Capitolo 4 - Grigio (Seconda Parte)
Verity non riusciva a pronunciare una singola parola, era talmente contenta che lui fosse arrivato che la voce pareva bloccarsi in gola, soffocandola quasi. Per il sollievo le tremavano le mani, impaurita dalla possibilità che il giovane fosse solo una visione e che, molto presto, sarebbe scomparso davanti ai suoi occhi.
«Hai capito la tua paura, non è così?» Le domandò teneramente lui, ricevendo solamente un movimento della testa affermativo da parte dell'altra. Percepiva il proprio corpo totalmente pietrificato, paralizzato. A un certo punto, addirittura, dato il silenzio interrotto solo dai singhiozzi di Joshua, le parve di sentire il suo sangue scorrere lungo il vasto percorso di arterie e vene.
«Io mi chiamo Louis Tomlinson, ma puoi chiamarmi Lou» si presentò il giovane, allargando il sorriso che gli increspava le labbra. Gli occhi, già abbastanza stretti, si strinsero ancora di più grazie a quel movimento facciale, dando l'impressione che li stesse chiudendo ogni volta.
«Io sono Verity, ma credo che tu lo sappia già» ebbe finalmente il coraggio di parlare la ragazza, nel contempo che lui annuiva.
Ogni possibile dubbio sul fatto che lui potesse non essere il Guardiano che stava aspettando, stava svanendo man mano che la conversazione procedeva. Stava raccogliendo tutte le informazioni di cui aveva bisogno per rispondere alle domande che aveva in testa, in modo tale da poter comprendere se si potesse fidare oppure no.
Qualcosa, nel profondo, le mormorò che, presto o tardi, anche quel sentimento lo avrebbe trovato tra le paure che stava affrontando.
A causa delle pessime esperienze vissute in passato, Verity era abituata a non dare mai fiducia a nessuno, almeno, non dal principio. Tranne i Guardiani, i quali si erano dimostrati meritevoli di tale privilegio, tendeva a rimanere indietro quando conosceva qualcuno di nuovo e a guardarlo con un occhio critico. Chi le prometteva che, non appena gli avrebbe voltato le spalle, lui o lei non l'avrebbero pugnalata? Esattamente come fece Bruto contro Cesare nelle famose idi di Marzo? Dopo che quest'ultimo gli aveva donato tutto ciò che possedeva? La storia era ricca di episodi del genere, scene in cui, dopo aver risposto la fiducia nella persona sbagliata, l'unica cosa che si riceveva indietro era odio e, nei casi peggiori, la morte.
Verity scosse la testa, non considerando quell'istante come il momento giusto per pensare a una cosa del genere. Doveva concentrarsi sulla sua paura di sbagliare, non di fidarsi.
«So che tu, invece, sai già che devo chiederti una cosa» catturò la sua attenzione Lou, aiutandola a tornare indietro dai suoi pensieri. «Posso toccarti?» Le domandò, attendendo pazientemente una sua risposta, la quale giunse subito e positiva.
Il giovane alzò una mano, posandola sulla guancia dell'altra e togliendole alcune lacrime con il pollice. Solamente in quell'attimo, Verity capì che aveva pianto. Molto probabilmente, presa dal panico di essere sola e senza alcuna possibilità, il suo corpo aveva reagito sfogandosi nel modo più semplice che conoscesse. Come aveva fatto a non accorgersene? Forse era fin troppo presa dal panico per rendersi conto di ciò che le stava accadendo.
Con delicatezza e molto lentamente, Lou spostò la mano dalla guancia alla spalla, per poi strofinarla contro il braccio di lei e offrirle supporto. Come al solito, uno strano calore le si propagò in tutto il corpo, donandole conforto.
Era esattamente ciò di cui aveva bisogno in quel momento: avere qualcuno al suo fianco, che le desse il sostegno adeguato e la facesse sentire un minimo bene. Necessitava di qualcuno che fosse vicino a lei nel momento in cui avrebbe affrontato l'ennesima paura, non poteva farcela da sola o senza sapere che qualcun altro le avrebbe offerto un ausilio, seppur implicito ed emotivo.
«Sei pronta ad affrontare quello che ti aspetta qui?» Le chiese gentilmente, avvicinandosi di qualche centimetro all'altra. Verity, inizialmente, non seppe minimamente che rispondere. Si sentiva all'altezza di fronteggiare un timore che, spesso e volentieri, l'aveva bloccata dal fare quello che voleva? Più volte, nel corso della sua vita, non aveva parlato o scelto una determinata cosa se posta di fronte a un bivio, proprio perché spaventata al solo pensiero di optare per la strada sbagliata.
