Capitolo 3- Alle porte del domani...
Godwyn si trascinava a stento per i bassifondi di Marvìa, con i liquami che gli ballavano negli stivali e le gambe stremate dagli eventi di quel giorno. Se non avesse avuto sotto gli occhi la prova che non poteva essere passato tanto tempo, dato che il sole non era ancora tramontato, avrebbe giurato che stessero camminando da secoli. Il paesaggio attorno a lui, per quanto si allontanassero dalla casa in cui avevano rischiato di morire, pareva sempre lo stesso: edifici in rovina, cantine e palazzine di mattoni grigi... in questo preciso ordine che si ripeteva in perpetuo. In passato Godwyn aveva carezzato l'idea di diventare un Custode pioniere, d'altronde esplorare parti di Phoel ignote e riportarle su carta affinché altri ne potessero godere gli era sempre sembrato un compito affascinante, ma quel giorno rivalutò seriamente le sue aspirazioni.
Dopo un po', iniziò a sorgergli il sospetto che stessero girando in tondo, e che la ragazzina non fosse una guida così capace come aveva lasciato intendere.
«Tu non sei di qui, vero?» gli chiese a un tratto, distogliendolo dai dubbi. Non si voltò, ma continuò ad avanzare con lo sguardo fisso sulla fine della strada.
«No, vengo dal Nord, da Castel Neve.»
La ragazzina si fermò, degnandosi finalmente di guardarlo in faccia. «Che sei, una specie di nobile?»
«Macché! Sono un apprendista Custode.»
Lei lo squadrò per bene e poi scosse la testa. «Sì, certo, e io sono la Regina degli elfi.» Lo liquidò sventolando la mano e riprese a camminare. «Raccontala a qualcun altro.»
«Guarda che è la verità!» insistette. Fece per slacciarsi il mantello e mostrargli lo stemma della Gilda della Fenice, ma realizzò di non averlo più addosso. Chissà quando, doveva averlo perso, ma si ricordò di aver recuperato la pietra glifica e la porse alla sconosciuta.
Lei non accennò a raccoglierla, anzi assottigliò le palpebre e lo fissò come si fissava un vecchietto delirante intento a sproloquiare sui tempi andati. «Non vedo come un sasso sporco di cacca dovrebbe dimostrare alcunché.»
Godwyn si pulì la piccola pietra sull'unica parte ancora bianca della sua camicia, ovvero la spalla destra, e non fece neanche in tempo a stendere di nuovo il braccio che la ragazzina la prese e la osservò come se non avesse mai visto niente di più bello. L'istante successivo, però, l'espressione di genuina meraviglia scomparve e lei gli rilanciò la pietra luccicante in mano con noncuranza.
Tossì prima di parlare e si sistemò il cappuccio per coprire le guance arrossite. «Supponiamo che ti creda... che ci fa un apprendista Custode del Nord nella capitale di Phoel?»
«Sono qui con il mio Maestro per cercare Fraxinus Zokero!»
I muscoli dell'estranea si irrigidirono all'unisono quando Godwyn pronunciò quel nome, ma lui non se ne accorse e continuò a parlare.
«Poi però un'Alasporca mi ha rubato la pietra glifica, l'ho inseguita per riprenderla e sono capitato nei bassifondi e poi-»
L'elfa lo prese per il colletto della camicia e lo sbatté contro il muro alle sue spalle. Da sotto la cappa, tirò fuori un'arma che era la via di mezzo tra un pugnale e una spada e gliela poggiò alla gola.
«Chi ti ha detto di Fraxinus, eh?» ringhiò, passando il pollice dall'elsa della lama nera alla base della stessa, premendola sul collo del ragazzino con più forza.
«Il mio Ma-Maestro!» balbettò. Le afferrò l'avambraccio tentando di allontanare l'arma da sé ma, anche se la ragazzina appariva più gracile di lui, si stava rivelando molto più forte.
«E chi sarebbe questo Maestro, una spia di Edward?» lo incalzò. «Uno di quelli che vorrebbero vedere tutti i figli delle bestie di Marvìa giustiziati in piazza?»
«No!» gridò l'apprendista, spingendosi via di dosso la sconosciuta con difficoltà. «Maestro Igor è un uomo giusto e onesto!»
