Capitolo 8. Porte chiuse - Parte Prima
La giornata scivolò loro di mano come una corda sottile, giungendo al termine in un nulla di fatto poco dopo il tramonto. Benché avessero visitato singolarmente ognuno dei dieci templi infatti, nessuno di questi aveva dato loro più di una confusione palese nei volti dei sacerdoti, o una negazione tenace e rivelatrice nei loro superiori.
A partire proprio dal magnifico tempio di Heironeous, sotto la cui cupola si celava una navata ricca di affreschi delicati ed eleganti raffigurazioni in pietra della vita del dio. L'anziano sacerdote del dio del valore li aveva accolti con calore e una serenità spirituale palese nell'intreccio morbido di rughe che contornava gli occhi ancora arzilli. Eppure, lui era stato il primo a inarcare le sopracciglia con sconcerto a sentir parlare del dio del fuoco e del suo possibile ritorno su Irvania; aveva ascoltato con attenzione il resoconto, filtrato e saggiamente limitato, che gli avevano concesso, ma era stato chiaro fin da subito, per gli avventurieri, che l'uomo fosse a malapena consapevole dell'esistenza di un dio nominato Dóiteáin.
Al termine del loro racconto, seduto sull'unica panca di una piccola saletta laterale, aveva scosso la testa con sicurezza, affermando con voce calda di conoscere il dio solo da frammenti di antiche leggende ormai dimenticate, che lui stesso considerava nulla più che favole per bambini. Da ciò che avevano deciso di condividere con lui - che si limitava a qualche sospetto, perché non ritenevano saggio mostrare subito la pergamena e il simbolo sottratto al corpo del chierico – l'uomo era stato solo in grado di supporre che fossero studiosi di storia antica, incuriositi da quelle leggende come lo era stato lui stesso anni addietro. Per questo, oltre a proporre loro di cercare, come lui stesso aveva fatto, nella ricca biblioteca della città – dove però era sicuro che avrebbero ricavato ben poco – non aveva trovato alcun modo di aiutarli in quella ricerca, che considerava per giunta poco utile e destinata a fallire senza risultati.
Non era andata meglio con la giovane donna che vegliava sulle rigide sale del tempio di St.Cuthbert: nella luce dura, tagliata dalle sottili feritoie del muro in pietra grigia, la ragazza aveva rivolto loro quasi le stesse parole dell'uomo. Anch'ella, davanti alle supposizioni sul ritorno del dio, aveva scosso il capo con sconcerto palese e un leggero sorriso di condiscendenza che faceva capolino sul viso pallido, reso ancor più tale dallo scuro vestito accollato nel quale era avvolta.
Lasciando il severo tempio squadrato, gli avventurieri avevano valutato la possibilità di rivelare qualche dettaglio aggiuntivo ai chierici dei tempi rimanenti, mettendo da parte l'istintiva ritrosia che l'incontro con il chierico rosso aveva creato in loro e condividendo dunque le prove che portavano appresso; ma l'idea era sfumata appena erano entrati nella casa di Yondalla, la dolce madre del piccolo popolo. Era stata una sorpresa quando il giovane sacerdote halfling, al quale avevano raccontato delle loro scoperte, era impallidito e aveva preso a balbettare leggermente, visibilmente turbato al punto da non riuscirne a mascherare i segni. Prima che avessero la possibilità di mostrargli le prove a sostegno del resoconto, lui era corso via dalla nicchia nella quale li aveva accolti, e senza alcuna spiegazione era sparito oltre la porta al margine della navata, sormontata da un colorato e complesso rosone in vetro intarsiato.
Erano rimasti soli nella piccola rientranza per diversi minuti, nei quali avevano presto sostituito la confusione con l'ammirazione per l'abbondante banchetto profumato che – a detta del ragazzo – era dedicato ai fedeli che fossero giunti al tempio affamati e bisognosi dell'aiuto della loro Protettrice. Poi la piccola testa, dai corti capelli scompigliati, era riapparsa dietro l'altare, e il ragazzo li aveva raggiunti trafelato e a disagio; si era scusato per la scortesia certo, profondendosi in numerosi inchini dispiaciuti, ma tutto ciò che aveva donato loro poco dopo era stato un avviso, balbettato ma comunque efficace: non era saggio porre certe domande e avrebbero fatto meglio a rivolgere il loro interesse altrove, in faccende meno rischiose e più adatte al loro ruolo e alle loro capacità.
