Capitolo 2 - Azzurro (Seconda Parte)

Verity, alla fine, annuì. Aspettò che Liam la toccasse, cercando di capire se le sensazioni causatele fossero le stesse di Tae. Lo erano.

Non appena la sua mano toccò la guancia della giovane, un brivido le percosse la schiena e il battito cardiaco accelerò. Il sangue le affluì al viso e il respiro divenne leggermente più affannato. Il calore che la invase fu come rigenerativo, le donò quelle forze che, fino a qualche secondo prima, percepiva di aver perso e di cui aveva fortemente bisogno. Dalla guancia, dopo averla accarezzata con un movimento del pollice, sfiorò il collo e scese lungo il braccio, provocandole la pelle d'oca, fin quando non raggiunse la mano e gliela strinse. La giovane percepì in quel gesto amore e comprensione, misto a sostegno e conforto. La stava avvertendo che nulla sarebbe stato facile, che aveva bisogno di un po' di ausilio per poter andare avanti.

Gliene fu immensamente grata, voleva ricambiare quelle sensazioni di benessere. In qualche modo, però, era consapevole che lui sapesse quanto la giovane gli fosse riconoscente per come si stava comportando, come se lo percepisse e non ci fosse il bisogno di esprimerle a voce alta. Le certezze si stavano sempre più affermando: poteva fidarsi.

«Per parlarle devi chiamarla per nome» le disse Liam, sorridendole dolcemente e teneramente
Cosa intendeva dire? Come faceva a chiamare per nome una persona che non conosceva affatto? Come poteva pretendere che sapesse l'identità di qualcuno che non aveva mai incontrato sulla sua strada? Era una cosa da pazzi, quella risposta l'aveva lasciata completamente spiazzata.

«Ma non so chi sia, come faccio a chiamarla con il suo nome» replicò un po' stizzita Verity, scuotendo la testa e facendo una risata nervosa. «È impossibile.»

«Fidati, se ci rifletti e osservi nel tuo cuore, capirai perfettamente come si chiama» insistette il ragazzo, il tono gentile e paziente, come se si aspettasse una reazione del genere. «Una volta trovato, devi lasciarmi andare la mano e parlare con lei, trovare la paura e scacciarla via, in qualche maniera» le iniziò a spiegare il giovane lentamente, scandendo le parole e non abbandonando mai i suoi occhi. «Devi affrontare la tua paura da sola, quando avrai iniziato a parlare con lei non potrò più aiutarti. Questa è l'unica cosa che posso fare» concluse, alzando un angolo della bocca in un espressione triste, seriamente dispiaciuta e combattuta. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, eppure non aveva i mezzi a sua disposizione per farlo, oltre che il permesso.

«Perché devo affrontarla da sola? Perché non puoi aiutarmi?» Ribatté Verity, stringendo la mano dell'altro, come se lui se ne stesse per andare e lei avesse bisogno della sua presenza. «Perché non posso avere una mano?»

«Capirai anche questo» si limitò a risponderle Liam, lo sguardo improvvisamente serio.

Una ciocca di capelli scappò dalla coda di lei, che l'altro sistemò prontamente e immediatamente dietro l'orecchio.

Solo in quel momento, Verity si accorse di un particolare strano: la sabbia non era sollevata dal vento. C'era abbastanza forza perché i granelli potessero essere levati in aria e trasportati, come mai non accadeva? Che cosa c'era in quell'elemento di così particolare?

Alla fine, la ragazza annuì esausta e rifletté su quale nome potesse avere la donna davanti a lei. Lasciò perdere la questione della sabbia e si concentrò sulla sua paura, volendola passare il prima possibile. Che identità poteva mai avere? Come faceva lei a saperlo?

