III. - Eriadne


Nuova alba.
Nuovo giorno.
Nuove mansioni da sbrigare.

Il raggi cocenti del sole mi arroventano i capelli mentre, a passo svelto, salgo la rampa che conduce alle alte mura dell'acropoli.
Erette all'origine dei tempi, come le loro gemelle che delimitano i confini della città, da Apollo e Poseidone, la loro cima pare riuscire a toccare il cielo limpido.
Le porte che si aprono nella cinta muraria sono cinque, ognuna di esse è vegliata da una torre fortificata in cui le guardie svolgono i loro turni giorno e notte supervisionando gli accessi.
Un carro carico di spezie mi supera lasciando dietro di sé odori contrastanti che vengono immediatamente catturati e trasportati dall'aria umida.

Mi sistemo tra le braccia l'anfora di terracotta carica di acqua appena attinta al pozzo e la mia mente vola ancora a ciò che è accaduto ieri mattina.
La presenza di Elena a palazzo è stata tenuta pressoché segreta per quasi tre lune; il fatto che sia stata presentata platealmente deve significare obbligatoriamente qualcosa di importante.
Qualcosa che al momento mi sta sfuggendo.
Il suo portamento me l'ha fatta immediatamente identificare come un'aristocratica, forse addirittura una nobile. La sua vicinanza alla regina, inoltre, mi fa sorgere il dubbio su cosa significhi realmente la sua presenza a Ilio.

Immersa nei miei pensieri completo la salita dell'ampia rampa e, oltrepassati i soldati di vigilanza, entro nell'acropoli.
Ogni volta che supero queste mura non posso fare a meno di stupirmi di quanto le abitazioni e le strutture mutino nella loro apparenza, divenendo più ricche e decorate man mano ci si avvicina alla reggia di Priamo.
Con la pelle che brucia e la bocca arida per la lunga camminata sotto il sole percorro una delle strade principali e, attraversata una delle tante piazze adibite a mercati giungo finalmente nei pressi del palazzo reale. La sua struttura si erge su più livelli, quello più alto ospita anche il grande tempio dedicato alla dea Atena, ed attorno ad essi si sviluppano le strutture delle scuderia, gli alloggi delle guardie e i giardini reali.

L'ombra di un portico mi attrae consentendomi di rinfrescarmi sotto la sua ala protettrice, ed è proprio mentre costeggio il palazzo per raggiungere le entrate secondarie che alle mie orecchie giunge un clangore metallico proveniente dalla mia sinistra.
Stringo gli occhi per proteggerli dalla luce riflessa dal selciato e, contemporaneamente, mi sforzo di mettere a fuoco ciò che sta avvenendo a pochi passi di me.

Nei pressi della scuderie, all'interno di un ampio recinto vuoto, scorgo due figure scontrarsi violentemente; i loro calzari sollevano dense nuvole di polvere mentre le spade cozzano l'una contro l'altra nella culmine della lotta.
La curiosità mi spinge ad appoggiare l'anfora alla base di una colonna e ad avvicinarmi al limite dell'ombra generata dal porticato per osservare meglio il combattimento.
Malgrado la distanza e la luce accecante riconosco immediatamente i principi Ettore e Cebrione.
Lo scontro termina sotto i miei occhi e i due avversari tornano a studiarsi a distanza. I loro petti si espandono freneticamente sotto le tuniche rivestite in cuoio.
Ettore rotea l'elsa della spada con il polso in segno di sfida ma Cebrione ignora il gesto e si sfila l'elmo lasciandolo cadere a terra e liberando i folti ricci castani, così simili a quelli del fratello.
Il vento mi porta la voce ansante di Ettore - Sei già esausto, fratello? -
Cebrione, in risposta, aggiusta la presa sullo scudo mettendosi in posizione di guardia, i muscoli delle braccia in tensione.
Mi ritrovo a sorridere a fra me e me.
Nonostante sia più giovane del fratello ne eguaglia il fisico possente e allenato.
Non è la prima volta che li vedo allenarsi insieme e in ogni occasione ho sempre notato in loro uno stupefacente vigore; una fermezza che va al di là dell'esperienza di Ettore e della forza di volontà di Cebrione e che sembra scorrere direttamente nel sangue della stirpe reale.

Ho un brivido quando Cebrione, sfruttando un attimo di distrazione di Ettore, inizia il suo assalto mirando alle ginocchia del fratello, in direzione della porzione di pelle lasciata scoperta dagli schinieri.
Ettore sussulta preso allo sprovvista, devia il fendente con lo scudo e indietreggia, ma così facendo scopre per un breve momento il torace. Cebrione non si lascia sfuggire l'occasione di una vittoria ormai prossima e allunga il braccio in un affondo di punta assolutamente letale che, però, Ettore riesce in qualche modo a bloccare con maestria incrociando la spada davanti al petto.
Le lame si mantengono in equilibrio sotto la forza dei loro portatori prima che il maggiore dei due fratelli riesca a disimpegnare la sua e ad eseguire un finto affondo laterale al fianco destro di Cebrione che, per evitarlo, si ritrova sbilanciato e completamente indifeso.
Ettore non si ammorbidisce di fronte alla difficoltà del fratello e trovo semplice immaginare il bagliore spietato che deve esserci nei suoi occhi quando, con un movimento preciso del braccio sinistro, lo colpisce con il bordo dello scudo in pieno viso.

