5. INTERDIPENDENZA
Sbucarono nel bellissimo parco in cui avevano trascorso la loro prima infanzia e che di tanto in tanto continuavano a frequentare per una partita di basket, per due chiacchiere tra amici, mangiando un gelato al mitico Chioschino, o per un libro in biblioteca, alloggiata nella bellissima Villa Medici.
Gli uccellini cantavano nascosti tra i rami degli alberi secolari di pini, lecci e magnolie. Due merli svolazzavano vicino le altalene con cui Valerio aveva sperimentato a cinque anni la durezza del terreno, i passerotti saltellavano sulla pista di pattinaggio dove Samantha e Bianca avevano imparato a pattinare ai tempi delle Elementari e quelle panchine, ancora lì tutte in fila lungo i viali di platani, ricordavano a Diego il sapore dei baci rubati.
-Ma allora siamo tornati!- esultò Marta felicemente, con le braccia al cielo.
-Sarà veramente tutto finito? – lo sperava tanto Samantha e, aprendo le braccia come a voler stringere a sé il mondo intero, fece un giro su se stessa urlando- Finalmente possiamo ritornare alle nostre vite!
-Mah!- sospirò Bianca, guardandosi attorno.
-Davvero molto strano quello che ci è capitato..- considerò Valerio, grattandosi la testa- mi piacerebbe scoprire la ragione. – Voi come lo spiegate?
-Boh, forse ci siamo addormentati e l'abbiamo solo sognato.- Rispose Diego mentre sperimentava l'equilibrio sulla trave, nell'area attrezzata per il fitness.
-No, meglio, ci hanno drogato e abbiamo vissuto dentro un'allucinazione!- Immaginò Jessica, ridendo.
-Per favore siate seri; eravamo a casa di Diego e non in discoteca!- Replicò Federico.
-Comunque, a cosa serve saperlo? Siamo tornati e stiamo tutti bene. E' questo che conta!- tirò corto Alberto e si diresse verso l'uscita, aspettandosi che gli altri facessero lo stesso.
Attraversando il parco, Marta e Filippo si fermarono a bere alla fontana di pietra.
-Dai, muovetevi! – li richiamò Jessica girandosi indietro- Si beve a casa.. presto, non vedo l'ora di farmi una bella doccia! Voi, no? -e riprese a camminare.
D'improvviso Diego si fermò; una preoccupazione balenò nella sua mente.- Come spieghiamo ai genitori la nostra assenza?
-Già,- si bloccò pure Valerio- se gli raccontiamo esattamente quello che è accaduto ci prenderanno per pazzi e ci faranno rinchiudere.
-Ok, allora mettiamoci d'accordo sulla versione da raccontare.
-Mah..- Bianca non si sentiva per niente tranquilla.
-Scusate, non stavamo facendo la ricerca di scienze?-rammentò a tutti Samantha- E allora che problema c'è? Semplicemente, siamo venuti a prepararla in biblioteca.
-Grande Samy!- Esultò Diego, e afferrandola per la vita la sollevò in aria come la coppa dei campioni.
-Però non siamo sicuri di quanto tempo sia passato.. – replicò Federico, mentre guardava in cagnesco Diego per essersi preso un po' troppa libertà- è probabile che siamo rimasti fuori anche la notte. Non ricordate quante volte abbiamo visto tramontare il sole? Nella foresta e nel deserto di sicuro..
-Perciò, pensi che siano trascorsi più o meno tre giorni?
-Mah..
-E' un bel guaio ragazzi, se è così cosa ci inventiamo?- Disse Jessica, mentre tormentava il suo anello d'oro rosato a forma di corona, girandolo e rigirandolo sul suo dito affusolato.
-Che ne dite se allora siamo andati a fare un'escursione e ci siamo persi?- Propose Diego.
-Secondo me è meglio tenerci tutte e due le opzioni e soltanto dopo aver capito, da loro, quanto tempo siamo mancati, potremo raccontare l'una o l'altra storia.
Quella di Valerio sembrava la soluzione migliore e, rasserenati, proseguirono verso il cancello.
-No! Ci hanno chiusi dentro!
-Non ci posso credere! E adesso? Ah no, no! io qui, la notte, non ci dormo!- si stizzì Jessica.
-Vuoi forse arrampicarti su questo enorme cancello?- la sfidò Diego- Accomodati..- e intrecciò le mani per farle da gradino.
-Che stupido!- Commentò lei girandogli le spalle.
Alberto si accorse della sua scarpa slacciata; con un ginocchio a terra fece per sistemarla quando, dalla tasca destra dei suoi cargo, sentì la sporgenza del misterioso e dimenticato ferro. Mentre gli amici stavano scuotendo il cancello dalla disperazione, lui tirò fuori la chiave del mistero e con tutta calma se la girò e rigirò tra gli indici e i pollici come un pollo allo spiedo, poi si fermò sulla sua incisione e la lesse sotto voce -"Umanità".- Quando riemerse dal flusso dei suoi pensieri, con voce ferma e grave disse:- Credo di poterlo aprire io!
