VII. - Eriadne
Un gran numero di persone sin da piccola teme il buio.
Che sia profondo o soffuso ogni singola ombra che lo compone, nell'immaginazione di ognuno, può nascondere le paure più irrazionali e terribili.
Forse anche perché, nel tempo, è divenuto il simbolo più terreno e palpabile della morte.
Eppure io non l'ho mai temuto.
Non sono mai stata intimorita da ciò che potrebbe celare, al contrario, l'ho sempre considerato come una bolla in cui potermi rinchiudere per evitare di concentrarmi su qualcosa e lasciar fluire i pensieri.
Il buio mi ha sempre trasmesso un senso di pace e di rinascita tale da riuscire a infondermi quasi un senso di protezione.
Un senso di libertà immerso nelle tenebre più dense.
I miei pensieri corrono svelti mentre sistemo il capo all'interno del cappuccio del mantello preparandomi ad attraversare il cortile del palazzo.
Gli ampi bracieri abbracciano l'ampio spazio aperto proiettando ombre languide e sfuggenti sui ciottoli squadrati che fungono da pavimentazione.
A passo svelto mi immergo nella cupa notte desiderando potermi confondere in questa oscurità che da sempre sento parte di me.
Costeggio il porticato per evitare di essere individuata dalle due guardie che sostano immobili come statue all'entrata del palazzo e, una volta uscita dalla portata dei loro sguardi, aumento il passo.
Protetta da una notte ormai inoltrata vengo avvolta dal silenzio in una stretta lesta e intricata, interrotta solamente da dei fievoli e appena udibili lamenti.
Un mendicante giace gettato ai piedi di una colonna; la sua figura è appena riconoscibile sotto gli abiti laceri che la ricoprono, mentre il suo viso scavato e segnato da profonde rughe mi implora per qualcosa da mangiare di cui nemmeno io dispongo.
Con una stretta allo stomaco evito di soffermarmi sulla sofferenza che trapela dal suo debole corpo ormai in fin di vita e mi affretto a superarlo.
I miei occhi riconoscono in lontananza i profili delle strutture che ospitano le scuderie e il mio cuore sussulta al pensiero che fra poco sarò finalmente al sicuro da occhi indiscreti e a contatto con una delle poche cose che in tutta la mia vita siano riuscite ad infondermi la forza per andare avanti.
Un cane randagio dall'aria malaticcia e il pelo rado mi accompagna per i pochi passi che mi separano dalla mia meta, quindi svolta in vicolo e i miei occhi lo seguono fino a quando non viene inghiottito dalle tenebre.
Mi guardo attorno controllando un'ultima volta di non essere vista quindi mi avvicino al portone delle scuderie; le assi grezze mi graffiano un palmo quando libero il pesante chiavistello ed entro.
L'aria calda e pesante mi accoglie insieme alla sensazione piacevole della paglia sotto le suole dei sandali.
L'ambiente è oscuro, le travi grezze che sorreggono il soffitto sono appena percepibili, così come gli attrezzi da lavoro posizionati accanto all'entrata e i cavalli di cui percepisco i movimenti e il lento respirare.
Qui a Ilio i cavalli vengono venerati e allevati con profondo rispetto in quanto rappresentano il simbolo di tutta la regione; i puledri che nascono in queste terre hanno un grande valore.
Ho sempre amato questi animali, la loro intelligenza e la lealtà che possono nutrire per il loro padrone.
Il desiderio palpabile ma irrealizzabile di riuscire a montarne uno mi spinge qui quasi ogni sera.
Eppure percepisco qualcosa di diverso questa notte.
Indugio cercando di convincermi che il lieve rumore appena giunto alle mie orecchie sia solo frutto della mia immaginazione.
Il mio sguardo inquieto spazia l'ambiente attorno a me mentre i miei piedi si indirizzano già verso l'uscita.
Ma accade tutto in meno di un battito di ciglia.