A quanto pare era giunto il momento di andare oltre, farsi scivolare via la sensazione di freddo che le percorreva il corpo, in modo tale da lasciare il posto al coraggio di rischiare. Nella propria esistenza, ogni tanto, bisognerebbe cedere al fascino dell'ignoto, uscire dalla propria routine, comfort zone e andare oltre i limiti a noi conosciuti. I paletti che ognuno di noi si impone altro non sono che ostacoli posti dalla mente stessa, frenata dalle possibilità di soffrire e quindi restia dall'andare più in là. Potrebbe essere paragonabile alle colonne d'Ercole presenti nella storia. Lo stretto di Gibilterra, infatti, era stato considerato per un periodo molto lungo il punto in cui il famoso eroe greco Eracle, Ercole per i latini, aveva posto la fine del mondo conosciuto, sotto ordine degli Dei. Convinti di ciò, le persone non avevano mai avuto il coraggio di sorpassare quelle barriere, fino a quando non arrivò colui che si lasciò trasportare dal richiamo del rischio e, in parte, dalla curiosità.
Alla fine siamo noi, in prima istanza, a crearci dei muri che ci mantengano al sicuro, ma la vita non può essere fatta solamente di sicurezze se si vuole puntare in alto.
«Hai qualche consiglio da darmi?» Domandò Verity al ragazzo, ricordandosi dei suggerimenti ricevuti nei mondi precedenti. Aveva deciso di superare quella paura, andare oltre e, per la prima volta in vita sua, rischiare davvero.
«Segui ciò che ti dice il cuore, l'empatia è fondamentale spesso» le rispose Lou, togliendo il braccio e aspettando che lei affrontasse la prova, un sorriso dolce a illuminargli il volto.
La ragazza si voltò verso il tavolo, osservando di nuovo i quattro oggetti a sua disposizione. Le parole dell'altro le rimbombarono nella testa, giocando a flipper con le pareti del cranio. Se doveva seguire il suo cuore, allora doveva ascoltare bene ciò che le stava dicendo.
Come se fosse stata guidata da una forza esterna, afferrò il sacchetto di caramelle. La solita voce indefinibile e graffiante riempì la stanza. Il cambiamento più evidente, tuttavia, riguardò il tavolo. Dove poco prima, infatti, c'erano stati i dolciumi, la superficie di metallo si era aperta in due, lasciando lo spazio giusto perché una persona potesse passarci. Verity si voltò indietro, volendo una conferma su ciò che aveva in mente, ricevendola quando lui le fece segno di proseguire. In pochi passi, la ragazza fu in ginocchio di fronte al bambino, ancora in lacrime. Guardò per un istante l'oggetto tra le sue mani. Perché aveva afferrato il sacchetto di caramelle? Erano di vari gusti, forme e consistenze, andando dalla frutta alla coca cola, fino a raggiungere un aspetto gommoso e gelatinoso. Qualcosa, dentro di lei, l'aveva convinta che servisse un po' di dolcezza al più piccolo, qualcosa che andasse anche oltre i beni materiali.
«Joshua?» Tentò di richiamare l'attenzione dell'altro, riuscendoci finalmente. Lui, infatti, sollevò lentamente la testa, in modo tale da puntare il suo sguardo verso la giovane. Ciò che la sorprese di più furono gli occhi completamente neri, del medesimo colore dei capelli, i quali contaminavano perfino la sclera e si confondeva con la pupilla. Le tornò in mente una frase che spesso aveva considerato come vera: "gli occhi sono lo specchio dell'anima". Avendo uno spirito evidentemente tormentato, in quel momento, il bambino presentava uno sguardo altrettanto cupo.
«Cosa c'è che non va?» Gli chiese la ragazza, abbozzando un sorriso gentile.
«Mamma e papà hanno litigato perché sono caduto giocando a calcio con i miei amici» ripose il piccolo continuando a piangere, il corpo scosso dai forti singhiozzi. «È tutta colpa mia, non volevo farli arrabbiare» continuò poi, tirando su con il naso e nascondendo di nuovo il viso.
Verity aveva già assistito a una scena del genere, con il cugino di qualche anno più piccolo. I suoi genitori, infatti, avevano avuto la tendenza a litigare per qualsiasi cosa, anche la più insignificante, dato il rapporto ormai spezzato e in fase di declino totale. Dopo un paio di mesi, come volevasi dimostrare, si erano separati. La parte peggiore era stato vedere ricadere sul figlio tutte le loro tensioni e incongruenze, causando in lui una instabilità psicologica che, molto lentamente e grazie al loro aiuto e quello dei nonni, stava ritornando abbastanza stabile.
«Non è colpa tua, non l'hai fatto apposta» replicò Verity, ricordandosi le parole che spesso aveva rivolto al cugino, nel tentativo di farlo stare meglio. In quelle occasioni, come decise di fare in quel momento, gli portava un cioccolatino o, comunque, qualcosa pieno di zucchero. Lo aiutava a tirarsi su mangiare qualcosa di così dolce con la ragazza, come se capisse di non essere solo. Lei, infatti, aprì il sacchetto, lo porse in avanti e gli offrì un dolciume: «Vuoi una caramella? Ci sono tanti gusti».
