2 Piacere, sono Lucio

Fuori dalla finestra si udiva il lamento di un vento fastidioso, di quelli che a malapena ti fanno respirare.

Lucifero, dal canto suo, si stava adoperando affinché il cappello potesse nascondere bene le sue corna.

Si era stancato di vivere in un'isola sperduta del mondo e aveva deciso di trasferirsi proprio in Sicilia, a Messina; città particolarmente famosa per i rinomati "arancini" e i "cannoli", cibi sfiziosi invidiati dal mondo intero.

Non che Lucifero fosse un tipo ingordo o amante del cibo, ma volle trasferirsi in questa città soprattutto per delle ragioni che verranno spiegate in seguito.

Sotto il balcone di casa sua vi era il solito traffico accompagnato da clacson e insulti vari. Si era abituato a non voltarsi con la parola "cornuto", ingiuria usata pressoché da tutta la raggiante popolazione.
«Sei un cornuto, vattene via o ti investo!» Urlava, con leggera asfissia, un vecchietto sulla Fiat Panda verde.

Non si era girato nemmeno questa volta, l'allenamento procedeva a gonfie vele.

Messina era il posto ideale per passeggiare senza troppi sospetti. L'aspetto non era dei migliori, spiccava il suo viso pallido, forse un po' troppo per chi riesce a camminare tranquillamente a testa in giù, inarcando la schiena e tutte quelle diavolerie che si vedono in TV.

Era piuttosto magro, così magro da far intravedere le costole e se era emozionato pure il cuore, e quei dannati capelli rossi che non riusciva a tingere neanche con i migliori prodotti della parrucchiera Santina: una signora standard di mezz'età che viveva nel suo negozio sotto casa di Lucifero.

C'era proprio un freddo assassino, così letale da far grinzare pure le corna, infatti il rischio che si potessero intravedere dal cappello era abbastanza probabile.
Ma, se esisteva una peculiarità che amava di quella gente, consisteva nel fatto che tutti si facevano gli affari propri. Certo, conoscevano ogni tua mossa, soprattutto le vecchiette dietro le tapparelle.
Ma se lo tenevano per sè. Almeno pensava fosse così.

Lucifero, o meglio, Lucio (che è il suo nome in codice) aveva deciso di stabilirsi come un ragazzo di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni.
Non amava precisare la sua vera età, nel documento falsificato risultava nato nel 2000 ma era un anno che gli stava particolarmente antipatico. Quindi in cuor suo preferiva rimanere vago.

«È proprio un ragazzo strano, non trovi?» Bisbigliava Michele, ragazzo della compagnia dell'oratorio all'altro suo amico, Paolo, che annuiva solamente.
In effetti sembrava un ragazzo strano, non tutti riuscivano nell'impresa di fissare per due ore le crepe e i tombini del cortile .

Si era iscritto in parrocchia per ordine di un Serafino, perché di vitale importanza ed era stato stabilito da Dio in persona. E Lucifero non poteva sottrarsi da quest'ordine sennò erano guai.

«Lucio! Vieni qui, partecipa ai discorso di noi giovani adoratori» Lo interruppe il Don dell'oratorio. Un signore sulla cinquantina, piuttosto grasso e noto per il suo grande amore per la birra.

Parecchio stimato, il suo soprannome era "Don Birra", titolo che neanche i più forti ubriaconi potevano ottenere. Il controllo del suo corpo e del suo spirito anche con valori di alcolemia sopra i nove g/l erano eccellenti, risultati che avevano fatto da apri pista per un suo possibile percorso di santificazione.

Lucifero accolse il suo invito e non si rese conto che era già diventato il pagliaccio di turno, proprio il primo giorno.
I giovani più robusti e temerari, lo avevano già adocchiato e stavano studiando un modo per picchiarlo fuori dalla parrocchia appena possibile; ovviamente dopo aver riposto il rosario per bene nello zaino.

Lucifero si sedette piuttosto in disparte rispetto al gruppo, un atteggiamento da timido, altra benzina regalata ai bulli della parrocchia.

«Ma che fai? Alzati e presentati prima» Disse il Don.
Lucifero si dovette alzare e si presentò brevemente.