Una mano compare dalle ombre afferrandomi il polso e strattonandomi in avanti.
Un gemito di terrore mi fuoriesce dalle labbra mentre provo a recuperare l'equilibrio ma impatto prepotentemente contro un torace ricoperto da un'armatura scivolando poi in ginocchio sulla paglia.
- Guarda un po' chi abbiamo qui. -
Il viso anonimo di un soldato mi sovrasta; riesco appena a distinguerne le fattezze.
Le ginocchia mi tremano e tento di alzarmi in piedi ma l'uomo cambia la presa afferrandomi i capelli e costringedomi a piegare il capo all'indietro.
Il dolore alla cute mi fa salire le lacrime agli angoli degli occhi ma stringo i denti sforzandomi di rimanere lucida.
Mi sono trovata innumerevoli volte in questo genere di situazione e so bene quanto lo smarrimento possa far precipitare il tutto.
L'unica cosa che può lasciarmi qualche speranza di uscirne illesa è farmi riconoscere e non
provocare il mio aggressore.
- Sono un'ancella della regina Ecuba - balbetto.
Il mio collo manda fitte lancinanti che si propagano lungo tutta la spina dorsale.
Il soldato esibisce un ghigno. - Ma davvero? E dimmi, schiava, cosa porterebbe un'ancella della regina qui nelle scuderie nel bel mezzo della notte? -
Il suo alito trasporta il sentore inconfondibile del vino affossando una per una le mie già deboli illusioni.
Con un uomo sobrio c'è la possibilità di riuscire a ragionare, con uno completamente ubriaco ciò è irrealizzabile.
Le violenze subite mi hanno insegnato a separare la mente dal corpo, a sopportare le sofferenze fisiche più crude, ma non la crudeltà che ottenebra l'animo di alcuni uomini.
Una crudeltà spesso repressa che l'alcol riesce a risvegliare e da cui mi è impossibile difendermi.
Non temo percosse, lame o fiamme; solo quel lampo di ferocia e potere che adesso riconosco nei due pozzi neri che sono gli occhi dell'uomo che torreggia su di me.
- Ho i miei doveri da compiere, per ordine della regina - mento, augurandomi che il senno dell'uomo sia troppo offuscato per ricordare in seguito le mie giustificazioni.
Se venissi scoperta qui andrei senza alcun dubbio incontro a una punizione esemplare.
Il soldato prorompe in una risata sguaiata aumentando la presa fino a farmi temere di voler strappare i miei capelli a ciocche.
Le mie vertebre protestano mentre i polmoni iniziano a reclamare più aria. Il dolore è talmente forte che per un istante mi ritrovo a desiderare di perdere presto conoscenza.
Il soldato avvicina il suo viso al mio - Sgualdrina bugiarda - ringhia.
Allenta improvvisamente la presa sulle ciocche che serrava nella mano e il mio petto si espande in lungo respiro di liberazione da quella costrizione.
Ma è solo un breve attimo di sollievo prima che un manrovescio mi colpisca in pieno volto.
Uno spasimo mi paralizza le membra mentre mi accascio sulla paglia, il sapore del sangue in bocca.
Non chiudo gli occhi abbandonandomi all'oblio solo perché rimanere cosciente durante la violenza è l'unica soluzione che mi permette di conservare la coscienza di me stessa e rimanere umana, non un puro oggetto da usare ed essere poi scartato.
Grazie all'orecchio non intorpidito dal colpo ricevuto sento il rumore inconfondibile di un qualcosa che viene lasciato cadere accanto a me; il tintinnio della fibbia di una cinta.
Una solitaria lacrima mi solca una guancia.
- Basta così. -
Una voce imperiosa si fa spazio nell'atmosfera carica di angoscia fendendola come una lama.
Batto le palpebre per dissipare la nebbia che mi vela la vista giusto in tempo per vedere una figura sulla soglia.
