Capitolo 6- Senza controllo

Dopo aver finito di sgomberare la stanza di Fraxinus il più in fretta possibile per allontanarsi da quell'idiota di Rufus, Kalika vagò un po' per il castello senza sapere bene dove si stesse dirigendo, ma alla fine riuscì a raggiungere il portone d'ingresso di Castel Neve. Da lì, attraverso l'arco intarsiato sul lato meridionale dell'atrio, giunse nella Sala Comune e si accomodò sul divanetto davanti al camino per godersene il calore.

Avrebbe creduto che per un'Ishk il gelo del Nord non sarebbe stato poi così male, considerando che il suo popolo era originario di quella regione, ma trovò molto più difficile del previsto affrontare le temperature da brividi della Gilda. D'altronde, nonostante i suoi avi avessero vissuto lì per millenni, Kalika era nata e cresciuta a Marvìa, dove non cadeva mai neanche un fiocco di neve, e un freddo così intenso era una novità per lei. 

Aveva saltato il pranzo a causa della stupida punizione congiunta e, nel suo vagare, era incappata nelle cucine dove aveva rubacchiato qualche dolcetto e del succo di curish. Maestro Igor le aveva detto che a breve ci sarebbe stata la lezione di scherma pomeridiana, a cui lei era invitata a partecipare da spettatrice, dato che non era ancora un'apprendista ufficiale, quindi approfittò di quegli istanti di libertà per gustarsi un pranzo non convenzionale e prepararsi psicologicamente ai diversi strati di neve e ai venti gelidi che l'aspettavano fuori dal castello. Aveva appena addentato la crostatina di azuta quando la Dul che aveva incontrato all'arrivo, che le pareva si chiamasse Idunn, entrò nella sala.

«Ah, eccoti qui! Ho una cosuccia per te» ghignò, con gli occhi bronzei che le scintillavano, porgendole una scatola di legno con lo stemma della Fenice inciso sul lato superiore.

«Questo regalo non potrebbe aspettare? Sto mangiando» si lamentò lei, osservando con desiderio la crostatina.

«Credimi, tu non vuoi aspettare.»

Kalika poggiò il bottino recuperato dalle cucine sul basso tavolino davanti a sé e prese la scatola, aprendola di malavoglia. «Questa è...»

«La tua divisa!» esclamò Idunn, saltellando sul posto per l'eccitazione. «Sono così contenta che finalmente ci sia un'altra Custode, o futura Custode, in questo castello!»

Kalika condivise l'entusiasmo con un gran sorriso, però poi un dubbio glielo smorzò. «Ma non potrei indossarla, giusto? Non sono un'apprendista vera e propria, non fino al giuramento.»

«Non lo sei già perché ci hai colto alla sprovvista. Se Fraxinus si fosse preso la briga di avvisarci ieri sera, avremmo organizzato la cerimonia e il banchetto di benvenuto e a quest'ora lo saresti. Invece dovrai aspettare stasera o, il Grifone non voglia, domani.» Idunn si cinse la vita con le mani robuste e callose. «Sempre con la testa tra le nuvole, il nostro Frax, non è cambiato di una virgola.»

«Una volta è andato a lavoro in vestaglia, un fuoco-fatuo non inviato è il minimo.»

«E questo è nulla. Quante storie potrei raccontarti, ma non abbiamo tempo. Ti porto nella tua stanza così potrai metterti questa divisa, Igor vi chiamerà per l'allenamento pomeridiano tra pochissimo.»

«Fate strada!» esclamò.

«Dammi del tu, tesoro» le disse, sorridendo.  

Con Kalika dietro, Idunn salì la magnifica scalinata di legno intarsiato che si trovava alla fine della Sala Comune e a destra della titanica porta della Sala Grande, che l'Ishk aveva solo intravisto. Svoltarono a destra una volta in cima e poi a sinistra dove le crepe nella parete avevano allentato l'anello di ferro che reggeva una torcia. Memorizzò quei dettagli e aguzzò la vista per trovarne altri mentre camminavano, così come anni prima aveva fatto per raccapezzarsi in quel labirinto urbano che era Marvìa; era convinta che, grazie al suo spiccato senso dell'orientamento, presto avrebbe conosciuto Castel Neve meglio di chi l'aveva costruito.

«Eccoci qua!» disse Idunn, che si era fermata al centro di un ampio corridoio rettangolare con molteplici porte su ogni lato, alla fine di un'altra scalinata. «Questa è la tua» disse, indicando l'uscio socchiuso sulla sinistra, il secondo per la precisione, ed entrandovi. «Avevo detto a Duncan di portarti un cuscino e degli asciugamani, ma si sarà distratto come al solito» sospirò e scosse la testa. «Intanto accomodati, io torno subito.»

