Capitolo 10- ...mostri, fuggiaschi...
Quando l'abominio emerse dal muro di abeti al limitare della piana, Godwyn percepì distintamente per la prima volta, e senza alcuna ombra di dubbio, il flusso di magia all'interno della propria carne; lo sentì sussultare, pulsare e agitarsi, alimentato dal terrore e dal panico. Fremeva per uscire dalle vene dei suoi polsi, impattava contro le catene e rimaneva lì a vorticare, a digrignare le zanne, in attesa di uno spiraglio, mentre gli occhi del ragazzino si fissavano sull'essere.
Il mostro che si stagliava di fronte ai Custodi della Fenice non aveva zampe anteriori, ma una coppia di ali nere e membranose, dai contorni scheletrici, alle cui estremità c'erano un paio di titanici artigli ricurvi su cui si reggeva a malapena. Aveva due arti posteriori, ben più massicci e dai tratti felini, sui quali si issò all'improvviso, stendendo la criniera di spessi aculei d'inchiostro che circondava il suo tozzo collo; poi ruggì. Emise un latrato stridulo e assordante, che si protrasse per svariati secondi mentre gli stormi di Malobecco si levavano in volo da ogni direzione e gli Occhiofino appesi ai rami si arrampicavano sulle cime più alte. Godwyn si tappò le orecchie, ma fu inutile; quando la creatura si zittì e cadde goffamente di pancia, affondando nella neve con gli uncini, i timpani dell'apprendista non smisero di ronzare e due rivoli di sangue biancastro gli percorsero la mascella.
Fraxinus, già in ginocchio, sbatté i palmi al suolo. Una scura luce rossa scaturì dalle sue mani e attraversò la distanza che lo separava dall'essere in una frazione di secondo; il manto innevato attorno alle membra della creatura si indurì e gli intrappolò le caviglie. Realizzando di non potersi muovere, l'ibrido si abbandonò in un basso ringhio e il suo roseo volto grinzoso e privo di peluria si contrasse, scoprendo le due fila di canini corti e triangolari. Non aveva la lingua, le sue fauci spalancate erano un abisso di cui non si scorgeva il fondo.
La pelle del torso da cui sporgevano le costole si gonfiò e l'abominio stese il collo come se stesse per rimettere. Dalla base della gola cominciò ad affiorare una sostanza dal sinistro bagliore violaceo; una parte sgorgò dagli angoli del muso e scivolò sulla neve, che si sciolse e fumò.
«State giù!» gridò Fraxinus; scattò in piedi tendendo le braccia davanti a sé e sollevandole fin sopra la propria testa.
L'istante prima che il proiettile rigurgitato dalla bestia li investisse, uno scudo di ghiaccio sorse dal terreno; la superficie rotondeggiante sfrigolò e si liquefece, collassando su sé stessa. Godwyn tornò a osservare l'ibrido, dalla cui schiena spuntò una lunga coda ricoperta da uno spesso esoscheletro che terminava con un gigantesco pungiglione; la usò per fracassare il ghiaccio che gli imprigionava le zampe e poi la ondeggiò dietro di sé con fare minaccioso.
Vacillò e mosse qualche passo, squadrando i suoi avversari con i due fori viola che aveva al posto degli occhi, illuminati anch'essi dello stesso chiarore violetto della melma tossica che aveva vomitato.
Maestro Igor scambiò un cenno d'intesa con Fraxinus, e impugnò spada e scudo. «Arthur, porta tutti alla baita» ordinò, rifiutandosi di spostare la propria attenzione dalla creatura.
Il ragazzo, che aveva imitato il suo insegnante, strinse i denti. «Io e i gemelli potremmo aiutarvi, noi-»
«Ora» gli comandò il Custode, con un tono di voce assoluto.
Arthur espirò e stritolò l'elsa della propria arma, quasi fosse pronto a caricare il disarmonico incrocio di diverse specie, invece rilassò le spalle irrigidite e si voltò verso Godwyn e gli altri apprendisti con un'espressione risoluta.
«Andiamo» li intimò, spingendoli indietro con frettolosa delicatezza.
