Capitolo 1. In movimento - Parte Seconda


Collediquercia, qualche ora dopo.

La risalita dal baratro era stata per lo più silenziosa; un velo di insoddisfazione aveva avvolto Jord, le cui speranze di ottenere risposte all'interno della fortezza si erano infrante davanti a una pergamena carica di nuove domande irrisolte.

Anche la mente dei compagni, molto meno coinvolti in quella ricerca, era stata occupata dai pensieri su quelle parole e sul loro significato. Impegnati a riflettere su ciò che avevano visto, e sentito dentro la fortezza, avevano lasciato che fosse l'eco dei loro passi l'unico suono a guidarli per tutto il cammino.

Si erano voltati solo una volta indietro, superate le minacciose mura esterne, il tempo di osservare ancora le quattro fiamme che ora erano sicuri rappresentare il dio del fuoco in tutta la sua potenza.

Fiamme purgatrici lambiranno la terra, distruggendo il mondo che gli ha voltato le spalle.

"Che significato hanno quelle parole?". Jord si tormentava, sforzandosi di ricordare se qualcuno dei vecchi tomi dimenticati, che lo avevano condotto fin lì, celasse la chiave per interpretare quella che a tutti gli effetti suonava essere una profezia. Ma nulla sovveniva alla sua mente, e più cercava di pensarci, più domande sorgevano, a sovrapporsi in una spirale tormentata e senza uscita.

Quando infine, con fatica, risalirono la corda e uscirono dal baratro, il sole caldo del primo pomeriggio li accolse, dissipando in parte l'oscurità che ancora impregnava le loro menti.

«Lasciatevelo dire, fratelli, non vedevo davvero l'ora di lasciare quel buco» sospirò CJ, allungandosi e stirando i muscoli sotto il calore primaverile.

«Vale lo stesso per tutti noi, te l'assicuro» gli rispose Daniel, cercando di cancellare dalle vesti rosse e impolverate i segni della giornata appena trascorsa «Ora manca solo una buona birra e del cibo caldo per rendere questa giornata perfetta».

«Sono sicuro che al villaggio troveremo tutto questo, e anche di più» intervenne Jake, indicando la foresta in direzione del borgo «Se rientriamo da questa via, arriveremo a Collediquercia in tempo per gustare un buon pranzo preparato da Ada. E sicuramente saremo attesi».

«Oh si, cibo e gloria degli eroi, cosa potrei desiderare di più?» rise Daniel.

«Frena l'entusiasmo campione, non hai mica salvato il borgo da una terribile minaccia» ribadì Ben scuotendo la testa e sorridendo.

«Avanti... Ci saranno almeno un po' grati per aver salvato il bambino!» continuò lo stregone, per poi voltarsi in cerca di approvazione verso i compagni; notò invece Spock, che in silenzio si stava già avviando verso la foresta, nella direzione indicata dal ranger «Ehi, dove stai andando Spock?».

«Al villaggio, ho fame e state perdendo tempo prezioso» rispose l'uomo senza girarsi, continuando a camminare fino alla prima cinta di alberi.

«Be', almeno questa volta ha risposto» bisbigliò Daniel «È già un passo avanti».

Sorridendo gli avventurieri si mossero dietro il druido, verso Collediquercia e il caldo pasto con li attendeva. Lungo il cammino l'aria pulita e fresca della foresta a poco a poco cancellò le mefitiche esalazioni del baratro, senza riuscire però a offuscare i ricordi di quell'esperienza appena vissuta. Procedendo in fila lungo lo stretto sentiero di caccia tracciato dal ranger, continuarono a discutere di ciò che avevano portato alla luce dalla fortezza, e che dopo lunghe contrattazione era stato affidato alle esperte mani dello stregone, per essere custodito nel suo zaino insieme al resto del bottino.

Davanti agli altri di qualche passo, Spock camminava a testa bassa, immerso in un tumulto di pensieri che dall'esterno difficilmente si sarebbero notati nell'impassibilità del suo volto; eppure era tale la concentrazione, che i discorsi dei compagni alle sue spalle sbiadirono, lasciando il posto ai dubbi che lo avevano assalito dal momento in cui erano tornati sotto il sole di Irvania. Il druido si tormentava, cercando di spiegare a se stesso come fosse possibile che in tutto quel tempo trascorso nella foresta non avesse mai percepito neanche un segno del mondo sottoterra e dei segreti che il baratro celava.

E non riusciva a darsi una motivazione diversa dal fatto che, da quando era andato a vivere lì, lontano dal mondo che aveva deliberatamente scelto di abbandonare, aveva trascorso le sue giornate escludendo tutto ciò che non fossero lui stesso e la sua amata foresta; non c'era stato spazio per la curiosità, aveva impedito a ogni spiraglio esterno di penetrare nella spessa corteccia che aveva eretto attorno a sé. Ora che aveva visto ciò che la fortezza nascondeva però, ora che aveva realizzato quante cose a lui sconosciute fremevano tutto intorno, non riusciva più a convincere sé stesso della bontà della sua scelta; l'aver chiuso il mondo fuori da sé gli sembrava ora la decisione sbagliata, così in contrasto con quella ricerca di armonia che aveva eletto a sua via personale.

