Capitolo 7. Riverwood - Parte Terza
Un imponente ponte si inerpicava leggiadramente oltre le paratie, tenuto sospeso sul fiume attraverso quattro complessi sostegni in pietra bianca, le cui estremità sfumavano nell'acqua cristallina. All'apparenza costituiti da elaborati intrecci ornamentali, quei basamenti erano in realtà stati pensati per scaricare l'intero peso della robusta struttura, ingannando al contempo lo spettatore inesperto, il cui occhio veniva attirato dalla loro raffinatezza e deviato dalla necessaria robustezza della quale erano dotati.
Lo stesso effetto di leggiadra eleganza era stato creato per il ponte, che si sviluppava candido e regolare, circondato da spallette dallo stesso intreccio delle basi sottostanti. Quando vi furono sopra, CJ notò distrattamente che gli ornamenti riproducevano delicati volti, scene di battaglia e scorci dell'isola dei templi, che ora iniziava ad emergere oltre la struttura. Come sentì spiegare dal mercante, quelle incisioni racchiudeva l'intera storia della costruzione della città, nonché gli eventi più importanti che l'avevano coinvolta; ogni frammento di racconto era stato scolpito sulla pietra stessa delle spallette ed era quella moltitudine di figure a formare l'intreccio elegante che si scorgeva da lontano. L'halfling ci diede un'occhiata rapida, poi il suo sguardo venne catturato dagli edifici che emergevano oltre l'arcata del ponte, i padroni delle guglie e delle cupole che avevano dominato la scena oltre i tetti, fino a quel momento.
Circondate da giardini ordinati e curati, si distinguevano dieci strutture, ciascuna diversa dalle altre per stile architettonico e decorazioni; su tutte, svettava la magnifica cupola bianca del tempio di Heironeous, affiancata da due più modeste, anch'esse appartenenti al dio della guerra e del valore. L'edificio che le racchiudeva, dedicato al culto principale della città, era stato costruito al centro di due vasti cerchi architettonici, comprendenti i nove edifici restanti, affinché fosse visibile da entrambi i ponti principali della città. Superiore per altezza alle guglie e ai rami vicini, era anche il più imponente, tanto che l'occhio del visitatore non poteva che posarsi su di lui di continuo, attratto dal candore delle pietre levigate e dall'eleganza delle sue arcate.
Alberi e strutture si susseguivano nel primo cerchio, richiamando quella sensazione di armonia che Carthana aveva citato loro poco prima e lo stesso effetto veniva riprodotto dalle decorazioni di ciascun edificio della circonferenza esterna, creato affinché rappresentasse il proprio culto ma si inserisse al contempo in un disegno comune ed equilibrato.
Dopo la prima sensazione di meraviglia, la visione perse il suo fascino agli occhi di CJ, che venne invece attirato dalla ricchezza delle vesti e dei gioielli di molti dei visitatori dell'isola, che procedevano costeggiando e superando il carro. Fu Carthana a spiegare loro che, benché aperta a chiunque volesse porre omaggio a una delle divinità che vi alloggiavano spiritualmente, quella cittadella era perlopiù frequentata dalle classi più agiate, le uniche a godere di giornate intere di libertà nelle quali osservare i riti del proprio culto.
Solo nei giorni di festa cittadina, gli operai e gli artigiani di Riverwood avevano la possibilità di recarsi in visita, per ringraziare il proprio protettore del favore concesso loro durante i mesi precedenti; ecco che in quelle occasioni l'isola si faceva colorata e movimentata, e perdeva la sua raffinata e composta eleganza in favore di una vitalità simile a quella di cui godeva il resto della città fluviale.
Unica eccezione a quella divisione di classe, erano i mercanti: come anche Gamos e la famiglia si accingevano a fare, ogni commerciante che giungeva a Riverwood era abituato a fermarsi all'imboccatura dell'isola, lì dove sorgeva l'undicesima struttura, che proprio per la sua posizione, nonché per la sua particolarità, non prendeva parte al conto dei templi della città; all'uscita del ponte infatti, sorgeva una locanda di pietra, piccola e accogliente, dal cui tetto spiovente si estendeva in quel momento un sottile rivolo di fumo caldo. Quell'edificio, consacrato a Fharlanghn, era il punto di ritrovo per tutti i mercanti che transitavano a Riverwood, meta simbolica del loro vagare incessante per le vie di Irvania. Prestare omaggio al dio del viaggio era ritenuto essenziale da molti dei mercanti del continente che percorrevano quelle strade, che fosse per avere una benedizione per il viaggio prossimo o per ringraziare il dio per la protezione ottenuta in quello appena ultimato.
