Capitolo 2- Un incontro voluto dal fato

  Godwyn grattò con l'unghia una delle venature marmoree della statua di Ludwig il Giusto, ripensando a un libro che aveva letto appena qualche giorno prima, acciambellato vicino al fuoco da campo, che raccontava di una Marvìa multietnica, aperta e accogliente. Se per i primi due aggettivi poteva soprassedere, per il terzo...

Sollevò lo sguardo sui gradini della Cattedrale, ancora macchiati di sangue azzurro, che gli Ambasciatori di Stigo stavano lucidando in tutta fretta, quasi sperassero che cancellando le tracce dell'esecuzione, l'avrebbero rimossa anche dalla memoria di chi vi aveva assistito. Godwyn li fissò a lungo, con i pugni serrati e una scintilla di rabbia, che si elevava man mano a incendio, nel suo petto.

Come avevano potuto permettere che una tale iniquità avesse luogo proprio ai piedi del tempio del loro dio, il dio della Giustizia? E proprio di fronte agli occhi calcarei di Ludwig, che aveva dedicato la sua intera esistenza a costruire un'era di pace tra gli Umani e i figli delle Bestie per rimediare alle persecuzioni protratte dal fratello Ludwen!

Godwyn avrebbe voluto urlare, invece sospirò. Aveva creduto che alla Capitale le cose andassero diversamente, che fosse un'oasi di mutua comprensione tra specie... ma si era sbagliato. E se ormai neanche a Marvìa c'era posto per quelli come lui, allora non c'era posto da nessuna parte.

Si poggiò con la schiena alla gamba di Ludwig, chiedendosi cosa avrebbe provato a vedere il lavoro di una vita distrutto dal pronipote.

Un Alasporca spelacchiato, dal piumaggio grigio e acerbo, si arrampicò sulla base di marmo della statua e gli si sedette accanto, dapprima contemplando la Cattedrale con lui, poi odorandogli la tasca dei pantaloni. Godwyn sorrise ed estrasse uno dei biscotti che Maestro Igor gli aveva comprato quella mattina, adagiandolo sulla pietra proprio davanti all'animale.

«Sei affamato, piccolino?»

Il cucciolo afferrò il biscotto con il becco e alzò la testa di scatto, ingoiandolo intero. Gracchiò con soddisfazione e adocchiò di nuovo i calzoni del ragazzino. Questa volta, però, i suoi occhietti neri puntarono la catenina di ferro, alla cui fine c'era la pietra glifica di Godwyn, legata al passante della cintura.

«Ti piacciono gli oggetti luccicanti?»

La slacciò e la mostrò all'Alasporca; questo si issò sulle zampette posteriori e le ali sulla sua schiena, ancora troppo deboli e piccole per permettergli di volare, furono attraversate da un fremito di eccitazione.

«Senza di questa i Custodi Umani non possono usare la magia per interagire con gli artefatti o combattere contro le belve, è tanto bella quanto uti-»

Prima che Godwyn potesse impedirlo, l'Alasporca gli rubò la pietra e planò a terra.

«Ehi! Quella è mia!» gli urlò, saltando giù dalla base della statua.

Tentò di acchiappare la bestiola per la sottile coda rosa, ma la mancò e finì solo per spingerla a filare via con più impegno.

Godwyn la seguì fino al limitare della piazza, ma si fermò all'entrata del vicolo in cui il nano e il Grugnispino che l'avevano quasi investito se l'erano filata. Da lì in poi iniziavano i bassifondi di Marvìa e, se c'era un punto in comune tra i romanzi dei suoi scrittori preferiti, era che quando i personaggi vi entravano, non sempre ne uscivano... almeno non interi.

Molleggiando su e giù sulle ginocchia, considerò le sue opzioni. Se avesse braccato l'animale avrebbe rischiato la pelle; ma caricare a testa bassa la morte gli sembrava comunque un'alternativa migliore che dire a Maestro Igor di essersi fatto soffiare la pietra glifica da un piccolo di Alasporca.

La bestiaccia svoltò un angolo e lui fu costretto a decidere.