Il respiro mi si mozza in gola mentre vedo in Cebrione crollare a terra.
Malgrado lo stordimento dovuto al colpo appena subito trova comunque la prontezza di sollevarsi su un gomito e tentare di recuperare la spada scivolata nella polvere a pochi passi da lui, ma Ettore blocca immediatamente il suo movimento torreggiando su di lui e puntandogli la sua lama alla gola.
- In un duello vero saresti certamente già in fin di vita - afferma risoluto liberando Cebrione dalla pressione della sua spada ad aiutandolo poi a rialzarsi.
- L'elmo ha una sua funzione. Disfarsene non ti avvantaggia, ti indebolisce e basta. -
Scorgo Cebrione annuire con aria vagamente delusa. Un sottile rivolo di sangue vermiglio gli cola da una narice.
- Hai la rapidità dalla tua parte, fratello - precisa Ettore appoggiando una mano sulla spalla del fratello. - Affinala e diverrai invincibile. -
Cebrione, in risposta, accenna un sorriso.
Sempre riparata dall'ombra del portico li osservo recuperare le armi e uscire dal recinto per avviarsi in direzione degli alloggi delle guardie.

Qualche momento seguente, dopo aver lasciato nei magazzini accanto alle cucine la mia anfora, sto percorrendo uno dei tanti corridoi bui del palazzo.
La luce stenta ad entrare attraverso le piccole fessure poste in prossimità del soffitto.
Ascolto lo scalpiccio prodotto dalle suole dei miei sandali che risuonano sul pavimento in granito e rifletto su quanto questo suono accompagni la mia quotidianità ormai da una vita intera.
Non ho mai lasciato Troia e la mia esistenza è legata indissolubilmente a questa città.
I miei occhi si soffermano a osservare le ombre generate dalle fiaccole ancorate alle pareti.
Rallento il passo solo quando riconosco il profilo di una porta socchiusa.
Il corridoio è deserto ma per esserne certa mi affretto a guardare rapidamente alle mie spalle prima di avvicinarmi al battente e spingerlo lentamente.
La stanza che mi si apre davanti è quasi deserta ad eccezione delle armi lucide appese ordinatamente alle pareti e della figura di spalle impegnata a sfilarsi la tunica con le protezioni in cuoio.

- Stai diventando abile con la spada - dichiaro addossandomi con la schiena al muro grezzo e poroso.
Cebrione si volta, la tunica tra le mani e un barlume di sorpresa in volto. - Eriadne, non ti ho sentita entrare. -
- Come ogni volta - lo provoco bonariamente, consapevole di trovarmi di fronte l'unica persona in città con cui, paradossalmente, poter avere una simile confidenza.

La regina Ecuba riconobbe Cebrione, nato da una notte di passione fra il re Priamo e una schiava, poche lune prima della mia nascita e decise di allevarlo come figlio suo. Quando in seguito mia madre mi mise al mondo, non potendomi lasciare sola per occuparsi delle proprie mansioni giornaliere, mi portò con sé.
Da bambina, inconsciamente, ho trascorso numerosi momenti di gioco accanto a Cebrione; da un lato è come se fossimo cresciuti insieme.
Un segreto condiviso unicamente da mia madre e la regina, che ora continua a vivere sia in me che in Cebrione.

Cebrione incurva un angolo delle labbra alzando brevemente gli occhi al cielo, prima di posare la tunica sulla panca più vicina.
I muscoli delle sue spalle si flettono evidenziando la schiena abbronzata e temprata dagli allenamenti. - Tuttavia ho ancora tanto da imparare. Il combattimento corpo a corpo non è ciò in cui sono più capace. -
- Lo so bene - replico staccandomi dal muro per osservarlo meglio - Ma non devi essere troppo duro con te stesso. Ti conosco bene quasi quanto i tuoi fratelli, e so che la tua forza di volontà e il tuo braccio sono guidati dagli Dei. -
Cebrione sorride fra sé e sé recuperando un brandello di stoffa inumidito per poi iniziare a passarlo sul viso e sulle braccia ricoperte di sudore e polvere.
I suoi movimenti sono precisi e lenti, come se stesse praticando un rito sacro. - Continuo a pensare che tu abbia grandi doti nella parola; potresti abbindolare popoli interi. -
- Se fossi nata libera, e uomo, probabilmente avresti ragione - rido inarcando un sopracciglio - in ogni caso lo considero un complimento. -
Cebrione mi rivolge un caldo sorriso capace di alleviare per qualche istante la stanchezza fisica che il mio corpo inizia ad accusare in seguito alla lunga passeggiata sotto al sole.