La maggior parte di loro scattò verso il sentiero che avevano lasciato da poco, ma Kalika e Rufus retrocessero appena e Godwyn con loro.
L'Uruls si girò verso l'elfa, pallida e con il piumaggio rizzato, il suo sguardo fisso sulla schiena di Fraxinus; il braccio che impugnava Skal le tremava e sul filo della daga nascevano e morivano decine di nervose scintille infuocate.
Alla sua destra Rufus era curvo in avanti, le gambe piegate come se non riuscissero a reggere il peso del suo corpo, e ansimava rapidamente mentre le molteplici nuvolette di fiato caldo gli accarezzavano le guance.
Arthur prese entrambi per i polsi. «Andiamo» ripeté, con più decisione.
Finalmente i due rinfoderarono le armi e cominciarono a ritirarsi, ma i loro occhi, così come quelli di Godwyn, rimasero incollati su Igor e Fraxinus.
«Cos'è quella cosa?» chiese Kalika.
Arthur si morse il labbro, scuotendo la testa con rapidità.
Rufus corrugò le sopracciglia e parlò con ancora il fiato corto. «La ammazzeranno, vero? Vero?»
Arthur ignorò la domanda. Affiancò i gemelli e insieme a loro organizzò una linea di difesa. Malcolm si dispose sul fianco destro e Duncan sul sinistro, circondando gli apprendisti più giovani, e lui si mise a capo del gruppo.
«La baita è da questa parte, dove indica la colonna di fumo» disse, alzando la spada in quella direzione. «Che nessuno si allontani da me o dai-»
Godwyn ebbe appena il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che Arthur fu sferzato via dalla coda corazzata di un secondo mostro arrivato in picchiata dall'alto, uguale al suo simile in tutto tranne che nelle dimensioni ridotte, che sovrastò Billy e lo schiacciò a terra.
«Lascialo andare!» gli urlò Malcolm, affondando la spada nel fianco dell'essere in contemporanea con il fratello.
«Malcolm...» sussurrò Duncan, con il volto invaso dal terrore quando, estraendo la lama, si ritrovò in mano solo l'elsa; l'acciaio era rimasto all'interno della creatura e, fuso, colava dai lembi delle ferite goccia dopo goccia.
La creatura spalancò le ali, colpendo i gemelli che volarono per aria. Il suo sguardo famelico ritornò su Billy, che si dimenava tentando di evitare la bava violacea che fluiva dalla fauci dell'ibrido; questo gonfiò la gola, pronto a rigettare altra melma caustica, ma un muro di radici lo investì e gli penetrò il corpo, inchiodandolo contro il tronco di un abete e bloccandolo lì, a qualche piede d'altezza dal terreno.
Godwyn seguì il fiume di legno fino alla fonte: Arthur; era poggiato con la spalla contro il fusto di un albero e si stringeva il fianco grondante sangue del colore della clorofilla mentre gli occhi bruni brillavano a intermittenza di una radiosa luce verde.
«Fuggite... la terrò a bada...» ansimò, confidando che l'albero lo sorreggesse.
Malcolm, atterrato poco distante da lui, si rimise in piedi con fatica; fissò lo squarcio con uno sguardo carico di preoccupazione. «Arthur, la tua ferita-»
«Sto bene...» gli sorrise lui, annuendo. «Pensate a Billy prima.»
Godwyn si accorse solo allora che quando il ragazzone era stato abbattuto dal mostro, l'uncino alla fine di una delle sue ali gli aveva scavato un foro nel petto; Arold e Duncan stavano provando a fermare l'emorragia e a tenere Billy sveglio, con scarsi risultati.
Arthur tossì sangue e si pulì la bocca sulla manica del mantello. «Muovetevi, non riuscirò a trattenerla ancora-»
Il mostro ruggì verso l'alto, provocando una pioggia di acido che corruppe le radici... e il suo stesso corpo. Non parve importarsene, quasi non percepisse il dolore, e crollò a terra con un pesante tonfo.
