Capitolo 1. Collediquercia - Parte Seconda

Nello stesso momento in cui Jake lasciava la taverna, tre stranieri si avvicinavano a Collediquercia, costretti dalla stanchezza e dalla fame a cercare un luogo dove sostare e rifocillarsi. Nonostante si fossero conosciuti solo di recente i tre – un'elfa, un umano e un mezz'elfo – condividevano la strada e allietavano il cammino con frasi e aneddoti sul mondo e sulle ragioni dei rispettivi viaggi. Si erano incontrati pochi giorni prima a un crocevia e avevano scelto di proseguire insieme, per rappresentare una preda più ardua per eventuali banditi che avrebbero potuto attenderli lungo il sentiero.

A un osservatore esterno, poteva sembrare che fosse stata l'elfa, gracile e poco avvezza ai pericoli del mondo moderno, a scegliere i due come protettori e custodi del cammino; ma la realtà era che se fosse stato per lei, Galatea avrebbe volentieri evitato di affiancarsi ai due. Non tanto per il mezz'elfo, che seppur mezzosangue, era giovane e affascinante nella sua tunica leggera da studioso e viaggiatore, con un'elegante spada lunga allacciata al fianco e un bastone in mano, sulla cui punta riposava attorcigliato un piccolo serpente. Questi aveva senz'altro più di un difetto, come ad esempio il fatto che non stesse mai zitto – da quando si erano incontrati le aveva, ad esempio, già raccontato usi e costumi della sua terra, senza ovviamente che lei glielo domandasse – o ancora che si spostasse di continuo, e con una punta di arroganza, i lunghi capelli scuri dal viso come a volerne mettere in mostra la lucentezza. Ma riusciva a non farci troppo caso, visto comunque il contegno che dimostrava e la sua piacevole presenza.

Era piuttosto il rude umano che pareva costituire la guardia del mezz'elfo a darle reale fastidio: alto e nerboruto, l'uomo possedeva ancora un'irritante ingenuità giovanile sul viso, oscurata solo in parte dalla barba bionda e incolta, e questo candore formava un contrasto quasi violento con il lungo e minaccioso spadone che spuntava dalle sue spalle. Lo teneva, per giunta, allacciato alla schiena con un fodero aperto a un lato, che artigianale era dire poco, al quale aveva assicurato anche un arco e una faretra scalcagnata. Per Galatea, quel guerriero era rozzo quanto il suo equipaggiamento e la giovane si trovava suo malgrado a storcere ripetutamente il naso dritto e regale, quando rivolgeva lo sguardo verso di lui e soprattutto verso i suoi abiti: sotto il giaco di maglia, infatti, spuntavano, visibilmente laceri e malandati, una grezza camiciola strappata all'altezza delle maniche e dei calzoni scuri in stoffa ruvida. L'elfa aveva dovuto combattere un'aspra lotta interiore prima di rassegnarsi definitivamente alle parole del mezz'elfo, che con voce suadente l'aveva convinta dell'importanza di non viaggiare mai soli per le pericolose strade di Irvania.

Fossero stati ad Anarsi, aveva detto Daniel, sarebbe stato diverso. Da dove proveniva lui, infatti, le strade erano perennemente pattugliate, e nessuno si sarebbe mai sognato di attaccare qualcuno durante il cammino. Ma questa parte del continente era tutta un'altra storia: le minacce potevano insidiare ogni angolo e bisognava prestare attenzione ad ogni passo, specie se si viaggiava in solitaria.

Lei, alla fine, era stata costretta a dargli retta, più per inesperienza che per reale volontà. Era consapevole di trovarsi al suo primo vero viaggio e i rischi della sua scelta le erano apparsi chiari solo quando aveva comunicato loro questo fatto. I due erano infatti rimasti sconcertati dall'apprendere che, prima di allora, non aveva mai mosso un piede fuori dalla foresta di Deirfiúr. E il mezz'elfo non aveva esitato, neanche un secondo, a farle pesare quella mancanza. Certo, aveva superato i centoventi anni, era senza ombra di dubbio ben più matura di entrambi; ma che valore poteva avere quel secolo di vita, le aveva detto lui, se trascorso lontano dalla civiltà, perennemente al sicuro nel piccolo rifugio offerto dai maestosi alberi?

E poi, questo Galatea lo riconosceva da sé, era difficile sostenere che la sua età potesse considerarsi realmente avanzata. Ogni membro del suo popolo poteva vivere quasi cinque volte quel lasso di tempo e, sotto questa consapevolezza, lei era cresciuta perennemente vegliata e protetta, trattata allo stessa maniera di un infante umano. Tanto che, alla fine, quell'eccessiva custodia le era apparsa soffocante e l'aveva spinta a desiderare con tutta se stessa di lasciare quell'esistenza, per scoprire cosa potesse significare viverne un'altra totalmente differente.