- Non mi aspettavo di vederti oggi, le schiave sono tenute sotto stretta sorveglianza da qualche giorno oramai - dice tornando improvvisamente cupo.
L'ombra che vedo passare nelle sue iridi scure mi crea un brivido di inquietudine.
- Io rispondo unicamente alla regina - ribatto - le mie mansioni sono sempre regolari, solo alcune di noi si sono viste aggiungere degli obblighi. -
Cebrione abbassa lo sguardo e annuisce vagamente in un gesto che ho imparato a conoscere molto bene.
Lo compie tutte le volte che qualcosa lo turba.
- Cosa succede? -
Cebrione infila una tunica stringendola in vita grazie una cintura decorata con placche in argento, ma ignora completamente la mia domanda.
Muovo i pochi passi che colmano la distanza che ci separa per cercare meglio il suo sguardo.
- Cebrione? -
- Riguarda Paride - afferma cupo dopo qualche attimo, senza guardarmi.
- Paride? - ripeto confusa.
Cebrione annuisce gravemente stringendo i pugni. Le vene, sulle sue braccia in tensione, diventano repentinamente evidenti.
- Mio fratello ha compiuto un gesto avventato, non pensando nemmeno minimamente alle conseguenze che questo potrebbe avere. -
Deglutisco allarmata.
- So com'è fatto. Lo conosco meglio di chiunque altro - sospira Cebrione - ed è proprio per questo che non accetto ciò che ha fatto: rapire una straniera e condurla qui, in patria, è un gesto avventato che gli Dei non ci perdoneranno. -
Trasalisco; le parole "straniera" e "rapimento" mi invadono la mente con la potenza di un tornado.
Un nome mi sale alla labbra senza che io riesca a trattenerlo - Elena. -
Gli occhi di Cebrione scintillano di ira e risentimento.
- Esattamente - precisa - Elena di Sparta. Moglie del Re Menelao. -
Il respiro mi si mozza in gola.
Non può essere; le guerre contro i greci sembravano aver appena trovato una conclusione.
- Ma Ettore e tuo padre... - balbetto.
- Non possono fare più nulla ormai: Paride vuole sposarla, ed è determinato a seguirla se decideremo di rimandarla a Sparta. Immagino non ci sia bisogno di spiegarti che fine attenderebbe mio fratello non appena messo piede in Grecia. -
Un brivido mi corre lungo la schiena e finalmente ogni cosa acquista un senso.
Ecco spiegato l'ostinazione della famiglia reale nell'occultare la nuova arrivata durante queste lune, malgrado anche il popolo sapesse della sua presenza.
Ecco spiegato il perché del suo portamento e della sua presentazione di ieri: presto diverrà una figlia di Troia.
L'angoscia prende possesso della mia mente come una nube fitta e grigia sospinta da raffiche impetuose di vento.
- Mio padre è convinto che tutto ciò sia voluto dagli Dei, Eriadne. -
Curvo il capo.
- Ma non ci è dato saperlo - ribatto - il re sta solo cercando di fare la cosa più giusta. -
Il principe mi rivolge un'espressione amara.
- Non per il nostro popolo. Ciò che ha fatto Paride ci porterà solo maledizioni e distruzione - afferma mesto. - L'ho avvertito dalla prima volta in cui ho visto quella donna. Quanto tempo pensi impiegherà Menelao a giungere qui e riprendersi sua moglie? -
Cebrione stenta a trattenere l'ira e la disperazione nella sua voce mi colpisce come una pugnalata.
Gli appoggio una mano sul braccio; la sua pelle è bollente per via della tensione.
- Hai ragione a provare rabbia. Ma noi non abbiamo più il potere di fare alcunché - sussurro con un peso nel petto. - Non possiamo cambiare il corso degli eventi. Se davvero Afrodite ha creduto nell'amore fra Paride e Elena, allora significa che il fato ha tracciato per tutti noi un destino predefinito. -
Vorrei sforzarmi di infondergli vicinanza ma la verità è che temo anche io per ciò che accadrà. Da lune ormai questa sensazione non mi abbandona e adesso la avverto più forte di ogni cosa. Come se un cappio mi si stesse stringendo al collo, giorno dopo giorno, con l'intento di soffocarmi e prolungare la mia agonia.
Gli occhi di Cebrione si fissano nei miei; il suo respiro rallenta.
- E se il fato avesse deciso... La distruzione di Troia? - Domanda esitante.
Stringo le labbra mentre l'impotenza mi immobilizza.

Per Cebrione sono sempre stata una confidente, un'ancora a cui aggrapparsi, una sorella con sangue differente.
Ma per la prima volta in tutta la mia vita le nostre angosce si intrecciano componendo nodi che non siamo in grado di sciogliere l'uno per l'altra.

E il silenzio che cala tra noi ha il sapore acre di una disfatta.

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