Duncan issò Billy per un braccio, aiutato da Arold, e si affrettò su per il sentiero che serpeggiava tra la vegetazione, dirigendosia verso la colonna di fumo della baita. L'essere fu attratto dal movimento e scattò verso di loro.
Arthur allungò la mano, ma le radici a stento si mossero; le sue ginocchia cedettero e lui perse conoscenza.
«Arthur!» Malcolm lo prese tra le braccia un attimo prima che cadesse e gli diede qualche colpetto sulla guancia per farlo riprendere.
Kalika, al fianco di Godwyn, saltò un cespuglio con agilità e si fiondò dai due ragazzi. «Alzagli camicia e mantello! Cauterizzo il taglio!» Stese due dita, sulle cui punte comparve una fiammella, e le passò sulla ferita di Arthur che tuttora grondava sangue verdastro.
Rufus prese Godwyn per i polsi, travolto e paralizzato dal corso degli eventi, strappandogli le catene di dosso. «Lanciami!»
«Cosa?»
«Dobbiamo salvarli! Lanciami addosso al mostro! Hai fatto volare l'intero cortile, puoi sollevare me!»
Il flusso di energia nelle vene dell'Uruls fuoriuscì all'istante, come ghiaccio da un geyser, circondandogli le mani dell'incandescente e gelido fulgore biancastro. Godwyn sfiorò appena la spalla di Rufus e i piedi del ragazzino si alzarono da terra.
«Vai!» urlò, snudando la spada.
Lo stregone gli afferrò il braccio e roteò il proprio torso con tutta la forza e la magia di cui era capace, scaraventando il compagno in avanti, in direzione della creatura, quasi pesasse meno di una piuma.
Rufus fendette l'aria al pari di una freccia e conficcò la lama nella schiena dell'ibrido, di fianco a una vertebra in rilievo. Questi ululò e piantò le zampe a terra, cercando di scrollarsi di dosso il ragazzino; lui però si manteneva saldamente al pelo della belva, nonostante il resto del suo corpo fluttuasse verso l'alto.
«Rufus!» lo chiamò Arold. «Scappate ora che è distratto!»
Il rampollo gli scoccò un sorriso tremante, ma la voce gli uscì chiara e forte. «Voi andate, noi vi raggiungiamo!»
Il giovane nobile lasciò la presa e levitò senza controllo finché Godwyn non indossò di nuovo le catene. A quel punto cadde al suolo e rotolò verso l'Uruls.
Malcolm scattò in direzione degli altri apprendisti, con Arthur su una spalla, passando a una distanza infima dalla creatura, che minacciò di avventarsi su di loro. Venne però colpita da una palla di fuoco di Kalika e rivolse a lei la sua attenzione.
«Prenditela con qualcuno della tua taglia, bestione! O hai troppa paura per-»
Rufus e Godwyn dovettero trascinarla via quasi di peso per impedirle di attaccare briga con l'incrocio.
«Seguici!» gridò il nobile, sperando di mantenere l'attenzione dell'ibrido su di loro per permettere agli altri apprendisti di fuggire.
I tre apprendisti corsero allora nel fitto della vegetazione, e l'ibrido abboccò. Non potendo passare tra i tronchi degli abeti, si alzò in volo appena sopra le cime degli alberi, sanguinando veleno sulla foresta.
«Ci insegue, e ora?» urlò Rufus, il volto contrito dal dolore; l'acido della bestia aveva oltrepassato il mantello e ustionato parte della spalla sinistra.
«Ci fermiamo e la ammazziamo!» affermò Kalika, che ancora impugnava Skal.
L'essere scese in picchiata verso di loro, le pupille viola agitate da una bramosia vorace, approfittando del fatto che gli apprendisti stessero attraversando una spianata priva di alberi.
«Ripensandoci, filarcela è meglio» rettificò quando, voltandosi indietro, un artiglio le sfiorò il naso.
«Di là!» Godwyn indicò una cavità sul fianco della montagna che aveva impedito loro di tornare nella direzione dei Maestri fin da quando avevano iniziato a fuggire.