Un saluto rapido e una preghiera al suo altare erano un appuntamento che Gamos non avrebbe mai mancato, neanche se fosse stato in ritardo con la consegna delle sue merci. Così diresse il carro verso l'edificio, seguendo la strada ampia che costeggiava il cerchio di edifici più esterni, arrestando poi i cavalli in uno spiazzo dedicato proprio a quella funzione.
«È qui che le nostre strade si dividono, amici miei» esordì poi, lasciando le redini e sporgendosi per scendere dalla cassetta. Jake e Ben, che per tutto quel tempo avevano camminato accanto ai due mercanti, furono i primi ad avvicinarsi a lui «È stato un piacere viaggiare con voi e sono sicuro che sentiremo la vostra mancanza da qui in avanti» disse loro l'uomo, con il volto aperto in un'espressione sincera.
«Lo stesso vale per noi» ricambiò Jake con un sorriso, stringendo la mano di Gamos.
Ben accolse il braccio del mercante, poi salutò il piccolo Nor con un buffetto sulla testa «Stai in gamba, piccolo» e il bambino ridacchiò, muovendo la piccola mano in segno di saluto.
Carthana discese dalla cassetta e li affiancò, offrendo un inchino delicato prima ai due uomini, poi al chierico e al druido, che li avevano appena raggiunti «Mio marito dice il vero» disse, con tono gentile «È stato un onore dividere con voi la strada. Che possa Fharlanghn benedire il vostro viaggio e se vorrà, ci rincontreremo in futuro».
«Possa Pelor aiutarlo» rispose Jord salutando la donna. CJ saltò dalla carrozza e fece un sorriso ai due e al piccolo Nor «Buona fortuna, fratelli», mentre Spock ricambiava i saluti dei due coniugi con un cenno del capo.
Anche Galatea si aggiunse agli addii, ricambiando, rigidamente, l'inchino di Carthana; in volto, l'elfa portava la solita maschera di insofferenza, ma quell'addio le creava una punta di dispiacere, per il perduto calore che quella famiglia offriva a chiunque incrociasse il suo cammino. In ogni caso, salutò anche il mercante con la stessa fretta, cercando di non far trapelare quella sensazione.
Notò Daniel separarsi da Annah con un dolce baciamano, per poi salutare anche il mercante e la moglie, e scelse dunque di attendere i compagni, allontanandosi di qualche passo e osservando i templi che splendevano sotto il sole caldo e intenso di quella giornata. Il suo sguardo venne subito attratto dai sottili rami, carichi di foglie disposte a spirale, di quello che Gamos aveva descritto come il tempio di Ehlonna: il grande salice, sacro alla dea delle foreste, riversava le piccole gemme e gli amenti carichi di semi sui giardini circostanti, tingendo di giallo ocra il verde splendente dei prati. Com'era accaduto a Mangwar, l'elfa si sorprese nel constatare quanta armonia potesse trasmettere quella natura piegata al volere dell'uomo: alberi ed edifici si susseguivano con dolcezza, in alcuni casi si fondevano persino, come nella maestosa quercia che cresceva alla destra della bianca cupola, tra i cui rami si scorgevano le pareti del tempio, che Carthana aveva individuato poco prima come quello di Corellon Larethian.
Sospirò, lasciando che la vista la colmasse e sostituisse ancora una volta le stilettate di paura che stentavano ad abbandonarla. Le leggende intorno al fuoco, il sidro morbido e leggermente aspro, le chiacchiere leggere sul carro, avevano tutti contribuito a farle dimenticare per qualche giorno quei tormenti dei quali era caduta preda, all'incontro con il chierico del dio del fuoco. Ora però si trovavano in città e da lì a poco avrebbero forse avuto le risposte che cercavano, su quel culto misterioso e dimenticato.
Ma chi le assicurava che quelle risposte le sarebbero piaciute? Temeva il momento nel quale una rivelazione avrebbe messo del tutto in luce l'esistenza di quell'ombra per il momento latente; un unico chierico infervorato poteva quasi essere dimenticato, ma un intero culto, che agiva nell'ombra, era una minaccia fin troppo reale, per poterla semplicemente cancellare dalla mente.
