Capitolo 8- Il banchetto
Godwyn passò quasi tutto il giorno seguente alla manifestazione del suo dono in una specie di trance: il suo corpo si muoveva in automatico, ma la sua coscienza era come racchiusa in una bolla lontana dal mondo, che i suoni e le immagini di quest'ultimo non riuscivano a penetrare. In quella bolla, Godwyn viveva e riviveva lo scontro con Rufus, nel tentativo di credere che fosse accaduto sul serio.
La contentezza di Fraxinus era chiara, ma il ragazzino non sapeva quale sarebbe dovuta essere la sua reazione alla comparsa della sua attitudine. Parte di lui era terrorizzato da questo suo dono così selvaggio e violento, che aveva messo i suoi fratelli apprendisti in pericolo e devastato il suo corpo; l'altra parte di lui era incredula, su di giri persino, all'idea che il potere del Drago stesso gli circolasse nelle vene e gli permettesse di comandare i venti, volare, far levitare gli oggetti e chissà che altro.
Con delle capacità del genere, l'aspirazione di diventare un Maestro Custode come Alfred Lamalesta era finalmente alla sua portata, finalmente possibile, ma il suo cervello non se ne capacitava: era come se Godwyn stesse vivendo l'ultimo, eterno istante di un sogno senza fine da cui non riusciva a svegliarsi.
A stento ricordava di aver assistito, e non partecipato a causa delle ferite, alla lezione di scherma di Maestro Igor di quella mattina, o della lezione di storia di Maestro Fraxinus nel pomeriggio. Dopo ciò, si era ritrovato nel cortile di Castel Neve, che era ancora sottosopra a causa del suo dono, a osservarsi le catene ai polsi nel tentativo di associare le due cose.
A quell'ora della sera, il sole era in procinto di tramontare tra le conifere nella parte occidentale della Foresta d'Alabastro e i raggi rifratti dalla neve sulle fronde si spandevano in ogni direzione, dando l'impressione che il bosco fosse, per l'appunto, di alabastro scolpito. Godwyn ne seguì uno che toccava un abete spezzato a metà, che probabilmente versava in quelle condizioni a causa sua. Doveva assolutamente imparare a controllarsi il prima-
«Ah!» sbuffò Idunn, alle sue spalle, bucando la bolla. «Ecco dove ti eri cacciato. Che ci fai lì fuori al gelo?»
Godwyn aprì la bocca, ma la nana non gli diede modo di rispondere.
«Non è importante!» asserì, piegando la mano affinché lo raggiungesse. «Il banchetto sta per iniziare e io ho urgente bisogno di aiuto!»
«Banchetto?»
«O Grifone, prestami la forza per sopravvivere a questi marmocchi.» Idunn sospirò, stringendo lo scollino bianco legato attorno al suo collo nerboruto. «Per Fraxinus e Kalika! Hai dimenticato che stasera Kalika diventa un'apprendista a tutti gli effetti?»
«Ah, giusto» mormorò, ancora intontito.
Tra la lite e la scoperta dei suoi poteri, gli era scappato di mente che la tradizione della Gilda della Fenice imponeva grandi festeggiamenti per l'acquisizione di nuovi membri.
«Sì, zuccone! Ora vorresti sbrigarti?»
«Vengo, vengo, non c'è bisogno di scaldarsi.»
Idunn sbuffò mentre Godwyn sgusciava attraverso il portone d'ingresso socchiuso. «Con voi sciagurati c'è sempre un motivo per scaldarsi!» Sbatté la porta e si avviò a destra dell'atrio, inoltrandosi nei corridoi che portavano alle cucine.
L'apprendista la seguì, riuscendo a stento a mantenere il passo nonostante la donna fosse più alta di lui di a malapena una spanna.
«Ho perso tempo prezioso a cercarti!» si lamentò, allargando le narici del grosso naso. «Cosa credevi, che i piatti avrebbero camminato da soli verso i tavoli? Che il vino e l'acqua si sarebbero versati da sé nei calici in preda a uno slancio di cortesia? Le tue ferite si sono rimarginate, non hai scuse per poltrire!»
Da dietro l'angolo comparve Billy; aveva in braccio un gigantesco vassoio con un Dentedolce arrosto, e il suo viso paffuto e rotondo sembrava sul punto di esplodere dallo sforzo.