Dietro di loro l'ibrido allungò le zampe per ghermirli, ma sbatté contro un albero alla fine della radura. Indietreggiò con difficoltà sulla neve e scosse la testa per riprendersi mentre i ragazzini si infilavano nella caverna poco profonda e si nascondevano tra le ombre della sua parte più interna.
«Secondo voi ci ha visti entrare?» chiese Rufus.
Godwyn gli fece segno di stare in silenzio. I passi pesanti e il ringhio della creatura echeggiarono tra le pareti rocciose mentre questa si soffermava all'entrata della grotta; in seguito a una decina di atroci attimi, il possente battito d'ali proruppe di nuovo, e le chiome degli alberi frusciarono alle folate di vento da esso generate. Pian piano, tuttavia, entrambi i suoni si affievolirono e Rufus si arrischiò a mettere piede all'esterno, volgendo lo sguardo al cielo per assicurarsi che il meticcio si fosse effettivamente allontanato.
Quando annuì, Godwyn e Kalika tirarono un sospiro di sollievo.
«Restiamo qui per un po'» propose l'Uruls, in ginocchio e con il fiatone. «Appena sarà sicuro, torneremo indietro e cercheremo di raggiungere la baita.»
I suoi compagni, che non avevano alcuna voglia di incrociare per la seconda volta la creatura, non ebbero nulla da obiettare.
Erano passate un paio d'ore, forse di più, da quando i tre apprendisti avevano trovato riparo in quella spaccatura nella montagna. Kalika e Godwyn non si erano mossi dal suo fondo da quando erano arrivati. Rufus, invece, era nel punto in cui la pietra incontrava la neve e scrutava la Foresta d'Alabastro, sperando di non scorgere l'essere tra i tronchi degli alberi mentre cercava la colonna di fumo della baita. Purtroppo, tra l'oscurità di quella notte senza luna e la coltre di neve che stava cadendo senza posa fin dalla loro fuga, faticava persino a distinguere gli abeti a pochi passi dall'entrata della caverna, figurarsi un filo grigiastro a chissà quante leghe di distanza.
La mezzanotte doveva essere passata da un po', perché la temperatura stava calando a un ritmo impressionante, tanto che i suoi compagni, nonostante indossassero i mantelli della Gilda, che erano stati creati con l'apposito scopo di permettere ai Custodi della Fenice di affrontare il clima gelido, erano scossi dai brividi. Persino Rufus, nato e cresciuto nel Nord, tremava senza controllo; non sentiva più le dita dei piedi e quelle delle mani formicolavano.
«Dobbiamo accendere un fuoco vero» disse Kalika, nei cui palmi ardeva una fiammella incerta, che era anche l'unica fonte di luce; Godwyn le era accanto e si strofinava invano le mani inguantate per scaldarle.
«Il fu-fumo potrebbe condurre l'ibrido da noi, che ci u-ucciderebbe in un istante» mormorò in risposta lo stregone.
«Beh, se non accendiamo un fuoco, sarà il freddo ad ucciderci!» ringhiò l'elfa. «Karra!» sibilò poi.
«Cos'è successo?» domandò Rufus. «Perché siamo al buio?»
«Mi rimane pochissima energia» affermò lei, boccheggiando.
Nell'oscurità, riusciva a distinguere solo i suoi ferali occhi arancioni, che brillavano di luce propria. Quanto a Godwyn, sapeva che era al suo fianco perché lo udiva battere i denti.
Rufus sospirò. «Kalika ha ragione, ci serve della legna o non arriveremo all'alba.»
«Visto?» puntualizzò l'elfa. «Se persino Reilly è d'accordo con me, significa che non abbiamo un'altra scelta.»
Godwyn tossì e tirò su con il naso. «Lo ca-capisco, ma nessuno di noi conosce questi boschi. Se ci pe-perdessimo in una notte così fredda...»
Rufus rabbrividì. Morire assiderato abbracciato a due figli delle bestie non era di certo il modo in cui si era immaginato di andare all'altro mondo. Nell'apprendere la notizia a suo padre sarebbe venuto un infarto... il che, riflettendoci, non sarebbe stato poi così male.