Non gioiva certo della prematura e inaspettata morte della zia, unico membro della famiglia ancora in vita, ma doveva ammettere che fosse stato proprio quell'evento a darle la possibilità e la spinta per lasciare la foresta. Finalmente aveva dunque l'occasione per dimostrare al mondo, e a se stessa, quanto davvero valesse. Che senso aveva possedere delle capacità magiche, in fondo, e padroneggiarle con abilità, se non si aveva occasione di metterle in mostra?

Purtroppo, i primi giorni del suo cammino erano stati monotoni e privi di qualunque spunto, o avvenimento, che li rendesse degni di esaltazione; fino all'incontro con quel grosso ragazzo – le pareva si chiamasse Ben – e soprattutto con il solare e loquace mezz'elfo che, con tutto il suo fascino, l'aveva trascinata in quella bizzarra combriccola. Le era bastato poi occhieggiare alla borsa dei componenti che Daniel portava al fianco, per essere sicura di trovarsi davanti a un altro incantatore. Constatazione che, nella sua mente, si traduceva immediatamente nella possibilità di mettere alla prova le sue doti, confrontandole con quelle di qualcuno così simile a lei. Non le restava che attendere l'occasione giusta, per dimostrare al mezz'elfo che il suo sangue misto non avrebbe potuto nulla, confrontato con la purezza, e la regalità della discendenza elfica di lei.

L'elfa stava giusto rimuginando su quei pensieri, quando Daniel, qualche passo avanti a lei, esclamò: «Ho proprio bisogno di un pasto caldo e di un bagno, che ne dite di fermarci in quel minuscolo borgo lì davanti?». Il mezz'elfo indicò un gruppo di case, che iniziava a intravedersi alla fine della strada, e lei spinse lo sguardo su quei tetti, incuriosita e soprattutto allettata dalle possibilità che un insediamento poteva offrire. «Non sembra esattamente fornito, ma almeno avranno qualche stanza e un posto dove liberarci di tutta questa polvere!» continuò il mezz'elfo, e così dicendo si scrollò leggermente la tunica color pervinca, che durante il viaggio aveva assunto un'irritante sfumatura opaca.

Ben, a qualche passo da lui, si grattò la barba e sollevò lo sguardo dal terreno, lasciando che spaziasse nei dintorni. Davanti a loro cominciavano ad emergere le poche case che costituivano Collediquercia, a detta del cartello che stavano superando, un borgo all'apparenza non molto diverso da quello che si era lasciato alle spalle poco tempo prima; l'unica differenza apparente era che questo pareva ancora vitale, senza macerie fumanti e desolate.

Con un sospiro, l'uomo scacciò dalla mente la triste immagine dei residui della sua casa, evitando che il pensiero si soffermasse anche su chi si era lasciato dietro. Si concentrò invece sulla vista che aveva davanti e lasciò che questa lo colmasse e lo tranquillizzasse con i suoi colori. I campi in fiore, alternati al tenue colorito delle casette di legno e alle tinte più scure dei monti in lontananza, offrivano uno spettacolo riposante. Alle sue spalle e davanti a lui, la stradina sterrata correva serpeggiante attraverso i campi, giungendo fino a un fianco del piccolo villaggio; alla sua destra si srotolava la strada principale, assai più dritta e costeggiata, a sua volta, da una piccola foresta di alberi dalle folte chiome; quella strada giungeva fino all'entrata del villaggio, lo attraversava interamente, e poi proseguiva oltre, verso i territori meridionali di Irvania.

Sentì il mezz'elfo schiarirsi la voce, ancora in attesa di una risposta, e con un cenno del capo, Ben gli diede la sua conferma, mentre Galatea esclamava, quasi in contemporanea: «Assolutamente sì, non ne posso più di tutta questa polvere e questo terriccio! Se lo avessi saputo prima, non ti avrei dato retta e sarei passata dalla strada principale, almeno sarei arrivata in condizioni decenti». L'elfa diresse quindi uno sguardo di altezzoso disprezzo verso Daniel, che però aveva già spostato la sua attenzione verso il borgo.

«Chissà se lì hanno bisogno dei servigi di un grande incantatore» mormorò il mezz'elfo, in tono esaltato «Voi che dite?»

«Sembra troppo piccolo per aver posto per tanta magnificenza» gli rispose Ben, con un accenno di sorriso.

Il mezz'elfo non parve prestargli attenzione, ma in compenso, l'elfa non si lasciò sfuggire l'opportunità. «Sicuramente, se ne avessero, preferirebbero che fosse un sangue puro e non un mezzo sangue ad aiutarli» ribatté, facendo riferimento alle origini meticce del giovane di Anarsi.

