Capitolo 3. Nuove conoscenze - Parte Seconda

Il resto della mattina sfumò davanti a loro, mentre il passaggio mutava lentamente, perdendo le tracce dell'operato umano in favore di un'anima più selvaggia e indomita. Anche la foresta assunse pian piano una nuova sfumatura, e i lecci e gli aceri dai rami contorti e carichi di foglie verdeggianti lasciarono il posto ai ginepri in fiore.

Immersi in quel paesaggio, gli avventurieri sentirono finalmente di essere tornati al mondo; gli ultimi due giorni passati dentro al baratro, circondati da solide pareti di pietra e sovrastati da metri di terra incolmabile, avevano contribuito a oscurare i loro animi, staccandoli per quelle ore dalla vita che erano abituati a condurre; quasi come fossero penetrati in una bolla discosta dal resto, nella quale il tempo scorreva indipendente.

Ora però erano finalmente tornati, e Irvania li stava riaccogliendo in tutto il suo splendore, come a voler evidenziare ancora le differenze tra lei e il mondo del sottosuolo.

La strada maestra correva, impolverata, per molte miglia davanti a loro e in certi tratti, gli alberi la cingevano tanto da vicino da permettere agli avventurieri di trovare riparo dal caldo sotto i loro rami.

Quando il sole fu alto nel cielo e le ombre svanirono dalla strada polverosa, scelsero di fermarsi sotto uno di questi alberi per consumare un rapido pasto; appoggiati ai tronchi nodosi, ebbero modo di scorgere altri viaggiatori, che con un carretto o a cavallo percorrevano la via nelle due direzioni; osservandoli, dedussero di trovarsi davanti a gruppi di mercanti, diretti da Ileyn alle zone interne del continente, o ancora avventurieri come loro, in cerca di lavoro e fortuna verso la capitale e i suoi ricchi abitanti.

Sostarono poco, e appena si sentirono ristorati dal cibo e dall'ombra ripartirono, con nuove energie a sostenere il cammino; procedevano a passo sostenuto, preceduti dagli zoccoli di Ombromanto, che Daniel portava qualche passo avanti a loro.

Giunti a metà del pomeriggio, scorsero un'ombra all'orizzonte, ferma al centro della strada; il sole iniziava a calare davanti a loro e i suoi raggi rendevano difficile distinguere i contorni di quella che passo dopo passo si rivelava come una grossa sagoma informe.

Un velo di timore e preoccupazione si dipinse sui loro volti.

«Vi prego, non di nuovo...» sussurrò Galatea tra le labbra.

«Daniel, riesci a distinguere di cosa si tratta?» chiese cautamente Jake alzando lo sguardo verso il mezz'elfo, che già si issava spingendo sulle staffe, il collo teso in alto per distinguere maggiori dettagli della figura.

«Non saprei...» rispose a fatica lo stregone, riparandosi gli occhi con una mano «Sembrerebbe un carro o una carrozza, ma ha qualcosa di strano».

«In che senso strano?» dal tono dell'elfa sfuggì una nota di preoccupazione, che solo Jord, a pochi passi da lei, riuscì a percepire.

«Non saprei, pare storto e ci sono delle figure che si agitano intorno» riprese il mezz'elfo, senza rallentare l'andatura del cavallo e avvicinandosi dunque sempre più alla figura in controluce. I compagni lo seguivano a qualche passo di distanza, con lo sguardo puntato nella stessa direzione e le mani già pronte accanto all'impugnatura delle armi.

Passò qualche secondo prima che Daniel riprendesse a parlare, questa volta in tono leggero:

«Niente di cui preoccuparsi, è solo un carro che ha perso una ruota e si è piegato su un lato. Le persone che si muovono intorno devono essere i proprietari».

Un sospiro di sollievo fece da sfondo a quelle parole e il cammino riprese più sicuro fino a coprire quasi del tutto la distanza che li separava dal carro.

Non fu difficile capire che il gruppo di viaggiatori davanti a loro fosse in difficoltà: il carretto, in legno solido e intagliato e sormontato da una copertura di cotone grezzo per riparare le merci, era inclinato instabilmente su un fianco, la punta che pendeva sul ciglio di un fosso al centro del terreno.