Avanza in pochi passi fissando la torcia ardente che regge in mano al supporto di ferro appeso a una trave, quindi rimane ad osservare la scena, i piedi avvolti in calzari di pelle ben piantati per terra.
Il soldato ancora in ginocchio accanto a me si alza immediatamente in piedi piegando il capo con rispetto.
La sua aggressività di poco si è dissolta come schiuma di mare sugli scogli.
- Ero sicuro di avere dato un ordine preciso di congedo - inizia l'uomo ancora immobile davanti a noi.
Il soldato mi rivolge una appena visibile occhiata carica di tensione e una parte di me esulta nel vederlo improvvisamente così dimesso.
- Avete ragione, mio signore. Ero solo venuto a controllare che i cavalli... -
La figura sulla porta entra nel debole fascio di luce generato dalla fiaccola permettendomi di distinguere i suoi lineamenti spigolosi e non più giovanissimi.
- Dovrei farti frustare per insubordinazione; i miei ordini non sono discutibili - precisa irritato.
- Certo, mio signore. -
La voce del soldato è decisa ma venata di smarrimento.
Gli occhi del soldato più anziano si abbassano su di me, pungenti come due spilloni. - Chi è questa donna? -
- Non ne ho idea, mio signore. Io l'ho solo vista entrare, ma dice di essere un ancella. -
Sentendomi presa in causa mi decido finalmente a rialzarmi in piedi ma un capogiro mi confonde i sensi costringendomi ad appoggiarmi con la schiena ad un cumulo di fieno.
- Adesso lasciaci. -
Il tono cupo del soldato più anziano mi fa torcere le viscere.
L'altro esita. - Ma mio signore... -
Il soldato più anziano compie uno scatto dandomi le spalle e mostrandomi le sagome di un lungo arco e di una faretra appese di traverso tra le sue scapole.
Le fiamme sgargianti della torcia si riflettono nel suo sguardo mentre si avvicina al suo compagno fino a sovrastarlo.
- Non mi hai sentito? Levati dai piedi - sillaba gelido.
Come pungolato da metallo rovente il soldato asserisce e si affretta ad abbandonare le scuderie più in fretta possibile.
Il battente che si chiude alle sue spalle mi fa sentire in trappola.
La consapevolezza che il mio salvatore di poco fa possa tramutarsi nel mio nuovo aguzzino mi logora i nervi.
Cerco di modulare il respiro ma il mio petto si alza e si abbassa freneticamente.
- Non hai nulla da temere da me, ragazza. Non ho intenzione di farti del male. -
Appena pronunciate queste parole l'uomo si china a raccogliere un filo di paglia da terra per poi avvicinarne un'estremità alla torcia che pende sopra la sua spalla destra.
Lo stelo inizia a bruciare lentamente tra le sue dita mentre i suoi occhi seguono la cenere incandescente che si dissolve.
Quando torna a guardarmi c'è una strana espressione suo volto messa ancor più in evidenza dalle sue labbra sottilissime lambite da una folta barba grigia.
- Dunque affermi di essere un'ancella. -
Annuisco reprimendo un brivido. - Servo la regina. -
- I suoi ordini ti hanno condotta qui? - Domanda calmo.
Abbasso lo sguardo senza rispondere, consapevole di essere stata definitivamente scoperta.
L'uomo curva il capo con fare pensieroso - come immaginavo. -
Stringe gli occhi come a voler indovinare per quale motivo e quante volte io sia stata qui, e per qualche ragione vengo improvvisamente assalita dall'inverosimile sensazione che possa riuscirci.
- In ogni caso devo ringraziarvi - mormoro per smorzare il disagio - mi avete salvata da... -
Il soldato mi interrompe aprendo un palmo nella mia direzione - Non approvo lo stupro. Soprattutto se compiuto dai miei uomini. -
Batto le palpebre colpita da queste ultime parole, in special modo dal tono risoluto con cui sono pronunciate.
