Capitolo 9. Verso la tana dei goblin - Parte Prima

Era passata un'ora da che Daniel, sotto gli sguardi preoccupati dei compagni, aveva accettato di offrire il loro aiuto alla tribù di coboldi in cambio di un solo oggetto.

Nessuno di loro sul momento aveva immaginato che lo stregone avesse individuato, in quella catasta di chincaglieria inutilizzabile, forse l'unica cosa veramente in grado di metterli d'accordo tutti quanti: una chiave, presumibilmente magica vista l'aura luminosa che aveva attratto Daniel. Quando infine lo stregone l'aveva mostrata loro, ogni obbiezione sulla sua scelta era stato archiviata; quante porte magiche potevano esserci in quella fortezza? Era bastato poi che CJ la esaminasse, perché arrivasse la conferma definitiva: avevano in mano la chiave per accedere alla misteriosa porta trovata nella torre.

Per Jord si trattava del colpo di fortuna più insperato.

Grazie a quella chiave poteva effettivamente esplorare tutti gli angoli della struttura, alla ricerca di ogni indizio, ogni elemento che potesse chiarire la storia del misterioso dio del fuoco e dei suoi seguaci. E se qualcuno si era disturbato ad erigere un'entrata apribile solo con una chiave specifica, e di proteggerla con la magia, voleva dire che effettivamente lì sotto c'era qualcosa di importante; qualcosa che giaceva in quelle profondità dimenticate da duemila anni, in sua attesa. Pelor non avrebbe potuto benedire la sua giornata in modo migliore.

Ora non restava che mantenere la promessa fatta alla tribù e occuparsi dei goblin che li vessavano, prima di poter effettivamente accedere ai segreti custoditi lì dentro. Una faccenda che era sembrata ben più semplice, prima che Yusdrayl spiegasse loro come stessero davvero le cose tra le due popolazioni.

«Giungemmo in questo luogo una ventina d'anni fa, quando fummo costretti a lasciare le nostre terre alle pendici delle montagne, in seguito all'espansione della vostra razza» aveva detto loro quando era stata rassicurata dalla loro volontà di prestargli soccorso. «Lo scoprimmo per caso, errando per queste pianure in cerca di cibo e acqua. Ai margini della foresta trovammo quella che all'apparenza sembrava una grossa tana di lepri, ma che si rivelò presto un accesso nascosto a questa fortezza.»

«Un accesso nascosto?» l'aveva interrotta Jake. «Lo stesso usato da Meepo per catturare il bambino, dico bene?» e lei aveva annuito. «Questo spiega molte cose...» aveva concluso il ranger, lasciando alla cobolda la possibilità di riprendere il discorso da dove si era fermata.

«Quel ritrovamento fu per noi segno di una benedizione divina e, per questo, levammo i nostri canti a Kurtulmak, ringraziandolo per averci offerto un luogo sicuro dove vivere, ricco di piccoli predatori delle profondità per sfamarci e al sicuro dagli umani che ci avevano scacciati.»

Si era schiarita la voce prima di continuare e, come rispondendo a un segnale convenuto, Meepo le aveva porto un calice colmo di un liquido scuro e ambrato, che lei aveva bevuto storcendo appena il naso adunco. «I primi anni si rivelarono una vera benedizione. Benché abitata da un essere antico, lo stesso Linnormr del quale Meepo vi ha già parlato, questa fortezza si rivelò un rifugio perfetto, in grado di rifornirci per ogni necessità, permettendoci di vivere qui sotto senza la necessità di risalire mai in superficie.»

«E questo Linnormr vi accolse senza problemi?» aveva chiesto Spock, sorpreso.

«Non esattamente senza problemi, ma diciamo che accettò la nostra presenza. In ogni caso, questo posto era tutto ciò che desideravamo: non volevamo più alcun contatto con la vostra razza, e così fu per almeno mezzo decennio. Poi le cose iniziarono a cambiare...»

«Cosa accadde?» aveva chiesto Jake, che non ricordava di aver mai sentito nominare i coboldi dalla popolazione di Collediquercia. «Usciste alla scoperto?»

Lei aveva riso, come se la sola idea stata fosse tanto malsana quanto esilarante.

«Certo che no» aveva detto poi, fissando gli occhi penetranti nei suoi. «Non potevamo rischiare di incontrarvi ancora. All'epoca la nostra tribù contava molti valorosi guerrieri, ma non saremmo mai stati in grado di prevalere su di voi. No... Non ci fu bisogno che venissimo a cercarvi. Foste voi ad arrivare. Spinti dal desiderio di svelare chissà quale mistero, dalla brama di avventure e tesori, molti umani si spinsero tra queste profondità. Capimmo presto che la fortezza costituiva una forte attrattiva per voi. Per nostra fortuna però, arrivaste alla rinfusa, in gruppi così piccoli da non costituire un vero pericolo per noi. E così andò avanti per un po', e ogni nuovo avventuriero che scendeva nelle profondità senza tornare indietro, diventava un monito per i nuovi che pensavano di farsi avanti. E un offerta per il nostro silenzioso ma presente protettore.»