«Santi numi!» gridò Idunn, afferrando l'altra estremità prima che il frutto di ore del suo lavoro si riversasse sui costosi tappeti del Gran Maestro Gregory. «Dov'è finito quello sfaticato di Rufus? Avrebbe dovuto darti una mano!»
L'apprendista ansimò per qualche secondo, scostandosi la frangetta castana, fin troppo lunga, dalla fronte unta di sudore. «Ha detto... ha detto che Maestro Fraxinus aveva bisogno di lui.»
«Maestro Fraxinus l'ha congedato ore fa!» ringhiò la governante, poi sospirò. «Billy, tesoro mio, hai troppa fede nelle persone, alcune non meritano la tua gentilezza.» Si voltò verso Godwyn. «Va' a chiamare Igor, tu sei troppo mingherlino per un carico del genere.»
«No» protestò Billy, boccheggiando. «Non c'è bisogno di scomodare i Maestri, se sono arrivato fin qua, sono capace di portarlo nella Sala Grande.»
«Non ne dubito, sei un giovanotto forzuto. Però preferirei che tu avessi ancora la schiena dritta alla fine di questa giornata.»
Le ginocchia di Billy tremolarono, inclinando pericolosamente il Dentedolce oleoso verso un arazzo antichissimo raffigurante uno dei primi Gran Maestri.
Godwyn si mosse d'istinto in aiuto e posizionò le mani sotto il vassoio d'argento, che fluttuò via dalla presa di Idunn e Billy con la grazia di una piuma.
«Per la criniera del Grifone!» strepitò la governante.
Godwyn saltò e afferrò le maniglie ai lati del vassoio prima che la pietanza prendesse troppa quota. «Non volevo, lo giuro!»
Billy scosse la testa e gli diede una sonora pacca sulla spalla che rischiò di slogargli l'articolazione. «Hai salvato la nostra cena, Gwyn! Non hai motivo di scusarti. Chi immaginava che il tuo duro lavoro e impegno ti avrebbero ripagato con un potere così strabiliante?»
Godwyn sollevò un sopracciglio. «Duro lavoro e impegno?»
Billy annuì con vigore. «Ti ho visto, sai, quando dopo cena te ne salivi sempre in soffitta. Andavi lì a meditare... esercitarti? Non ho idea di cosa facciate voi Uruls per scatenare la vostra magia, ma tu l'hai fatto bene, forse troppo bene!»
«Mmh...» si limitò a dire l'altro. In realtà sgattaiolava a leggere in pace, ma il sorriso dell'amico era così genuino che non ebbe il coraggio di confessare.
Idunn si riprese in fretta dallo shock e tornò la solita scorbutica. «Se riesci a sollevarlo, allora fila all'istante nella Sala Grande senza cincischiare, siamo indietro sulla tabella di marcia! Billy, in cucina con me!»
«Agli ordini!» ridacchiò Billy, salutando Godwyn con un occhiolino.
Il giovane Uruls aveva appena oltrepassato l'arco della Sala Comune quando il Dentedolce arrosto si sollevò dal portavivande, con i contorni al seguito, per svolazzare verso la volta a botte sul soffitto.
«No, no, no!» sibilò a denti stretti, tentando di acchiappare l'animale per la coda a forma di batuffolo, ma era già levitato oltre la sua portata. «Stupida volontà!»
Saltò sul divanetto di fronte al camino per cercare di colpire la pietanza fuggitiva, evitando per un soffio Arlun che si stava godendo il tepore del fuoco. Lo Squamabaffo gli ringhiò contro, ma la sua attenzione virò di colpo verso il Dentedolce appena l'aroma raggiunse il piccolo naso nero. Balzò sulla mensola attorno alla canna fumaria e agitò la zampetta per affondare gli artigli in quella delizia. Godwyn riuscì a parare la sua unghiata all'ultimo secondo usando il vassoio come scudo.
«Cosa diavolo sta succedendo?» domandò Kalika, sugli ultimi gradini della maestosa scala in legno che portava alle camere da letto. «Arlun!» lo sgridò, puntando l'indice verso lo Squamabaffo. «Lascia in pace la nostra cena volante!»
Il felino mosse le vibrisse con disappunto, si lasciò cadere su una poltroncina e se ne andò a testa alta.
«Anche questa è una tradizione dei Custodi che non conosco?» chiese Kalika, osservando la pietanza che saliva lentamente verso il soffitto.