«Igor?» mormorò. L'espressione le si rilassò di colpo e così la sua presa sulla daga. «Il Custode guerriero che brandisce Giglio Bianco?»
«Proprio lui!» sibilò, aggrottando le sopracciglia, ma poi le distese. «Tu lo conosci?»
«Non personalmente!» squittì, portando le mani al volto e rischiando di ferirsi da sola. «Ma Fraxinus mi ha raccontato così tanto su di lui! Sapevi che insieme hanno scoperto innumerevoli territori e addirittura ucciso un dragone?»
«Una viverna» la corresse, riuscendo a malapena a comprendere il fiume di parole che zampillava dalle sue labbra.
«E io che ho detto?»
«Guarda che dragoni e viverne... non cercare di sviare il discorso!» replicò, indicando il muro contro cui l'aveva strattonato. «Mi hai aggredito!»
Lei si piazzò le mani sui fianchi, squadrandolo accigliata. «Ti ho a malapena sfiorato, non fare il melodrammatico.»
«Mi hai puntato una lama alla carotide!»
«Perché pensavo che stessi comunque mentendo, però solo un vero apprendista-» Si zittì all'improvviso, corrugando la fronte.
«E ora cosa ti-»
Gli tappò la bocca con la mano, costringendolo ad abbassarsi e trascinandolo verso la fine della strada. Godwyn provò a bofonchiare qualcosa ma, alla vista di alcune guardie armate che pattugliavano la Via Antica, da cui si diramava quella in cui si trovavano, si ammutolì e tese le orecchie.
«Maledizione!» latrò la più alta, una donna, sferragliando mentre picchiettava il piede sui sampietrini. «Quel Custode ci ha seminati!»
«Rilassati, tanto sappiamo dove sta andando, lo ritroveremo.» La profonda voce maschile dell'altra guardia riverberò contro la visiera di metallo del suo elmo, rendendo difficile capire cosa stesse dicendo.
«Hai ragione» concordò la collega, espirando. «Che cosa ci vada a fare un Custode in mezzo alla feccia proprio non lo capisco.»
«Che ti frega? Il Principe Edward ci ha ordinato di sorvegliare i nuovi arrivati a Marvìa, non di giudicare con chi se la spassano.»
I due ragazzini, che stavano sbirciando da dietro l'angolo, si spalmarono contro la parete dell'edificio più vicino. I soldati passarono loro davanti senza notarli... e Godwyn non faticava a crederlo dato che con quei secchi di latta che spacciavano per elmi persino un Occhiofino non sarebbe stato in grado di vederli.
«Ma chi le ha progettate quelle armature?» sussurrò, storcendo la bocca.
Si beccò un pugno.
«Quelli parlano del tuo Maestro, che stiamo cercando, e tu ti preoccupi di come sono vestiti?»
«Non è che ci abbiano fornito delle informazioni molto utili!»
La ragazzina sbuffò. «Non riusciresti a passare per marviese nemmeno se fossi l'ultimo rimasto in città. Vieni.»
«E dove?»
«Ad Asclor, ovviamente! È il quartiere dove il Principe Edward ha confinato tutti i figli delle bestie.» Sgattaiolò nella Via Antica sfruttando l'ombra di una libreria, la stessa che Godwyn aveva adocchiato quella mattina, allungata dalla luce melliflua del tramonto.
Si intrufolarono attraverso le sbarre di un cancello in ferro battuto e sbucarono in un grande viale variopinto in cui passeggiava una manciata di figli delle Bestie, immersa in un quartiere che esponeva le conquiste architettoniche e le innovazioni scientifiche che le loro razze avevano sviluppato nei secoli. Godwyn si sarebbe fermato ad ammirare una meraviglia urbana e culturale del genere, ma temeva un altro cazzotto e si impegnò a non rallentare la marcia.
La ragazzina si tolse il cappuccio solo allora e si pettinò le penne dorate sul viso, ora visibili, con le dita. «Sei davvero un Uruls? O cercavi solo di salvarti la pelle?»
Godwyn si rabbuiò. «Lo sono.»
«Allora non saresti mai dovuto venire a Marvìa.»