I compagni lo fissarono stupiti e silenziosamente si fecero da parte. Al cospetto del maestoso cancello in ferro battuto, gli scappò un rassegnato 'purtroppo'.
-Come? Perché purtroppo?
-Già, perché mai? Se sai come fare, aprilo! E' una fortuna!
Come la chiave scivolò (troppo facilmente) nella toppa, Alberto chiuse gli occhi e un brivido gli scorse rapido lungo la schiena; gli altri esultavano mentre il cancello si apriva.
-Che hai Alberto? Hai una faccia!- se ne accorse Samantha.
-Ma, non avete notato con che cosa ho aperto?
-Con la tua chiave, giusto? Che c'è di strano?- replicò lei.
-Questo non vuol forse dire che siamo ancora dentro il gioco?
-No dai, ne stiamo uscendo! Dammi la chiave un attimo... Vedi? C'è scritto "Umanità", siamo tornati tra gli esseri umani. Tranquillo.- Lo incoraggiò Federico, dandogli una pacca sulla spalla.
Umanità è la condizione di base degli esseri umani. Vivere secondo umanità significa vivere in modo equilibrato in cui si sa controllare le emozioni e mantenere la calma, si ha un giudizio lucido e superiore. Rimanere in questo equilibrio non è però sempre facile perché gli impeti di avidità, animalità e collera di qualcuno con cui si interagisce possono condurre nella loro stessa condizione vitale. E l'equilibrio salta: la calma e la lucidità di pensiero svaniscono. Proprio perché la condizione di Umanità non ha abbastanza forza vitale per contrapporsi, non ce l'ha neanche per affrontare e risolvere i problemi collettivi; il suo è un ritmo pigro e la forte apatia la porta a schivare qualsiasi sforzo per il bene comune. 'Vivi e lascia morire' è il motto dell'Umanità.
Raggiunsero la fermata dell'autobus sul marciapiede di fronte e aspettarono che il mezzo arrivasse. Ad eccezione di Bianca e Alberto, la comitiva sembrava rilassata e felice di ritornare alla normalità, anche se inconsapevolmente i loro occhi erano stimolati da qualcosa che prima o poi avrebbe interrogato le loro menti.
Continuarono a parlare e a scherzare nonostante vedessero senza guardare; fino a che, lentamente, uno dopo l'altro smisero di chiacchierare e cominciarono a osservare: le strade erano deserte, né una macchina né un motorino, e i rari passanti portavano sul viso una mascherina protettiva con filtro.
-Non mi piace affatto questa cosa!- si inquietò Diego.
-Ecco l'autobus, saliamo.
Si sedettero, in compagnia del vuoto che regnava sui seggiolini. I loro volti si fecero cupi, gli sguardi preoccupati. Per tutta la corsa dell'automezzo, dal finestrino raccoglievano immagini di una città fantasma: file di negozi chiusi e sporadiche anime, spersonalizzate dalle maschere antigas.
Provarono a chiedere informazioni al conducente. Un uomo di mezza età, a giudicare dal capello brizzolato e qualche ruga intorno agli occhi; il resto del volto era coperto dalla maschera di protezione.
-Ragazzi, ma non sapete nulla?-chiese lui meravigliato -L'Italia è stata messa in quarantena: nessuno entra e nessuno esce. Avete dormito finora? E come fate a respirare quest'aria?
-Respiriamo come sempre abbiamo fatto. -Rispose Valerio, confuso dalla domanda.
-Cos'è successo esattamente?- Incalzò Filippo, perplesso.
-La gente ha cominciato ad avere forti crisi respiratorie e a migliaia sono morti. Tutta colpa di un virus; così hanno detto i medici.
-E come è saltato fuori questo virus?
-C'è chi dice che tutto è cominciato quando un pipistrello ha morso un uomo in Cina.
-Davvero! Poi si è trasformato in vampiro?
-Macché! Questo accade nei film.. Bianca, ti prego, ragiona.- La riprese Samantha.
-Altri, invece, dicono che sia legato all'inceneritore e all'inquinamento elettromagnetico..
-Questa poi.. e che c'entra.- Borbottò Alberto.
-Pensano che l'inquinamento ci abbia reso meno resistenti ai virus.
-Bè, questo potrebbe anche essere vero.
-Vacci a capire qualcosa.. Comunque, l'ipotesi più scottante è quella di un complotto politico.
-Ah ah! Una guerra batteriologica, dunque. Come nei film di fantascienza..