Daniel la freddò, con un'occhiata. «Considerato che in queste terre ci sono più umani che elfi, fossi in te farei attenzione a nascondere bene il tuo razzismo. Sempre se non vuoi che ti facciano tornare in fretta nella tua adorata foresta.»

L'elfa, decisa a non cedere per prima a quella schermaglia verbale, ribatté con un nuovo insulto razzista, al quale, in verità, credeva solo in parte. Non avrebbe però lasciato che il mezz'elfo se ne accorgesse, e la discussione proseguì per tutto il breve tratto fino al villaggio.

Seccato da quello sfoggio di dialettica, il guerriero precedette i due di qualche passo, e lasciò che le loro parole assumessero echi soffusi, concentrandosi invece sull'andirivieni familiare dei contadini, che iniziava a scorgere per le vie del borgo. Giunto infine alle prime case, fece un cenno di saluto a uno degli abitanti del posto, che trasportava un cesto all'apparenza ricolmo, e questi ricambiò. «Scusi, buon uomo. Mi può indicare una taverna?» chiese poi, cercando lo sguardo dell'anziano davanti a lui, celato in parte da un fitto copricapo in paglia.

L'altro sollevò la testa, e la luce mise in evidenza una fitta rete di rughe, che contornava gli occhi stanchi, ma cordiali. «Certo, figliolo. Non puoi sbagliare. Ce n'è una soltanto, a un centinaio di metri da qui». Il vecchio indicò, con una mano, la via principale, poi tornò a stringere il carico, e posò lo sguardo sulle due figure alle spalle di Ben, che superavano la prima cinta di abitazioni in quel momento. Un'espressione dubbiosa gli si dipinse sul volto, quando brandelli della loro diatriba arrivarono fino a lui.

Ben gli sorrise. «Non ci badi» riprese, «è il loro modo di dimostrare la stanchezza. Siamo in viaggio da parecchio.»

«E li hai sopportati per tutto quel tempo?» chiese l'altro, in tono all'apparenza sconcertato.

«Mi è toccato.»

L'espressione del vecchio si aprì in un sorriso, con il quale mostrò di aver compreso più di quanto le parole dell'altro trasmettessero direttamente. «Non ti invidio» mormorò, gioviale «Ma immagino che avrai le tue buone ragioni.» Spostò nuovamente il peso del carico su un braccio, robusto nonostante l'età, e gli porse una mano grinzosa.

Ben gliela strinse. «Ha bisogno di una mano, con quella?».

«Non c'è bisogno. Abito qui dietro» rispose l'anziano, prima di riabbassare la paglietta con una mano «Grazie per avermelo chiesto, comunque. Ti auguro una buona giornata.» E detto questo si accomiatò, muovendosi leggermente piegato sotto il peso del vimini ricolmo.

«Anche io a voi» lo salutò il guerriero. Lo vide sparire dietro la prima cinta di case, quindi diede un'occhiata a quelle costruzioni umili e un po' storte; respirò l'aria del villaggio, così simile a quella di casa sua, e un'ondata di nostalgia lo invase. Si impose però un rigido autocontrollo, impedendo ai ricordi di investirlo nuovamente; aveva passato gli ultimi mesi a rimpiangere ciò che aveva perduto, ma ora era deciso a lasciarsi dietro le spalle quei pensieri.

La voce irritata del mezz'elfo giunse nuovamente alle sue orecchie, e Ben sospirò; sicuramente, il suo datore di lavoro sarebbe stato un ottimo modo per smettere di rimuginare sul passato. Mentre precedeva i due stregoni lungo la via, si chiese dove lo avrebbe portato quel nuovo incarico. Gli accordi di quel rapporto erano incerti e sfumati, ma fintanto che Daniel gli avesse chiesto solo di accompagnarlo, e proteggerlo, potevano andargli più che bene.

Quando scorse l'insegna della locanda del Vecchio Cinghiale, oscillare pigramente nella brezza mattutina pochi metri più avanti, accantonò anche quelle riflessioni per osservare quel nuovo edificio e le sue condizioni. Si sorprese nel constatare come, al contrario delle abitazioni limitrofe, la locanda si mostrasse pulita e ben tenuta, con i due piani in legno solo leggermente invecchiati dal tempo; alle quattro finestre della facciata principale, due per piano, dei piccoli vasi di fiori rallegravano la balconata mentre, dalla massiccia porta di ingresso, filtravano il brusio di qualche chiacchiera e un piacevole odore di stufato di carne.

Raggiunto dai compagni, il guerriero assecondò i leggeri borbottii del suo stomaco e la buona impressione suscitata dal posto, e aprì il portone di legno, venendo accolto dal caldo e profumato abbraccio della vecchia locanda.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top