«L'esecuzione di stamattina-» Abbassò lo sguardo per un istante e rischiò di scontrarsi con una vecchia elfa dal volto coperto di scaglie che si affrettava con la spesa del giorno; la evitò a stento. «Non era la prima, vero?»
L'Ishk scosse il capo, d'improvviso serissima. «E non sarà l'ultima. Edward è determinato a sterminarci uno a uno.»
«Perché ce l'ha tanto con noi?» Non si aspettava una vera risposta a quella domanda, ma lei gli diede la sua.
«Io penso ci tema... o invidi. Magari entrambe le cose. Qualunque figlio possiede il dono della magia, un potere virtualmente senza limiti... ma gli Umani?»
«Senza pietre glifiche non sono in grado di usare nemmeno la più basilare forma di magia.»
Cambiarono strada, finendo in una parte decisamente più tranquilla, forse una zona residenziale a bassa densità. Molte delle baite in legname con il tetto di foglie erano mangiucchiate dai tarli, le casette di bambù degli stregoni erano storte e spezzate. Qualcuna di entrambi i tipi era stata ridotta in cenere.
«Fraxinus crede che Edward sia terrorizzato all'idea di una ribellione. Re Ludwen, cent'anni fa, ci ha sconfitti perché eravamo divisi.» Storse il nasino all'insù nel pronunciare il nome del monarca. «Ma ora non siamo più Ishkra, Leisha, Uruls e Dural, siamo "figli delle bestie". Se ci radunassimo sotto un'unica bandiera, con in mente un obiettivo comune di libertà, saremmo una forza impossibile da fermare.»
«Se è questo il caso, non è stata una buona mossa relegare i figli nello stesso quartiere.»
«Invece è stata la mossa migliore che potesse compiere. Nonostante il nemico che ci unisce, i nostri popoli si odiano oggi come un secolo fa, come se la Conquista non ci fosse mai stata, gli Umani non rappresentassero una minaccia e avessimo ancora una patria da difendere. E se non ci ammazziamo a vicenda, se ne occupa lui con esecuzioni mirate a strozzare il morale di chi promuove la collaborazione. Il giovane Ishk di oggi ne è l'esempio, sua madre aveva aiutato un paio di Dural a scappare, la settimana scorsa.» Quando parlò di nuovo, la sua voce era diventata un ringhio. «Se mi fossero concessi cinque minuti da sola in una stanza con Edward i nostri problemi sparirebbero, fidati di me.»
Godwyn ridacchiò. «Ti ho vista mettere al tappeto tre uomini adulti, non dubito che tu possa incenerire un ragazzo.»
«Kalika!» la chiamò una Leis da dietro un banchetto sgangherato che vendeva fiori, l'unico sprazzo di vita di quella parte solitaria di Asclor. «Questa è la prima volta che porti un amichetto nel quartiere. Come vi siete conosciuti?»
«L'ho salvato dai dei banditi nei bassifondi.»
Quella non era decisamente la risposta che la fata si aspettava e, dopo un primo momento di shock, montò su un'espressione furiosa. «Quante volte ti dovrò ripetere di non andare nei bassifondi? Quello è un tugurio pieno di persone violente e malvagie!»
«Già, un fantastico tugurio pieno di persone violente e malvagie che posso divertirmi a bruciare!» Le scoccò un sorrisetto divertito.
«Non dire che non ti avevo avvertito quando, uno di questi giorni, sarai tu a rimanere scottata!»
«Nei tuoi sogni, Liasa!» le gridò, poiché ormai erano piuttosto lontani dalla bancarella. In seguito, si rivolse a Godwyn: «Siamo quasi arrivati, basta camminare lungo le mura» spiegò, indicando un'abitazione poco distante.
«Arrivati dove?»
«Da Fraxinus.» Bussò alla porta d'ingresso d'ebano, attendendo.
«Perché siamo venuti qui?»
«Perché se c'è qualcuno informato su tutto ciò che succede ad Asclor, quello è Fraxinus. È la migliore chance che hai di ritrovare il tuo Maestro.»
«Non credo sia in casa.» Godwyn indietreggiò, adocchiando un balconcino ricoperto di fiori vicino a una finestra chiusa e buia.
«E con ciò?»