Mentre lasciavano l'accogliente edificio, una morsa di preoccupazione e un palese sconcerto li avevano investiti, spingendoli a ritenere quelle parole una non tanto velata minaccia, più che il caloroso consiglio che il ragazzo aveva cercato di modulare.
Avevano dunque deciso di continuare quella cerca come l'avevano iniziata, mantenendo celata ogni prova sul dio, fino alla certezza di un riscontro dall'altro lato; ma purtroppo la serata era trascorsa senza che questo arrivasse, e nessun tempio – che fosse umano, elfico o nanico – aveva procurato loro le risposte che necessitavano. Solo altre negazioni perplesse, e qualche sospettoso rifiuto a comunicare più di quello che giù avevano ottenuto in precedenza.
Al termine di quel giro dunque, protrattosi tra imponenti chiese, maestose arene e vitali alberi in fiore, la delusione li avvolse come una cappa spessa, spingendoli a lasciare l'isola e i suoi templi per trascinarsi fino a una taverna, dove trascorrere in pace le restanti ore della nottata. La stanchezza per il lungo viaggio intercorso da Riverwood, il calore di un bagno rilassante e infine la comodità quasi dimenticata del dormire in un materasso di piume e non sul duro terriccio umido, li portarono a ritirarsi presto per il sonno, rimandando all'indomani i pensieri sui futuri piani d'azione.
L'alba trovò Jord già in preghiera, l'armatura riposta con cura sull'unica sedia presente nella stanza e il corpo chino, rivolto verso l'ampia vetrata, che in quel momento iniziava a rischiararsi sotto i primi, timidi, raggi di sole. Al di là del vetro lucido, si scorgevano le guglie e le cupole dell'isola dei templi, ma il chierico vi prestava scarsa attenzione: il suo sguardo sfocato richiamava la concentrazione spirituale della quale era preda, mentre chiedeva a Pelor di benedire quella nuova giornata di ricerca. Quel contatto, quella silenziosa ma percepibile presenza al limitare della sua mente contribuì, pian piano, ad alleviare in lui la delusione residua per i fallimenti appena vissuti, per sovrapporvi una ritrovata fiducia nella bontà e giustezza di quella missione, che aveva accolto come propria.
Quando infine il suo rituale terminò, il chierico riscoprì una speranza che, solo il giorno precedente, avrebbe dato per impossibile; deciso a trasmettere quella sensazione ai compagni, lasciò la stanza e discese dabbasso, entrando nella vasta sala da pranzo dell'edificio. Trovò il gruppo già parzialmente riunito intorno a un tavolo e immerso nel familiare brusio degli avventori più mattinieri; Jake e Ben sedevano su uno dei lati più lunghi, davanti al druido, e tutti e tre ascoltavano Daniel, che dondolava la sedia e parlava scrollando il capo.
Il chierico notò per prima l'assenza dell'elfa e, subito dopo, quella di CJ; preoccupato soprattutto per quest'ultima, scandagliò la stanza in cerca dell'halfling, ma non riuscì a trovarlo né intorno ai compagni, né tra i numerosi tavoli occupati, disposti in file ordinate davanti al grande bancone di legno antico. Il pensiero che il compagno stesse approfittando del nuovo giorno, per portare a segno qualche crimine, fece capolino nella sua mente e con un sonoro sbuffo di fastidio il chierico avanzò verso gli altri, deciso a verificare l'esattezza delle sue supposizioni. Arrivato a pochi passi, venne scorto da Jake e Ben e accolto con un sorriso e un cenno del capo.
«Buon giorno a tutti» ricambiò lui, muovendosi verso il capotavola opposto allo stregone e riuscendo a carpire l'ultimo brandello della sua frase «... Perché poi si sa, ad Anarsi funziona tutto diversamente». Daniel raddrizzò poi lo schienale e gli si rivolse, allegro «Buona giornata a te, Jord», e poco dopo anche Spock ricambiò il saluto, abbassando leggermente il capo.
«CJ?» fu la prima cosa che chiese il chierico, accomodandosi sulla sedia e guardando i volti dei compagni, con un'espressione carica di sottintesi.
Ben ridacchiò «Tranquillo, è di sopra. Probabilmente dorme ancora alla grossa, come Galatea».