-Già. Le grandi potenze che vogliono spartirsi il mondo..-si sfogò l'ometto alla guida- Ma secondo me cambia poco conoscere il colpevole; io non li sto neanche più a sentire. Ogni giorno parte una notizia che, regolarmente, qualcun altro smentisce, e allora? A chi credere? Poi mi ci arrabbio, mangio male, dormo male e chi ci rimette sono io!
-Ah già, le bufale!- ridacchiava Jessica.
-Sì, sì e noi crediamo a tutto..
Con il braccio sinistro appoggiato al finestrino Diego stava mordicchiando insistentemente le sue unghie mentre Alberto, dal seggiolino accanto, ascoltava con attenzione la narrazione del conducente; dalla strada diverse persone con il viso coperto da un facciale in gomma, i due cerchi in vetro per gli occhi e un tubo scendente dalla bocca, lo impressionarono e subito sgomitò l'amico bisbigliando: –Albi, guarda là, sembra di essere in guerra!
-...che alla fine è come credere a niente. Ma poi!- continuò il conducente in tono più alto- chi mi dice che una bufala non sia a sua volta una bufala?
-Giusto, non ci avevo mai pensato..- rifletté Federico- Chi stabilisce che una notizia è vera o falsa?
-Allora basta! Stop! La verità non la cerco più e penso solo a come sopravvivere a tutto questo. Ci raccontano un sacco di frottole ma l'unica cosa certa è che l'aria è diventata pericolosa.
Le ragazze si impaurirono terribilmente. Bianca strinse forte la mano a Valerio che le sedeva accanto e sussurrò – moriremo anche noi?
Valerio odiava mentire e non conoscendo i particolari della situazione si limitò ad incoraggiarla a pensare positivo; con fare protettivo, mise poi anche l'altra mano sopra quella di lei.
L'autobus fermò in centro; sbuffò come di consueto e le porte si aprirono.
-Andate subito in ospedale e fatevi dare delle maschere. Buona fortuna ragazzi!
-Grazie.
Sconvolti per le informazioni appena ricevute, nessuno voleva rientrare a casa così impreparato. Ciò che per tutto il rocambolesco viaggio fu tanto bramato, ora odorava di qualcosa di sinistro. L'unico interrogativo che infestava le loro menti era sul cosa avrebbero trovato.
-Ragazzi, ho paura di ritornare a casa. Perché non ci accompagniamo a vicenda?-Si fece avanti Marta.
-Sì, condivido. Il padre di Filippo è medico, giusto?
-So cosa stai pensando, Federico. Hai ragione, prima di passare dall'ospedale, come ci ha appena consigliato l'autista, è meglio farci dire da mio padre come stanno le cose e come dobbiamo comportarci.
Presero un altro autobus in direzione lungomare e in pochi minuti furono al cancello della villetta. Era semplicemente accostato; superarono il giardinetto e suonarono il campanello.
Passi piccoli e veloci raggiunsero presto il portone, ma il controllo dallo spioncino digitale fece ritardare l'apertura; l'attesa sull'ignoto sospese il respiro dei ragazzi fino a quando il rumore metallico non liberò il portone che, lento, cominciò ad aprirsi, accompagnato dalla loro espirazione.
-Filippo! Finalmente!-urlò di gioia la governante- Cosa ti è successo! Loro, sono i tuoi compagni di scuola, vero? Entrate, presto, entrate. –la porta venne subito richiusa a chiave- Sono mesi che vi cerchiamo. Dottore! Dottore venga, è tornato suo figlio! Sono tornati tutti!
Il padre arrivò correndo con le lacrime agli occhi, avrebbe voluto abbracciarlo ma dovette trattenersi per non rischiare il contagio. Ada e il dottore erano visibilmente contenti, ma i ragazzi di fronte a tali comportamenti si inquietarono di più.
Qualche minuto dopo, seduti intorno al grande tavolo di sala, di fronte ad un invitante bicchiere di aranciata, trovarono il giusto coraggio per fare le loro domande.
-Papà, la città è in quarantena?
-Ragazzi miei –appoggiando le grandi mani sul tavolo e proteso verso di loro, li guardò negli occhi uno per uno e continuò- siamo in una situazione di vera emergenza, tutta l'Italia è stata dichiarata "zona protetta".
-Che significa?
-Che siamo prigionieri di un virus – e si raddrizzò sulla sedia.- Per contenere il contagio il Presidente del Consiglio ha emanato un decreto con cui ci vieta di uscire di casa (se non per assoluta necessità), di riunirci in gruppi (perciò ha fatto chiudere cinema, discoteche, palestre, Pub, scuole, musei), di..
-Ha fatto chiudere anche i parchi, vero?
-Sì, anche quelli. Inoltre dobbiamo evitare gli abbracci, i baci e di stringerci la mano.
-Bè, ho capito, a parte il lato positivo di saltare la scuola, ci sta vietando di vivere!- commentò Jessica, sprofondando la testa sulle braccia conserte sul tavolo.