Si ripeté nella mente vari nomi, magari anche azzeccati per il suo aspetto, che però non pareva le si addicessero. Passò in rassegna ogni idea, fin quando non arrivò a pensare in ordine alfabetico i nomi che conosceva e che le venivano in mente. Magari, in quel modo, sarebbe stata in grado di trovare quello giusto. Quando arrivò alla lettera "v" un lampo di genio le colpì la mente, capendo qual era il nome giusto con cui chiamarla. Non sapeva per qualche motivo, ma era sicura che si sarebbe girata non appena l'aria proveniente dai polmoni avesse formato quella parola, attraverso il movimento delle corde vocali. Era solo una percezione, eppure si fidava ciecamente di ciò che le stava suggerendo l'istinto in quell'attimo.

Con delicatezza mollò la presa sulla mano si Liam, il quale portò la propria in grembo insieme all'altra. Non poteva intervenire dal momento in cui il nome sarebbe stato pronunciato, l'unica cosa che poteva fare era donarle il suo supporto rimanendole a fianco.

«Verity?» Mormorò con dolcezza la ragazza, attirando finalmente l'attenzione dell'altra. Ella, infatti, si voltò con estrema lentezza nella sua direzione, annuendo, come se stesse indicando che poteva parlarle. «Che cosa succede? Stai bene?» Le chiese poi preoccupata la giovane. In parte percepiva che quell'anima tormentata era un pezzo della sua. Non a caso, aveva scelto il proprio nome come identità da assegnare all'altra.

«Hai visto com'è il mare?» Le domandò in risposta, cogliendo di sorpresa Verity. La giovane rimase paralizzata inizialmente, non sapendo come controbattere. Perché le chiedeva se avesse, per caso, visto il mare? Che cosa c'entrava con come stava lei?

La ragazza voltò il viso verso l'immensa massa d'acquamarina cristallina, notando la sua pacatezza. Quello fu l'ennesimo elemento che la colpì. Oltre alla sabbia, pure l'acqua non pareva essere minimamente scalfita dal vento che le stava quasi graffiando la pelle, raffreddandola. Era talmente calmo e piatto da apparire una linea dritta.

«Sì, cos'ha che non va il mare?» Replicò Verity, ponendo quel dubbio alla donna dalla lunga treccia. Pareva essere invecchiata di molti anni, come se qualcosa avesse prosciugato la sua giovinezza. Ma che cosa? La paura, forse?

«Anche se tu non lo noti, esso è in continuo movimento, cambia e non sai mai come potrebbe essere il giorno dopo» commentò malinconica l'altra, le lacrime si stavano formando in maniera molto evidente, dando l'idea che potessero scendere a rigarle il viso da un momento all'altro. «Non abbiamo mai certezza di cosa ci sia nel domani. Perché, quindi, fare progetti o vivere nel presente? Non è forse meglio affidarsi al passato, se del futuro non v'è certezza?» Concluse, quando finalmente il pianto cominciò a invaderle il viso, scuotendola appena per via dei singhiozzi.

A quelle parole, Verity comprese ogni cosa. Capì di quale paura si trattasse e i riferimenti alle trasformazioni dell'altra.

Zygmunt Bauman, importante sociologo polacco del XX-XXI secolo, elaborò una teoria riguardo la società liquida. Questa, infatti, presentava continui mutamenti che caratterizzavano la vita degli individui in essa inseriti, costringendoli a una continua ed estenuante vita frenetica e all'insegna dell'adattamento. Era definita "liquida" proprio per questa sua capacità di poter modificarsi in base al contenitore, ovvero alle situazioni, in cui era costretta. Molti avevano sviluppato una sorta di repulsione verso questo cambiamento senza fine o limiti, elaborando una vera e propria avversione nei confronti del futuro e la sua stabilità, se non una paura. Verity era arrivata a quel punto.

Anni prima, infatti, si era rinchiusa in casa il più possibile, decidendo di uscire solo se costretta. Odiava qualsiasi trasformazione potesse avvenire nella propria routine, arrivando addirittura a impazzire. Doveva avere un punto di riferimento stabile e sicuro, non poteva permettere a nessuno di portarglielo via, in alcun modo. Anche i progetti futuri erano diventati insopportabili per la ragazza, preoccupandosi delle visite mediche solo nei giorni in cui doveva andarci, ignorandole completamente nei giorni precedenti. Ogni cosa che riguardasse il futuro e, in parte, anche il presente era da evitare il più possibile.