«E va bene!» strillò, sfrecciando nel vicolo a denti stretti.

Raggiunse l'incrocio dove era scomparsa l'Alasporca una manciata di secondi dopo, appena in tempo per vederla fuggire in una stradina sulla destra. Le corse dietro, slittando sul fetido fango che si sostituiva ai sampietrini in quella maledetta parte della città. Si lanciò in curva senza rallentare e quasi diede una testata a un'insegna bassa e arrugginita, inchiodata nei muri grigi del palazzo che stava costeggiando; per fortuna ebbe i riflessi pronti e si abbassò un istante prima di colpirla.

Riprese l'inseguimento, che continuò per leghe intere di claustrofobiche viuzze e tornanti in cui entrava a malapena, finché l'Alasporca non si mise nel sacco da sola: imboccò la strada sbagliata e capitò in un vicolo cieco, sbarrato da un'alta recinzione di legno.

Il roditore scattò avanti e indietro, annusando le pareti degli edifici nella speranza di infilarsi in qualche crepa, ma l'unico modo per sfuggire a Godwyn era volare e, purtroppo, non ne era ancora capace.

«Ti... finalmente... Santo Drago» ansimò, reggendosi sulle ginocchia. Aveva dimenticato quanto fosse straziante correre, dato che il suo ultimo allenamento risaliva a più di due mesi addietro, a prima che partisse per Marvìa con Maestro Igor. Non gli era mancato per nulla.

La bestiaccia si voltò a guardarlo, rizzando il pelo e stendendo le ali; strinse la catenella nel becco con più determinazione.

«Pensavo fossimo amici!» la riprese, puntandole contro l'indice. «Ti ho persino dato uno dei biscotti buoni, con le scaglie di azuta!»

L'Alasporca alzò la testolina rotonda e stese le orecchie, e Godwyn giudicò quella reazione come un segno che la sua ramanzina stesse funzionando, quindi tentò di ricordare cosa gli dicesse Maestro Igor in situazioni del genere.

Incrociò le braccia e scosse il capo, lanciandosi nella sua migliore interpretazione del Maestro. «Se tuo padre fosse qui, sarebbe inorridito dal tuo comportamento! Con le tue azioni sconsiderate non solo hai infangato il tuo onore, ma anche quello dell'intera Gilda... o stormo, nel tuo caso.» Si grattò il mento. «Oppure orda? Colonia?»

Il goffo tentativo di risultare autorevole parve funzionare, perché l'Alasporca mollò la catenina e camminò in punta di piedi fino alla porta marcia dell'abitazione alla sinistra di Godwyn, infilandosi nello spazio tra due assi di legno.

Il ragazzino si fiondò a raccogliere la pietra, ricoperta di fango e bava, con un gran sorriso trionfante stampato sul viso tondo. «Chi avrebbe mai immaginato che le paternali di Maestro Igor fossero universali?»

«Con chi stai parlando, moccioso?» gli domandò una rauca voce maschile alle sue spalle.

Godwyn trasalì e si girò di scatto, ritrovandosi tre uomini armati di pugnale che lo squadravano nel modo in cui Billy ammirava gli arrosti di carne. Avevano dei vestiti luridi, con i pantaloni strappati e le camicie macchiate di chissà cosa; uno di loro aveva una grossa cicatrice gonfia sulla guancia destra, il secondo indossava una bandana viola legata al collo che gli copriva parzialmente la bocca, forse nel tentativo di nascondere i denti rotti o mancanti. Il terzo, però, fu quello che agitò Godwyn. Era calvo e il suo il viso era affilato e smunto, quasi spigoloso; ma era lo sguardo a terrorizzare l'apprendista: era impassibile, quasi spento, come fosse uno specchio che rifletteva un abisso scuro e violento. 

«Non sto parlando con nessuno» pigolò, indietreggiando; desiderò improvvisamente di essere anch'egli piccolo come l'Alasporca per potersela dare a gambe.

«Ehi, Jack, guarda cos'ha in mano» sussurrò lo sdentato, dando di gomito al tizio inquietante.