-Che tipo di virus è?
-Sappiamo che appartiene ai corona virus e nonostante la sua forma accattivante, di pallina ricamata con cuoricini verdi, è notevolmente aggressivo. Come tutti i virus, non riuscendo a riprodursi autonomamente entra nelle nostre cellule e "prende in prestito" gli apparati trascrizionali e traduzionali.
-In altre parole è un parassita!- sintetizzò Federico.
-Esattamente.- sospirò- Una volta iniettato il suo corredo genetico all'interno dell'ospite, comincia a replicarsi, purtroppo a discapito della cellula che lo ospita.
-Quali sono i sintomi?- chiese Samantha, preparandosi psicologicamente ad una spietata risposta.
-All'inizio c'è fortissima debolezza fisica e qualche ora dopo, a volte anche il giorno dopo, degenera in crisi respiratoria con febbre altissima. Molti, grazie all'ossigeno riescono fortunatamente a convivere col virus ma altri, e non abbiamo ancora capito il perché di questa differenza, arrivano a manifestare convulsioni che, alla lunga, provocano come un corto circuito alle sinapsi cerebrali.
-E quindi cosa accade?- domandò Alberto.
- Muoiono.. - rispose lui, scuotendo la testa per l'incredulità- come bruciati.
Diego per poco non affoga in un sorso d'aranciata.
-Da brivido.- sussurrò Marta, aggrappandosi ancora una volta alla sua pietra della fortuna.
-Fuori, abbiamo visto tutti con la maschera e perfino l'autista ci ha consigliato di prenderle in ospedale. Ma perché tu e Ada non le avete?
-Ho fatto installare un dispositivo che eroga ossigeno in tutte le stanze, ma quando usciamo le mettiamo anche noi.
-'E certo, i ricconi se lo possono permettere' –pensò fra sé Bianca, un po' amareggiata- 'a casa mia, di certo, non la troverò'.
-Come facciamo a sapere se anche noi abbiamo il virus? -domandò Valerio- A me sembra di stare benissimo.
-Dopo facciamo un tampone in ospedale.. ma ora parliamo un attimo di voi, dove siete stati per tutto questo tempo?
-Ma.. saranno passati due o tre giorni..
-Niente affatto, sono esattamente nove mesi che mancate da casa!- esclamò aggrottando le folte sopracciglia.
-Non ci posso credere! Ma ne è sicuro?- replicò Alberto.
Due trilli interruppero il chiarimento della questione; era il cerca-persone che lo avvisava di tornare in ospedale.
-Scusate ragazzi ma il dovere mi chiama.- Disse scattando in piedi come una molla.- Voi però raggiungetemi in ospedale e verifichiamo se siete infetti oppure no. Intesi?
Fortunatamente, tutti negativi. Gli strani viaggi li avevano dotati di Amore, Armonia, Saggezza, Empatia: anticorpi potentissimi.
Affamati di spiegazioni, in piedi, in un angolo vicino al distributore automatico, ascoltarono attentamente tutti i discorsi che rimbalzavano da una bocca all'altra di medici e infermieri, facendosi un'idea della situazione.
In sostanza, il genere umano stava brancolando nel buio. Serie misure di contenimento venivano portate avanti contemporaneamente alla ricerca di un vaccino, ma le troppe variabili riscontrate sugli individui infettati non permetteva di venirne a capo. Si ipotizzava l'esistenza di moltissimi portatori sani, forse tra i bambini che notoriamente hanno un forte sistema immunitario sviluppato grazie alla scuola (crogiuolo di virus e batteri, per eccellenza) e tra i ragazzi entro i vent'anni. Ma quello che ancora non immaginavano era l'azione di una mente aliena.
Un infermiere si avvicinò ai ragazzi- Per favore, rispettate sempre la distanza interpersonale di un metro e mezzo!
-Ma noi non siamo malati, abbiamo appena fatto il tampone. Non vede che stiamo bene?- disse Alberto con indifferenza.
L'infermiera che stava lavorando lì vicino replicò con molta irritazione:- Come puoi essere così egoista, ragazzino! C'è bisogno della collaborazione di tutti per uscire da questa maledetta situazione! Noi, stremati dai turni, siamo ogni giorno in prima linea a fronteggiare il Covi-Love20 per voi; per salvare le vostre vite mettiamo a rischio le nostre. – In mezzo al caotico viavai del personale medico e ausiliario i ragazzi la ascoltavano impietriti - Perché volete vanificare tutto il nostro lavoro con i vostri comportamenti irresponsabili? Ma non capite che il contagio potrebbe durare all'infinito mentre i respiratori sono limitati? Non metteteci nella condizione di dover abbandonare qualcuno perché, noi, vogliamo salvarli tutti! Capite? Tutti!- nel rispetto della distanza di sicurezza, si spostò davanti ad Alberto e guardandolo dritto negli occhi, continuò- E se un giorno fossi costretto a fare una scelta fra tuo padre e tua madre, perché c'è rimasto un solo posto in terapia intensiva?