Kalika annuì e poggiò la scatola sul comò, sul quale c'era già la sua sacca, sotto la finestra arcuata di fronte all'entrata mentre Idunn si inoltrava nei corridoi. Prima di accostare la porta per cambiarsi, però, sbirciò i dintorni. Da una Gilda che si vantava di essere la migliore del Nord, si sarebbe aspettata più sfarzo... o meno trascuratezza. Gli alloggi degli apprendisti versavano in condizioni pessime. Tanto per cominciare, la stanza che ipotizzava fosse di Godwyn aveva letteralmente un buco nella porta, da cui si intravedevano cumuli di libri e cera sciolta. Alla camera a fianco, invece, mancava l'uscio, che giaceva a terra quasi fosse un tappetino di benvenuto. E una terza era priva del pomello e ci pensava un mattone a tenerla chiusa. 

La sua, che sembrava essere la migliore, aveva il letto sfondato... e a breve anche il pavimento. Infatti, mentre prendeva i vestiti dalla scatola, evitò di calpestare le assi malnutrite alla fine del letto accanto alla parete.

Una volta pronta, si soffermò davanti al lungo specchio ovale all'interno dell'armadio sulla sinistra per ammirarsi. A Kalika di solito non importava un accidente di cosa indossasse, perché un vestito valeva l'altro, ma la divisa da Custode non era un indumento comune, era appannaggio dei membri dell'Ordine e loro soltanto.

Passò gli occhi sui pantaloni di cuoio, sulla camicia bianca di lana, sulle bretelle incrociate sulla schiena e sui robusti stivali neri adatti a camminare sulla neve e sul ghiaccio. Le mancava solo la cappa con cappuccio verde, corta fino alla vita, con lo stemma della Gilda sulla schiena per sembrare una vera Custode.

«Allora era vero che la grande Kalika Keskal era destinata a diventare una Custode...»

Kalika si girò di scatto verso la porta trovando un ragazzino magro come un ramoscello, poco più alto di lei e con dei caratteristici e famigliari capelli biondo platino, appoggiato con la spalla allo stipite.

«Ci conosciamo?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia cinerine.

Lui allargò le braccia e sbuffò. «Mi ritengo offeso! Ti sono bastati cinque anni per dimenticarmi?» Le si avvicinò, con una scintilla di malizia negli occhi castano scuro. «Questo ti ricorda qualcosa?»

Estrasse dalla tasca dei pantaloni una collana alla cui fine c'era una corta piuma dorata screziata di grigio, dell'esatto colore di quelle che Kalika aveva sul viso.

«Arold!» strillò, saltandogli al collo.

Arold, colto di sorpresa, cadde all'indietro ed entrambi finirono a terra nel bel mezzo del corridoio.

«Per Stigo» sogghignò. «Sei persino più forte di quanto ricordassi! E io che speravo che con la pubertà avrei finalmente avuto una chance di batterti a braccio di ferro.»

Kalika si rimise in piedi ridacchiando e tirò su anche l'amico di lunga data. «Come sei finito nel Nord? E da quando sei un apprendista?»

«Ricordi Karl, il fabbro che mi adottò all'orfanotrofio di Marvìa?»

«Vagamente, ma sì.»

«Vive a Nar, a neanche una decina di leghe da Castel Neve. Due anni fa, Maestro Igor venne a commissionare una spada, mi vide allenarmi a tirare di scherma, rimase colpito e mi propose di diventare un apprendista. Il resto è storia.»

«E Karl non si oppose?»

Arold si grattò il collo. «Affatto. Disse che potevo farne ciò che volevo della mia vita, a patto che tornassi a trovarlo di tanto in tanto.»

Kalika raccolse il pendente, che era finito sul pavimento, stringendolo nel palmo come per assicurarsi che fosse reale. «Non riesco ancora a credere che tu l'abbia conservato per così tanto tempo.» Glielo porse e Arold lo indossò sotto la camicia.

«Il giorno che lasciai l'orfanotrofio, mi dicesti che finché l'avessi portato con me, un giorno ci saremmo incontrati di nuovo.»

Kalika sorrise, faticando a trattenere le lacrime.

«Poi ti diedi le spalle e aggiungesti che se ci fossimo incontrati davvero di nuovo e io non l'avessi avuto, mi avresti ficcato Skal nelle budella e me le avresti annodate attorno alla gola in una seconda collana che di sicuro non avrei perso. E io ci tengo che le mie budella restino dove sono.»

L'Ishk rise. «Me lo ricordo, non pensavo potessi diventare più pallido di quanto già non fossi.»