Jack adocchiò la pietra glifica e sussurrò la parola "Custode" in un modo agghiacciante e bramoso, a causa del quale l'apprendista inorridì.

«Conosco un mercante che l'acquisterebbe per un migliaio di minie» lo informò l'altro sgherro.

«Hai un bel gingillo, lì» disse Jack, con un tono che avrebbe voluto essere gentile, ma in realtà risultava viscido. «Mi piacerebbe molto dargli un'occhiata da vicino, me lo presteresti per un attimo?»

Godwyn deglutì e retrocesse ancora, stringendosi la pietra al petto.

«Te la restituisco subito, te lo prometto.»

L'apprendista fece un ulteriore passo indietro e sbatté contro la palizzata di legno che chiudeva la strada.

«Rubaglielo e basta, è un ragazzino!» gli urlò il tipo con la cicatrice.

Godwyn si ficcò la catenella in tasca e sguainò la spada. «No-non vi avvicinate!» strillò, agitandola in aria. «Sono un Uruls, posso incenerirvi con un fulmine!»

«Ma guardalo, crede di farci paura!» ridacchiò lo sdentato.

Jack ghignò. «Accomodati, moccioso. Mostraci che magie sai fare.»

Godwyn chiuse la mano sinistra in un pugno e accostò il gomito alla vita, nello stesso movimento che aveva visto compiere a suo padre Viro almeno un centinaio di volte; poi aprì il palmo e spinse il braccio in avanti... ma non accadde nulla.

«Stiamo aspettando.» Jack faticava a mantenere un'espressione seria, i suoi compari invece si erano lasciati andare e si stavano sbellicando.

Godwyn digrignò i denti. Aveva dodici anni, avrebbe già dovuto domare i fulmini come suo padre! Perché la sua stupida magia era ancora dormiente?

Provò di nuovo, immaginando che tuoni e saette gli attraversassero il corpo, ma non si manifestò uno straccio di scintilla nemmeno quella volta. Tentò, ancora e ancora.

«Va bene, ragazzino, adesso basta. Non è più divertente.» Jack roteò la lama del pugnale e avanzò. «Dammi quella pietra senza fare storie e giuro di lasciarti andare illeso.»

«Sta' lontano!» gridò.

«Questo è l'ultimo avvertimento, moccioso. Consegnaci la-»

Una palla di fuoco colpì Jack, che fu sbalzato all'indietro e cadde di schiena nel fango.

«È davvero uno stregone!» urlò il tipo con la cicatrice.

«Non è stato lui, idiota!» ringhiò lo sdentato, afferrando il compagno per la manica della camicia lurida. «È stata lei!» urlò, indicando qualcuno alle spalle di Godwyn.

L'apprendista si voltò e trovò una ragazzina all'incirca della sua età seduta con le gambe penzoloni sulla palizzata di legno. Non riuscì a scorgerne bene il volto perché era coperto dal cappuccio della sua corta cappa rossa, sui cui orli erano ricamati rami in fiore dorati.

La sua salvatrice saltò giù dalla staccionata e lo affiancò, stagliandosi contro i banditi. Sollevò i palmi verso di loro e due fiamme ruggenti, di un vivido colore scarlatto, vi sbocciarono, travolgendo i due uomini.

L'intensità e il calore delle fiammate furono tali che Godwyn, che ci teneva ai capelli, fu costretto a ritrarsi; il mantello dell'estranea si gonfiò d'aria calda e il cappuccio le si abbassò. L'apprendista assistette meravigliato mentre la sua lunga chioma corvina sbiadiva fino a diventare del colore della cenere, e la pelle pallida delle mani e del viso a cuore si scuriva di svariate tonalità, assumendone una olivastra. Eppure, non fu quella la cosa più sorprendente: sulle guance comparvero delle piume dorate, più piccole e chiare agli angoli della bocca, più lunghe e sinuose più ci si allontanava da essa, che iniziavano appena sotto gli occhi e terminavano sulla mandibola.