«No che non lo è! I miei poteri...» Godwyn si infilò le mani nei capelli e si lasciò sfuggire un verso di frustrazione. «Non c'è tempo per spiegare! Ti prego, tiralo giù prima che arrivi Idunn!»
L'elfa montò su un broncio e scosse la testa. «Mai una volta che possa rilassarmi» borbottò, strappandogli il vassoio dalle mani. Scandagliò la stanza, concentrando infine lo sguardo sul tavolino poco distante dal caminetto. «Hai un enorme debito con me, ora.»
Indietreggiò di qualche passo, poi corse verso il mobile e lo usò come trampolino per slanciarsi in avanti; atterrò bruscamente sulla mensola sopra il camino e ondeggiò all'indietro.
«Non cadere!» urlò Godwyn, divorandosi le mani.
«Ci sto provando!» ringhiò lei, abbracciando la ciminiera per non perdere di nuovo l'equilibrio.
«Fai in fretta, per favore!»
Kalika sussultò e si fermò con il piede a mezz'aria. «E tu fa' silenzio! Gridarmi di darmi una mossa non è d'aiuto!»
Giunse sul bordo della mensola, a un soffio dal Dentedolce volante. Scostò una foglia di insalata che le fluttuava vicino al viso e si sporse tenendosi alla canna fumaria. Allungò il vassoio d'argento e sfiorò il dorso dell'animale, spingendolo un po' più in basso.
Godwyn si piazzò lì sotto, alzando le braccia pronto ad afferrarlo. «Un'altra spinta e ci siamo!»
«Non sto partorendo, chiudi quella boccaccia!» Kalika colpì il Dentedolce, di cui l'apprendista acchiappò una coscia, ma la mano che la teneva ancorata alla canna fumaria perse la presa e lei scivolò giù.
«Kalika!» gridò Fraxinus, dalla porta della Sala Grande.
Il divanetto alle spalle di Godwyn fu spinto dal pavimento in legno verso l'elfa, attutendo il capitombolo.
«Siete impazziti?» li riprese, raccogliendo il vassoio da terra. «Kalika, avresti potuto romperti qualcosa!»
«Ma dai, non è mica così alto. A Marvìa mi sono arrampicata su cornicioni e tetti, una mensola non regge il confronto» commentò, rimettendosi in piedi e lisciando le pieghe sulla camicia.
«Tu cosa?» domandò lo Stregone.
«Niente, non ho detto niente.»
«Invece ti ho sentita eccome, ma ne parleremo in secondo momento. Per quanto riguarda te» puntò il portavivande in direzione dell'apprendista. «Ti sei tolto le catene?»
«No!» esclamò subito Godwyn. «I miei poteri si sono attivati da soli nonostante le catene.»
«Eppure non avrebbero dovuto. Che le piccole manifestazioni di magia sfuggano ai glifi?» Fraxinus si grattò la testa. «Sistemiamo una cosa alla volta, la cena ha la priorità. Poggia il Dentedolce qui e fa un respiro profondo.»
Godwyn tirò il Dentedolce per la coscia e lo calò sul vassoio, inspirando a pieni polmoni.
«Va bene, ora chiudi gli occhi ed espira con lentezza.»
«E poi?»
«Intanto fa' come ti dico» si lamentò lo stregone. Si decise a riprendere il discorso solo quando l'apprendista l'ascoltò. «Percepisci la magia nelle tue vene, sentila mentre fuoriesce dal tuo corpo e rimandala indietro con convinzione. Ricorda: la manipolazione dell'etere obbedisce alla tua volontà.»
Godwyn obbedì e tentò di avvertire l'energia a cui Fraxinus aveva accennato nel proprio corpo. Però non riscontrò niente del genere, gli sembrò di non essere cambiato affatto, a dispetto del risveglio della sua attitudine.
«Niente?» domandò, abbassando il Dentedolce che, invece di tornare alla normalità, forse era diventato più leggero.
«No» confessò.
«Perché quel Dentedolce non è nella Sala Grande?» chiese Idunn, che ne trasportava uno più piccolo. Billy era dietro di lei e arrancava con una grossa caraffa. «Sacro Grifone, ma sta volando! E anche i contorni!» strillò, osservando le verdure che fluttuavano a mezz'aria e si schiantavano contro il soffitto.
«Gwyn...» Billy gli scoccò un sorriso traballante. «Questo è un po' troppo impegno.»
«Non l'ho fatto apposta!»
