14. Altrimenti?

«Cosa vuol dire?»

Finron restò fermo, rigido. Forse aveva capito male, però dopo quella rivelazione molti comportamenti di Iamila assunsero un nuovo senso.

Phime si fece da parte, abbassando lo sguardo, e il menestrello riuscì a scendere dall'amaca e affiancare il mezz'elfo, restando stranamente zitto.

«Non ci sono molte interpretazioni possibili, Fin. Ho fatto arrabbiare Ninli e lei mi ha assegnato questa missione.» La donna spostò lo sguardo affranto dal mezz'elfo al bardo, poi sospirò. «Vi ho mentito riguardo al motivo per cui stiamo andando a Dragalion... non volevo che vi preoccupaste. Io devo far rinascere i draghi attraverso un rito che si può fare solo nel tempio più antico dello spirito del fuoco e della terra e ho ancora giusto un paio di settimane, altrimenti morirò.»

«Hai fatto male a non dircelo subito.» Allan si fece avanti, andando a prenderle una mano. «Se lo avessi fatto, ci saremmo di certo impegnati molto di più per aiutarti.»

Iamila restò immobile coi grandi occhi sgranati, le labbra socchiuse, e Finron si morse l'interno delle guance per trattenersi dal commentare.

Dannato menestrello... il suo essere sempre così stucchevole era davvero irritante.

Allan lasciò la mano della donna e si ravvivò i capelli spettinati, sorridendo.

«Ora che so la verità, mi sento uno sciocco ad avervi tediati con i miei problemi di memoria. Perdonatemi.»

Finron si allontanò di un paio di passi, i pugni stretti lungo il corpo.

Troppo irritante.

Iamila e Phime si guardarono un istante, poi entrambi tornarono con l'attenzione alle assi di legno del pavimento, lo sguardo serio.

Ci stavano forse ripensando? No... Iamila sembrava molto attaccata alla vita e Phime teneva a lei anche di più; non importava cosa Allan Drayt avesse detto o fatto, perché il suo destino era essere sacrificato.

Se quell'infame avesse saputo che il rito prevedeva la sua morte, sarebbe stato ancora così fottutamente candido? Finron ne dubitava.

Ci vollero ancora tre giorni di navigazione prima di scorgere le montagne di Dragalion.

Il sole bruciava la pelle, l'aria era secca e ci misero più del previsto a raggiungere la loro meta. Ben restò tutta la mattina a fissare l'orizzonte dalla prua, accanto a Fin. Fu il mezz'elfo il primo a vedere le vette in lontananza, poi anche la vista sottosviluppata degli umani permise loro di scorgere la terra.

Ora dopo ora divenne evidente che quell'enorme isola era formata da un terreno roccioso di un singolare marrone molto scuro e pareva che le montagne nascessero direttamente dalle acque del mare.

Non si scorgevano né alberi, né vegetazione: ovvio, perché in quell'isola c'erano eruzioni vulcaniche così spesso che la vita faticava a crescere. Ben ormai aveva capito che quelle informazioni gli sovvenivano a caso e ci aveva fatto l'abitudine.

Doveva aver viaggiato parecchio, studiato molto.

Sempre più spesso si ritrovava con la testa impallonata, immagini confuse di persone che sapeva di aver conosciuto, ma che proprio non riusciva a ricordare.

C'erano elfi, guerrieri maschi e femmine, golunnar e persino una piccola elfa oscura.

Aveva ricordato un liuto con decori floreali e le corde d'argento.

Luther, così lo aveva chiamato. Lo aveva preso da ragazzino, sì, a Occhio di Mezzo.

Perché non c'era più?

Ben non era certo vecchio... da quanto stava viaggiando con i suoi tre amici? Cosa c'era stato prima?

Con dolore, aveva persino ricordato di essere stato impiccato.

Due volte.

Però, per quanto si sforzasse, le dinamiche degli eventi erano ancora oscure e ormai si era chiuso in un cupo mutismo, ricercando la forza per seguire la missione e salvare la vita di Iamila.

Era quella la cosa importante, adesso.

Fu verso mezzogiorno che divenne chiaro dove avrebbero attraccato, poiché fu ben visibile un piccolo villaggio costruito su palafitte a diversi metri da una riva abbastanza pianeggiante. Il loro mercantile gettò l'ancora ben distante, col capitano che invitava i marinai a preparare le scialuppe. In effetti non c'era nessun molo e non sarebbe stato saggio attraccare troppo vicini a un'isola dove da un momento all'altro si poteva essere sommersi dalla lava.

Se all'interno di quelle montagne non ci fossero stati così tanti tesori da scovare, nessuno sano di mente ci si sarebbe mai avventurato.