«È una empiosangue!» la additò Jack, tossendo. La camicia era ridotta a brandelli fumanti e sul suo petto, in seguito al contatto con il fuoco, si era creata una brutta ustione.

«Karra» sibilò lei, in una lingua che a Godwyn sembrò l'Ishkra, l'elfico. Si coprì nuovamente il viso, cambiando aspetto, ma era troppo tardi.

Le persiane degli innumerevoli palazzi che li circondavano si spalancarono.

«Tornatene ad Asclor!» le urlarono, lanciandole rifiuti addosso.

«Questo non è un posto per quelli come te!»

«Siete una disgrazia per questa città!»

«Avete portato povertà e malattie!»

Alcuni degli uomini si precipitarono in strada armati di piccozze, forconi e asce. La ragazzina imprecò e scandagliò i dintorni; le iridi nocciola, che Godwyn sapeva essere in realtà arancioni, si fissarono sulla porta in cui era fuggita l'Alasporca. Con una vampata la spalancò, afferrò il polso di Godwyn e lo trascinò dentro. 

L'unica fonte di luce di quella stanza erano i rivoli bianchi che filtravano attraverso le mura di legno, che non erano affatto sufficienti per permettere all'apprendista di distinguere alcunché; tuttavia la sconosciuta scorse, in qualche modo, una credenza o forse un armadio e lo spinse a terra per bloccare l'uscio.

«Seguimi!» gli disse mentre correva su per la scala che portava al piano di sopra.

Godwyn le diede ascolto e si affrettò dietro di lei, inciampando sui gradini che non vedeva; dopo l'ennesima caduta decise di gattonare. Alle sue spalle, i marviesi tentavano di abbattere la porta ad asciate e picconate.

«Tre Umani cercano di derubare un ragazzino e nessuno dice nulla» mormorò indispettita l'estranea, tirando via un'asse di legno che sbarrava la finestra sulla parete di fronte; la scaraventò fuori in un impeto di rabbia. «Non sia mai, però, che un figlio delle bestie esca da Asclor! Allora si trasformano tutti in paladini della legge!»

«Ce l'hai con me?» le chiese, dall'ultimo scalino.

«No che non ce l'ho con te!» soffiò, girandosi a guardarlo. «Andiamo.» Mise un piede sul davanzale.

«Ehi, ehi, che hai intenzione di fare?»

«A te che sembra?»

«Sei impazzita? Ti spezzerai l'osso del collo, non puoi saltare!»

«Intendi così?» La ragazzina gli sorrise e si diede lo slancio.

Godwyn si precipitò alla finestra, convinto di trovarla morta; al contrario, non aveva un graffio e lo osservava dalla strada di sotto con una certa impazienza.

«Hai intenzione di mettere radici lassù? Buttati!»

«Non ci penso neanche!»

Lei roteò gli occhi. «Sei al primo piano, non su un maledetto tetto. E qui c'è un bel cumulo di morbido fango ad attenderti.»

Al piano terra, i marviesi smisero di colpire la porta. Godwyn compì l'errore di affacciarsi dalle scale e li vide irrompere nella casa. I peli sul suo corpo si issarono all'unisono e una scossa di terrore gli artigliò i muscoli.

«Eccolo!»

«Prendiamolo.»

Godwyn si diede un paio di schiaffi sulle gambe, con la speranza di non rompersele, e scavalcò il davanzale con gli occhi serrati. Per fortuna, la pila attutì la caduta proprio come aveva detto l'elfa; vi affondò con gli avambracci e le ginocchia, e un fetore micidiale e inaspettato gli avvelenò i pensieri.

«Questo non è fango» gemette, con la gola pietrificata dal puzzo. «Avevi detto che era fango! Questi sono liquami!»

«Ti saresti gettato se non ti avessi mentito?» gli chiese, tirandolo su di peso per il colletto della camicia.

«No!»

«Allora sai perché l'ho fatto.» Lo prese per il polso e lo portò dietro l'angolo.

«Sono fuggiti!» urlò uno dei marviesi, affacciato alla finestra. «Non possono essere lontani!»