«E ora come facciamo? Godwyn, questo Dentedolce non basterà per tutti!» esclamò Idunn, poggiando quello che aveva in mano sul tavolino davanti al camino, che produsse dei disperati scricchiolii; prese lo scollino che aveva al collo e cominciò a usarlo a mo' di ventaglio.
«Mi dispiace» pigolò Godwyn. «Non era mia intenzione.»
«Calmati, Idunn, risolveremo la situazione-»
«Calmarmi?!» ripeté lei, interrompendo Fraxinus. «Ho passato l'intera giornata a cucinare per questo banchetto. Avrebbe dovuto essere perfetto e ora è rovinato! Il mio lavoro è stato inu-»
«Ehi!» gridò Kalika. «La magia degli Dei Andati è già abbastanza difficile da controllare senza che voi lo incolpiate e gli urliate contro! Se volete che quel Dentedolce la pianti di volare, allora andate nella Sala Grande e restateci! Godwyn ha bisogno di pace e silenzio.»
Idunn guardò Fraxinus. «Quando dicevi che aveva un bel caratterino, non scherzavi.»
«E non è neanche seriamente arrabbiata adesso» puntualizzò Fraxinus.
Idunn recuperò il secondo Dentedolce dal tavolinetto e fece segno a Billy di aprirle la porta della Sala Grande. «Vi lascerò soli ma, per l'amor del Grifone, fate atterrare quell'arrosto» disse, chiudendosela dietro.
«Godwyn non è ancora abbastanza esperto per percepire la sua magia, dovrebbe provare con un mantra» propose Kalika.
«Eh?» fece l'apprendista.
«Buona idea» concordò Fraxinus. «Un mantra è una frase che ha un significato speciale per te che, se ripetuta più volta, ti aiuta a calmarti e ad acquietare la tua magia. Ti viene in mente qualcosa?»
«Non saprei...»
«La mia è la Zalkro Garva, la preghiera con cui si rende grazie al Drago.»
«E la mia è Keskal àkur, keskal akùr, il motto della mia famiglia.»
Godwyn si morse la guancia e pensò intensamente a un mantra, e ne trovò uno perfetto in una manciata di secondi.
«Zura wa turasa no kila lot xi, Zalkro surasa» cantò in Uru, la lingua degli stregoni, con tono lento e malinconico.
Attorno a lui, senza che se ne accorgesse, le verdure smisero di fluttuare verso il soffitto e rimasero ferme a mezz'aria, come fossero in attesa.
«Ocla ot Uruls yuva no cral, ocla Urasha gura lot zal» continuò, concludendo la strofa.
Finalmente il Dentedolce tornò a obbedire alle leggi della natura e si schiantò sul vassoio, quasi atterrando il povero Fraxinus, che Kalika corse ad aiutare. Anche i contorni vegetali smisero di fluttuare e precipitarono velocemente, insozzando la Sala Comune. Una foglia di insalata caduta in testa a Godwyn lo riportò alla realtà.
«Hai una bella voce, sai?» gli disse Kalika e le guance di Godwyn sbiadirono per l'afflusso di sangue.
«Grazie...»
«Non ho mai sentito questa canzone» notò Fraxinus.
«La compose mia madre, molto prima della mia nascita. Mio padre me la cantava per farmi addormentare.»
«Non parlo l'Uru e non ho capito le parole, ma la melodia era così... triste.»
«Anche il testo era piuttosto triste» le spiegò Fraxinus.
«"La notte è calata e giù nella grotta, il Drago riposa. Sogna i suoi figli liberi e fieri, sogna Urasha di nuovo nel cielo"» tradusse Godwyn. «In Uru rima, però.»
«Santo Leviatano!» esclamò Arthur che, con Duncan e Malcolm al seguito, era appena entrato nella Sala Comune. «Cos'è successo qui?»
«Avete organizzato una festa pre-banchetto e non ci avete invitato?»
«No, abbiamo solo avuto una portata fuggitiva» ridacchiò Fraxinus, facendo l'occhiolino a Godwyn.
«Oh, grazie al Grifone il Dentedolce è tornato alla normalità» sospirò Idunn, sporgendosi dai battenti socchiusi della Sala Grande. Tolse la pietanza di mano a Fraxinus e Kalika e lo passò a Billy dietro di lei. «Ragazzi, filate dentro, la cerimonia sta per cominciare.»
Agitando il braccio in aria, incoraggiò gli apprendisti e Fraxinus ad affrettarsi. Nella Sala Comune rimasero solo Idunn e Kalika.