«Dentro o fuori non fa differenza» sibilò Kalika. «Preferirei uscire e tentare la sorte, piuttosto che starmene con le mani in mano.»
Rufus la pensava allo stesso modo e annuì, anche se nessuno poteva vederlo.
«Non so se saranno utili in una situazione come questa...» disse, grattandosi il collo. «Però mio fratello mi ha insegnato dei trucchetti per orientarsi.»
«Dobbiamo provare» dichiarò l'elfa.
Dopo un paio di lunghi e silenziosi momenti, Godwyn sospirò. «E va bene, qual è il primo passo?»
Rufus osservò Kalika. «Quanto fuoco ti resta?»
«Poco.»
«Riusciresti ad accendere una torcia?»
«Certo che sì, per chi mi hai presa?»
«Perfetto. Allora taglio uno dei rami con Skal-»
«No!» esclamò subito Godwyn. «Ti ci vorrebbero una de-decina di colpi di spada, abbastanza per farti sentire da qualunque animale nel raggio di tre leghe e probabilmente dalla creatura.»
Rufus si trattenne a stento dall'urlargli contro. «Cosa proponi, quindi?»
«Un ra-ramo spezzato dal peso della ne-neve o uno già caduto.»
«Beh, buona fortuna! Neanche un Occhiofino sarebbe in grado di avvistare un accidente, come-»
«Io non ho problemi a vedere al buio» disse Kalika.
Rufus levò le braccia in aria. «Non è il momento di fare la spaccona, Keskal!»
«Non sto facendo la spaccona, idiota!» Si alzò in piedi e le sue iridi da rapace finirono a un passo dal volto del ragazzino. «Sono una dannata Ishk con piume e occhi da uccello notturno, non ho bisogno di una torcia per vedere al buio o per vedere la tua stupida faccia imbronciata e le braccia che hai appena incrociato.»
Rufus, che non si era neanche accorto di averle sovrapposte, si sbrigò a separarle. «Ti aspetti che mi fidi di te dopo che hai minacciato di ridurmi in cenere? Conoscendoti, alla prima occasione mi butteresti giù da un crepaccio o mi abbandoneresti a ghiacciare a qualche lega da qui!»
«La tentazione è forte, Reilly, credimi, ma-»
«Smettetela!» gridò Godwyn, con una fermezza che sorprese entrambi. «Tu non piaci a lei e lei non piace a te, ma nel caso in cui non l'aveste notato, siamo sulla stessa barca! Possibile che non siate capaci di resistere trenta secondi senza bisticciare come due mocciosi? Qui ne va della nostra sopravvivenza!»
Rufus espirò con lentezza. «D'accordo» ringhiò. «Per questa volta, e questa volta soltanto, mi fiderò di te.»
«Che onore!» soffiò, roteando gli occhi.
«Kalika!» la riprese Godwyn.
Lei inspirò profondamente prima di parlare. «Prendetemi la mano e diamoci una mossa.»
Rufus contrasse il volto in un'espressione oltraggiata. «Io non-»
«Fallo e basta!» latrò l'Uruls, praticamente sbattendogli il palmo su quello di Kalika.
Controvoglia, afferrò la mano dell'elfa e i tre si incamminarono all'esterno. Nei pochi minuti che avevano impiegato a discutere, la nevicata si era trasformata in una tormenta. Gli abeti attorno a loro ondeggiavano pericolosamente sopra le loro teste mentre le taglienti folate di vento li aggredivano. Rufus si toccava le guance in continuazione, convinto di riscontrarvi delle ferite causate dalle raffiche, sbagliando ogni volta, e avanzava con le palpebre quasi chiuse. Le lacrime che gli sfioravano gli zigomi si erano ghiacciate nel giro di pochi secondi.
«Aspetta.» Arrivati a una cinquantina di piedi dalla grotta, trattenne Kalika per il polso.
«Cosa?»
«Qual è il tronco più vicino?»
Passò un istante tra la domanda e la sua risposta. «Quattro passi alla tua sinistra, perché?»