Ben, Iamila e Finron salirono sulla prima scialuppa liberata in mare, mentre Phime preferì volare, restando vicino. A remare per loro ci pensò un ragazzo del Cintira Yasa, uno di quelli che erano stati feriti dai pirati e che sarebbe di certo morto se Ben non avesse avuto la sua esplosione di potere. Remava sorridendo, infatti, guardando lui con evidente gratitudine.

Almeno qualcosa di buono l'aveva fatta.

Sulla scialuppa c'erano anche il vice del capitano e un altro marinaio, oltre a una pesante cassa piena di chissà cosa. Per commerciare con Dragalion ci voleva un gran fegato... forse portavano provviste per chi stava lì a lungo e poi prendevano i tesori da rivendere nelle grandi città del Cintira Yasa.

Le elucubrazioni del bardo vennero interrotte quando capì di essere osservato: deglutì nel vedere che sulla semplice palafitta in legno che stavano costeggiando in quel momento c'era seduto un marinide coi grandi occhi a palla puntati su di loro e la lunga bocca stretta in un ringhio mal trattenuto.

Ben li aveva mai visti i marinidi?

Creature dalla pelle tra il blu e il verde, senza peli o capelli, con grosse teste, corpi magri e le dita di mani e piedi palmati. Ci vivevano loro in quel villaggio o stavano sotto l'acqua? Il bardo non lo sapeva e presto ne scorse altri due, persino più astiosi del primo. Forse erano così tesi a causa di Phime, visto che i loro occhi indugiavano parecchio su di lui.

Il bardo fu felice, infatti, quando superarono l'insieme di palafitte e raggiunsero la spiaggetta sassosa, dove li stavano aspettando degli umani dalla pelle scura. C'erano tre piccole barche ribaltate fuori dall'acqua, un carro senza animali, parecchi barili, casse e diverse strutture in legno squadrate e molto semplici.

Toccare terra dopo settimane in mare aperto fu singolare, anche se il paesaggio non era dei migliori e ovunque c'era un'aria piuttosto tesa.

«Frag, brutto infame! Da quando fate scendere per primi i mercenari?»

Uno degli uomini si fece avanti con le braccia aperte e parlò allegro; dei calzoni larghi di un rosso scolorito lasciavano scoperti i polpacci muscolosi e una camicia giallognola del tutto sbottonata giaceva su una pancia gonfia e pelosa. Alla cintura di cuoio era appesa una sacca a sinistra e una spada corta a destra.

Gli umani lì intorno erano sei, uomini e tutti armati, e tenevano i capelli scuri piuttosto lunghi, così come le barbe. Fu strano, ma a Ben parve quasi di essere tornato in compagnia di pirati.

«E a te perché interessa, Dean? Questi ci hanno salvato le chiappe. Sarebbe bello riportarli indietro con noi, ma dicono di avere da fare qui sull'isola.»

Il vicecapitano Frag andò a fronteggiare l'uomo, mentre gli altri due marinai tiravano giù la cassa dalla scialuppa aiutati da uno di quegli strani individui.

«Sì, e abbiamo una certa fretta.» Iamila alzò una mano per salutare. «Arrivederci.»

Avanzò per allontanarsi con Phime al suo fianco, ma uno degli uomini le si parò davanti e Dean scosse la testa.

«Nessuno si avventura tra le montagne senza che il governatore approvi la spedizione.»

«Il governatore?»

Fu Ben a parlare, confuso. Non ricordava nulla, ma era quasi certo che Dragalion non avesse mai avuto una qualsivoglia forma di governo o legge.

«Non ci interessa l'approvazione di nessuno, spostatevi.»

Il tono di Iamila non ammetteva repliche e l'atmosfera, già calda, divenne bollente. Ben scorse i muscoli di Phime tendersi, mentre Fin, che era rimasto indietro accanto a lui, portò la mano all'impugnatura della spada.

Era forse il caso di slegare il liuto? Uno spargimento di sangue in quel luogo non aveva senso... sarebbe stato molto più semplice ammaliare quella gente e andarsene in fretta.

Il vicecapitano si dileguò, tornando alla scialuppa coi suoi marinai, mentre altri uomini si avvicinarono dalle strutture poco distanti. In mare, la barca più vicina si era fermata a una palafitta e il capitano stava parlando con un marinide; troppo distante... non avrebbe potuto intercedere per loro.

«Non avete idea di quanti poveri stronzi come voi mettono piede sulla nostra isola e pretendono di fare come cazzo gli pare. Consegnateci le armi, adesso.»

Dean aveva perso la sua aria allegra e si era fatto davvero minaccioso, tanto che un braccio di Ben scattò dietro la schiena per afferrare il manico del suo strumento, mentre l'altro tirava la corda per liberarlo.

«Altrimenti?»