Qualcosa dentro di me mi incoraggia ad abbassare le mie difese.
L'uomo china il mento - Il sono Alypio - si presenta - sono al comando della divisioni arcieri. -
- Per quel che può valere, il mio nome è Eriadne - replico armata di un nuovo coraggio.
Da quando mi è permesso rivolgermi liberamente ad una persona libera?
Il soldato mi fissa per qualche lungo istante prima che la sua attenzione venga catturata da un vociare intenso proveniente dal cortile esterno.
Nel silenzio della notte risuonano improvvisamente ordini urlati a gran voce uniti al clangore inconfodibile di armi che vengono accatastate l'una sull'altra.
- Cosa sta accadendo? - Domando non riuscendo a frenare la curiosità.
- La guerra... Si avvicina. -
La voce di Alypio è determinata, niente affatto velata quel dal senso di smarrimento che invece sento prendere possesso del mio animo.
Le sue parole mi riportano indietro a qualche giorno fa, durante il mio discorso con Cebrione.
- Ieri sono state avvistate delle navi greche nei pressi del porto di Lemno. I testimoni che ci hanno portato la notizia non hanno parlato di imbarcazioni mercantili, bensì di navi da guerra cariche di soldati armati di tutto punto. -
Il respiro mi si blocca in gola e in un battito di ciglia il senso di smarrimento si tramuta in vero e proprio terrore mentre, senza che io possa fare nulla per impedirlo, davanti ai miei occhi compaiono le immagini di Ilio avvolte dalle fiamme.
- La città non è preparata ad una guerra - osservo con la voce ridotta ad un flebile sussurro.
Alypio mi volta le spalle per recuperare la fiaccola appesa alla trave prima di rispondere - ciò che affermi è vero, non lo siamo. Ma lo diverremo. Gli Dei non ci abbandoneranno al nostro destino. -
- Ma gli Dei possono già averlo tracciato. Ilio potrebbe già essere perduta malgrado tutti gli sforzi che compiremo per difenderla. -
il soldato di fronte a me stira le labbra in una espressione che per un istante mi raggela.
La torcia disegna ombre sul suo viso rendendolo ancora più cupo di quanto lo sia stato finora; in fondo alle sue iridi nocciola riconosco un rancore celato, profondo e incontrollato.
- Il destino di questa città mi è indifferente, schiava. Troia potrebbe essere distrutta e ridotta in polvere sin dalle fondamenta per quello che mi riguarda. Tutto ciò ciò che desidero è la mia vendetta e prego che questa guerra possa permettermi di compierla. -
Le parole di Alypio paiono provenire dall'Ade, mormorate dalle anime accalcate sulle sponde dello Stige e risuonano in ogni fibra del mio essere.
La tremenda oscurità che le appesta mi stringe i nervi in una morsa.
- Il solo motivo per il quale stanotte non ti consegnerò alla regina - precisa infine - è unicamente per il fatto che in questo modo sarai legata a me. -
Trasalisco con un senso di pesante oppressione nelle viscere e realizzando, allo stesso tempo, di non avere scelta.
Il mio fisico esile potrebbe non reggere una punizione costituita da frusta o bastone.
Inoltre, qualunque cosa quest'uomo vorrà da me non potrò negargliela sia per il mio essere schiava, sia per il debito che ho con lui per avermi salvata da una violenza sicura.
- Che cosa dovrò fare per voi? - Domando con un filo di voce e lo sguardo di nuovo fisso ai miei piedi.
Alypio continua a darmi le spalle e si avvicina al portone in legno socchiudendolo - Nulla, per ora. Ti farò informare non appena arriverà il momento. -
La sua voce rimbomba nel buio anche quando la sua figura è ormai scomparsa dalla mia vista e, ormai sola, mi rendo conto che non riuscirò a disperdere i cattivi presentimenti sulla faccenda sin quando non la avrò affrontata.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top