Tutto ciò non aveva molto senso per i ragazzi; per loro, gli adulti esagerano sempre. L'infermiere accompagnò via la collega in lacrime sussurrandole qualcosa all'orecchio, forse per calmarla.
-Non capisco perché se la sia presa tanto. Sembrava che avessi ucciso qualcuno!
-Potenzialmente l'avresti fatto.- chiarì il padre di Filippo che, avvisato dell'accaduto, era sceso a parlargli- vedi, il personale medico è molto affaticato, non solo per il lavoro fisico ma anche per lo stress psicologico accumulato nel dover trattare un male sconosciuto, altamente contagioso e con pochissime attrezzature idonee; se a questa situazione, già difficile di per sé, si va ad aggiungere il comportamento del cittadino, ignaro del concetto di interdipendenza...
-Ovvero?- chiese Alberto, ma anche le facce interrogative degli altri necessitavano chiaramente di una spiegazione aggiuntiva.
-Capire che siamo tutti interconnessi e perciò tutti responsabili è di vitale importanza; ammettiamo che tu sia in perfetta salute, hai sviluppato gli anticorpi che ti permettono di non essere attaccato dal virus..
-Appunto, perché dovrei usare l'ossigeno e osservare tutti quei divieti?
-Certo; sta di fatto che il contatto con altre persone, forse infette, ti carica di quel virus che potresti trasferire ad altri, e soprattutto quando gli altri sono i tuoi cari, nel momento in cui decidi di esternargli il tuo affetto abbracciandoli o baciandoli, il danno è fatto. -Alberto fissava il dottore dritto negli occhi mentre il suo cervello elaborava i dati che gli arrivavano.- Credo che saresti profondamente dispiaciuto di vederli ammalare e forse morire a causa del tuo bacio, non è così?
Il silenzio glaciale che si era posato sulle loro teste venne rotto dal cambio di tono del Dottore che più serenamente disse - Voi avete qualcosa di speciale. Aspettiamo i risultati delle analisi del sangue e incrociamo le dita. Ho un buon presentimento, ma ora andate dalle vostre famiglie che vi aspettano da troppo tempo.
-Va bene dottore.- Risposero sommessamente.
-Ah, Filippo! – Lo richiamò prima di entrare in ascensore- tieni, prendi questo cellulare così so come trovarti. Ti ho memorizzato il mio numero.
-Ok, grazie papà.
-A dopo figliolo. –Date le circostanze, si salutarono con occhiolino e pollice su.
Nel trascorrere del tempo l'oscurità umana aveva guidato sempre più popoli a vivere secondo logiche di consumo e produttività. E la macchina, una volta messa in moto, aveva marciato senza scrupoli per accrescere i guadagni.
Produrre e contestualmente influenzare le menti per renderle schiave di quei consumi, necessari alle produzioni future, erano diventate pratiche comuni a certi Umani; mentre altri Umani, depauperati del loro pensiero critico, si lasciavano abbindolare dalle patinate apparenze.
I sinceri e salubri legami emotivi tramandati dai loro avi si erano prima corrosi e poi evaporati; sostituiti da sintetiche relazioni in chat. Il tempo per amarsi, conoscersi e frequentarsi nella gioia e nel dolore era stato dirottato verso la cura del sé e dell'apparire.
Come poter sperare che questi Umani, diventati ciechi e sordi anche ai messaggi del Cielo, dei Fiumi, dei Mari e della Terra, potessero restare sani in un ecosistema tanto malato?
Una mente superiore li aveva studiati a lungo: sapendo che nel loro DNA erano contenuti circa 22mila geni responsabili di caratteristiche sia fisiche (colore degli occhi, dei capelli, forma del naso..) che comportamentali (essere generosi/avidi, pro-sociali/antisociali, coraggiosi/apprensivi, pacifici/aggressivi, riflessivi/impulsivi..), aveva rilevato che nell'interazione con l'altro e con l'ambiente non tutti gli Umani si comportavano allo stesso modo.
Individui che sembravano ostinarsi a non capire di essere parte di ciò che stavano distruggendo (perché non c'è separazione tra loro, gli altri e la natura), erano solo persone che, a differenza di altre, non erano dotati di quei geni responsabili dello sviluppo di una capacità di comprensione superiore.
Purtroppo il tempo era scaduto, neanche i lungimiranti della Terra erano riusciti a convincere i loro fratelli sprovveduti ed ora si trovavano al punto di non ritorno. Solo un atto estremo di compassione avrebbe potuto rimettere ordine al disordine.