Aveva individuato perfettamente la paura che provava l'altra giovane perché, come le stavano dicendo fin dall'inizio Tae e Liam, erano sue le paure. Quella donna era lei.

«Hai paura del futuro, ma non puoi rifugiarti nel passato» le disse lentamente Verity, tentando di incrociare il suo sguardo triste e malinconico.

«Perché no? È qualcosa di fermo, stabile e pieno di bei ricordi, perché non dovrei viverci dentro?» Replicò con quasi rabbia l'altra, le lacrime che scendevano copiose lungo le guance. La giovane la capiva perfettamente. Sapeva che cosa stava provando e, di conseguenza, aveva un vantaggio riguardo alle parole che poteva usare. Aveva il tempo, le conoscenze e la possibilità di soppesare i termini più giusti e riferirle nel migliore dei modi ciò che aveva in mente di dirle, in maniera tale da poter farla uscire dalla gabbia che la stava imprigionando.

«Vivere nel passato ti aiuta a mangiare? A vivere una vita davvero felice?» Le chiese la ragazza, percependo la presenza di Liam al suo fianco. Nonostante rimanesse in silenzio, ella era consapevole che lui fosse vicino a lei, pronto a darle tutto il supporto necessario. «Non ti senti sola a vivere nei ricordi?» Aggiunse dopo un paio di secondi di silenzio, il tono gentile e dolce.

«Ma almeno sono sicura della mia memoria, non può tradirmi o nuocermi qualcosa che è già passato» ribatte l'altra Verity, scuotendo la testa. «Il futuro può farmi male, il passato no» disse convinta, ripetendo l'azione con il capo appena compiuto.

«Ne vale davvero la pena perdere tutto ciò che puoi avere, per qualcosa che non puoi più avere indietro? E gli sbagli? Come puoi pretendere di ripagarli se non ci provi?» Insistette la ragazza, disegnando sulla sabbia, vicino al mare, un'enorme "X". Dopo alcuni istanti, un'onda arrivò e portò con sé la lettera incisa tra i fini granelli, come ad averla cancellata. «Se il mare indica il cambiamento, il futuro, e la sabbia è il foglio su cui scriviamo le nostre azioni, perché non vuoi cancellare quelle negative e sostituirle con altre positive?» Commentò Verity, scuotendo leggermente la testa. «Il futuro ci serve per migliorarci, per essere persone che nel passato non possono esistere. Vuoi veramente morire con tutti i rimpianti nella tua memoria?» Le pose il dubbio la ragazza alla fine, sorridendo gentile.

L'altra scosse la testa, questa volta in maniera meno energica, continuando a piangere e sostenendo di non potercela fare, che era troppo difficile. Non si sentiva in grado e all'altezza di affrontare i cambiamenti del futuro. Non voleva tentare per paura di rimanere scottata. L'unica cosa di cui aveva veramente bisogno era unicamente aiuto.

Verity sapeva perfettamente quanto necessitasse l'altra giovane di una mano che la portasse verso la retta via, un ausilio in mezzo alla fitta rete della paura. A darglielo, quando era servito a lei, era stata la sua migliore amica Silvia. Ritrovata per caso, dopo anni che si erano perse di vista, non era più stata in grado di mollarla. Era la roccia che l'aveva portata in salvo dall'alta marea di molte sue paure, tra cui quella del futuro.

«Ti posso aiutare io» si offrì immediatamente Verity, sorridendo contenta e allungandole una mano. «Dammi la mano, ti aiuto ad alzarti, intanto» le propose infine, allargando il sorriso quando vide che l'altra, ridendo, accettava l'ausilio.