Iamila allontanò un poco le braccia dal corpo, le dita che si muovevano appena forse pronte a cominciare la loro danza.

«Altrimenti l'orecchie a punta si ritrova senza testa.»

«Caz—»

Ben fermò i suoi movimenti e si voltò attratto dalla mezza imprecazione di Fin, immobile coi palmi aperti e il mento alzato. Il collo era esposto e una sottile scia vermiglia lo segnava proprio nel centro.

Dean rise, assieme agli altri umani dalla pelle scura, e dietro al mezz'elfo comparve dal nulla un ragazzo con scuri capelli lunghi ma senza barba, impegnato a tenere un grosso pugnale sotto al mento di Fin.

C'erano incantatori anche lì, quindi... e loro si erano fatti fregare da una semplice invisibilità.

Il mezz'elfo aveva gli occhi strabuzzati e non parlava, forse perché la lama lo aveva già ferito e ogni piccolo movimento avrebbe potuto segnare la sua fine. Phime s'irrigidì ancora di più e Iamila alzò le mani.

«D'accordo. Se ci tenete tanto, parleremo col vostro governatore.»

Un tizio tirò fuori delle corde da una borsa che teneva a tracolla e Dean annuì.

«Saggia scelta. Ora ci consegnate le vostre armi, poi direi che l'uccello e l'orecchie a punta se ne stanno qui, mentre la signora e il menestrello vengono con me.»

Non c'era molto da replicare, anche perché quelle persone avevano già cominciato ad appropriarsi delle lame di Fin e di Iamila e uno strappò via il liuto dalla schiena di Ben. Un altro afferrò la borsa senza fondo e pretese che Phime mettesse le mani dietro alla schiena, prima di legargliele assieme alle ali, mentre l'ultimo andò a legare anche gli arti di Fin, prima che il ragazzo lo liberasse dalla minaccia del pugnale.

A giudicare dalla sua faccia, il mezz'elfo non sembrava affatto felice del trattamento subìto; come dargli torto. Ben e Iamila non vennero costretti in alcun modo, forse perché quella gente pensava che non fossero pericolosi.

Quanto si sbagliavano.

La donna si scambiò una rapida occhiata con Phime, poi il suo sguardo si spostò in quello di Ben che riuscì a leggere tutta la sua determinazione. Era ovvio che non stesse facendo nulla solo perché i loro compagni erano ancora minacciati, ma presto le cose sarebbero cambiate. Il difficile era capire come coordinarsi, senza potersi mettere d'accordo.

Un modo lo avrebbero trovato.

Ben seguì Iamila e Dean senza fiatare e in pochi attimi arrivarono a una delle strutture di legno squadrate. L'uomo bussò, poi aprì la porta sgangherata e si mise di fianco, invitandoli a entrare in modo quasi solenne, con un braccio proteso all'interno.

Iamila prese una mano di Ben e insieme passarono l'uscio, trovandosi in una stanzetta angusta e spoglia: c'era giusto una scrivania di mogano che pareva essersi salvata da un naufragio, tanto era rovinata, un paio di sedie in legno chiaro molto semplici dalla loro parte e un'ingombrante poltrona di velluto viola scuro, con delle rifiniture che forse erano state dorate, una volta. La luce filtrava dalle assi delle pareti e del soffitto, visto che non erano levigate, e una finestra aperta dava sulle altre strutture costruite poco distanti.

Sulla grossa seduta, un uomo massiccio con la pelle scura e la stessa pettinatura degli altri stava coi gomiti poggiati alla scrivania e la faccia annoiata. Tra la barba e i capelli neri si vedevano i primi peli bianchi e gli occhi di un blu intenso erano appesantiti da occhiaie vistose. Ogni dito delle mani aveva almeno un anello, il petto villoso era nudo e sembrava compiaciuto dal fatto che sia Ben che Iamila lo stessero fissando. Forse pensava che mostrare ai suoi ospiti quanto fosse muscoloso fosse impressionante... tipico ragionamento di un uomo poco incline all'intelletto.

Dean si chiuse la porta alle spalle, restando dentro, e l'uomo seminudo si alzò, mostrando che almeno aveva avuto la creanza di mettersi dei pantaloni scuri e che alla cintura aveva un paio di kukri. Il bardo girò giusto gli occhi verso Iamila e non si sorprese nel constatare che lo sguardo della donna stava indugiando proprio sulle piccole lame curve.

Dovevano essere davvero invitanti.

«Benvenuti al mio cospetto. Io sono il grande Torish Garga, governatore di Dragalion. Prego, sedetevi. A cosa devo la vostra visita?»

Ben alzò un sopracciglio e accolse l'invito, mentre a Iamila ci volle qualche istante in più prima di prendere posto sull'ultima sedia. Solo in quel momento il bardo si accorse che sulla scrivania c'era una pergamena srotolata raffigurante una mappa dell'isola con parecchie X e O segnate in diversi punti.