«Un'offerta?» aveva mormorato Galatea con voce tremante e Yusdrayl si era limitata a tirare le labbra in un sorriso contorto e grottesco, prima di riprendere.

«Di necessità virtù come direbbe qualcuno di voi. Eravamo in debito con lui d'altronde, ci aveva permesso di vivere nella sua casa per tutto quel tempo, senza chiedere nulla.»

Un silenzio teso era calato sugli avventurieri, e c'era voluto un po' prima che potessero venire a patti con quella realtà. Yusdrayl aveva atteso qualche secondo, poi aveva ripreso a parlare come se non avesse mai notato il loro turbamento. «In breve, le escursioni cessarono e ci permettemmo di pensare che finalmente avremmo potuto vivere in pace. Ma ci sbagliavamo...»

«Gli uomini giunsero in forze, infine?» aveva chiesto Ben, immaginando già la forza distruttiva della sua razza in azione.

«No... Non foste voi sterminarci. Ma ne foste comunque una causa, in un certo qual senso. Tutte quelle voci di antichi tesori sepolti arrivarono infine alle spietate orecchie dei goblin. E loro si, che giunsero in forze. Non furono in grado di scoprire l'accesso nascosto, ma come gli uomini prima di loro, trovarono il modo di calarsi nel burrone, invadendo prima le grotte e infine la fortezza. Volevano l'oro, non erano interessati a stabilirsi qui. Ma capirono presto le potenzialità di questo luogo, e in breve decisero di restare.»

Spock aveva scosso la testa, turbato. «E Linnormr accolse anche loro? Ospitale come padrone di casa, non c'è che dire.»

Lei aveva riso leggermente, con un suono che ricordava il grattare del ferro arrugginito. «Potremmo dire che capì i vantaggi della loro presenza e li seppe sfruttare al meglio. D'altronde, chi non accetterebbe di avere ben due popolazioni a propria disposizione? Quando poi le nostre tribù si scontrarono e lottarono per il dominio sulla fortezza, com'era inevitabile convivendo in un posto così ristretto, e i miei soldati presero a morire, uno dopo l'altro, ogni nostra perdita divenne un suo vantaggio. Più vittime, più offerte alla sua tana, che i goblin non esitarono a presentare.»

«In ogni caso,» aveva ripreso, dopo una breve pausa nella quale lo sguardo si era velato, e la schiena si era fatta più curva, come schiacciata dal peso di quei ricordi, «quando realizzammo che solo sterminando l'altro uno dei due avrebbe potuto dominare, decidemmo di stipulare una tregua e con essa un patto, da siglare. Avremmo convissuto insieme, dividendo la fortezza in due parti.»

A quel punto si era bloccata, gli occhi puntati sul muro alla sua sinistra, che però parevano vedere altro, oltre le pietre umide davanti a lei. Aveva ripreso a parlare, ma il suo sguardo era rimasto ancorato lì, come legato a un ricordo troppo vivido per non potercisi abbandonare. «Quello che però all'inizio pareva un patto leale, in realtà pendeva spietatamente dal lato dei vincitori. A loro andò l'entrata principale della fortezza, e il controllo del lato est. A noi, l'altra parte e l'accesso alle grotte sotterranee e alle loro riserve, ma non era previsto che noi avessimo un'uscita. Fu solo perché non conoscevano l'accesso segreto, se abbiamo ancora una possibile via di fuga. Il patto prevedeva che non vi fossero più azioni di guerra tra noi, ma quelle parole erano vane: loro avevano ancora una forza armata, mentre a noi erano rimasto solo un drappello di guerrieri troppo giovani per saperci difendere.»

«E ora?» aveva mormorato Jord, e lei aveva ruotato il corpo e lo aveva guardato, con un'espressione dolorosamente logorata dal tempo. «Ora, a noi non è rimasto niente. È stato semplice per loro distruggere il patto, senza nessuno a poterlo sostenere per noi. Tutto quello che abbiamo, ora, è la sala che vedete, e le nostre vite. O almeno, ciò che ne resta».

«E che ne è stato dei vostri guerrieri?» Jord si era guardato intorno, in quella sala colma di anime distrutte e senza speranza.

«Sono stati catturati» aveva sospirato Yusdrayl. «Quando i goblin hanno infine capito che potevano permettersi qualunque cosa avessero desiderato, hanno organizzato una retata, uccidendo alcuni di noi, e catturando tutti i maschi sopravvissuti in grado di impugnare delle armi.»

Jord aveva scosso la testa. «A che scopo?».

«Forse solo per dimostrare che potevano. Anche se sono convinta che lo stesso Linnormr abbia tratto vantaggio dal rapimento dei nostri guerrieri.»

«Quanti di loro sono ancora in questa fortezza?» era stata la domanda successiva più naturale per il ranger, anche se ancora molti quesiti sul misterioso padrone di quell'abisso avrebbero desiderato ardentemente una risposta.

«Molti. Non conosco il numero preciso, ma abbastanza da ridurre la mia tribù in queste condizioni. Ora che sapete come sono andate le cose, ci aiuterete?»

«Prima vorremmo sapere cosa troveremo oltre quella porta» aveva detto Jake, indicando l'entrata sigillata che si scorgeva dall'ala in cui si trovava il trono improvvisato.

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