7 Indifferenza
Si poteva contemplare un cielo limpido e pieno di stelle quella sera.
Come al solito, la maggioranza dei pali della luce erano fuori uso.
Complice le scorribande dei teppistelli dal grilletto facile che passavano il loro tempo a centrare questi pali e a spararsi sulla punta delle scarpe ogniqualvolta sbagliavano l'obiettivo.
Le finestre delle case, nel frattempo, illuminavano tiepidamente i vicoletti della piccola città.
Passandoci accanto, ogni tanto, potevi sentire l'odore del pane abbrustolito e, se avevi fortuna, potevi captare gli schiaffi dei padri sui volti dei loro pargoletti per avvisarli che era pronta la cena.
Lucifero, perduto in quelle stradine pregne di vissuto e ammaliato da quelle fragorose manifestazioni d'affetto, si ritrovava in uno stato di confusione.
L'idea di Dio di mandarlo sulla terra per distrarsi solamente dalla monotonia del Paradiso diventava sempre meno convincente.
Gli angeli e compagnia bella erano sempre assenti.
In duemila anni di vita sulla terra non aveva più ricevuto messaggi da parte loro, né tantomeno dal padre indiscusso di tutti.
L'unico ordine sacrosanto, ai tempi, fu quello di iscriversi in una parrocchia a Messina nell'anno 2020. Nient'altro.
Lucifero, in quel momento, non riusciva a trovare una spiegazione logica su tutto quel mistero che riguardava la sua incarnazione. Lasciò scorrere le sue perplessità come le lacrime sul volto del bambino nella casa accanto, che perse il suo ultimo dente; non si era seduto a tavola in tempo per la seconda portata.
Tutto sommato Lucifero, nonostante nutrisse diverse delusioni riguardo il genere umano, non voleva farsi vincere dal pregiudizio; anzi, stava architettando di impreziosire la sua vita in compagnia di questi esserini dalla natura stramba e con la testa priva di corna.
Girovagava sempre per le strade in completa solitudine.
Non gli sarebbe dispiaciuto avere un valido compagno di avventure con cui trascorrere del semplice tempo insieme, magari risolvendo dei quiz di cultura generale o semplicemente condividendo un po' di pasta cruda.
È vero che tirava degli ottimi destri che poteva rivelarsi un motivo di vanto tra i suoi compagni della parrocchia; ma percepiva, in fondo al suo cuore, una certa amarezza riguardo queste sue tendenze.
Aveva notato dal primo momento l'indifferenza e l'astio dei parrocchiani nei suoi confronti. Percepiva che le giornate insieme a loro non scorrevano come l'olio, e non capiva le motivazioni che vi stavano dietro.
Era stanco di picchiare qualcuno ogni giorno, aveva bisogno di argomentare e di tirare fuori il suo intelletto.
Erano le 21:30.
Decise di non ritornare a casa quella sera, non aveva voglia di rivedere Barba Natale e il suo amico strabico.
In quel momento si trovava nei paraggi del giardino comune.
Già a quell'ora giravano poche persone per le strade, era il momento giusto per appisolarsi.
Scelse con cura una siepe del giardino, luogo prevalentemente umido e dimora delle pisciate di tutti i cani del quartiere, e si rifugiò lì dentro per dormire.
Decise di appartarsi nell'angolo più lontano da casa sua per non sentire eventuali lamenti da parte dei suoi ospiti legati nel salone.
E fu subito silenzio, il rossiccio raggiunse la dimensione dei sogni in qualche minuto infischiandosene del cane che gli ringhiava ad un metro dalla sua testa.
Tutti, quel giorno, avevano visto i due ragazzi morenti trascinati senza pietà per terra. Nessuno intervenne per capire come mai due ragazzi privi di coscienza fossero in mano a quel che sembrava un serial killer.
Lucio appariva impassibile; a tratti infastidito, con gli occhi sbarrati e con i pantaloni messi al contrario.
Aveva camminato dalla parrocchia fino a casa sua, trascinandosi i due fanciulli per quindici minuti buoni.
In quel tragitto, in un attraversamento pedonale, un ragazzo sul motorino passò pure sopra i capelli di Barba Natale e per poco non gli schiacciò la capoccia.
Anche la cugina di Natale intraprese quel tragitto, incrociò lo sguardo pesante di Lucifero e vide suo cugino che veniva trascinato vergognosamente. Ma non fece nulla per aiutarlo, anzi, era contenta di vederlo in quello stato così pietoso.
Non aveva dimenticato le bambole decapitate che aveva trovato nella sua stanza il giorno del suo tredicesimo compleanno.
Con una lettera sgrammaticata, nel mezzo di quella strage insensata, che riportava:
"Auguri butana
Dal tuo patrone
Barbá Natale".
Il rossiccio, quindi, camminò indisturbato fino all'ingresso principale del suo condominio. Salutò Santina facendo cenno con il capo, e salì pure qualche scalino con i fanciulli in quelle condizioni che sbattevano la testa ad ogni gradino. Neanche la parrucchiera si mostrò preoccupata, era abituata a vedere i ragazzi giocare in questa maniera.
Santino il pazzo non era un problema. Si vociferava che fosse nato dal nulla e che vivesse in un luogo indefinito, quindi nessuno si accorse della sua assenza.
Nella casa di Barba Natale, però, cominciavano ad insorgere le prime discussioni su dove fosse finito il loro indesiderato figlio.
La madre di Natale fu la prima a farsi qualche domanda.
«Giovanni, sai qualcosa su Natale? Doveva essere qui qualche programma fa»
Il salone della casa era disordinato e piuttosto puzzolente.
Piena di mobili unti e rotti; sportelli delle macchine usate come divani e sacchi neri della spazzatura appoggiati a terra come se fossero tappeti.
La madre, che si chiamava Concetta, non amava fare pulizie e non svolgeva alcun ruolo in quella casa. Non lavorava neanche.
Trascorreva il suo tempo rimproverando il cane che ormai era diventato zoppo e a bestemmiare quando non funzionava bene la TV.
Il padre, invece, noto in città per essere un estimatore dei sigari al caffè, viveva in un mondo tutto suo e portava avanti la famiglia con la pensione della nonna segregata a letto.
«Tra una settimana parleremo con la polizia o con qualche nostro cugino eventualmente. Siamo vicini alle festività e saranno tutti in vacanza in un posto lontano da qui. Non parlarmi più di quel traditore di nostro figlio» Rispose freddamente il padre mentre sgranocchiava il suo secondo sigaro.
Non si era scordato di quella volta che Natale non lo difese dal sole che sembrava stesse cadendo sulla loro casa.
Concetta non fece in tempo a replicare che iniziò il suo programma preferito sui pettegolezzi riguardo le autorità malavitose del posto.
Scacciò ogni pensiero su dove fosse finito il figlio e concentrò tutte le sue attenzioni su quella TV mezza fucsia.
Nella casa di Lucio, invece, in uno stato di sonnolenza generale, stava per concretizzarsi quel segreto tenuto nascosto al mondo intero.
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