«Non vorrai scassinare la serratura?!»
«No» rispose, scuotendo la testa con un'espressione offesa. «Io qui ci abito.» Infilò il braccio fino al gomito in un vaso di erica sul piccolo portico; quando lo estrasse stringeva una chiave.
La inserì nella toppa e spinse la porta, simulando un inchino incerto per fare accomodare Godwyn. Lui procedette a tentoni nell'oscurità, finendo a sbattere contro lo spigolo di qualcosa.
«Ah, giusto. Colpa mia.»
Le candele del lampadario in ferro nero sopra di loro si accesero tutte nello stesso istante, illuminando un piccolo ma delizioso salottino ricolmo di cianfrusaglie apparentemente inutili. C'erano gingilli davvero dappertutto, ricoprivano il basso tavolino al centro della stanza con cui si era scontrato, le mensole sopra i divanetti accostati alle pareti, invadevano persino il corrimano della scala nella parte sinistra dell'ambiente e la libreria ricavata nel sottoscala.
Godwyn diede finalmente ascolto alle gambe e avanzò verso la cucina, oltre il salotto, dove si lasciò cadere su una delle sedie di legno scuro attorno alla tavola dello stesso colore.
La porta d'ingresso fu spalancata senza preavviso da Maestro Igor e l'apprendista sobbalzò e ruzzolò a terra. Kalika quasi si strozzò con un sorso d'acqua.
«Godwyn!» Maestro Igor lo prese per il polso e lo tirò su di peso, prendendogli il viso tra le mani. «Sei sano e salvo!»
«Grazie al Drago!» esclamò quello che il ragazzino ipotizzò essere Fraxinus.
Rimase un po' deluso nel constatare che il famoso stregone di cui i suoi insegnanti gli avevano parlato tanto avesse un aspetto così... ordinario. Se si escludevano i lucenti occhi bordeaux, era del tutto anonimo. Aveva un'altezza nella media, un viso ovale dai lineamenti definiti uguale a tanti altri, un noioso naso dritto e una bionda capigliatura mossa che arrivava alle spalle, fin troppo simile a quelle che aveva visto in testa ad almeno una decina di marviesi.
«Sono quasi morto dalla preoccupazione» confessò il Maestro.
E quindi Godwyn si ritrovò a raccontare la sua rocambolesca avventura.
«Sei stato un irresponsabile! Come hai potuto pensare che una stupida pietra glifica valesse il rischio che hai corso?!» Igor gli puntò contro l'indice, pronto a snocciolare una ramanzina interminabile, ma poi stritolò l'allievo in un abbraccio. «La prossima volta che accade qualcosa, vieni da me piuttosto che cercare di risolvere tutto da solo.»
«Credetemi, Maestro, lo farò.»
«E sei riuscito ad arrivare fin qui senza aiuto?» chiese Fraxinus.
Kalika tossì sonoramente, e non per l'acqua che le era andata di traverso. Uno Squamabaffo verdognolo le passò tra i piedi, saltò su uno dei divanetti bianchi e si stiracchiò allargando il pelo spugnoso e circolare attorno al collo.
«Immersa nella penombra quasi non mi ero accorto che fossi qui! Hai portato tu Godwyn ad Asclor?»
«Sì, lei mi ha-»
«Salvato le chiappe, oltre ad aver sconfitto tre briganti. Tranquilli, non c'è bisogno di ringraziarmi.» Scrollò le spalle, strofinandosi le unghie sulla manica del farsetto arancione.
Igor oltrepassò Godwyn, stagliandosi di fronte alla ragazzina che parve rimpicciolire fino alle dimensioni di un'Alasporca scolorita. «Ti sono molto grato» disse, inginocchiandosi per raggiungere la sua altezza. «Senza di te soltanto gli Dei sanno che ne sarebbe stato del mio allievo.»
Le penne di Kalika si rizzarono e ciascuna traccia di arroganza sparì dalla sua voce. «Maestro, io... voi... non occorre ringraziarmi per così poco.»
«Stai arrossendo?» domandò Godwyn, abbozzando un sorrisetto. Anche se "arrossire" non sarebbe stato il termine giusto, dato che nelle guance olivastre affluì il sangue azzurro.