«Cerchiamoli!»

Entrambi i ragazzini emisero un sospiro di sollievo.

«Ci è mancato poco» puntualizzò. Si pulì le mani sulla schiena di Godwyn.

«Ehi!»

«Tanto la devi lavare comunque, ora muoviti.»

«Perché? Gli siamo sfuggiti.»

«E con ciò? Non siamo ancora in salvo, non finché non usciamo dai bassifondi.»

«Poveri noi, allora» affermò, girando su sé stesso nel tentativo di stabilire un percorso. Però c'erano solo fango e palazzi grigi a perdita d'occhio. «Questo posto è un labirinto e il sole sta per tramontare.»

La ragazzina gli afferrò la spalla con sicurezza. «Non preoccuparti, conosco la strada, conosco ogni strada di Marvìa.»

E si incamminò senza neanche controllare che l'apprendista la seguisse.

  Maestro Igor imprecò peggio di un nano ubriaco che aveva perso anche le mutande per un round di troppo a Mashez quando, al secondo giro completo di Piazza dei Quattro Dèi, di Godwyn non trovò nemmeno uno schifo di impronta.

«Se si è allontanato per fare il turista...» mugugnò sottovoce, ma non troppo in caso il ragazzo fosse in ascolto. «Gli toccherà spalare cacca di Cornadoro fino a quando non gli saranno cresciuti i baffi!»

Tornò alla statua di Ludwig, l'ultimo punto in cui l'aveva visto, e vi si appoggiò distrattamente, espirando e inspirando con lentezza sforzandosi di placare la rabbia e tornare a pensare con lucidità.

Avrebbe dovuto sapere che in una città come Marvìa non li attendeva nulla di buono. A quell'ora lui e Godwyn avrebbero potuto essere sulla via di ritorno a Castel Neve con Fraxinus al loro fianco se, invece di tergiversare, si fossero sbrigati a portare a termine il loro compito. Proprio quando stava per dirigersi alla Cattedrale, che Godwyn aveva fissato per circa dieci minuti di fila con gli occhi sognanti prima che la situazione nella piazza degenerasse, notò un pezzo di tessuto verde che galleggiava nel fango in una stradina poco lontano dalla statua.

Vi si avvicinò di fretta, con un brutto presentimento che gli agitava lo stomaco, e lo issò da terra con due dita. Una scarica di terrore gli attraversò il cuore quando vide lo stemma della Fenice su quel piccolo mantello, che poteva appartenere solo a Godwyn. C'erano anche delle impronte della misura giusta, piuttosto distanti tra loro, che facevano intendere che l'apprendista avesse corso. Si inoltravano nel vicolo e proseguivano fino a un incrocio, ma poi si mescolavano a quelle di tanti altri passati da lì.

Igor scosse la testa. I bassifondi di Marvìa non erano un luogo per ragazzini, soprattutto se di sangue Uruls. Se fosse successo qualcosa al suo allievo, mentre lui battibeccava come un moccioso, non se lo sarebbe mai perdonato.

«Maestro Custode?»

Igor portò la mano su Giglio Bianco, ma la rilassò lungo il fianco nell'accorgersi che era stato il nobile anziano a parlare.

«Suppongo non abbiate trovato il vostro apprendista» asserì incerto, come se volesse essere corretto. «Ecco, mi sento in dovere di ricambiare la vostra protezione con un'informazione.»

Igor assottigliò lo sguardo, curioso del motivo dietro a tanta segretezza quando, fino a un'oretta prima, l'aveva sentito gridare il dissenso contro il Principe Edward ai quattro venti, tra l'altro senza un accenno di preoccupazione. «Continuate» lo spronò.

«Chi ha bisogno di aiuto e non può riceverlo per mezzi... tradizionali, si reca a Est della Via Antica, nel quartiere dei figli delle bestie, Asclor, e chiede di Sambuco il Cercatore.»

«Sambuco il che?»