«Scherzi a parte, sono contentissimo che tu sia qui.» Il ragazzino incrociò le braccia, incapace di restare serio per più di qualche istante. «Qualcuno deve insegnare agli altri apprendisti come si combatte.» Le scoccò un occhiolino e indietreggiò di qualche passo. «Stasera a cena mi aspetto un resoconto dei tuoi ultimi anni, intesi?»

Kalika annuì e lo guardò allontanarsi finché non scomparì dietro l'angolo. Dopo qualche attimo, usato per riprendersi da quella graditissima sorpresa, si decise a svuotare la sua sacca mentre aspettava che Idunn tornasse. Lanciò i vestiti stropicciati sulla sedia, nonostante ci fosse il modesto armadio sulla sinistra che sarebbe stato felice di accoglierli, adagiò con cura la sua copia de "Le Cronache di Alfred Lamalesta" sulla mensola sopra la spalliera del letto e rovesciò il restante contenuto della sacca nei cassetti del comò.

«La divisa ti sta una meraviglia» commentò Idunn, sulla soglia della stanza.

«Vero?»

«Ma i tuoi capelli hanno bisogno di una sistemata.»

Kalika si specchiò e si passò una mano tra la folta chioma che le carezzava la schiena. «Cos'hanno che non va?»

«Assolutamente nulla. Sono selvaggi come il fuoco e del colore della cenere, degni di una Ishk. Però le Custodi non possono permettersi il lusso di averli sciolti, le intralcerebbero nelle battaglie.» Idunn fece sedere Kalika e prese a pettinarli con le dita. «Io li portavo in una stretta crocchia, un'abitudine che mi è rimasta anche dopo essere andata in pensione.»

Kalika rimase a bocca aperta. «Vuoi dire che eri... sei una Custode?»

«Certo che sì! Una Custode pioniera, l'apprendista più giovane della generazione di Igor e Gregory, e l'unica donna.»

«E perché hai smesso di combattere per cucinare i pasti, tenere in ordine Castel Neve e occuparti degli apprendisti?»

Idunn si fermò tenendo una ciocca di capelli dell'elfa a mezz'aria. «Per una Ishk sarà impensabile scegliere questa vita invece di una piena di avventure e scontri.»

In effetti era proprio quello che Kalika stava pensando.

«E so perfettamente che non è emozionante quanto insegnare, o gestire la Gilda, ma è altrettanto fondamentale. I giovani apprendisti hanno bisogno di qualcuno che li guidi e li ami, li nutra e li ascolti. E affinché abbiano quel qualcuno al loro fianco, che io brandisca un mestolo al posto di una spada mi sembra un prezzo più che ragionevole.» Le legò la treccia con un nastro nero. «Ciò non significa che non sarei in grado di suonarle ai Maestri, sia chiaro!»

Insieme ritornarono dove si erano separate poco prima, ma Idunn si affrettò verso le cucine. Kalika s'inoltrò nella Sala Comune, accorgendosi che la maggior parte degli apprendisti, Godwyn compreso, era seduta di fronte al caminetto al centro della stanza in attesa di Maestro Igor ma, se la mente non la ingannava, v'erano tre ragazzi che non erano stati presenti al suo arrivo.

«Quindi è lei la famosa Kalika di cui abbiamo tanto sentito parlare!» esclamò un giovane di all'incirca quindici, al massimo sedici anni. Era di gran lunga più alto e ben piazzato dell'elfa e la sovrastava con facilità.

«E da chi?» chiese, gonfiando in maniera inconscia il petto.

«Non hai udito la lieta novella?» canticchiò l'altro sconosciuto, steso orizzontalmente su una poltroncina, che nonostante il clima gelido era a piedi nudi.

Per un attimo Kalika pensò di vederci doppio, quindi spostò in fretta lo sguardo dal primo al secondo apprendista per assicurarsi di non essere ammattita, e si sorprese nel constatare che l'unica papabile differenza tra quei due era il colore dei capelli: rispettivamente castano scuro e miele. Il resto, partendo dagli occhi azzurri che curvavano lievemente all'insù lungo le estremità, passando per il naso a punta larga e finendo con la forma ovale del viso identica nei lineamenti, era indistinguibile.

«Si narra delle tue gesta da Alto Abete a Medis» riprese, questa volta senza traccia di melodia nella voce armoniosa. «Nella storia di Phoel nessuno ha mai avuto successo nell'impresa che hai compiuto oggi...»

«Ovvero?» ridacchiò Kalika.

«Tenere testa a quel dannato Reilly!» rispose il primo. «Quanto vorrei esser stato presente...»

«Malcolm, Duncan» li chiamò l'ultimo apprendista che ancora non aveva conosciuto.

I gemelli si scostarono, permettendo al ragazzo di sangue Leisha di camminare verso l'elfa.