Lo sguardo da predatrice dell'Ishk si catapultò su di lui. «Scegli con cura le tue prossime parole, perché saranno le ultime.»
«Su, ragazzi, capisco che in presenza del grande Igor di Castel Neve gli animi s'infiammino-»
L'uomo si pizzicò il ponte del grosso naso squadrato. «Fraxinus, ora ricomincerai ad annunciarmi ogni volta che entro in una stanza come facevi quand'eravamo giovani?»
«Potrei» affermò enigmatico, sprofondando nel divanetto bianco più vicino al tavolo d'ebano. Lo Squamabaffo gli saltò in grembo, strusciandosi contro la lunga tunica nera che l'Uruls aveva indosso.
«A proposito della Gilda...» Igor indicò gli amuleti, gli arazzi tessuti a mano, i tomi di storia, le boccette dai liquidi strani e le statuette raffiguranti eroi e miti del passato sparsi in maniera disordinata per il salotto. «Se ti presenti con questa robaccia, Gregory organizzerà un bel falò di benvenuto e getterà tutto in pasto alle fiamme, te compreso.»
«La mia inestimabile collezione mi segue ovunque io vada, fine della discussione.» La bestiola gli poggiò una zampa sul petto, richiamando la sua attenzione. «E Arlun anche.»
«Arlun? Non ti sei neppure impegnato a scegliergli un nome, hai solo tradotto Squamabaffo in lingua Uru.»
«Presentarsi?» chiese Kalika. «E dove?»
«Quindi Fraxinus ha accettato?» disse Godwyn.
«Cosa?» insistette l'elfa. «Di che stanno parlando?»
L'indole giocosa e solare dello stregone aveva abbandonato il suo volto asciutto. «Diventerò il prossimo Incantatore di Castel Neve.»
«Cioè?»
«Dato che gli Umani non possono usare la magia, a ogni Gilda serve un figlio delle bestie per accedere all'altare dei Custodi al fine di incantare pietre glifiche, mantelli, armi e occuparsi di ciò che riguarda, per l'appunto, la magia. Io che ho il dono della trasmutazione e sono in grado di fare tutte queste cose anche senza altare, sono il più adatto a succedere al precedente Incantatore, quindi ho accettato l'incarico.»
Kalika mosse un passo indietro quasi fosse stata spinta da una forza invisibile. «E quelli che contano su di te qui a Marvìa? Hai intenzione di lasciarli in balia di Edward?»
«Archibald, Liasa e Mer hanno già acconsentito di prendere il mio posto in qualunque momento da quando Edward mi ha minacciato pubblicamente. I figli delle bestie stanno fuggendo, presto non ci sarà più nessuno che abbia bisogno di me.»
«Sì, che ci sarà! Io non me ne scappo dalla città con la coda tra le gambe, io resterò a lottare come avevamo deciso.»
«Tu e quale esercito?»
Kalika strinse i denti e Fraxinus continuò.
«Abbiamo perso la guerra prima ancora dello scoppio della prima battaglia.»
«E perciò te ne vai e basta, senza nemmeno avvisarmi?» Il tono impertinente dell'elfa scemò d'intensità e suonò fragile e prossimo alla rottura.
Fraxinus si sporse in avanti. «Ma che ti salta in mente? Io vorrei che tu-»
«Non ha importanza» sibilò lei, interrompendolo. Si alzò il cappuccio e le penne scomparvero, la carnagione si schiarì e gli occhi e i capelli cambiarono colore. «Sono stata un'ingenua a credere che almeno tu saresti rimasto.»
Superò Igor e scappò fuori, sbattendosi la porta alle spalle. Arlun balzò attraverso la finestra aperta per andarle dietro.
Fraxinus scattò in piedi e si fermò sull'uscio, gridando: «Kalika, aspetta!»
Ma la ragazzina era già scomparsa nella notte.
Kalika corse a perdifiato nei vicoli bui di Asclor, il vento fresco della sera che gonfiava il cappuccio del suo mantello e il fodero della daga di famiglia sul suo fianco che tintinnava nel silenzio. Le lacrime le scivolavano copiose sul viso e sparivano tra le sue piume scarmigliate come gocce di pioggia tra le fronde di un albero.