Se avesse avuto notizie recenti di Fraxinus, Igor avrebbe chiesto aiuto a lui molto volentieri, invece di rivolgersi a un Uruls da strapazzo amante della teatralità. Purtroppo, il suo amico si era volatilizzato nel nulla all'improvviso poco prima che giungesse in città e, dopo aver assistito all'esecuzione di quella mattina e all'entusiasmo della folla, non lo biasimava affatto.

«Cercatore!» ripeté l'anziano. «È uno stregone che aveva il vizio di interrompere le esecuzioni di Edward, finché il Principe non l'ha minacciato di sterminare ciascun figlio delle bestie dell'intera Marvìa se avesse osato mettergli ancora i bastoni tra le ruote.»

«E l'ultimatum ha funzionato?»

«Ovviamente no, l'ha solo costretto alla discrezione.» Cambiò la mano con cui si stava reggendo al bastone, inclinandosi e abbassando il tono di voce. «Tuttavia, prima di dirigermi da lui, mi leverei quelle guardie impiccione dalle calcagna.» Mosse il capo all'indietro, indicando un paio di soldati che, accortesi di essere stati notati dal Maestro, presero a fissare il cielo con gran interesse.

«Non saranno un problema.» Igor gli strinse il braccio con vigore, da suo pari. «Vi ringrazio per esservi esposto in questo modo per me.»

«Ho vissuto la giovinezza rischiando, non ho intenzione di giocare sul sicuro nella vecchiaia.» Sorrise, drizzando la schiena con fierezza. «Spero che il vostro allievo sia sano e salvo.»

«Lo spero anche io.»

Igor gli diede le spalle e percorse al contrario la Via Antica, assicurandosi di non essere seguito, finché antri e bazar si sostituirono alle pasticcerie e alle librerie. La pietra glifica incastonata nell'elsa della sua spada prese a brillare con più intensità al richiamo della magia, confermandogli di aver imboccato la strada giusta.

La diversità etnica nel quartiere di Asclor era di molto superiore a quella che si riscontrava nel centro della città. Alla destra del Custode si susseguivano armoniose abitazioni in legno intarsiato, tipiche delle fate, accanto a poco illuminati edifici di roccia, rozzi e scarsamente decorati, in cui solo i nani avrebbero potuto muoversi. Persino l'atmosfera era differente, si respirava un senso di unità... il che era tutto dire, data l'architettura traballante.

Si avvicinò a una bancarella di fiori sgangherata, costruita con ceppi non scortecciati e assi di legno che, non ci fosse stata l'edera a tenerli insieme, sarebbero crollati al primo soffio di vento. Una giovane fata stava innaffiando un vasetto sul bancone.

«Credo proprio che voi non siate qui per le mie piante.» Tamburellò le sottili dita di un pallido verde in una ciotola su una cassa lì accanto, dando un po' d'acqua anche ai viticci che le crescevano al posto dei capelli.

«No, sono qui per Sambuco il Cercatore.»

La fata spalancò di poco le iridi castane, poi li abbassò sul germoglio. Ne accarezzò la cima e quello si rizzò e crebbe in altezza, fino a maturare in una delicata erica.

«Venite in amicizia?» domandò, con ancora il capo chinato, squadrandolo con quei suoi occhi affilati.

«Vorrei chiedergli aiuto su una questione urgente.»

«Molto bene» affermò risoluta, strappando il fiore e porgendolo a Igor. «In fondo alla strada c'è una fontana, gettate questo nelle sue acque e Sambuco saprà che siete lì per lui.»

Il Maestro titubò per un attimo. «È davvero così facile trovare questo Uruls?»

«Certo, di questi tempi in molti hanno bisogno di Sambuco.» Si asciugò le mani sul grembiule sporco di terra.

«Non ha paura che alcuni dei richiedenti... attentino alla sua vita?»

La fata ridacchiò. «Di persone così ne arrivano ogni giorno e finora non le ho mai viste tornare.»

«Ah» fece Igor, con un'espressione a metà tra sorpresa e preoccupazione.

«Non eravate di fretta?» La ragazza lo scacciò via con la mano. «Qui c'è gente che lavora.»