Un pensiero nuovo, spaventoso e al contempo attraente sorgeva ora ai margini della sua mente; il desiderio di scoprire ancora, di provare nuovamente l'ebrezza e il fascino del mistero iniziava a farsi largo in lui, ed era stato già sufficientemente forte da spingerlo a recarsi al villaggio, anziché deviare verso la sua radura abbandonando i bizzarri compagni che si trascinava alle spalle.

Si stava proprio interrogando su dove li avrebbe portati quel misterioso foglio di pergamena, quando gli ultimi rami si diradarono, e la dolce vista del borgo fece capolino tra le fronde.

«Fratelli, non sarà una reggia ma non ho mai trovato più attraente un borgo in vita mia» sussurrò CJ, con l'immagine del succulento banchetto che li attendeva impressa nella mente.

E la sua fantasia non cadde molto lontana, perché quando infine giunsero al villaggio, vennero accolti se non come eroi, sicuramente con tutta la gratitudine che sentivano di meritare. John e Ada invitarono loro, Sarha e il piccolo Timmy al Vecchio Cinghiale, allestendo una tavola ricca di carni, formaggi e birra per celebrare il ritorno, e il successo della loro missione.

Il bambino, che pareva essersi ormai ripreso del tutto dalla brutta esperienza, saltava intorno al tavolo entusiasta di essere al centro dell'attenzione di buona parte del borgo, o almeno della parte che era riuscita a entrare nella taverna per pranzare accanto agli sconosciuti che si erano battuti nel baratro per la salvezza del villaggio.

La voce delle loro impresa nella fortezza si era diffusa per tutta Collediquercia, riverberata dalle parole esaltate di Timmy, che aveva descritto i nemici dei coboldi con l'accesa fantasia caratteristica della sua età, e confermate da Galatea, che in loro attesa si era premurata di accentuare l'importanza del loro compito per la sicurezza della gente del posto.

Certo, in parte si era presa i meriti di quanto accaduto, ma almeno aveva evitato di relegarli al ruolo di semplici spettatori o di servitori, donando loro quella giusta dose di fama necessaria a soddisfarli quasi tutti.

Così avevano mangiato circondati dalla gente del villaggio, sommersi dalle domande curiose di chi fino a quel momento aveva vissuto fingendo che il baratro non fosse mai esistito, e che ora si meravigliava di scoprire le misteriose creature che celava al suo interno. Per molte ore di seguito la taverna venne letteralmente invasa dai canti, dalle risate, dalle esclamazioni di sorpresa e da quelle di raccapriccio, mentre Daniel si curava di approfondire le informazioni già diffuse da Galatea, premurandosi però di tralasciare qualunque riferimento al dio del fuoco e alla sua oscura parola.

Sarha dal canto suo riusciva a stento a mascherare la riconoscenza che provava, e seduta accanto a Jake guardava lui e i compagni quasi con la stessa venerazione che l'halfling riservava alla carne di cervo ornata di spezie e profumata che capeggiava sul tavolo e che entro la fine della serata era ridotta a un mucchio di ossa spolpate e scarne.

Quando infine il pranzo terminò, e John con voce tonante invitò i compaesani a togliere il disturbo e a lasciare a lui e Ada la possibilità di rassettare la sala per la cena, mormorii di delusione e insoddisfazione si diffusero per la locanda, prima che la dolce e solare cuoca uscisse dalla cucina con una scopa di saggina in mano e l'aria minacciosa di chi non teme di usarla per portare a termine il suo scopo.

Così, in parte barcollando, in parte strisciando, la gente del borgo liberò la sala, ridendo e ruttando sonoramente lungo il percorso, in segno di saluto verso gli stranieri; anche Sarha, con Timmy stretto al fianco, si congedò, rinnovando la sua gratitudine.

«Voi ovviamente potete restare» disse loro John, mentre si spostava da un lato all'altro della sala per convincere gli ultimi recalcitranti ospiti a liberare i tavoli «Le camere che avete preso sono ancora a vostra disposizione e se vi servono altri alloggi aggiuntivi, chiedete pure senza problemi».

In parte li guardava, in parte era concentrato nel sistemare le sedie e ridisporre i tavoli, quindi notò solo di sfuggita che tra gli avventori che si stavano dirigendo verso la porta, due di loro spiccavano su tutti come stranieri. Dall'abbigliamento avrebbe detto fossero viaggiatori, e per un momento si chiese come mai si fossero limitati a mangiare senza fermarsi anche a riposare; era raro che un viaggiatore si muovesse di notte e dato che il sole aveva appena cominciato a calare dietro le montagne, non restavano molte ore prima dell'oscurità.

Ma la sua osservazione venne interrotta da uno dei paesani, che sazio di carne ma soprattutto di birra, vomitò su uno dei tavoli, costringendolo ad accorrere per limitare i danni e poi cacciarlo a pedate fuori dalla sala.

Quando finì di pulire i resti lasciati dal povero disgraziato, il pensiero dei due stranieri era ormai sfumato dalla sua mente. 

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