La fissò dall'alto in basso con le pungenti iridi del colore della terra smossa, semi nascoste dalla frangetta di morbide radici arricciate che gli ricoprivano il capo. «Ti presenti senza invito a Castel Neve e dopo una manciata di minuti quasi aggredisci Rufus, uno dei nostri fratelli, davanti ai Maestri.» Si sporse verso di lei e le sue spesse ciocche produssero un sinistro suono ligneo.

Kalika deglutì. C'era qualcosa in quel volto allungato dagli zigomi pronunciati che pretendeva rispetto e incuteva timore, ma neanche lei avrebbe saputo individuare cosa. Si ritrovò a muovere un passo indietro prima che l'orgoglio glielo impedisse.

«Non è stato un gesto molto furbo» dichiarò, un accenno di minaccia nel tono.

La mano dell'elfa si avvicinò inavvertitamente all'elsa di Skal, le sue piume si chinarono mentre si preparava a rispondere a un eventuale attacco.

«No, davvero» specificò il ragazzo. «Non è stato affatto un gesto furbo. La prossima volta che vuoi dare addosso a Rufus, assicurati che non ci sia nessuno a fermarti.»

Malcolm e Duncan scoppiarono a ridere e il Leis non fu più capace di mantenere l'espressione seria. Le guance gli si tinsero di un verde più intenso rispetto alla tonalità naturale della sua pelle.

Kalika incrociò lo sguardo di Godwyn, confusa da quanto fosse appena successo; lui abbozzò un sorriso e fece spallucce.

«Sono Shilaf» si presentò il ragazzo, porgendogli la mano.

Alle orecchie dell'elfa non arrivò un nome, piuttosto il fruscio provocato da un soffio di vento tra le fronde di una foresta. Se Liasa non le avesse insegnato un po' di Leishfa non sarebbe stata in grado di distinguere nemmeno una lettera.

«Ma gli amici mi chiamano Arthur» proseguì, curvando l'angolo della bocca in un ghigno malizioso. «Riconosco che la lingua delle fate risulti difficile da pronunciare per i più.»

Kalika ricambiò la stretta. «La, Leishfa vas farunda.»

«Ah, però!» esclamò Malcolm.

«Che ha detto?» chiese Godwyn, aggrappato alla spalliera del divano.

Arthur si morse un labbro e scosse la testa con lentezza. «Testualmente: "Già, la lingua delle fate fa schifo".»

«Lo neghi?»

«Almeno noi Leisha, al contrario di voi Ishkra, non abbiamo sette parole diverse per "spada".»

«Ma ne avete dieci per "albero".»

Si fissarono per qualche attimo, finché Arthur non le sorrise di cuore, stringendole il braccio all'altezza del gomito. «Sappi che sei la benvenuta alla Gilda.»

«Sei nostra sorella ora.» Duncan la indicò e schioccò la lingua.

«Per sempreee...» sussurrò Malcolm, le mani a coppa attorno alla bocca.

«Di solito è meno strano» le confessò, tirando via Malcolm per il collo, quasi fosse un cucciolo. 

Maestro Igor entrò in quel momento nella Sala Comune e notò come prima cosa i piedi scalzi di Duncan e le scarpe poggiate alla base della poltroncina su cui era stravaccato. 

«Per l'amor di Stigo, mettiti quegli stivali» gli ordinò, sospirando.

Il ragazzo suonò qualche nota delicato al suo liuto. «No, Maestro, i miei piedi sono spiriti liberi, nessuno li imprigionerà nelle catene delle convenzioni sociali.»  

Sbuffando, il Maestro gli tolse il liuto e lo sostituì con gli stivali. «Beh, adesso noi abbiamo la lezione di scherma all'aperto e voi lezione di storia con Fraxinus, quindi imprigiona i tuoi spiriti liberi in questi se non vuoi che te li stacchi.» 

«Sì, mi sembra ragionevole.»

«Immaginavo» disse il Maestro con tono sarcastico, poi si rivolse agli altri suoi allievi. «Rufus, Arold e Billy sono già fuori, andiamo.»

 Godwyn e gli altri apprendisti seguirono Maestro Igor nel cortile di Castel Neve. Nonostante mezzogiorno fosse passato da un pezzo, il sole manteneva la temperatura tiepida e la tipica brezza del Sud, che trasportava il fresco odore della foresta, era più clemente del solito. Arrivati a ridosso delle mura di cinta, poco più in là dell'entrata della Gilda, Maestro Igor iniziò a parlare.

«Dato che è la prima lezione dal mio ritorno, e abbiamo anche un membro che a breve si unirà a noi, direi di ripassare le basi poiché non importa che tipo di Custode sceglierete di diventare, ognuno di voi deve essere in grado di difendersi.»