Era stata una stupida a pensare che quella volta sarebbe stata differente dalle altre, che Fraxinus le sarebbe stato accanto per sempre. Eppure, a quel punto avrebbe dovuto sapere che nessuno tollerava la sua compagnia troppo a lungo. Invece si era illusa di aver trovato un posto a cui appartenere e a cui tornare, aveva abbassato la guardia e permesso a qualcuno di avvicinarsi... e adesso si trovava di nuovo sola.
I piedi la portarono, senza che volesse, nella sua vecchia casa, ora ridotta a un pugno di cenere e polvere. Si sedette tra i resti del cottage dove una volta aveva vissuto con i suoi genitori e carezzò il suolo bruciato sperando di trarne calore e conforto; erano quelli gli unici, vaghi ricordi che aveva della prima infanzia: sensazioni. Era stata appena capace di reggere Skal, la daga di famiglia, invece delle spade di legno, quando sua madre e suo padre furono bruciati vivi in piazza, la loro dimora ridotta in cenere, e lei affidata all'orfanotrofio della dea Nima, divinità della vita, della pace e della famiglia.
Sospirando, afferrò Skal e se la poggiò in grembo. Aveva dimenticato da tempo i volti dei suoi genitori tuttavia, quando aveva la sua fedele arma in mano, le sembrava quasi di riuscire a scorgere i capelli cinerei di suo padre, e il piumaggio dorato e la chioma infuocata di sua madre riflessi nel medio della lama; allungò le dita per tirarli fuori dall'eco metallico, ma queste si scontrarono con il freddo e duro acciaio, riportandola alla realtà. Quindi sfiorò le incisioni in Ishkra, leggendole sottovoce.
«Keskal akur.» Un detto elfico che i nobili Keskal avevano adottato come motto. Quasi comprendendo il suo stato emotivo, Arlun, che l'aveva seguita, si acciambellò sulla punta del suo stivale e avvolse la lunga coda attorno alla sua caviglia.
«Dalla cenere, l'inizio» tradusse Igor, sedendosi su ciò che rimaneva del patio, poco più in là sulla sinistra.
In un primo momento Kalika trasalì, ma poi rilassò le spalle e tornò a guardare l'iscrizione. «"Àkur" significa "inizio", ma anche "fine" se letto "akùr"» specificò, osservando di sfuggita il Custode con la coda dell'occhio. «La mia famiglia è sempre stata molto devota al culto della Fenice. La leggenda racconta che abbia dato alla luce la nostra razza e che alla nostra morte ritorneremo a Lei. Mi è sempre sembrata un'assurdità, ma tutti gli Ishkra ci credono così ciecamente che deve essere vero.»
«Chissà, forse sì, forse no. A noi poveri mortali non è dato sapere, persino i più grandi pensatori e filosofi tra i Custodi cultori e i saggi Uruls non sono riusciti a giungere a una conclusione.» Igor stese la schiena poggiandosi ai palmi e socchiuse gli occhi per godersi la brezza. Nonostante la stazza, i muscoli guizzanti e il volto burbero e squadrato, appariva delicato, quasi fragile, con il chiarore della luna che accentuava i capelli, la barba grigia e i segni biancastri delle cicatrici. «Quella daga era di tua madre?» chiese, distraendola dai propri pensieri. «Ha l'aria arcaica.»
«È un cimelio di famiglia dalla parte di mio padre» disse, impugnandola. «I miei antenati la usarono per difendere il Dominio Ishkra nelle guerre tra figli delle bestie e poi contro Re Ludwen durante la Conquista...»
«Il Nord fu l'ultima regione a cadere, i tuoi avi devono essere stati combattenti eccezionali.»
«Non abbastanza eccezionali, secondo la Storia.» Si voltò verso di lui. «Voi sapevate che era antica, da cosa lo avete capito?»
Igor la indicò. «Di daghe del genere non se ne producono dal crollo del Dominio. Sono il perfetto connubio tra leggerezza e affilatura se si conosce e si padroneggia lo stile elfico, ma per le persone comuni sono troppo lunghe per essere sfruttare come pugnali e non abbastanza per essere utilizzate come spade.» Si poggiò con i gomiti sulle ginocchia, strofinando le mani per pulirle dalla polvere. «Ne abbiamo qualcuna alla Gilda, ma sono sulle pareti ad arrugginire.»