Non era un caso che quei nove ragazzi si trovassero ora lì, scelti da qualcuno o qualcosa che credeva in loro nonostante tutto, nonostante la melma dintorno.
Usciti dall'ospedale s'incamminarono verso l'abitazione di Alberto con un pesante bagaglio di dubbi e grandi perché. Tanto per cominciare, cos'era quella cosa speciale che il padre di Filippo aveva visto in loro? E poi, erano veramente tornati alla realtà, oppure sarebbe stato meglio considerare più attentamente la sensazione di Alberto quando aprì il cancello del parco con la sua chiave?
Eccezion fatta per le farmacie e i negozi di alimentari, tutti avevano chiuso le saracinesche. Girato il prossimo angolo sarebbero arrivati al condominio di Alberto. Un silenzio rimbombante dei loro unici passi contrastava con i chiassosi coriandoli a terra, mentre lontani ricordi di allegri raduni si andavano frapponendo alle spettrali strade sfollate.
Al terzo piano, nell'atto di premere il campanello a tutti tremarono un poco le gambe. Sulla porta ora dischiusa, la commozione sul volto di una madre davanti al figlio il cui ritorno ha atteso con fiducia per così tanto tempo, difficilmente poteva essere contenuta. La voglia di baciarlo faceva a botte con la saggezza di proteggerlo dal contagio e il suo corpo si irrigidì, strinse i pugni con forza e scaricò così l'impulso travolgente dell'abbraccio.
-Come stai, tesoro mio?- e mentre le lacrime si mischiavano alle parole – Alberto, seguito dai compagni, entrò. - Ben tornato a casa!
Non appena Silvia lo vide dalla sua cameretta in fondo al corridoio, saltò dalla gioia.–Tato! Mi sei mancato tantissimissimo!-stava per saltargli in collo, come la piccola scimmietta di sempre avrebbe fatto, ma lui presto la fermò- No Silvietta, è meglio stare lontani!-disse con fermezza, ripensando all'interdipendenza di cui gli aveva parlato il Dottore.
-Non mi vuoi più bene?- chiese lei stringendosi nelle spalle e il visetto triste.
-Certo che ti voglio bene,- e ingoiando a fatica il nodo che aveva alla gola- anzi, te ne voglio ancor di più! E' solo colpa di questo virus se non ci possiamo abbracciare.
Soltanto il corridoio li divideva; uno di fronte all'altra, emotivamente sospesi, poterono solo immaginare gli abbracci che desideravano. Le manine di lei, protese verso il fratello, si aprivano e si chiudevano ritmicamente cercando soddisfazione.
-Silvia, tesoro, te lo abbiamo già spiegato: in questo momento è pericoloso abbracciarsi con chi viene da fuori.
Nel frattempo anche il papà e il nonno si erano affacciati dalla porta di cucina.
-Forse è stato un bene per voi non esserci stati quando è esplosa l'epidemia. -Intervenne il padre. -All'inizio non è stata presa sul serio, in molti ci ridevano su e, nonostante le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, facevano gli spavaldi, deridendo chi invece voleva proteggersi. "Cosa vuoi che sia!" dicevano "l'influenza stagionale ha fatto molte più vittime! Se ci fermiamo, anche l'economia si arresterà e alla fine moriremo di fame."
-Così, per rimediare al calo dei guadagni poiché metà della popolazione non usciva più di casa, -disse il nonno con disapprovazione -hanno cercato di attirare clienti offrendo prezzi scontatissimi. E insieme al denaro ha ripreso a circolare anche il virus... – qui la voce ebbe un cedimento e Rosa, la madre di Alberto, invitò tutti a sedersi in cucina.
-Non piangere nonno.- si preoccupò la nipotina.
-Va tutto bene Silvietta. Sto bene. –bevve un sorso d'acqua e continuò la narrazione- Gli ospedali si son trovati congestionati, i letti e il personale infermieristico insufficienti e, a causa di tutto questo, -deglutì, pensando di sciogliere quell'opprimente nodo alla gola- la tua povera nonna non l'hanno potuta curare in tempo.
-No!- sbottò Alberto.- Dimmi che non è vero!
Era molto affezionato a lei e venire a sapere di questa perdita fu come se gli avessero strappato un pezzo di cuore.
Attimi di doloroso silenzio si dilatarono fino a riempire la stanza dell'assordante notizia. Sebbene Alberto riuscisse a restare in piedi, avvertì l'anima sua accasciarsi senza rimedio dentro un corpo ironicamente muscoloso.
Di fronte a tanto sconforto, Bianca e Marta si strinsero a lui cingendolo lateralmente con un braccio.
Dall'esterno sarebbe potuta sembrare una scena ridicola, vedere due ragazze bassine a sostegno di un giovane ben palestrato, ma per Alberto rappresentò un generoso aiuto di energia positiva.
-Credimi, vorrei tanto dirti che si è trattato di un incubo, ma non è così!