«O almeno, questo è quello che speriamo tutti» aggiunse Jake, strappando un altro sorriso ai compagni «In ogni caso, c'è poco che possiamo fare in questo momento. Abbiamo problemi più importanti dei quali discutere». Con la testa affollata di pensieri, il ranger abbracciò la sala con lo sguardo, e dietro le spalle del druido intravide Galatea scendere le scale con grazia, per fermarsi poi all'imboccatura della sala. Sollevò un braccio per attirare la sua attenzione e lei ricambiò con un mezzo sorriso, prima di muoversi adagio per raggiungerli.
«Siete mattinieri oggi» li salutò l'elfa, prendendo posto sulla nuova seduta, appena disposta da Jake accanto al druido «Di cosa discutevate?»
«Iniziavamo a ragionare su come muoverci oggi» le spiegò Ben.
«Oh, dici per rimediare al totale fallimento di ieri?» lo rimbeccò lei. Senza attendere una risposta, si volse verso la sala e intercettò lo sguardo di un giovane cameriere, intento a ritirare le stoviglie in un tavolo accanto «Ragazzo, abbiamo fame» lo chiamò, alzando la voce per sovrastare il brusio incessante intorno a lei e agitando rigidamente un braccio «Provvedi a portarci qualcosa, di grazia?». L'altro, colto alla sprovvista dall'espressione perentoria dell'elfa e dal tono spiccio, terminò di impilare impacciatamene i bicchieri e le si rivolse «C-cosa... Cosa vi porto?» balbettò, sollevando il vassoio carico e traballante.
«Latte... Formaggio... Pane. Insomma, qualsiasi cosa serviate in questa bettola a colazione» lo freddò l'elfa, e il ragazzo annuì frettolosamente, per poi voltarsi e muoversi ondeggiante verso il bancone.
Galatea osservò la schiena del ragazzo per appena qualche secondo, poi si voltò e incrociò le occhiate perplesse degli uomini intorno a lei «Be'?» chiese, con stizza «Che avete da fissare?».
Jake si schiarì la gola, per iniziare a rispondere, ma venne preceduto dallo stregone, che le riservò un'occhiata canzonatoria: «È un piacere ritrovare la tua acidità, di primo mattino. Pensavamo di averla persa per sempre lungo il tragitto».
«Molto divertente» ghignò l'elfa, in risposta «Vogliamo continuare a perdere tempo o parliamo di cosa fare adesso?». Si sistemò poi una ciocca di capelli, sfuggita alla rigida coda nella quale era stata costretta fino a quel momento e li guardò con una nuova punta di insofferenza. Con sollievo, notò che i compagni iniziavano a rassegnarsi al suo pessimo carattere – o almeno a ciò che faceva filtrare di sé in quegli scambi - perché le riservarono solo qualche sospiro. Quasi tutti, perché Jake dovette prevenire la rispostaccia che stava palesemente per lasciare le labbra dello stregone: «Siamo d'accordo con te. Abbiamo bisogno di un nuovo piano e Daniel sembra averne uno» disse in fretta, arrestando le parole del compagno con una mano tesa.
Lo stregone inghiottì il rospo e sorrise «Grazie per la fiducia, Jake. Ma non è proprio quello che intendevo...» Un'espressione di soddisfazione si dipinse sul suo volto, mentre leggeva diversi livelli di curiosità e attenzione nei volti dei compagni, ora tutti rivolti verso di lui. Fece una breve pausa ad effetto, poi aprì la bocca per spiegare.
«Avanti, dicci di cosa si tratta» lo interruppe invece l'elfa, puntando un dito verso il mezz'elfo «Vediamo se è veramente un'idea così geniale come farebbero pensare le tue piume».
Daniel inarcò le sopracciglia «Piume?» mormorò, per un momento confuso.
Lei sorrise «Sì, quelle che stai arruffando da quando sono arrivata. Un altro po' e ci delizierai anche con una bella ruota».
Ben e Jake trattennero una risata e Jord non riuscì a impedire che un sorriso facesse capolino dalle sue labbra. Anche a Spock sfuggì un'espressione divertita, che mascherò con un colpetto di tosse, atto a ripristinare quel velo di indifferenza che lo ammantava dal mattino.
«Ah ah, ma che simpatica» rispose invece il mezz'elfo, con una smorfia «Anzi, simpatici, tutti voi. Guardate che ho notato le vostre risatine» li accusò poi, incrociando le braccia al petto e guardandoli con astio.
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