Sfilò una delle spade affilate e uno scudo di ferro dalla rastrelliera sul lato destro della scala d'ingresso del castello, impugnandoli. Fece un passo in avanti con la gamba sinistra e ne piegò di poco il ginocchio, sollevando il cerchio di metallo affinché gli coprisse la metà inferiore del volto e parte del busto. Il gomito destro era accanto alla vita, piegato a formare un angolo di all'incirca novanta gradi; la mano stringeva saldamente l'elsa della lama.

«Questa è la posizione di partenza» spiegò. «Ci permette di parare, attaccare e contrattaccare con facilità ed è efficace contro la maggior parte degli avversari.»

Le porte della Gilda si aprirono e Idunn ne uscì.

«Mi hai chiamata, Igor?»

«Già, sei arrivata al momento giusto. Cercavo qualcuno con cui duellare per mostrare la tecnica ai ragazzi.»

La Dul si poggiò una mano sul petto, le guance rotondeggianti si scurirono a causa dell'afflusso di sangue nero. «Sono lusingata, ma è passato così tanto dal mio ultimo combattimento, non so se sarei in grado di-»

«Lascia che sia io a-» Il Maestro non dovette neanche concludere la frase, perché la donna prese uno spadone e gli si parò davanti. «... giudicare.»

«Pronto?» chiese.

Rufus sbuffò, spaventando a morte Godwyn che non si era accorto di averlo alle proprie spalle.

«Senza scudo sarà uno scontro molto breve» affermò, sospirando annoiato.

«Senza scudo?» ripeté Kalika in tono canzonatorio, con uno sguardo carico di tenerezza, del tipo che si rivolge a un bambino in seguito a una considerazione innocente. «Non le serve affatto uno scudo.»

Rufus aggrottò le sopracciglia corvine e il tedio sfumò, abdicando in favore di un'espressione infastidita. «Conta di evitare ogni singolo attacco?»

«Shh!» soffiò Billy, dandogli qualche buffetto sulla spalla. «Guarda e basta.»

Maestro Igor annuì e Idunn usò entrambe le mani per brandire lo spadone. I primi colpi si susseguirono a distanza di pochi secondi, in un turbinio di ferro e acciaio, di stoccate e parate, di sibili e stridori metallici. Poi il Custode eseguì una spazzata con lo scudo, costringendo la Dul a inclinare la lunga lama quasi totalmente in orizzontale per bloccarla, scoprendo però, in questo modo, la parte alta del corpo. Igor attaccò proprio da quella direzione, approfittando del fatto che Idunn non avesse la possibilità di spostare lo spadone.

«Ecco fatto» disse Rufus. «Il duello è finito.»

«No, invece» ribatté Arold, che osservava con attenzione maniacale e non si perdeva un'azione.

Idunn sollevò la mano destra, reggendo l'arma con l'altra, e bloccò il fendente verticale con l'avambraccio. La manica del vestito celeste fu squarciata, rivelando la solida roccia nerastra che sostituiva la pelle sulle estremità dei suoi arti. La spada del Maestro rimbalzò con violenza, costringendolo a spostare il piede destro indietro al fine di non perdere l'equilibro; tuttavia, a causa dello spostamento, lo stallo che l'uomo era riuscito a creare tra il proprio scudo e la lama di Idunn si spezzò e lei gli sferrò una micidiale spallata che si schiantò sul cerchio di metallo convesso, mandando il Maestro in aria; atterrò poco più in là su un cumulo di neve.

Idunn lo raggiunse con una velocità che Godwyn non si sarebbe mai aspettato da una Dul e tagliò l'aria con lo spadone. Quando questo si conficcò al suolo, il Maestro era già rotolato via.

«Sei diventato lento, Igor.»

«Sono diventato vecchio.»

Idunn estrasse l'arma dal terreno ghiacciato e se la adagiò su una spalla, scuotendo il capo con disappunto. «Quarantotto anni non sono abbastanza per lamentarsi della vecchiaia.»

Igor roteò la spalla sinistra con una smorfia di dolore. «Per un nano, magari. Io ne ho tutto il diritto.» Gli occhi azzurri si spostarono sulla schiera di apprendisti. «Cosa avete imparato analizzando il nostro duello?»

«Che con gli avversari che ci superano in forza fisica parare e incaponirsi sulla difesa può essere controproducente» rispose Billy, a braccia incrociate, con la parlantina impostata pregna di rispetto che riservava ai Maestri. Godwyn notò solo in quel momento che nei mesi che aveva trascorso in viaggio, Billy non solo era diventato più alto e robusto, ma aveva cominciato a farsi crescere di nuovo la frangetta castana che Maestro Gregory odiava tanto.