Inizialmente titubante, Joshua guardò la giovane. Non si azzardò a toccarlo subito, altrimenti avrebbe rischiato di farlo scappare, spaventato come un cucciolo indifeso e abbandonato per la strada. Doveva andare piano e gradualmente, senza fare gesti avventati.
Lui la fissò, come a capire se potesse davvero accettare e fidarsi oppure fuggire a gambe levate. Verity allargò il sorriso che aveva in volto, inclinando di lato la testa. Con molta esitazione, il bambino allungò una mano per afferrare una caramella alla coca cola. Lei non si mosse di un centimetro, stava perfino trattenendo l'aria, per paura di compiere anche solo una piccola mossa sbagliata. Il sorriso che comparve sul viso dell'altro, non appena le sue papille gustative si scontrarono con la dolcezza della caramella, le riempì il cuore e fece uscire totalmente l'aria dai polmoni. Una piccola risata sollevata le scappò dalle labbra, sentendo il cuore sciogliersi per la scena che aveva davanti.
«Grazie» le disse sinceramente Joshua, sorridendole nel contempo che svaniva in tante e piccole particelle argentee. Prima di dissolversi, Verity notò che i suoi occhi erano tornati normali, con la sclera bianco latte e le pupille totalmente in contrasto con gli occhi verde smeraldo.
La giovane rimase per qualche secondo ancora in ginocchio, osservando prima il luogo in cui, fino a pochi secondi prima, c'era stato Joshua, e poi la mano con cui teneva il sacchetto di caramelle. Anche quello era sparito nel nulla.
Udì a malapena i passi di Lou che si avvicinavano a lei, insieme alla mano che le porse per aiutarla ad alzarsi. Dopo essersi asciugata una lacrima che le era scesa, la quale aveva raggiunto il sorriso che ancora le decorava il volto, afferrò l'offerta del ragazzo e si raddrizzò, incrociando le dita con quelle di lui non appena fu in piedi. Il grigiore delle pareti della stanza lasciò spazio a dei magnifici affreschi, alcuni visti dalla giovane sui suoi libri di arte e altri in alcune chiese visitate di persona. Sul soffitto, in particolar modo, riconobbe la Creazione di Michelangelo Buonarroti, con i colori talmente sgargianti da sembrare appena dipinto. Verity si guardava intorno meravigliata, non potendo credere ai suoi occhi, nel frattempo che la consueta porta risaliva da una crepa tra le piastrelle bianco latte.
«Ogni volta che tenti di tornare indietro, dopo che sei arrivata per fronteggiare un'altra paura,» cominciò a spiegare Lou, attirando di nuovo la sua attenzione. I capelli erano diventati di un castano brillante, mentre le iridi avevano assunto una lieve tonalità azzurra, rendendole simili al ghiaccio e quasi trasparenti. «La porta ti darà una scossa di avvertimento, nel caso tu provassi a riaprirla. Una volta oltrepassata, non puoi cambiare idea» continuò poi lui, nel frattempo che a Verity tornava in mente cosa le era capitato all'inizio, nel momento in cui aveva tentato di scappare dalla sua ennesima paura. «Non puoi né rimanere in un mondo e nemmeno tentare di tornarci. I passaggi scompaiono dopo che ti sei allontanata di dieci passi, con l'uscio alle tue spalle. Sono programmate perché nessuno possa fare ritorno nell'altro mondo» concluse, accarezzandole una guancia con la mano libera, per poi sistemarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Perché non posso tornare indietro o semplicemente rimanere? Sono stanca» replicò Verity, riflettendo su quante paure le rimanevano ancora da affrontare. Se la sua teoria era giusta e i timori corrispondevano esattamente alle strisce di colore sulla sua maglietta, allora l'aspettavano ancora sette prove.
«Questo non spetta a me spiegartelo» replicò triste Lou, storcendo il naso, evidentemente costretto a rimanere in silenzio. «Ma sappi che se nel tentativo di tornare indietro prendi una scossa, le conseguenze se provi a rimanere dopo una paura o non tenti nemmeno di superarla sono dieci volte peggiori» la avvisò il ragazzo, facendo cadere lungo i fianchi la mano.
Verity si staccò, rassegnandosi all'ennesimo tentativo fallito di rimanere e far smettere immediatamente quel viaggio. Si avvicinò lentamente alla porta, titubante, chiedendosi quale sarebbe stata la prossima paura. Afferrò incerta la maniglia, ma nessuna scossa, questa volta, le attraversò il corpo.
«Arrivederci, Verity» la salutò il ragazzo, nel frattempo che l'altra socchiudeva l'uscio di un grigio brillante, da cui uscì un potente fascio di luce.
«Arrivederci, Lou» ricambiò la giovane, rivolgendogli uno sguardo e un sorriso poco prima di sparire oltre la porta.
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