«Mi presento, sono Lucio e sono un ragazzo sui vent'anni circa, non ho genitori perché sono morti entrambi e amo Dio come voi»

I ragazzi ridevano sotto i baffi; era proprio un cretino, nessuno di loro andava in parrocchia per Dio ma solo per giocare a calcio e scatarrare sul cortile quando possibile.

Infatti la famosa discussione degli adoratori si limitava semplicemente al monologo del Don, che argomentava, tra i rumori molesti del suo intestino, come una cantilena. Il più delle volte incuteva paura, tanto che i più sensibili e i più piccoli del gruppo dovevano fissare un punto indefinito a terra per non ritrovarsi in una crisi di ansia e piangere come dei poppanti.

Lucio ascoltava attentamente il soliloquio di Don birra e già si era annoiato. Veramente credevano che Lucifero fosse stato scacciato dal Paradiso per un atto di superbia? "Che fantasia" pensava tra sé.

Il gruppo dei parrocchiani era formato da pochi ragazzi e qualche ragazza. L'età media era sui quindici- sedici anni e tra di loro spiccava un certo fanciullo, famoso per il nomignolo "Barba Natale" per via della sua precoce barba, nonché il capogruppo.
Non per una questione di intelletto ma di una certa forza che lo contraddistingueva.
Famoso in città per caricarsi ben quattro confezioni d'acqua da due litri ogni volta che faceva compere.

Si ritrovava adesso steso a terra, fuori dalla parrocchia, per un potente e letale destro ricevuto da Lucio.
Il viso quasi deturpato non era dei migliori.
Lucio si era già macchiato di una noiosa colpa e gli amici di Barba Natale vennero in suo soccorso.

Lucio, pervaso da una calma quasi assoluta, si scusò perché non voleva che Barba Natale facesse cadere il cappello a terra.
Lo avevano circondato in tre per picchiarlo e quindi argomentò a sua difesa assicurando di averlo spinto delicatamente con un pugno, per difendersi.

I ragazzi, atterriti, lo fissavano come se avessero un demonio davanti e non avevano certo tutti i torti.
D'istinto, sentirono la necessità di avvisare Don Birra di questo spregevole atto ma Lucio li bloccò con un fischio.

«Non osate parlare o ve ne pentirete amaramente. Ci tengo a voi, non voglio che mi cacciate fuori da questa comunità»
I ragazzi non sapevano se piangere o invocare la Madonna per spegnerlo in qualche modo ma Lucio rimase composto, capì che con gli umani doveva andarci leggero, soprattutto con i pugni.

Si fece largo tra i ragazzi, sollevò come un pezzo di pane il ragazzo inerme da terra e si scusò.
Barba Natale, un ragazzo orgoglioso per eccellenza, fece finta di niente e se ne andò via spingendolo. Palesemente debole per via della seconda testa che gli stava crescendo sull'occhio e con la mente concentrata ad una possibile vendetta.

Un silenzio assordante pervase l'intero ambiente, capirono che con Lucio si scherzava poco. Quest'ultimo salutò tutti come se nulla fosse successo e andò via. Non sembrava in vena di parlare o di scusarsi ancora.

I maschietti, increduli e spaventati a morte, si riunirono e decisero di non dire nulla a Don Birra.
Dovevano risolvere da veri uomini quella situazione, d'altronde erano in maggioranza e non potevano soccombere davanti ad un ragazzo così strano e avanzarono, dunque, le prime strategie.

Michele, con gli occhi rossi per il terrore latente, dubitava giustamente sulla vera fede di Lucio, perché chi vantava di avere Dio nel cuore non poteva sferrare dei destri così potenti e quindi invitava il resto del gruppo di stare alla larga.
Chi invece optava di usare dei mezzi, magari per investirlo se fosse diventato più pericoloso.

Le ragazze, ammutolite, osservavano con attenzione la paura negli occhi dei maschi. Non avevano mai avuto un atteggiamento così inquieto.

I parrocchiani, per tutto il pomeriggio, si confrontarono su come comportarsi con quel ragazzo, che sembrava essere la maggiore minaccia mai presentata in quel piccolo oratorio.

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