«Che tentare un approccio basato sulla schivata e sulla velocità è la strategia migliore?» si azzardò Godwyn, alzando timidamente la mano.

Igor annuì con soddisfazione. «Corrette entrambe. Che altro?»

«Che è meglio non fare arrabbiare Idunn?» domandò Arold, provocando le risate di tutti.

«Puoi dirlo forte» stabilì la nana.

Igor piantò la spada al suolo, combattendo un sorriso. «Adesso vi affronterete in duello una coppia alla volta, così sarò in grado di individuare e correggere eventuali errori.»

«Chi va per primo?» domandò Arold, pronto ad afferrare una spada da allenamento nel barile posto a ridosso delle mura di cinta, poco dietro gli apprendisti.

«Ho scelto-»

«Il primo!» gridò Idunn, sovrastando la voce di Igor. «L'ho dimenticato sul fuoco!» Si sollevò le gonne e corse verso il portone di Castel Neve, entrandovi con lo spadone ancora in pugno. Il secondo successivo dovette accorgersene, perché, dal varco tra i battenti, lo buttò sulla rastrelliera, che cadde al suolo sollevando uno sprazzo di neve.

«Ehm... l'aggiusteremo dopo. Come dicevo, ho scelto Rufus e Godwyn.»

«Cosa?» esclamarono all'unisono, sebbene il nobile urlò e l'Uruls squittì.

«Arold è il mio avversario di solito» sottolineò il rampollo.

Arold si morse la guancia con disappunto. «Non oggi.»

«Non ho alcuna intenzione di allenarmi con quel empio

Igor lo fulminò con lo sguardo e l'apprendista si corresse di malavoglia.

«Figlio delle bestie.»

«E io non ho alcuna intenzione di sentire obiezioni. Sfidare sempre la stessa persona è deleterio, cambiare partner gioverà a entrambi.»

Godwyn, tanto pallido da sembrare privo di sangue, si girò con lentezza, con le articolazioni quasi cigolanti e i muscoli ghiacciati, verso Rufus, che lo squadrava con un'occhiataccia gelida, quasi come se la colpa di quell'appaiamento fosse sua.

Spade in pugno, si piazzarono l'uno di fronte all'altro nel rettangolo del cortile dove la neve era stata spalata da poco, svelando il terreno duro e arido al di sotto.

«Voglio un duello pulito e amichevole, chiaro?»

Rufus sollevò il mento e Godwyn mosse rapidamente la testa su e giù quattro o cinque volte, gli occhi verdi spiritati e l'elsa della lama schiacciata contro il petto.

«Iniziate.»

Il suo avversario si abbassò su un ginocchio e si infilò lo scudo di legno, infilato per un terzo nel terreno, al braccio con facilità per poi rialzarsi e mettersi in posizione. Godwyn, invece, raccolse il proprio da terra con nervosismo e se lo lasciò sfuggire di mano; questo rotolò per un po' prima che il ragazzino riuscisse a riacchiapparlo e a imbracciarlo.

I due sfidanti restarono immobili a lungo, attendendo che fosse l'altro a fare la prima mossa. Dopo un po', Rufus si stufò e cozzò la punta della propria spada contro quella di Godwyn in una tacita provocazione.

Il giovane stregone indietreggiò di un passo, trattenendo uno strepito dovuto al panico. L'ultima volta che aveva fronteggiato Rufus in un duello, aveva ricevuto un occhio nero e un polso slogato in omaggio. Al solo pensiero, la palpebra prese a pulsargli e i piedi arretrarono d'istinto.

Rufus parve fiutare la sua paura alla stessa maniera di un segugio e gli rivolse uno sguardo tanto affilato che la pelle del viso di Godwyn rischiò di sanguinare.

Mentre si arrovellava, Rufus gli si avventò addosso assestando una serie di fendenti verticali a due mani. Godwyn sollevò lo scudo sulla testa per pararli, stringendo i denti mentre le vibrazioni gli scuotevano il corpo intero e i tonfi gli risuonavano tra un pensiero agitato e l'altro. Deglutì a fatica e quasi carezzò l'idea di dichiararsi sconfitto... ma poi gli tornarono in mente le parole di Maestro Fraxinus. 

Godwyn non aveva la magia, non era forte né coraggioso, ma conosceva Rufus e quindi poteva vincerlo. Si sarebbe comportato da Custode, da Uruls, e avrebbe studiato e sconfitto il proprio nemico. In quel momento decise che non avrebbe più sottostato alle angherie di Rufus, o perlomeno avrebbe provato a ribellarvisi con tutto sé stesso; quindi fece una cosa non aveva mai fatto: al posto di subire, al posto di permettere a Rufus di accanirsi su di lui, Godwyn reagì.