«Grazie per il fiore» disse con educazione, concetto che a quanto pareva ai giovani non interessava, e si rimise in marcia.

La fontana, che non distava parecchio dalla bancarella della fata, si trovava nel bel mezzo di uno spiazzo circolare. L'acqua limpida sgorgava dagli occhi di una fanciulla di pietra inginocchiata, il cui piedistallo e la parte finale della sua cappa stavano cedendo alle alghe.

«Che cattivo gusto» borbottò, immergendovi l'erica.

Poi incrociò le braccia e attese, sperando che la messinscena non si protraesse a lungo: era stufo marcio delle stranezze di Marvìa. E proprio mentre lo pensava, il fiore che galleggiava sparì sotto il pelo dell'acqua e dalla fontana spuntò la testolina verdognola e le orecchie piegate di uno Squamabaffo intento a mangiucchiarsi l'erica. L'animale nuotò agilmente fino al bordo grazie alla coda sinuosa che terminava con un paio di pinne e poi sfruttò le quattro agili zampe sottili per scendere i gradini in fretta e posizionarsi ai piedi di Igor... dove vomitò una palla di muschio.

«Maledetta bestiaccia!» gridò il Maestro, scuotendo la gamba per togliersi la poltiglia dalla scarpa.

Lo Squamabaffo lo osservò con innocenza a dispetto dei maliziosi occhietti neri e si strusciò contro l'altro stivale, inzuppandolo. Sbatté un paio di volte la coda a terra e schizzò via in direzione della stradina più vicina, sfidando l'uomo a seguirlo.

«Se ti acchiappo, io-» minacciò sbuffando. Imboccò il vicolo e si ritrovò un pugnale alla gola.

«Fossi in te, non mi preoccuperei dell'animale.» L'aggressore gli strappò il fodero di Giglio Bianco dal fianco, buttandolo poco più in là. «Un'erica... Liasa ti considera una minaccia.»

La prima reazione di un Maestro Custode quale Igor avrebbe dovuto essere l'uso della diplomazia, ma lui era sempre stato una testa calda incline allo scontro, d'altro canto era diventato un Custode guerriero, non un Custode mediatore; quindi tentò con nonchalance di avvicinare la mano al pugnale attaccato alla cintola nascosto dal mantello, distraendo l'assalitore con la voce. «La giovane fata? Mi dispiace averle dato questa impressione.»

L'estraneo se ne stette in silenzio per qualche secondo. «Un Custode della Gilda della Fenice dovrebbe sapere che il Sambuco e l'erica non vanno molto d'accordo.» Lo lasciò andare, togliendosi il cappuccio dal capo e il Maestro rinfoderò il coltello e si voltò ridacchiando.

«E ci credo! Quando le fabbricasti una corona di foglie di sambuco, spacciandola per un innocuo regalo, la pelle della povera Erica si ricoprì di pustole per settimane.»

La risata cristallina dell'Uruls sembrò illuminare i dintorni, ormai in penombra a causa del sole in procinto di tramontare. «Mia sorella aveva bisogno di una lezione e, se non ricordo male, fu tua l'idea. Sei tanto colpevole quanto me!»

Igor e Fraxinus si strinsero il braccio con entusiasmo e complicità, restii a lasciare la presa... d'altronde non si erano più rivisti per quasi trent'anni dall'ultima volta in cui si erano salutati a quel modo.

«Cosa ti porta a Marvìa, amico mio?»

«Vorrei fosse per un motivo più allegro, ma... hai sentito di Tybalt?» sospirò, l'euforia del momento era già sfumata.

«Fui l'ultimo a incontrarlo quel giorno.» Fraxinus scosse la testa. «Era così contento di essere tornato qui, nella sua città natale. Ancora non me ne capacito.»

Igor digrignò i denti. «Aspetta che metta le mani sul bastardo che l'ha assassinato...»

«Quindi sei qui per vendicarlo?»

«No... non fraintendermi, se capitasse l'occasione la coglierei, ma sono in città per chiederti di occupare il posto lasciato da Tybalt.»