Kalika aveva il cuore a mille e la magia infuocata che le scorreva nel sangue palpitava persino più forte del suo cuore. Non si sarebbe meravigliata se le fiamme che ardevano nel camino e le torce appese alle pareti avessero risposto alla sua ansia ingrossandosi; il fuocherello della torcia a destra della porta della Sala Grande aveva già cominciato a tremare e a crescere.
«Sei pronta?» le chiese Idunn, sistemandole la camicia e infilandole una ciocca sfuggita alla treccia dietro l'orecchio.
«Sono nata pronta.»
Idunn ghignò. «Avevo l'impressione che io e te fossimo della stessa pasta!» Sbirciò attraverso la porta socchiusa per assicurarsi che tutti avessero preso posizione. «Perfetto!» esclamò, annuendo con convinzione. Si voltò verso Kalika. «Aspetta qualche secondo e poi entra, va bene?»
«Va bene.»
Appena Idunn oltrepassò i battenti, Kalika si morse le labbra e camminò in tondo un paio di volte per stemperare l'ansia prima di inoltrarsi nella Sala Grande.
I suoi occhi, abituati alla penombra della Sala Comune, furono accecati momentaneamente dalle moltitudini di lampadari e torce disseminati per la titanica camera, che la illuminavano a giorno. Lunghi tavoli grezzi e panche intagliate di abete si susseguivano come anelli di una mastodontica catena, che terminava laddove il pavimento in pietra si innalzava lievemente in un'area riservata ai membri più importanti della Gilda.
Nonostante l'intera popolazione di Castel Neve si fosse riunita, regnava il silenzio.
Kalika avanzò con determinazione, arrivando nella parte più profonda della Sala, scavata nel fianco del Vulcano Gelato, dove il frastagliato soffitto di roccia continuava forse per leghe, tanto in là che la luce non riusciva a rischiararlo. Gli apprendisti erano schierati ai lati della ragazzina, i più grandi alla sua destra e i più giovani alla sinistra.
Fraxinus era davanti a lei, sulla superficie rialzata, accanto ai Maestri e a Idunn.
«Kalika Keskal» la interpellò il Gran Maestro Gregory, dietro un leggio con un gigantesco libro dalle pagine ingiallite. «Quale apprendista e futura Custode di questa Gilda, giuri di proteggere gli indifesi e di combattere le belve che infestano la nostra terra e i territori oltre i suoi confini? Giuri di spingerti più lontano dei tuoi predecessori, ovunque la tua fame di avventura ti porterà?»
Cercò il sostegno di Fraxinus con lo sguardo mentre il suo cuore aumentava i battiti. Lo Stregone le annuì, un sorriso di orgoglio a malapena vinto dalla sobrietà che gli si richiedeva.
«Lo giuro» affermò, con Fraxinus che al limite del suo campo visivo alzava i pollici in segno di approvazione.
«Giuri di non saziare mai la tua sete di conoscenza e di preservare e tramandare la storia di Phoel e dei suoi popoli? Giuri di essere imparziale e integerrima e di perseguire la pace?»
«Lo giuro» ripeté, a voce più alta, fissandosi sulla solenne figura del Gran Maestro contornata dal chiarore delle candele alle sue spalle.
«Giuri di seguire il codice d'onore dell'Ordine dei Custodi? Di sottostare alle sue leggi e alle sue tradizioni? Giuri di ricoprirti in egual misura di forza e saggezza, di virtù e morale, di spietatezza e pietà?»
Si inumidì le labbra, notando con la coda dell'occhio Arold che annuiva e le sorrideva. «Lo giuro.»
«E giuri di appartenere a questo Ordine fino al tuo ultimo anelito di vita?»
Kalika chiuse gli occhi ed espirò. Passò meno di una frazione di secondo, ma la sua infanzia le balenò nella mente. Si rivide prigioniera nell'orfanotrofio della dea Nima, sorvegliata a vista dalle Matriarche e isolata dagli altri bambini a causa del sangue Ishkra che le scorreva nelle vene. Senza Arold, l'unica compagnia che aveva avuto negli anni erano state le epiche gesta dei suoi antenati, racchiuse in una collezione di tomi che chissà quale anima devota aveva donato all'istituto in uno slancio di generosità o pentimento. I racconti mitici colmi di azione e di magia l'avevano alimentata per anni, anche quando il cibo stesso le era venuto a mancare.