Rufus tese le braccia in avanti e camminò finché non toccò l'albero. Estrasse il pugnale che gli aveva regalato suo fratello Baldric, e da cui non si separava mai, e incise una linea dritta sull'albero.
«E in che direzione è la caverna?»
«Alle nostre spalle.»
Aggiunse la punta di una freccia e si ricongiunse ai due compagni.
Continuarono a inoltrarsi nella foresta, e a segnare gli abeti, per svariati minuti senza che Kalika trovasse della legna appropriata. Rufus stava per lamentarsi della sua "vista", quando lei si fermò e si voltò a guardarlo.
«Qui ci sono quanti rami volete» disse, lasciando andare la sua mano.
La udì calpestare la neve e chinarsi; generò una fiammella minuscola sulla sommità dell'indice e, dopo qualche snervante tentativo, riuscì ad accendere un rametto umido, proteggendo con la mano quella torcia improvvisata dal vento e dalla neve.
«Santo Drago!» strepitò Godwyn.
Rufus puntò subito il pugnale verso l'Uruls, temendo che avesse avvistato l'essere; invece osservava qualcosa in penombra. Lo affiancò e si sforzò di non gridare il nome di Stigo.
«Già» fece Kalika, avvicinandosi e illuminando l'area.
Gli alberi davanti a loro erano spezzati, divelti e sciolti. Il vomito corrosivo della creatura, o forse il sangue, a tratti congelato, ricopriva le fronde e le cime. I fusti caduti erano squarciati e svuotati, come se li avesse usati per affilarsi le unghie per interi minuti.
Rufus deglutì sonoramente. «Sbrighiamoci» li esortò, raccogliendo i ciocchi e i pezzi di tronco sminuzzati dall'essere.
Quando ebbero le braccia piene, si avviarono verso la caverna. Grazie ai segni lasciati da Rufus e alla vista acuta di Kalika, vi giunsero in poco tempo.
Appoggiarono il grosso della legna nel fondo della corta caverna e ne ammucchiarono una piccola parte lì vicino per il fuoco. Kalika vi si inginocchiò davanti e infilò le mani nella catasta; le tolse quando, finalmente, la legna umida si decise ad ardere e le scrollò in aria come se si fosse scottata.
«Avevo dimenticato cosa fosse il calore» piagnucolò Godwyn, sgusciando sempre più vicino al focolare.
«Tu sei troppo delicato» lo riprese Kalika.
Lo stomaco dell'Uruls brontolò. «E anche troppo affamato. Peccato che non abbiamo nulla.»
Rufus si sedette in mezzo a loro e tirò fuori della carne essiccata.
«Da dove diavolo l'hai presa?» strepitò l'elfa, strappandogliene un pezzo dalla mano.
«Billy me ne ha passata un po' sottobanco mentre ci dirigevamo alla baita, l'ha rubata dalle cucine mentre Idunn non guardava» spiegò, offrendone una striscia a Godwyn, che la accettò con una smorfia di gratitudine esagerata. «Ha detto che mi vedeva impensierito e voleva tirarmi su il morale.»
«Se fosse qui lo bacerei» affermò lo stregone, addentando la sua porzione con gusto.
Rufus si poggiò la carne sulle labbra. «Secondo voi starà bene?»
Kalika arricciò il naso. «Come se te ne importasse.»
Godwyn le diede un calcio allo stivale e sorrise al nobile. «Ha la forza di un Grugnispino, non sarà una ferita del genere a ucciderlo.»
«Russa anche come un Grignispino, se è per questo» notò l'elfa.
Rufus sgranò gli occhi. «Quindi è lui?» Sbatté le palpebre un paio di volte. «Ero convinto che fosse un animale selvatico che aveva fatto la tana vicino alla Gilda.»
Godwyn e Kalika risero, e Rufus arrossì e combatté un sorriso, dopodiché passò qualche silenzioso momento.
L'elfa si pulì le mani sui propri pantaloni e si voltò verso di lui. «Se tuo fratello non ti avesse insegnato a marcare gli alberi, avremmo già tirato le cuoia. