Capitolo 6. Alle porte della città - Parte Prima

I campi di Mangwar si rivelarono un piacevole diversivo alla monotonia del viaggio. Ai confini della città, i vasti filari di lavanda creavano uno scenario quasi incantato, che i viaggiatori attraversarono guardandosi intorno con meraviglia. Anche Galatea fu costretta a riconoscere la bellezza di quei cespugli viola in fiore, che rapivano lo sguardo con i loro toni accesi e con la vita che sembravano attirare intorno. Se fino a quel momento era stata convinta che fossero superflui e perfino pretenziosi, dovette ricredersi quando il profumo intenso e inebriante dei fiori la raggiunse, accompagnato dal ronzio incessante che fremeva tra i campi.

Poteva anche non essere il tipo di natura al quale era abituata, ma nulla di ciò che vedeva poteva dirsi innaturale, o insensato, anzi tutt'altro; era uno spettacolo che sapeva avrebbe rimpianto, una volta passati quei luoghi.

Un vecchio mulino fermo svettava oltre quelle macchie violacee, dove un tempo dovevano esserci stati i campi di grano e cereali; ormai però le colture in fiore ne avevano invaso il terreno, fin da quando la città di Mangwar aveva scelto di dedicarsi quasi esclusivamente ai filari, lasciando che fosse il commercio a soddisfare ogni altra esigenza. Il clima e il terreno della zona si erano rivelati ottimale per la coltivazione della lavanda, e la posizione così favorevole della città, al centro di una delle rotte commerciali più battute, aveva garantito a Mangwar e i suoi campi la fama e il prestigio dei quale necessitava. Nessuno si sarebbe mai sognato di attraversarla senza fermarsi, ammirato, a osservare quel tripudio di colori.

Dietro i campi si scorgevano le basse case in pietra, ciascuna decorata da rampicanti in fiore alle finestre, e fu lì che i viaggiatori si diressero per riposare, all'ombra delle prime abitazioni e ancora distanti dalla frenesia della cittadina, da dove potevano ammirare i campi senza intralciare il cammino di chi proseguiva all'interno.

Nell'aria pacifica che si respirava, molti di loro furono colti dall'idea di fermarsi a Mangwar fino al mattino dopo, riposando in una locanda calda e confortevole, anziché all'addiaccio in mezzo a una radura. Ma l'incidente con il carretto era costato ore di viaggio preziose al mercante e alla sua famiglia, e dunque una pausa di tali proporzioni era per loro impraticabile, e neanche i compagni erano realmente intenzionati a sacrificare un giorno intero per delle comodità. Il mistero della pergamena continuava a tormentarli, e per quanto le dolcezze di quel viaggio li stessero distraendo, nessuno di loro aveva rimosso il senso di quella traversata.

Fu mentre pensava ancora una volta alla "parola di Dóiteáin", tormentandosi nell'impossibilità di comprenderne il significato, che a Jord venne in mente di proporre ai compagni di noleggiare dei cavalli, che avrebbero permesso a loro, e al mercante, di mantenere un'andatura più rigida, e di giungere dunque prima a Riverwood.

La sua proposta venne accolta senza esitazione, e quando infine lasciarono Mangwar e le sue bellezze, lo fecero in sella alle cavalcature, acquisite con parte di ciò che la fortezza aveva procurato loro.

Per il resto della giornata, i filari e le dolcezze della città rimasero il principale argomento di conversazione, sostenuto e ripreso dalle dame nel carretto, e dunque accettato dagli uomini che facevano loro da scorta. Anche nelle loro menti però l'immagine faticava ad allontanarsi, e ben presto divenne un rifugio dietro cui nascondere i cattivi pensieri e le preoccupazioni.

Daniel procedeva montando Ombromanto, e tenendo sempre uno dei compagni tra sé e il carretto; aveva notato Annah cercarlo con lo sguardo diverse volte, ed era stato tentato di affiancarsi a lei per parlarle; ma non gli era sfuggito che anche Carthana lo osservasse di sottecchi, e temendo di insopettirla aveva rivolto solo un cenno cordiale alla ragazza, riservandosi di parlarle appena possibile dei sospetti che immaginava nutrisse la madre.

Il momento giunse solo dopo il tramonto, quando smontarono di sella e allestirono un campo ai margini della strada, protetti da un gruppo di cipressi che ornava il percorso. Ebbe appena il tempo di prenderla da parte, dietro un albero, per assicurarsi che non gli portasse rancore per averla ignorata l'intera giornata.

«Non potrei mai» gli sussurrò lei, guardandosi al contempo alle spalle per tenere d'occhio la madre, impegnata a rimproverare il piccolo Nor per qualche capriccio «Capisco il perché, e te ne sono grata. Si è fatta sospettosa, anche se è molto lontana dal sapere la verità».

«Allora dovremo fare ancora più attenzione» le rispose, sorridendo dolcemente «Facciamo passare questa notte, e qualche altra ancora. Quando si sarà tranquillizzata, potremo trovare un momento per noi».

«Mi sei mancato» gli mormorò Annah, accarezzandogli una guancia «So che tra qualche giorno dovremo salutarci, e avrei voluto avere più tempo».

«Anche io» ammise lui, prima che fossero costretti a separarsi ancora, notando Carthana cercare la figlia vicino al carretto; rientrarono in mezzo ai compagni, che discutevano amabilmente con il mercante del restante viaggio fino alla città, e nessuno parve notare che si fossero allontanati insieme per quel breve momento.

Purtroppo, né quella notte, né le successive, vi fu per i due un nuovo modo di incontrarsi di nascosto, perché Carthana aumentò la guardia, destandosi improvvisamente anche al minimo movimento dei familiari sul carro, e osservando gli atteggiamenti della figlia, continuamente, durante il giorno. I sospetti che nutriva non avevano trovato conferma, ma non per questo era disposta a metterli da parte fino al termine del viaggio. Si sarebbe assicurata che la figlia giungesse a Riverwood innocente com'era partita, poi lì gli avventurieri avrebbero ripreso il loro cammino, e Annah sarebbe stata finalmente al sicuro. Non le piaceva quel ruolo che si era data, e odiava che la figlia la vedesse come un ostacolo, una nemica. Ma non aveva intenzione di permetterle di rovinarsi la vita, stando a guardare in silenzio.

A Mangwar aveva tentato di convincer Gamos a proseguire senza gli avventurieri, adducendo come scusa la volontà di sostare nella cittadina qualche giorno, ma il marito era stato irremovibile; le merci erano attese per una data precisa, e inoltre non avrebbe rinunciato facilmente alla scorta offerta implicitamente dagli uomini. Così si era adattata da sola, diventando una sorvegliante ben più rigida di quanto fosse mai stata. "Un giorno mi ringrazierai, figlia mia" pensava, cogliendola ad osservare il mezz'elfo con malinconia.

Quando infine le mura orientali di Riverwood apparvero in lontananza, Carthana sospirò sollevata, lieta di essere infine così vicina al termine di quel viaggio.

Dalla strada la città appariva ancora sfocata, nascosta in parte dalla folta foresta che la abbracciava, e dalla quale traeva parte del nome; il Grande Drago d'Argento, il fiume su cui sorgeva, scorreva attraverso il bosco, ancora coperto dagli alberi. La donna si sporse dal carro per osservare la città, abbracciando poi con lo sguardo quel paesaggio che aveva desiderato ardentemente vedere, fin dall'infanzia. Quando individuò ciò che cercava, un sospirò di gioia le sfuggì dalle labbra; a sud di Riverwood sorgevano le due vette gemelle delle quali, solo pochi giorni prima, aveva narrato la storia intorno al fuoco. Erano distanti, rese poco nitide dal velo di nebbia che quel mattino si percepiva in lontananza, e in parte giacevano coperte dalla neve che vi cadeva perenne, eppure riuscì a intuirne le forme, come le fossero familiari.

Anche gli avventurieri alzarono lo sguardo e le notarono stagliarsi sulla pianura sottostante come fossero guardiani della sua tranquillità. Ben sorrise, ripensando alla leggenda sulla loro origine, e cercò le tracce delle due maestose ali nel loro profilo, trovandovi però solo un accenno appena percettibile. Una leggera smorfia di disappunto lo attraversò, e Spock, che cavalcava accanto a lui, la notò.

«È questo il problema delle leggende» gli disse il druido, indicando dalla sella le due vette «Difficilmente si riesce a trovare un'attinenza con la realtà».

«Che visione pessimistica»Jake spronò il suo destriero moro, per affiancare i compagni e l'animale sbuffò, prima di riprendere il passo accanto agli altri «Io credo che tutte le leggenda abbiano, in fondo, un po' di verità».

«Se sei un bambino e vivi nelle favole senza dubbio» lo schernì il druido «Altrimenti non puoi che guardarle e constatare che sono solo due montagne, non le ali di un drago. E che non sarebbero affatto male come luogo dove vivere».

«Stai scherzando, vero? Chi mai vorrebbe vivere là sopra?» domandò Ben, perplesso.

«Forse un eremita come lui» rispose Daniel alle loro spalle, alzando appena la voce per inserirsi nella conversazione.

«Per ghiacciarsi le estremità ogni giorno? Non farebbe decisamente per CJ!» osservò l'halfling, voltandosi. Il suo pony trottava adagio davanti agli altri, tenendo a stento il passo con la cavalcatura del chierico.

«Infatti non saresti invitato» gli fece notare Spock. Poi alzò ancora il braccio, indicando una delle vette, che si perdeva tra le dense nuvole «Immaginatevi una casa, proprio là sopra, dalla quale vedere l'intera piana. Sarebbe un ottimo punto d'osservazione». I compagni si voltarono e Spock sorrise leggermente, senza essere notato «Sicuramente, lì non verrebbe alcun ranger fastidioso a disturbare» riprese, con un finto tono severo.

Jake al suo fianco rise, scuotendo la testa «Ammetti che non ti dispiace, essere stato tirato fuori da quella radura. Ti ho visto sai, osservare i campi di lavanda con lo stesso stupore degli altri. Scommetto che c'è anche un cuore, nascosto sotto tutte quelle pelli».

Anche Jord ruotò la schiena per guardare i compagni «Esserci probabilmente c'è. Solo che dovresti scavare parecchio per trovarlo».

«Ah ah, molto divertente». Spock sbuffò, mentre gli altri intorno a lui ridacchiavano. Poi la voce di Annah li sorprese «Guardate, si vede la città!» esclamò la ragazza con entusiasmo. La videro in piedi a un lato del carretto, una mano a reggere i tendaggi e l'altra stretta alla cassetta per non perdere l'equilibrio. Il viso era perso verso il paesaggio, e anche loro alzarono lo sguardo, per ammirare la foresta farsi sempre più vicina, e poi Riverwood ermergere, maestosa, tra le folte chiome.

Le mura si stagliavano nitide, in tutto il loro candore, abbaglianti sotto il sole di metà mattina; se ne intuiva la forma concava, che pareva stata scelta affinché abbracciassero dolcemente i palazzi e i templi che spuntavano dalla sommità.

Una cupola bianca svettava sugli elementi disposti a cerchio intorno ad essa, due guglie sottili ed elaborate, una dorata e una di severo marmo grigio e tre imponenti alberi che si alternavano alla pietra, creando un contrasto tutt'altro che spiacevole alla vista.

Ai margini della città si intravedeva la forma del fiume, i cui argini erano a tratti celati dalla fiorente vegetazione che vi cresceva intorno. Man mano che vi si avvicinavano però, l'acqua si rivelava alla loro vista, emergendo tra un ramo e l'altro e riflettendo anch'essa i raggi del sole, donando alla città nuovi bagliori, ripresi e accentuati dalle mura. Il Grande Drago d'Argento svaniva sotto l'arcata a sud della città, e come raccontò loro Gamos, correva al suo interno per riemergere verso nord, dividendosi qualche chilometro più avanti in due fiumi fratelli, il cui cammino proseguiva, ininterrotto, fino al mare.

Inoltrandosi nella foresta, la città occupava sempre più il paesaggio davanti a loro, e Spock sospirò, infastidito da quelle tonnellate di pietra brulicanti di persone tra le quali, di lì a poco, avrebbe dovuto muoversi. Rallentò l'andatura, invitando il suo cavallo a procedere a passo leggero, per poter respirare ancora un po' l'aria pulita, e familiare, dei rami contorti e carichi di gemme.

I compagni non parvero far caso alla sua ritrosia, e proseguirono spediti verso la meta, lasciandolo indietro di qualche passo, affiancato solo dall'elfa. Anche lei osservava la città con diffidenza, immaginando a quanta natura incontaminata avesse sottratto terreno, e vita. Storse il naso, com'era stata solita fare fino a quel momento, quando qualcosa la contrariava ma non riusciva a esprimerla con le parole. Guardò il druido, che la osservò a sua volta, e per un momento una sottile vena di comprensione scorse tra i due. Nella reciproca indifferenza, avevano appena trovato un minuscolo punto di contatto, che però Spock infranse velocemente con un respiro più profondo dei precedenti, per spronare poi il cavallo e raggiungere i compagni.

Quando la strada sulla quale procedevano voltò appena, in direzione della città, gli alberi si diradarono il tanto sufficiente da mostrare un piccolo ponte, che superava un affluente del Drago d'Argento. Oltre, la via proseguiva per pochi chilometri, prima di terminare sul grande torriore d'accesso di Riverwood, nel quale si scorgevano le forme di numerose persone in entrata e uscita dai cancelli della città.

Sul ponte in pietra di modesta fattura, un gruppo di figure sostava, a bloccare l'accesso a coloro che giungevano da Mangwar; quelle che riconobbero come guardie della città dagli stemmi sulle armature, discutevano con un altro mercante, sporto oltre il carretto. Il dialogo terminò rapidamente, e il carro del mercante superò quel posto di blocco e discese il ponte verso la città, lasciando alle guardie la possibilità di concentrarsi suoi nuovi arrivati.

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