Attese la spadata successiva e, avvenuto il contatto, spostò lo scudo di lato con forza, colpendo la mano del rampollo che finì disarmato; poi serrò il palmo sinistro attorno all'elsa della propria spada e sferrò una potente stoccata alla spalla dell'avversario, che lo mandò a terra.

Rufus spalancò la bocca e stese la fronte in un'espressione di pura sorpresa, quasi non si aspettasse affatto che Godwyn rispondesse ai suoi attacchi.

«Questo sì che è combattere, Gwyn!» gli urlò Billy, scuotendo il povero Arold per le spalle tanto era su di giri.

«Fagli vedere chi è che comanda!» Kalika prese a pugni l'aria davanti a sé.

Persino Maestro Igor, che gli fece un cenno del capo al limite dell'impercettibile, parve unirsi al tifo.

Godwyn espirò e tornò a concentrarsi sul duello. Ebbro di una fiducia in sé stesso appena sbocciata, si lanciò su Rufus, tuttavia il rampollo ruzzolò lontano da lui, recuperando la spada con maestria e azzerando in un istante il vantaggio che l'Uruls si era guadagnato con fatica.

A quel punto lo aggredì e non commise l'errore di sottovalutarlo. Godwyn tentò di analizzare i suoi movimenti per scovare un'apertura, una zona mal protetta, un'incertezza di qualche tipo, ma semplicemente non ve n'erano. Rufus era arrivato a Castel Neve con una padronanza dell'arte della scherma e dei vari stili di combattimento per i quali qualunque guerriero di Phoel avrebbe venduto l'anima; era risaputo che il casato dei Reilly, e suo padre Kohir in particolare, gli avessero procurato i migliori Maestri di Spada del continente affinché il rampollo ricoprisse di gloria la sua famiglia.

Rufus sembrava intenzionato a dimostrare che l'investimento dei Reilly avesse dato i suoi frutti e ricorse addirittura a tecniche Ishkra e Leisha, muovendosi con una fluidità e una velocità che parevano sovrumane. Godwyn riuscì a stento a parare un paio dei colpi del nobile, gli altri andarono a segno sulle braccia e sulle gambe, su cui era certo si stessero già formando i lividi.

«La tua fortuna è finita» ringhiò Rufus.

In appena trenta secondi, Godwyn arretrò fino al bordo del campo per duelli, e affondò nella neve con il tallone dello stivale. Scivolò e cadde a terra di schiena, perdendo la spada; rotolò di lato e si issò sulle ginocchia, innalzando lo scudo nel tentativo di guadagnare qualche prezioso attimo per rimettersi in piedi, ma Rufus glielo calciò via di mano e gli posò la punta della propria lama sulla gola.

«E questo conclude il duello» disse Maestro Igor comunicando poi agli apprendisti la seconda coppia di sfidanti, ma Godwyn lo sentì a malapena.

«Credevi davvero di battermi?» Rufus espirò in fretta dal naso in un atteggiamento derisorio e arrogante, il suo viso dai lineamenti alteri si rifletteva nel medio della sua lama. «Tu sei patetico, debole, indegno. Sei soltanto un vigliacco, una disgrazia e un disonore per questa... Gilda.» Gli diede le spalle e s'incamminò verso gli altri apprendisti.

Godwyn si morse la lingua fino a sentire il sapore del sangue; Rufus non aveva affatto torto. Per quanto si impegnasse, per quanto studiasse e si allenasse senza sosta per diventare un grande Custode e partire all'avventura, non era mai abbastanza. Godwyn era debole e non sarebbe mai stato all'altezza di Alfred Lamalesta, una parte di lui riteneva di non meritare nemmeno di fregiarsi del titolo di apprendista.

Tuttavia, era stanco di essere trattato in quel modo, di essere umiliato e bistrattato, di sentirsi misero e insignificante ogni santo giorno della sua esistenza soltanto perché era un Uruls. Una rabbia folle e bestiale emerse dalle viscere del ragazzino, rabbia contro sé stesso, ma soprattutto contro Rufus e la dolorosa verità non richiesta che gli aveva sputato addosso, contro la sua condotta odiosa e superba e contro il suo odio ingiustificato che era stato costretto a sopportare; e quella volta, invece di comprimerla e respingerla, decise di abbracciarla e lasciare che fluisse nelle sue vene.

Godwyn si tirò su digrignando i denti, tastando il terreno alla ricerca della propria spada. Non si accorse che quella fluttuava alle sue spalle, e che l'intera rastrelliera vicino all'ingresso della fortezza levitava al richiamo della sua volontà. Rinunciò all'arma, che pensò essere sotto la neve da qualche parte, stimando che sarebbe stato più soddisfacente tirare un pugno su quel viso borioso tanto perfetto e restituirgli parte del dolore che aveva subito nei mesi. Marciò verso Rufus, che si voltò per fronteggiarlo e sgranò gli occhi.