Fu in quel momento che accadde ciò che non si sarebbe aspettata. Non appena le loro mani si unirono, l'altra Verity scomparve nel nulla, trasformandosi in migliaia di granelli di fine sabbia turchese. La ragazza rimase a bocca aperta, il sorriso che gradualmente si spegneva, lasciando il posto a un'espressione stupita. Che cosa stava succedendo? Dov'era finita?

Il cuore le batteva forte nel petto, credendo di aver combinato un guaio. Non era riuscita a superare la sua paura? A lei pareva di sì, invece. Allora perché l'altra giovane era sparita? Dissolvendosi in una nuvola di sabbia?

«Complimenti» la richiamò alla realtà Liam, poggiandole una mano sulla spalla. «Hai superato la tua paura.» Il ragazzo si alzò in piedi, allungandole una mano per poterla aiutare ad alzarsi.

«Cosa?» Replicò con voce acuta lei, la gola incredibilmente secca all'improvviso, come se avesse parlato per delle ore.

«Quando superi una paura, essa si dissolve nell'aria, in modo tale che, una volta unite le tue mani con quelle del Guardiano, appaia la porta che ti conduce a quella successiva» le spiegò velocemente lui, soddisfacendole un dubbio ma, al contempo, creandone altri mille. Guardiani? A chi si stava riferendo, a lui e Tae? Oppure ad alte entità che non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare? Le doleva la testa a causa delle mille domande che aveva in continuazione.

Verity scosse la testa e afferrò la mano protesa dell'altro, il quale intrecciò le dita non appena anch'ella fu in piedi. Come con il ragazzo in blu, non appena esse furono unite ogni cosa assunse un colore ben definito. La sabbia tornò del sul giallino solito e l'acqua si colorò di un blu profondo. I capelli di Liam diventarono castani, mentre gli occhi, all'apparenza marroni, assunsero una tonalità di verde molto strana, quasi sporca e confusionaria. La maglia rossa richiamava i ricami sui pantaloni scuri.

Una porta si protese verso l'alto di fianco a loro, questa volta di un azzurro ciano brillante, simile ai capelli che aveva avuto l'altro poco prima.

«Per poter affrontare le tue paure e generare la porta che ti porterà a quella successiva» cominciò a spiegarle il ragazzo, indicando l'uscio interessato. «Devi ricevere un tocco dal Guardiano prima e dopo che hai affrontato la tua paura. Ricordati però che noi ti chiederemo sempre il permesso di avvicinarci e toccarti» concluse, specificando e sottolineando questo ultimo aspetto. Molto probabilmente, era un fattore importante che avrebbe dovuto ricordare. «Ora va, ci vedremo in un altro momento noi. Il prossimo Guardiano ti darà un'altra informazione» le disse Liam, dandole un buffetto sulla guancia e sorridendole dolcemente.

«E se io volessi restare?» Replicò Verity, scuotendo la testa. Che cosa sarebbe accaduto se lei si fosse rifiutata di proseguire? Non poteva semplicemente rimanere con lui?

«Non spetta a me dirti le conseguenze, è compito di un altro Guardiano» le rispose semplicemente il giovane, guardandola amareggiato. «Sappi solo che le conseguenze sarebbero devastanti per te.»

A quel punto, la ragazza decise di non insistere oltre. Se come Tae aveva rifiutato, allora un motivo valido di fondo c'era. Altrimenti non vi trovava alcuna spiegazione valida.

Si avvicinò lentamente alla porta, afferrandone il pomello con delicatezza e girandolo, nel contempo che con la mano libera scioglieva i capelli e faceva scivolare l'elastico al polso, il quale scomparve poco dopo esattamente come la sua sosia. Decise che era meglio non fare altre domande a riguardo, non aveva intenzione di riempirsi troppo la testa che già pareva dolerle.

«Arrivederci, Verity» la salutò il giovane, pochi secondi prima che lei aprisse la porta.
«Arrivederci, Liam» ricambiò l'altra, entrando nella luce che l'avrebbe portata verso la sua terza paura.

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