«Beh, ora potrete appenderci pure Fraxinus. Invece di ribellarsi al governo dispotico di Edward, raccoglierà erbe per i boschi innevati.» La frase le uscì con più amarezza di quanta ne avrebbe voluta mostrare e si pentì di aver sfogato la propria rabbia sul Maestro. «Scusatemi, non volevo essere scortese.»
«Accetto le tue scuse.»
Passò qualche silenzioso momento.
«È stato lui a dirvi dove trovarmi, non è così?»
«Già, ma sono venuto di mia spontanea volontà.»
«E perché?» Kalika inclinò la testa e Arlun con lei.
«Per chiederti di unirti a noi.»
«Ai Custodi?» Si mise in piedi all'istante, muovendo un passo verso Igor mentre lo Squamabaffo le passava tra le gambe. Era da anni che Kalika sognava di lasciare Marvìa per partire alla volta di un'avventura senza fine, cavalcando il confine tra mito e realtà e sperimentando la quinta essenza della libertà in qualità di Custode. Le bastava chiudere gli occhi per immaginarsi a combattere contro creature mostruose, a esplorare terre lontane, ad addentrarsi in templi e antiche rovine per comprendere le civiltà scomparse e dimenticate.
«Siamo sempre disposti a prendere nuovi apprendisti, e poi questa città è fin troppo pericolosa per una giovane figlia delle bestie.»
Kalika sbuffò indignata di fronte alla pietà di Igor. «Ho tredici anni, sono capace di cavarmela benissimo da sola e non ho bisogno di protezione da parte di nessuno.»
Il Maestro annuì, alzandosi facendo perno sulle ginocchia. «Sono sicuro che tu sia in grado di sopravvivere per conto tuo, ma non mi pare che tu abbia mai avuto voce in capitolo. Questa vita sul filo di un rasoio ti è stata imposta da altri.» Si accovacciò e le strinse una spalla, comunicandole fiducia e sicurezza tramite i pimpanti occhi azzurri. «Ciò che voglio offrirti non è frutto della compassione, ma della stima che provo per il tuo gesto altruista e coraggioso. Ti meriti di scegliere il tuo destino.»
Per appena una frazione di secondo, fu tentata di accettare senza neanche pensarci due volte. Non era un'ingenua: era consapevole che restare a Marvìa era paragonabile a segnare la propria condanna, e fantasticava da sempre di unirsi all'Ordine dei Custodi per diventare una Custode guerriera e onorare i suoi antenati combattendo; ma nonostante fosse ciò che più desiderava al mondo, per una ragazzina che non aveva mai oltrepassato i confini della capitale e per la quale le alte mura di cinta delimitavano il mondo conosciuto, anche solo immaginare di andarsene dal luogo dov'era nata le sembrava folle e impossibile.
Indietreggiò, e Igor portò la mano sulla propria coscia.
«Non credo sarei molto gradita né a Godwyn, né a Fraxinus.»
Kalika era consapevole di avere un caratteraccio indomabile e l'impertinenza nel sangue, orribili peculiarità che l'avevano spedita dentro e fuori dall'orfanotrofio della dea Nima finché Edward non aveva proibito di accogliere i figli delle bestie. La gente aveva una pazienza modesta e lei un talento incredibile nell'azzerarla.
«Sciocchezze!» ribatté il Maestro, sorridendole. «Godwyn farà meglio a esserti riconoscente per averlo condotto in salvo e, se ti fossi trattenuta qualche secondo in più, Fraxinus ti avrebbe proposto di seguirlo a Castel Neve.»
«Davvero?»
«Certo che sì» esclamò l'Uruls, alle sue spalle. Arlun corse da lui, sbattendo contento la coda al suolo. «Hai promesso di essere il mio braccio destro fino alla fine. Hai intenzione di ritirarti proprio ora che le cose si fanno movimentate?»
Kalika sentì le lacrime che si affannavano a uscire, ma le ricacciò indietro sfoggiando un ghigno divertito.
«Ovviamente no! Allora quando si parte?» domandò, rinfoderando con maestria la daga.
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