Fraxinus alzò così tanto le sopracciglia dorate, che Igor non si sarebbe sorpreso se gli fossero volate via dal volto. «Io? Incantatore di Castel Neve?»

«Perché ti meravigli tanto?»

«Perché ci sono candidati migliori in circolazione! Avete provato a contattare mio padre?»

Il Maestro aggrottò la fronte. «Certo che ci abbiamo provato! Zirante non ha risposto, ovviamente. È sparito dalla faccia di Phoel.»

«E suppongo che Erica non sia benvoluta dopo-»

«Gregory darebbe fuoco al castello prima di permetterle di tornare.» Gli strinse la spalla. «Sei l'unico di cui possiamo fidarci.»

Fraxinus annuì. «Allora accetto con onore. Solo una cosa...» disse, raccogliendo Giglio Bianco e restituendola al suo legittimo proprietario. «Come hai capito che c'ero io dietro lo pseudonimo di Sambuco?»

«Non ne avevo idea, almeno finché non ho sentito bene la tua voce. Cercavo uno stregone che potesse aiutarmi.»

«Igor "Ce la faccio da solo" ha-» Si fermò a metà della presa in giro, accorgendosi dallo sguardo dell'amico che non era il momento di scherzare. «Cos'è successo?»

«Godwyn, il mio allievo, è sparito nei bassifondi. Se qualcuno laggiù scoprisse che è un Uruls...» Non completò la frase; dopo l'esecuzione di quella mattina, non ce n'era bisogno.

Fraxinus lo guardò con gli occhi bordeaux pieni di determinazione. «Lo troveremo prima che accada, Igor, è una promessa.»

Il Maestro si sistemò Giglio Bianco sul fianco. «Da dove iniziamo?»

L'Uruls si passò nervosamente una mano tra la crespa chioma bionda. «Hai qualcosa di suo?»

Igor annuì e gli porse il mantello di Godwyn.

«Archibald potrebbe percepire qualcosa toccandolo...» mormorò fra sé e sé, camminando in tondo. «Quanto tempo è passato da quando l'hai visto per l'ultima volta? Sii il più preciso possibile.»

«Tre ore? Forse di meno. L'ho perso di vista circa trenta minuti dopo l'esecuzione di questa mattina.»

Fraxinus si morse il labbro inferiore. «Allora la magia mentale di Archibald sarà inutile.»

«Quindi cosa facciamo?» domandò Igor, la voce pregna d'ansia.

 «Facciamo alla vecchia maniera e setacciamo i bassifondi. Andiamo a casa mia e nel giro di qualche minuto avrò radunato una decina di figli delle bestie.» Si rialzò il cappuccio e schioccò la lingua per richiamare il suo Squamabaffo, appollaiato su una cassa con un'espressione annoiata. «Seguimi, è vicina.»

Si incamminarono verso Est, sorpassando la fontana e spingendosi ancora più in profondità nel quartiere di Asclor. Giunsero a ridosso delle mura di cinta, regno di piante rampicanti e arbusti secchi, dove sorgeva una casetta di mattoni scuri che quasi vi si confondeva. Nell'oscurità non si riuscivano a distinguere molti dettagli, ma Igor riconobbe il tetto a spirale e le finestre di vetro colorato che tanto piacevano a Fraxinus... che s'illuminarono all'improvviso quando si trovavano a un quarto di lega di distanza.

«C'è qualcuno in casa...» sibilò l'Uruls. Tese il braccio e il parabraccio di metallo si liquefece e strisciò come un rettile nel suo palmo, dove assunse la forma della lama di un pugnale privo di elsa.

Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva visto la magia di trasmutazione di Fraxinus in azione e, per un breve istante, tentennò prima di sguainare Giglio Bianco e avanzare insieme all'amico verso la porta d'ingresso, spalancandola.

    *Il mio schizzo di uno Squamabaffo, trovate altri dettagli su questa creatura nel Capitolo "Bestiario". Però consiglio di leggere un buon numero di Capitoli prima di curiosare, onde evitare spoiler.

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