Congetturando sul destino dei loro cari, gli sguardi dei ragazzi si fecero sempre più spioventi.
-Guardate che il virus non è così mortale -specificò il padre- ma arriverà ad ucciderci, a causa del comportamento umano sbagliato.
-Quando ero bimbo io, -continuò il nonno con più vigore- c'era la famiglia che con le buone o con le cattive insegnava l'educazione: il senso civico, il rispetto per gli altri, la solidarietà. Oggi sono troppi i giovani uomini e le giovani donne disabituati a rinunciare e ad obbedire; "le regole limitano la libertà" e non sono mai apprezzate per la sicurezza reciproca.
-E' proprio vero. L'ho visto bene dalla fragilità dei miei studenti,-intervenne Rosa- quando comprano scarpe nuove ancor prima di aver apprezzato e consumato quelle vecchie, quando buttano via la merenda perché non è di loro gradimento (tanto il cibo è reperibile ogni giorno), quando ostentano una morbosa cura del corpo, con diete e palestre, perché non si piacciono e lo trasformano nel tempio del nulla. Sono forti e belli fuori, ma alla minima difficoltà si arrendono e si lamentano, perché gli manca il kit di sopravvivenza!
Jessica, dando un'occhiata fugace alle sue unghie e pettinandosi un po' i capelli con le mani, si domandava 'E che male c'è a voler curare il proprio aspetto?'; si vide riflessa nella vetrina del mobile davanti a sé e si limitò a fare spallucce.
-Di quale kit sta parlando?- s'incuriosì Diego.
-Sto parlando di quelle capacità che ti rendono una persona combattiva e mai arrendevole.
-Mmm.. per esempio?
-La disponibilità al cambiamento, la lungimiranza, la predisposizione a risolvere i problemi con creatività, la perseveranza e la resilienza.
- Resilienza?- domandarono in molti- Che cos'è?
-E' la capacità di sapersi adattare alle situazioni più difficili e sfruttarle come trampolino per diventare migliori di prima. Pensate agli atleti paraolimpici... con perseveranza, entusiasmo e passione hanno saputo reinventarsi una vita, nonostante la disgrazia.
-E' vero. Sono dei grandi! Non so come facciano.- Commentò Jessica.
-Come dice mia moglie, con il kit di sopravvivenza qualsiasi situazione critica può diventare un'occasione.
Valerio, Samantha e Federico stavano per frugare nei loro ricordi per rendersi conto se possedessero o meno questo kit.
-Vivere la vita vera costa fatica e dolore –continuò il padre di Alberto- ma ti rende pronto agli imprevisti; un'identità di successo costruita con i selfie sui social, non ti darà mai abbastanza forza per sopravvivere a un'epidemia che ti chiede di stravolgere le abitudini.
I ragazzi rimasero in silenzio: c'era davvero molto su cui iniziare a riflettere. E mentre loro cominciavano, nei laboratori di tutta Italia i ricercatori, sottoponendosi ad orari di lavoro massacranti, non avevano mai smesso di studiare il virus e le sue vittime.
Dopo mesi di duro lavoro, finalmente osservarono qualcosa di molto interessante: nel DNA umano esistono molti elementi provenienti da altre specie; circa l'8% del materiale genetico proviene da virus che hanno attaccato l'uomo milioni di anni fa.
-Professore, se è vero che i virus aiutano il sistema immunitario, possiamo ragionevolmente pensare che questa epidemia attiverà l'evoluzione umana?- intervenne da dietro la mascherina uno dei ricercatori.
-Osservando il DNA di malati che stanno guarendo si è visto che le
loro reti genetiche sono state riconfigurate con alcuni geni comportamentali che al momento del ricovero non avevano.- aggiunse la ricercatrice più giovane estrapolando i dati dal proprio dossier.- Sembra esserci dunque una corrispondenza tra le persone guarite e la presenza nel loro patrimonio genetico di geni pro-sociali.
-Questo significa che il virus ha in qualche modo sostituito i geni anti-sociali?- semplificò un altro collega.
Il Professore, responsabile del team di ricerca, appoggiò gli occhialetti da lettura sulla pagina aperta del fascicolo, si allontanò leggermente dal tavolo ovale distendendosi all'indietro sulla sedia e con il braccio appuntellato sul polso dell'altro conserto sull'addome lievemente sporgente si lisciò per qualche istante la barba prima di rispondere.
-Non sempre li ha sostituiti. E' verosimile che le persone che non si sono ammalate avessero già i geni pro-sociali nel loro corredo cromosomico. Il virus cerca di allineare il proprio DNA con quello umano: se non trova corrispondenza ha inizio l'infezione..
-..che sarà direttamente proporzionale alla percentuale di geni che il virus ha riscontrato difettati. Giusto Professore?
-Credo proprio di sì!