Scorgendoli in lontananza, l'uomo di mezza età che riconobbero come un mercante si illuminò in volto, correndo poi affannosamente verso di loro. Nella leggera corsa stentata, le abbondanti vesti color cuoio gli si strinsero sulla vita prominente, mettendo in risalto il corpo tutt'altro che snello e allenato. Gocce di sudore gli imperlavano il viso e giunto fino a loro, fu costretto a fermarsi qualche secondo per riprendere a respirare normalmente.

«Dev'essere stato Fharlanghn a mandarvi!» esclamò tra i sospiri stentati, volgendosi prima verso Daniel e la sua cavalcatura e poi verso i quattro uomini dal fisico muscoloso che ipotizzò costituissero la sua guardia, ignorando completamente Galatea e CJ.

«Signore, vi chiedo l'enorme favore di lasciare che i vostri uomini mi aiutino. Io e la mia famiglia ve ne saremmo grati» continuò, indicando le altre tre figure ferme accanto al carro.

La donna, dal fisico longilineo e dall'aspetto educato, stretta in una tunica color prugna, fece loro un leggero inchino di saluto, imitata subito dopo dalla fanciulla dai biondi capelli raccolti in un morbida intreccio e dalle leggere vesti azzurre che le stava accanto; il bambino seduto a terra accanto a loro li degnò solo di una rapida occhiata, prima di riprendere a giocare con la polvere e i resti della strada.

«Amico, mi sa che hai frainteso» cominciò l'halfling, precedendo i compagni «CJ non ha nessun signore, ma è uno spirito libero».

Daniel sbuffò, rammaricato dell'occasione appena sfumata di divertirsi un po' a spese dei compagni, mentre il mercante fissò CJ, titubante, senza dar segno di aver compreso; poi mormorò confusamente:

«Ehm... Si, capisco, ma...». Si grattò il capo, quasi del tutto scoperto tranne che per la porzione sopra le orecchie, circondata da radi capelli ingrigiti «Accettereste comunque di darci una mano?»

«Non si preoccupi, la aiutiamo volentieri» intervenne Ben, sorridendo gentilmente alla volta del mercante «Quello che intendeva il nostro piccolo compagno, è che Daniel, il mezz'elfo a cavallo, non è il nostro padrone».

Un altro sbuffo di Daniel spinse il mercante ad alzare lo sguardo verso di lui e lo stregone sorrise, con fare avvenente:

«Non solo il loro signore, è vero. Ma sono lieto che lo abbiate pensato».

«Comunque» intervenne Jake catturando l'attenzione dell'uomo «Saremo lieti di prestarvi il nostro aiuto. Dove eravate diretti?»

«A Riverwood. Ho un contratto che scade tra qualche giorno e devo recarmi in città al più presto».

«Siete fortunato» sorrise Jord, dopo aver lanciato un'occhiata ai compagni in cerca di conferma «È la nostra stessa meta».

«Ma allora siete davvero stati mandati da Fharlanghn!» rispose eccitato l'uomo, saltellando in modo buffo sul posto. «Potremo proseguire insieme questo viaggio e condividere le fatiche della strada».

I compagni si guardarono, indecisi. Poi Daniel, che per tutto quel tempo aveva tenuto lo sguardo fisso verso la bella figlia del mercante, rispose gentilmente:

«Sarebbe un onore per noi. Ora andiamo avanti, tiriamo su quel carretto dal fosso» e senza attendere oltre spronò il cavallo al trotto leggero, fino a giungere davanti alle due donne. Qui smontò di sella e omaggiò le due dame con un inchino leggero, per poi prodigarsi in un baciamano alla figlia del mercante:

«Qual è il vostro nome, bella fanciulla?» le domandò sorridendo, e lei arrossì al punto che le leggere efelidi che ricoprivano le gote sparirono dietro il rossore.

«Annah...» mormorò timidamente la giovane «È un piacere conoscervi, signore».

«Il piacere è tutto mio» riprese il mezz'elfo, prima che la voce allegra del mercante, giunto con i compagni dietro di lui, lo interrompesse.

«Oh, vedo che avete già conosciuto mia moglie e mia figlia» esclamò lieto, per poi indicare il carretto e la ruota, abbandonata al margine della strada. «Avanti, non indugiamo oltre. Servono braccia forti per tirare sul carretto e rimontare la ruota. Una volta sistemata, avremo tutto il tempo per approfondire questa conoscenza in viaggio». E detto questo trotterellò fino al carro, facendo segno agli uomini di seguirlo.

