4 La fatidica mattina

Nel primo piano di un palazzo visibilmente storto che tendeva in avanti, vicino al giardino comune, si trovava l'appartamento di Lucifero.

I muri color pollo avariato abbinato al letto sbiadito con le lenzuola mai cambiate (Perchè Lucifero non ne sentiva la necessità), erano forse la cosa più interessante che si poteva trovare in casa.

Il salone, arredato solamente con un tappetino verde regalato da Santina, donava giusto un tocco in più di colore in quella sorta di buco nero. Lucifero sembrava abbracciare la corrente del minimalismo, anche per camuffare la sua natura tirchia.

Non aveva le mani bucate, comperava il minimo indispensabile per sopravvivere. Nella sua condizione umana era obbligato a cacciare fuori qualche soldo.

Lucifero non sapeva cucinare e dovette acquistare un microonde mezzo funzionante, in un mercatino dell'usato di periferia, a soli venti euro.

Ogni volta che preparava un piatto, un cuoco italiano moriva; faceva bollire il latte con la pasta dentro il microonde e neanche se ne rendeva conto dell'abominio che stava compiendo, non aveva il dono del discernimento per capire se un piatto faceva ribrezzo o meno.

Quella mattina, siccome si era svegliato tardi, prese una manciata di pasta cruda e se la mangiò con un po' di acqua tiepida.

Nel giro di qualche secondo si vestì e si sistemò con cura il cappello, facendo bene attenzione alle sue corna che a volte uscivano fuori come un riccio ribelle, e si avviò fuori con una moderata fretta.

Qualche chilometro più in là, nell'oratorio, i ragazzi sembravano avessero visto di nuovo la morte per quanto fossero pallidi.

«Forse non viene Lucio, Barba Natale lo avrà pestato a morte»

Si udivano queste parole dal brusio di sottofondo che animava l'unica stanza formale della parrocchia.
Fuori pioveva leggermente e nel cortile non si vedeva anima viva.

Il Don, assorto nei suoi pensieri alcolici, fissava il vuoto. Non era solito ascoltare i ragazzi; proferivano solo cazzate e lo aveva capito da tempo.
Si era stancato di rimproverarli per ogni cosa, loro imperterriti continuavano a commettere gli stessi errori. Non sapeva neanche perché frequentassero assiduamente l'oratorio.

I maschi, tutti sedicenni, avevano deciso di abbandonare la scuola e di muffire in parrocchia.
Mentre le ragazze frequentavano di rado perché ancora non avevano l'etá legale per abbandonare gli studi.

Una caratteristica accomunava tutti questi adolescenti: l'abbandono.
Sulla loro anima veniva riversato il degrado e il rifiuto delle loro famiglie. Non erano ben voluti nelle loro case e quindi decisero di frequentare l'oratorio per sfogare le loro repressioni.

Come se non esistessero bar o altri punti di ritrovo; quel luogo rappresentava la loro dimensione ideale anche perché era munito di una fontanella.
L'acqua non era potabile ma i ragazzi bevevano lo stesso e Paolo ne andava ghiotto, perché sapeva di birra.

Il Don, sotto la soglia dei 3 gradi di alcolemia, diventava piuttosto lucido sulla realtà che lo circondava e un giorno, per colpa della giornata nazionale della non birra, stava quasi per picchiare Michele perché aveva sputato sul terriccio del cortile.
Neanche Barba Natale, nei suoi giorni migliori, poteva contenere l'ira funesta di Don Birra.

Quella fontanella, quindi, si rivelò una solida alleata per i ragazzi; una sorta di protezione divina. Perché molteplici furono le volte che dovettero riempire i bicchieri con quell'acqua e l'alcool puro per placare i primi segni di lucidità del Don.

Anche Natale mancava all'appello quella mattina, forse la situazione poteva rivelarsi più seria del previsto.

Paolo smanettava al cellulare come al solito, fregandosene pure di se stesso a momenti; Stefano, ragazzo dall'aspetto anonimo, sudava freddo perché doveva andare di corpo e non si sentiva a suo agio nel fare i bisogni nel bagno dell'oratorio.

Un bagno senza porte, nessuno aveva il coraggio di usufruirne.

Non poteva neanche ritornare a casa perchè sua madre avrebbe delirato al solo pensiero di rivederlo così presto. Decise, quindi, di assumere una posa meditativa profonda per calmare quel fastidio sempre più indisponente.

Stefano veniva considerato poco da tutti perché aveva sempre qualche fastidio, e poi era ammantato di un odore strano, simile allo zolfo.
Tutti avevano imparato a mantenere le giuste distanze.

«Buongiorno e scusate il ritardo»

I ragazzi si girarono di scatto e appresero che la loro minaccia era proprio davanti ai loro occhi.
L'unico a non girarsi fu proprio Stefano per la paura di cagarsi addosso.

La stanza era piccola, con lo spazio necessario per inserire quattro banchi e Lucio si sedette proprio vicino a Stefano.
lntuiva che l'aria era molto pesante e calda nel banco di quel ragazzo ma tutto sommato sembrava piacergli.

Stefano, totalmente immobile come una pietra, fissava dritto senza neanche degnarlo di uno sguardo.
"Probabilmente sarà timido" pensò Lucio.

In quella stanza, per due minuti buoni, ci fu un silenzio tombale.
Forse Barba Natale era morto veramente.

Michele, rassegnato, capì che non avrebbe più rivisto i fumetti per adulti che gli aveva concesso in prestito qualche giorno prima .

Il Don cominciò finalmente a sbattere le palpebre, segno di una sua ripresa dal picco alcolico.

«Bene Luciano, anche tu qui con noi» Disse Don Birra rivolgendosi al rossiccio.

«Sono Lucio»

Lucifero era visibilmente infastidito. Il Don non colse il suo fastidio e cominciò d'un tratto ad argomentare sulla pericolosità dei matrimoni omosessuali e sul loro talento di immischiarsi tra i "normali".

Nessuno lo ascoltava, anche perché non credevano all'esistenza di queste persone.
Lucio non capiva questa oppressione nei confronti degli omosessuali e lo lasciò perdere poco dopo.

Il Don a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e ogni tanto, tra una cattiveria e l'altra, entrava in una sorta di dormiveglia.

I ragazzi non fiatavano, si facevano palesemente gli affari propri; Stefano aveva pure abbandonato il suo corpo per quanto cercasse di estraniarsi dal dolore.
Contribuivano tutti a rendere il contesto più noioso.
Lucifero rimpiangeva i suoi momenti di beatitudine sul marciapiede del paradiso. In quel momento, capì perché gli Angeli delle superiori perdevano interesse nei confronti dell'umanità.

Un boato prese a sberle quel silenzio, la finestra si frantumò in mille pezzi.

Tutti si coprirono il volto di riflesso, tranne Don Birra che reagì di scatto solamente qualche secondo dopo.
Stefano si cagó addosso e Lucio si mise a ridere, per la prima volta.

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