Capitolo 8. Yusdrayl - Parte Prima

La sala dove vivevano i coboldi era larga, forse più di tutte le precedenti disposte l'una accanto all'altra; nonostante questo, l'impressione che trasmetteva era di non essere sufficiente. L'intera tribù di coboldi sostava lì dentro, ammassata negli angoli, distesa sui resti del mobilio originale, accatastata su vecchie coperte sporche e ormai ridotte in brandelli. O almeno quello che rimaneva della tribù: per lo più i cuccioli, malnutriti e tristi, le femmine che si prodigavano intorno a loro per limitarne i lamenti, e gli anziani, con la pelle tirata e opaca e gli occhi giallo spento, ricoperti di cispe.

Entrando in quella sala male illuminata, gli avventurieri vennero investiti dall'odore di corpi sporchi e resti di pasti consumati da troppo tempo. Arricciarono il naso, continuando però a seguire Meepo, che ignaro o forse solo abituato a quell'immagine di degrado, proseguiva all'interno della sala scambiando qualche cenno di saluto a quei pochi compagni che alzavano lo sguardo al suo passaggio. Sui loro volti si leggeva prima speranza, poi incertezza e paura quando di seguito al coboldo avanzavano quegli uomini e quell'elfa sconosciuti e minacciosi, che camminavano tenendo il bambino in mezzo a loro, una mano di Ben posata sulla sua spalla con fare protettivo. Molti di loro si ritraevano, accucciandosi il più possibile contro la parete, le femmine con i piccoli stretti in grembo e una determinazione leggibile solo sul volto di chi non ha più niente oltre il suo stesso coraggio.

Continuavano a fissarli anche dopo, quando le loro spalle erano l'unica parte visibile, sporgendosi per trovare l'angolo migliore da cui osservare la scena che si stava per svolgere. Dopo aver percorso l'intera sala tagliandola in lunghezza, Meepo voltò a sinistra, in un'ansa creata nella parete che dall'entrata non era visibile. Al centro di quest'ultima, su una riproduzione assai bizzarra di un trono ricavata probabilmente dal mobilio sottratto alle sale, sedeva una cobolda dall'aspetto fiero e austero. Al contrario del resto della tribù, il suo corpo era nascosto da vesti rosse sgargianti, un tempo pesanti tende alle finestre ormai murate della sala, che la fasciavano dal collo fino ai piccoli piedi scalzi e bitorzoluti. Sul capo portava una grossa scodella di coccio, aperta alle estremità a simulare l'aspetto di una corona, e l'effetto di maestosità che sembrava voler creare - già minato dalle tristi imitazioni che portava addosso – era completamente distrutto dalla catasta di oggetti gettati alla rinfusa su un tavolo alle sue spalle, troppi e troppo mal messi per rendere l'idea di un bottino regale.

Alla loro vista, il viso della cobolda si contrasse in una smorfia preoccupata, che fu molto veloce a nascondere dietro un finto sorriso di circostanza.

«Meepo, chi sono costoro? E per quale motivo li hai condotti nella nostra dimora?» chiese con tono solenne, in un comune corretto e fluido. Il suo tono era imperioso, ma non minaccioso al punto da giustificare il tremore che si propagò nel corpo del coboldo, che abbassò gli occhi e chinò il capo in segno di rispetto – e palese timore – verso quella figura in cui gli avventurieri faticavano a scorgervi dell'autorità.

La osservarono, cercando in lei segni di maestà e forza tali da giustificare quella reazione nella loro guida, ma non trovarono altro che stanchezza, e uno spesso strato di rassegnazione verso la propria situazione e posizione.

«Loro guerrieri...» riuscì infine a biascicare Meepo, tenendo sempre gli occhi abbassati in modo da non incrociare quelli del suo capo «Meepo trovato loro in stanze... Meepo arruolato loro... Loro combatte per coboldi ora».

Un moto di sorpresa attraversò il volto di Yusdrayl, ma prima che potesse parlare, intervenne Daniel. «Credo sia necessaria una precisione. Non siamo stati arruolati, ma siamo qui per conferire con lei.»

Nessuno degli altri parlò, e Daniel, sicuro di essere la persona migliore per sostenere quella conversazione, continuò. «Le nostre strade si sono incrociate per caso. Vede, siamo venuti qui, nella vostra dimora, per conto della madre del bambino che ora è con noi, che temeva per la sua vita. Lo abbiamo salvato e la nostra missione potrebbe tranquillamente terminare qui, ma Meepo ha insistito per farci parlare con lei, e noi abbiamo accettato, per pura gentilezza».

Jord, dietro di lui, sbuffò. Jake osservò preoccupato la reazione di Yusdrayl, ma la cobolda non pareva seccata dalle parole dello stregone, anzi piuttosto interessata.

Diversa fu invece la reazione di Meepo. Un lamento gli sfuggì dalle labbra, poi alzò la testa e fissò Daniel, con sdegno «Voi ucciso Gytrix. Voi no gentili. Voi mostri». Si voltò verso Yusdrayl, riuscendo a guardarla in un nuovo moto di fiducia in se stesso e sicurezza «Io catturato loro. Loro ucciso Gytrix e loro pagare. Loro ora aiuta tribù a sconfiggere goblin».

La cobolda rise, con un suono gracchiante ma sincero che le uscì dalle viscere, rimbombando tra le pareti di quella piccola ansa della sala.

