? La sua maledizione? La sua promessa?
Iamila, l'agguato sulla via fuori Mahyr, il cristallo del controllo assoluto.
La corda al collo.
Finron Halley.
Allan sgranò le palpebre, ma al dolore dell'anima si unì un'improvvisa fitta alla nuca e la realtà si fece oscura.
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