«Tu sei solo un infimo, spocchioso, arrogante idiota!»

«Godwyn, che stai facendo?» lo ammonì Igor, a malapena visibile oltre le lacrime.

«E io non ho più intenzione di sopportare le tue insulse offese e la tua irritante superbia!» strillò, tagliando l'aria gelida con un movimento del braccio.

La lama che era dietro di lui schizzò a un soffio dal suo orecchio, scindendo l'etere con un inaspettato boato, e volò in simultanea con qualsiasi cosa non fosse ancorata al suolo. L'esercito inanimato converse sulla figura di Rufus a velocità sbalorditiva.

Per un brevissimo istante, nel realizzare che il suo dono si era finalmente manifestato, Godwyn fu felice... poi arrivò il dolore. Si osservò le mani, ricoperte di un'aliena aura biancastra, che tremavano senza controllo e le vene ingrossate che palpitavano di energia. Soffocò un gemito mentre tentava di muovere le dita, di riottenere il controllo del proprio corpo impazzito, senza successo. Gli sembrò di congelare e andare a fuoco allo stesso tempo.

«Rufus!» urlò Billy, sfidando i proiettili vaganti nel tentativo di raggiungerlo.

Il rampollo alzò lo scudo, respingendo le spade da allenamento smussate che furono sbalzate indietro. Una di quelle affilate, però, trapassò il legno e gli aprì un taglio profondo sullo zigomo destro. Rufus lasciò cadere lo scudo e rotolò sulla neve, evitando per un soffio la rastrelliera che si conficcò a terra proprio nel punto in cui era stato un attimo prima. La moltitudine di oggetti ritornò alla carica.

Maestro Igor scosse Arold, pietrificato dal terrore. «Va' a chiamare Fraxinus, corri!»

E l'apprendista scattò dentro il castello.

«Godwyn, calmati!» gli urlò, camminando con lentezza nella sua direzione con i palmi sollevati.

«Non riesco a controllarlo!» strepitò, singhiozzando. Il suo corpo fu percorso da una scarica di magia, che crepò il terreno attorno ai suoi piedi ramificandosi in fenditure azzurrine. La tenue brezza che aveva accarezzato le cime degli abeti si elevò a tempesta, con aliti di vento che frustavano, aggredivano e squarciavano; tanto violenti che la Foresta d'Alabastro parve inchinarsi, se non spezzarsi, davanti a una furia del genere.

Godwyn crollò in ginocchio, con un urlo di dolore incastrato in gola che, aggrappato con gli artigli alle corde vocali, rigettava l'idea di uscire. Le sue braccia spalancate, fin troppo dritte, fremevano di potere e le vene rigonfie ardevano di una glaciale luce bianca che incenerì le maniche della sua camicia.

La vista appannata a stento gli permise di scorgere Kalika, frapposta tra un imbambolato e sconvolto Rufus e l'esercito, con fiamme cremisi attorcigliate agli arti che, dalle sue mani, sbocciarono in un'esplosione infuocata. La maggior parte degli oggetti, compresi barili e manichini di fieno per il tiro con l'arco, fu carbonizzata all'istante. Tuttavia, le spade e le rastrelliere sopravvissero al calore e, ancora incandescenti, puntarono i due apprendisti.

Rufus sembrò ridestarsi e trascinò di forza Kalika via dalla traiettoria, ruzzolando insieme a lei nella neve. Quando le armi virarono di nuovo per travolgerli, la sovrastò con il proprio corpo per farle da scudo.

All'improvviso, un muro di ghiaccio si erse dal terreno innevato, intrappolando gli oggetti fuori controllo. Questi sfrigolarono e sciolsero in parte la barriera, per poi immobilizzarsi.

Maestro Fraxinus raggiunse Godwyn in scivolata, prendendolo tra le braccia appena prima che stramazzasse, esausto e sofferente, al suolo.

Gli poggiò una mano sul viso, aprendogli di poco le palpebre pesanti. «Sono qui. Riesci a sentirmi?»

«Le mie braccia» mormorò il ragazzino, stringendo i denti.

Fraxinus le sfiorò appena, ma ciascuna fibra del corpo di Godwyn si strusse e sussultò.

«Mio Drago...» sussurrò lo stregone, paura e sgomento vorticavano negli occhi bordeaux.

«Santo Stigo!» gridò Igor, correndo al suo fianco. «Dobbiamo-»

Ma Godwyn non fu in grado di udire il resto della frase poiché la sua coscienza scivolò nei recessi della sua mente e l'oscurità lo investì.

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