Il solo pensiero riaccese il panico che dormiva dentro di lei, così l'elfa respirò profondamente, spostando al contempo lo sguardo da una dorata guglia a un altro albero antico, forse più del salice della dea dei boschi: un ulivo secolare, dalle piccole foglie appuntite e dal tronco contorto e pesante, ben più largo di quanto fosse solito in quella specie. La maestosità di quel padre verde riuscì a far breccia nel velo di timore nel quale stava sprofondando, restituendole la solidità che necessitava in quel frangente. Le voci dei compagni alle sue spalle la riscossero del tutto, così si voltò, in tempo per vederli muovere verso di lei e fermarsi al suo fianco, ad ammirare estasiati quel trionfo di fede e celebrazione. Per qualche secondo, il gruppo rimase fermo sul ciglio della strada, gli occhi di tutti che si spostavano lentamente da una struttura all'altra; nella mente, lo stesso pensiero condiviso: "da quale cominciare?"
Quale delle dieci divinità poteva dar loro le risposte che necessitavano?
«Secondo voi quello è oro?» chiese CJ indicando con il braccio proteso la piccola guglia dorata davanti a lui. Il momento di riflessione sfumò e i compagni si voltarono verso il piccolo halfling, che osservava la guglia con un sorriso famelico.
«CJ» Jake accanto a lui, gemette, scuotendo la testa «Ma non pensi mai ad altro?»
«Certo che sì, fratello» le mani dell'halfling presero a contare «Penso anche ai gioielli, alle pietre preziose... E alle femmine halfling, ovviamente» concluse, con un occhiolino.
«Sei incorreggibile» lo riprese Jord, scuotendo la testa «E comunque no, non è oro. La guglia stata dipinta di quel colore perché rifletta la luminosità di Pelor. E per omaggiare quella di Nev, che invece è davvero d'oro».
Il sorriso dell'halfling si allargò, «Be', allora direi che prima o poi un salto ce lo dobbiamo fare, in questa Nev».
«Un passo alla volta» intervenne Ben, ridacchiando «Ora abbiamo delle domande da porre».
«E poi Nev è distante miglia, da qui» si aggiunse Daniel, avanzando fino a mettersi davanti all'halfling e impostando il viso in un espressione seria «Non penso che riusciremo ad arrivare uniti fino a lì».
«Sei parecchio pessimista» lo riprese Jake. Il volto di Daniel si contorse in una smorfia divertita «Sono realista. Già ora ho una voglia indicibile di appendere CJ a uno di quegli alberi» indicò gli edifici alle sue spalle, «figuriamoci se riesco a resistere fino a Nev!».
«Molto divertente, fratello. Dove sareste stati se non ci fosse stato CJ in quel buco?».
«Non ha tutti i torti, sai?» ridacchiò Ben. Spock, al suo fianco, sbuffò «Se andiamo avanti così, dubito che arriveremo anche solo a un tempio» borbottò il druido, cominciando a muoversi verso le strutture decorate «Stiamo perdendo tempo, come al solito».
«Sei sempre l'anima della festa, Spock» mugugnò Daniel «Avanti, andiamo» si mosse per raggiungerlo, poi si voltò ancora «Da quale volete iniziare?».
«Uno qualunque di quei templi andrà bene» rispose Jord unendosi al cammino degli altri «Eviterei solo quello di Pelor. Vista la retrosa dei miei superiori, sono abbastanza certo che non vogliano che si sappia di questo dio del fuoco. Troveremmo solo altre porte chiuse».
«E sia» concluse Jake, avviandosi «Allora chiederemo in tutte le altre. Qualcuno dovrà darci una spiegazione, ne sono certo».
Solo Galatea rimase indietro, osservando le schiene dei compagni allontanarsi. Non aveva partecipato a quello scambio amichevole e nessuno di loro pareva essersi accorto del suo turbamento. Sospirò, conscia che dipendesse soprattutto dal suo spiacevole comportamento nei loro confronti, se ora non riusciva a sentirsi veramente parte di quel gruppo improvvisato.
Il panico, misto a una sensazione di solitudine strisciante, fecero di nuovo presa su di lei e questa volta neanche la respirazione riuscì a placarli. Quando ormai sembravano sul punto di ghermirla irrevocabilmente, vide Jake voltarsi e cercarla con lo sguardo «Galatea, non vieni?» le chiese il ranger, confuso. Quel gesto fu sufficiente a spingere le sue gambe ad avanzare, anche se non riuscì a offuscare il dolore che cominciava a farsi strada dentro di lei.
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