Nel cuore della notte, quando l'intera Marvìa era stata assorta nel sonno, Kalika era scivolata fuori dal suo letto e aveva impugnato Skal, la kular di suo padre, fingendo di essere una Regina Ishkra nel culmine della battaglia finale della Conquista. Il cortile in cui si era esercitata era grande a malapena per contenere le strutture di gioco degli orfani, ma per la ragazzina era stato tanto ampio quanto il Dominio; attorno a lei si erano dipanati fiumi e foreste, montagne e vallate e, a volte, persino l'oceano burrascoso e tenebroso che gorgogliava al di là del punto più a Nord di Phoel.
Quello era stato il suo modo di onorare gli eroi del suo popolo, caduti per mano di Re Ludwen il Sadico e delle sue sporche macchinazioni, di ricordare e celebrare le sue origini per non lasciare che queste sbiadissero tra i capitoli del tempo riducendosi in una postilla a piè pagina a cui nessuno avrebbe mai fatto caso.
E poi, un maledetto giorno, il suo legame con il passato le era stato sottratto. Le Matriarche avevano radunato fino all'ultimo libro intrecciato alla cultura dei figli delle bestie e l'avevano gettato tra le fauci delle fiamme nel bel mezzo del cortile, e Kalika aveva assistito, inerme, mentre le sue radici si erano tramutate in cenere.
Era stato nel suo momento di disperazione più nera, in una biblioteca sguarnita e abbandonata, che aveva trovato ristoro. Un volume, usato come sostegno per un vecchio tavolo traballante, era scampato al massacro. Le Cronache di Alfred Lamalesta, il primo Custode, partito alla scoperta di Phoel per imparare dagli altri popoli, le avevano donato un nuovo scopo.
E all'improvviso Kalika non era più stata una Regina Ishkra sconfitta durante la Conquista, memento di un'epoca lontana e morente, ma una Custode guerriera in una terra inesplorata erta sulle spoglie sanguinolente di creature mostruose, vittoriosa e ferale.
Era quello il suo destino.
«Lo giuro» dichiarò, alzando il capo.
Il Gran Maestro annuì a Fraxinus, che le affidò un piatto sasso circolare, delle dimensioni di una falange, legato a una catenina di metallo; c'era una Fenice stilizzata incisa su un lato, circondata da glifi Ishkra, Leisha, Uruls e Dural. «Sono stati preparati dei doni per agevolarti nel tuo cammino. Il primo è una pietra glifica, cosicché tu possa usufruire di ogni tipo di magia.»
Kalika se lo allacciò intorno al collo con le dita che le tremavano.
A quel punto Maestro Igor le presentò un mantello verde scuro con un ampio cappuccio, che Kalika indossò subito. «È incantato» sussurrò l'uomo. «Sembra di lana alla vista e al tatto, ma è più duro dell'acciaio.»
«Una cappa recante lo stemma della Gilda, con l'augurio che la Fenice ti offra protezione e riparo» continuò il Gran Maestro. «E infine, questo.»
Raccolse l'antico e pesante libro dal leggio, scese la breve scalinata e lo girò verso Kalika, porgendole una piuma già bagnata d'inchiostro. C'erano conservate decine di firme di Custodi, la più recente, in basso a destra sulla seconda pagina, era quella di Rufus, vergata in una calligrafia spigolosa che aveva quasi bucato il foglio, che risaliva a nove mesi addietro.
L'elfa strinse la penna, e scrisse il proprio nome e la data corrente, il diciannove di Estro del millecentododicesimo anno dalla caduta in letargo delle Quattro Bestie.
Il Gran Maestro le fece l'occhiolino. «Per ricordarti che non sarai mai sola.» Salì i tre gradini e ritornò al leggio, sistemandovi il registro e schiarendosi la voce. «Kalika Keskal, a partire da questo giorno, e finché camminerai su questa terra, sei un membro della Gilda della Fenice e avrai sempre un posto a Castel Neve.»
La Sala Grande, nonostante la stazza, venne riempita dagli applausi. I suoi compagni apprendisti, anzi, i suoi fratelli, fischiarono e agitarono i pugni al cielo, a eccezione di Rufus che la fissava con astio. Fraxinus, Maestro Igor e Idunn ebbero più contegno e si limitarono a battere le mani e a sorriderle.
Gregory levò le braccia. «E ora basta con tanta austerità e compostezza, che il banchetto abbia inizio!»
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