La collega che sedeva alla sinistra della giovane ricercatrice non riuscì a contenere l'entusiasmo e battendo le mani in uno schioppo sonoro disse:- Siamo di fronte ad una svolta epocale! I geni mutati saranno incorporati nel patrimonio genetico umano e trasmessi alle nuove generazioni!
-E' incredibile- continuò il Professore- il virus sta bonificando l'essere umano dai suoi comportamenti irresponsabili, egoistici, antisociali e malvagi!
-L'uomo non avrebbe saputo fare di meglio;- commentò il ricercatore alla sinistra del Professore- dunque ci voleva un virus per trasformare l'umanità?
La ricerca avrebbe dato al mondo una nuova speranza, tuttavia la velocità di diffusione del virus non era da sottovalutare. Il telegiornale comunicò che oramai si trattava di pandemia. Se tutto il mondo era stato contagiato, era necessario e doveroso condividere al più presto le ultime conoscenze acquisite sul modus operandi del virus. Per salvare l'Umanità i medici avrebbero dovuto intervenire prima che il virus avesse portato a termine il suo progetto di selezione naturale.
La straordinaria scoperta raggiunse anche il padre di Filippo che si mise subito in contatto con il figlio.
-Abbiamo finalmente capito perché alcuni muoiono e altri sopravvivono. Tornate in ospedale, presto!
I ragazzi furono accolti da un equipe medica specializzata che, insieme al padre di Filippo, spiegò loro tutto quello che serviva per sostituire in ogni cittadino i geni difettosi, prima che questo venisse contagiato e inevitabilmente ucciso dal virus.
La maggior parte di loro aveva il terrore degli aghi e il pensiero di dover donare il proprio sangue per molto tempo li mandò nel panico.
Corsero alla porta per assicurarsi la fuga, in caso di costrizione; Alberto, invece, seppur terrorizzato anche lui da quel progetto, andò contro la sua indole menefreghista e si attivò per spronare i suoi compagni alla solidarietà.
-Coraggio, lo facciamo per un bene più grande di noi; lo facciamo per i nostri parenti e amici. Se ci concentriamo su questo obiettivo, penso che possiamo superare la nostra paura.
-Quanto tempo durerà il prelievo?- chiese ai dottori, Samantha.
-Dieci minuti massimo.
-Non sono pochi, -replicò Bianca- io mi sento svenire già con mezzo!
-Durante il prelievo potete distrarvi ascoltando della musica e sarà molto più facile.- disse con un premuroso sorriso, una giovane dottoressa.
-Mah..- sospirò Marta.
-Dai, almeno proviamoci!- intervenne Federico, e rivolto ai medici- possiamo interrompere prima dei dieci minuti se stiamo male, immagino. - Annuirono.
I ragazzi furono adeguatamente preparati: confermati i livelli di emoglobina, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca normali, fu chiesto loro di bere molta acqua per essere ben idratati.
Entrarono in una sala rettangolare dove nove poltrone, simili a quelle del dentista, li stavano aspettando.
-Mettetevi comodi e rilassatevi- gli fu detto.
Con la musica nelle cuffie e l'ago nelle vene si addormentarono, placidamente. Una piacevole sensazione di beatitudine cominciava a cullarli: l'aver barattato la paura con la salvezza dell'Umanità li rendeva fieri di se stessi. Felicità, soddisfazione, gioia, estasi trasparivano dai loro volti poiché grazie a loro l'invisibile nemico era stato sconfitto.
Marta stava sognando di essere tornata a casa: la sua famiglia, grazie al cielo, stava bene. Si deliziò dell'abbraccio più dolce e lungo che mai; e in mezzo a quella stretta familiare c'era anche la sua adorata sorella maggiore, Anna.
Dopo i reciproci sbaciucchiamenti se la strattonò via fino alla cameretta che condividevano. Quante cose aveva da raccontare e soltanto lei avrebbe creduto al suo folle viaggio, perché da sempre l'aveva ascoltata con amore e senza giudizio.
La maniglia fletteva sotto la mano di Anna mentre il corpo, sbilanciato leggermente in avanti, si preparava al passo con cui avrebbe varcato la soglia, ma inspiegabilmente si trovò a rimbalzare sulla porta chiusa. Riprovò con più determinazione aiutandosi con la spinta della spalla, ma niente. – Marta, non capisco.. non ricordo di averla chiusa- le si rivolse sgomenta, e Marta in tutta risposta le mostrò la scintillante chiave numero 6; poi, col sussurro riservato alle confidenze, le disse: –Tranquilla, Anna, con questa riusciremo ad entrare. Sta' a guardare...
La serratura scattò e si portarono dentro; purtroppo, sia i mobili che i suppellettili erano coperti da una luce così abbagliante da non lasciar vedere niente.
-Anna, dove sei. Anna!
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