Galatea rimase indietro con le due donne, e qualsiasi tentativo delle due di aprire un cauto discorso venne troncato dalla stregona, che fremeva per l'impazienza di riprendere il viaggio. Vedeva i compagni impegnati a sollevare il carretto e rimontare la ruota, sotto la severa direzione di Daniel e CJ, e ovviamente del mercante, ma anche quella scena era sfocata, sovrastata dai tormenti nei quali la ragazza era precipitata quel mattino.

Continuava a guardarsi intorno, nervosamente, certa che da un momento all'altro dalla foresta sarebbero spuntati altri seguaci di quell'assurdo dio del fuoco, a reclamare la pergamena e sterminare chiunque la custodisse.

Non bastava l'evidente forza del gruppo con il quale viaggiava a rassicurarla, e neanche le sue stesse capacità; per quanto l'avventura nel sotterraneo l'avesse temprata, facendole scoprire parti di sé che non credeva di possedere, quella sensazione cupa di pericolo non riusciva ad abbandonarla, e la parte razionale e fredda di lei perdeva terreno, vinta da quella più profonda e spaurita.

Ancora una volta, l'immagine della dolce foresta che aveva lasciato la invase, e il desiderio di fuggire e tornare al suo rifugio si fece acuto e scottante. Lo ricacciò indietro con forza, mordendosi le labbra affinché la fitta di dolore la riportasse lucida e presente a se stessa.

La voce della moglie del mercante arrivò alle sue orecchie, ma non riuscì a distinguere cosa la donna avesse appena finito di dire; era certa però che le si fosse rivolta, perché ora la osservava in educata attesa.

Con un moto di fastidio Galatea biascicò una scusa frettolosa, per poi allontanarsi il più rapidamente possibile da quella scomoda situazione. Giunta accanto al mezz'elfo, notò che le riparazione del carretto erano completate, e che Ben riponeva i suoi attrezzi da fabbro nello zaino. Al suo arrivo il gruppo si mosse verso le due donne e il bambino, che in tutto quel tempo era rimasto fermo a disegnare sul terreno, e arrivato al loro fianco il mercante riprese a parlare, con tono allegro e solare:

«Bene cari amici, vi siamo debitori. E perdonate la mia maleducazione, mi sono reso conto di non essermi ancora presentato. Il mio nome è Gamos Pelsir e questi sono mia moglie Carthana, la mia dolce figlia Annah e il piccolo Nornor, che tutti chiamiamo Nor», man mano che le presentava, le due donne si prodigarono in un piccolo inchino composto, mentre il piccolo Nor rimase fermo al suo posto, del tutto disinteressato al discorso del padre. Sul volto di Gamos apparve una ruga di insoddisfazione, e l'uomo si diresse a passo deciso verso il figlio, sollevandolo di peso per l'abito e costringendolo a mettersi in piedi.

«Ahia, ahia, mi fate male padre» si lamentò Nor, ma un'occhiata del mercante lo costrinse al silenzio.

«Chiedi scusa ai signori e presentati come si conviene» gli intimò poi, e il piccolo si inchinò leggermente verso i viaggiatori, tenendo sempre il volto basso per la vergogna.

«Vi chiedo scusa» sospirò Gamos al loro indirizzo, lasciando andare il figlio, che si nascose dietro la gonna della madre «Io e mia moglie fatichiamo tanto per insegnargli le buone maniere».

«Non vi preoccupate» intervenne Daniel, che durante quel sipario aveva osservato il volto turbato e sinceramente dispiaciuto con il quale Annah osservava la scena «È ancora un giovanotto, sono sicuro che crescendo metterà a frutto tutti i vostri insegnamenti».

La ragazza sorrise al suo indirizzo sentendo quelle parole, e un piccolo moto di soddisfazione prese il mezz'elfo.

«Avete ragione, ancora è presto, ma bisogna educarli da giovane per farli crescere come si conviene» ribatté il mercante severo, ma poi distese il volto, riassumendo l'aspetto gioviale di poco prima «Ma ora lasciamo questi discorsi infelici. Propongo di rimetterci in cammino e sfruttare queste ultime ore di sole. Troveremo una bella radura dove accamparci più avanti, e intorno a un bel fuoco potrete raccontarci cosa vi porta in viaggio verso Riverwood».

«Con molto piacere» rispose gentilmente Jord, parlando a nome dei compagni. «Fateci strada, verremo dietro al carretto».

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