«E così Meepo è davvero riuscito a convincervi ad aiutarci? Mi sorprende. Non lo pensavo capace di tanto». Un singhiozzo proveniente dal piccolo coboldo la interruppe, e lei lo fissò. Rapidamente Meepo abbassò il capo, e dopo qualche secondo lei riprese «Sostiene di avervi catturato, ma non è difficile immaginare come siano andate le cose, guardandovi.» li osservò, uno per uno, soffermandosi qualche istante in più su Daniel, fermo un passo avanti agli altri «Nessuno penserebbe che Meepo possa avervi davvero catturati».

Il coboldo emise un altro lamento, che provocò una nuova occhiata severa da parte della regina, che poi si schiarì la voce, prima di riprendere. «In ogni caso la realtà è che, a detta di Meepo, voi avete deliberatamente ucciso la nostra unica speranza di salvezza».

«Anche su questo punto avrei qualcosa da ridire» precisò Daniel. «Tutto questo inconveniente non sarebbe accaduto, se il vostro servitore non avesse rapito un piccolo bambino indifeso per darlo in pasto al drago. Noi abbiamo fatto solo ciò che era necessario per portare in salvo il piccolo Timmy».

«Capisco. Ma questo non toglie che ora la mia tribù sia in grave pericolo, e volenti o nolenti voi ne siete una causa».

«È per questo motivo che siamo qui» intervenne Jord, avanzando di un passo e affiancando lo stregone, che sospirò, infastidito dall'intromissione. «Siamo consapevoli di avervi messo in pericolo, e siamo qui per discutere con voi per porre rimedio alle nostre azioni».

«Nonostante non dipendano strettamente da noi. D'altronde eravate in pericolo ben prima del nostro arrivo. Noi abbiamo solo... Diciamo, inasprito tale situazione» continuò Daniel, rimettendo la conversazione nella direzione in cui l'aveva spinta fino a quel momento.

«E dunque ditemi, cosa avete in mente? Con quale scopo vi siete fatti portare fino a qui, se non per aiutarci?» chiese Yusdrayl con sincera curiosità. Un pensiero parve nascerle in mente. «Non penserete certo di derubarci, o addirittura ucciderci?». Jord sgranò gli occhi, oltraggiato, ma lei lo ignorò «Perché in tal caso avreste solo perso tempo. Non abbiamo più niente di valore da rubare, e per il resto, stiamo già provvedendo a morire da soli, lentamente».

«Vuole scherzare?» esclamò Jord, sinceramente offeso. «Per chi ci avete presi? Non abbiamo alcuna intenzione di derubarvi, né soprattutto di farvi del male!»

«E allora cosa cercate? Non sembrate certo disposti ad aiutarci per pura gentilezza d'animo». Guardò il chierico negli occhi, osservò il suo abbigliamento, il suo portamento. «Forse tu lo saresti anche. Ma dubito che questo valga per tutti gli altri».

«Certamente no» disse Daniel. «D'altronde abbiamo già chiarito che non siamo responsabili dell'accaduto, dunque non c'è motivo per cui dovremmo aiutarvi senza ricavarne niente».

«Vi ho già detto che non abbiamo niente di valore, non possiamo darvi niente in cambio».

«Sicura, sorella? Neanche un piccolo segno di ringraziamento? Qualche perla? Monete? Qualche splendido oggetto incantato trovato in un angolo dimenticato della fortezza?» intervenne CJ, guardandola con occhi lucidi e affamati. «Insomma, siamo gente che si accontenta. Non chiediamo molto. Giusto qualche ricordo da portare con noi in superficie e... Auh!» lo sproloquio dell'halfling venne interrotto da uno scappellotto di Ben.

«Non lo ascolti» intervenne con tono gentile il guerriero «Non tutti noi abbiamo bisogno di qualcosa che luccichi per aiutare qualcuno».

«Ma io mica intendevo che non li avremmo aiutati. Era solo per sapere se qualcosa potevano donarcela. Giusto così, come dono disinteressato» protestò l'halfling, massaggiandosi la testa.

Lo stregone sospirò, infastidito dalla piega storta che sembrava prendere la discussione. Iniziava a sospettare che il chierico sarebbe riuscito a convincerli tutti della bontà della sua stolta e altruistica idea, e che sarebbero rientrati a Collediquercia con le tasche vuote e nuove ferite come unico ricordo di quell'avventura. Si guardò intorno, lasciando che le voci dei compagni, e della cobolda sfumassero, per concentrarsi nella folle ricerca di una soluzione conveniente al loro dilemma. Un'illuminazione lo colse, proprio mentre il ranger si univa alla discussione, offrendo il suo aiuto senza condizioni.

«Un momento solo...» li interruppe Daniel, una ritrovata speranza facilmente percepibile nel tono di voce. «Vorrei conferire con i miei compagni qualche secondo».

Yusdrayl lo guardò con sospetto, forse temendo un inganno o intuendo la possibilità di un pericolo.

«Come vede siamo giunti ad un punto morto, non c'è una scelta che soddisfi tutti noi. Abbiamo quindi bisogno di decidere se vogliamo andare avanti insieme, o se preferiamo dividerci» aggiunse lo stregone, per fugare i suoi dubbi. Lei parve rifletterci seriamente, prima di acconsentire alla sua richiesta.

«Per me va bene. Potete recarvi nella sala dove avete incontrato Meepo. Quando sarete giunti ad un accordo, bussate e Meepo vi aprirà» decise infine.

Sollevato, Daniel fece cenno agli altri di seguirlo, trattenendo a stento l'eccitazione.

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