«Siamo stati portati qui con la forza. Non vogliamo nulla da voi, solo essere lasciati liberi di andare.»

Iamila parlò per entrambi e l'autoproclamato governatore aggrottò la fronte.

«Sono io che decido chi può e chi non può avventurarsi nella mia terra. Chiunque cerca tesori o reliquie deve pagarmi, altrimenti può allegramente tornarsene in mare.»

«Ma noi non dobbiamo cercare un bel niente!»

La donna batté i palmi sul tavolo e Ben sobbalzò, girando poi d'istinto la testa indietro, dove Dean aveva messo mano alla spada.

Questa storia del governatore doveva essere piuttosto recente, visto che Iamila aveva detto di essere già stata sull'isola e sembrava sorpresa quanto Ben. Comunque, la violenza fisica non era una buona idea, non in quel modo, almeno.

Il bardo le mise una mano sulla gamba e lei strinse i denti.

«Che veemenza! Non vedo altro motivo per scalare le montagne che fumano se non per provare ad arricchirsi, quindi potete scaldarvi quanto volete, ma non farete un singolo passo senza avermi pagato adeguatamente.»

Torish continuò, all'apparenza per nulla impressionato, e Ben sospirò.

«Gradiremmo essere lasciati in pace, i nostri scopi non vi riguardano. Dobbiamo raggiungere in fretta uno dei templi di Ninli e lì pregare lo spirito; fatevi bastare questo.»

Iamila si rilassò un poco e il governatore parve accigliarsi, poi scoppiò a ridere.

«E quindi sareste dei cultisti? Ah! Di tutte le stronzate che potevate propinarmi, questa è davvero la più divertente!»

Ben s'ingobbì. Parlare con quel decerebrato era inutile.

«Quanto volete per lasciarci passare?»

Iamila rizzò la schiena e si voltò verso di lui, infuriata, ma Ben strinse appena la mano sulla sua gamba, sperando che lei interpretasse quel gesto nel giusto modo.

«Ho saputo che viaggiate con compagni insoliti... Cedetemi il vostro animale e potrete andare dove volete.»

«Cosa?» Iamila quasi gridò, stridula, e si sarebbe di certo alzata in piedi se Ben non avesse spinto con la mano per tenerla seduta. «Come ti permetti? Phime è una persona, non un animale!»

Il governatore alzò le spalle.

«Chiamalo come ti pare, ma io lo voglio. Qui sarebbe utilissimo.»

Iamila ormai stava iperventilando ed era evidente che quell'uomo rozzo non sarebbe mai sceso a compromessi. Ben lasciò la gamba dell'amica e si passò la mano tra i capelli, sorridendo.

«Se queste sono le condizioni, temo che dovremo declinare.»

Puntò la mano col palmo aperto verso Torish e condensò il suo potere: in un istante, tra le dita cominciò a brillare la solita luce candida e l'uomo s'irrigidì, ingigantendo gli occhi.

«Cosa stai facendo? Osi minacciarmi? Dea—»

Iamila si alzò fulminea, interrompendo le parole dell'uomo col movimento delle sue braccia: i due kukri alla cintura del governatore si staccarono, fluttuando nell'aria e sparendo alle loro spalle. Ben era troppo concentrato a condensare la sua magia per potersi girare a vedere dove la compagna avesse colpito, ma a giudicare dal verso aspirato di Dean, era probabile che lei lo stesse tenendo sotto scacco con le piccole lame.

Iamila guardava verso la porta col viso truce e le braccia impegnate nella sua danza, mentre Ben era ancora fermo, le labbra all'insù e il palmo luminoso verso il governatore.

«Mi ripeterò, visto che sembrate duro di comprendonio: decliniamo la vostra offerta. Ora, con permesso, dobbiamo proprio congedarci.»

Torish ringhiò e sbatté un pugno sulla scrivania, restando tuttavia seduto.

«Siete degli illusi! Io comando più di cento uomini! Come pensate di poterci superare tutti?»

La situazione era diventata asfissiante.

Ben inclinò appena il capo, poi alzò il palmo contro al soffitto e liberò il suo potere: le assi si sgretolarono con un frastuono terribile, formando un magnifico lucernario circolare di almeno una sessantina di centimetri di diametro, ma nessuna scheggia ricadde al suolo visto che il legno svanì quasi fosse pulviscolo.

La luce del sole inondò Ben, che allargò il suo sorriso e tornò con la mano puntata verso il governatore, per poi girare lo sguardo verso Iamila.

«Dici, è stato abbastanza?»

Lei si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, annuì.

«Penso proprio di sì.»

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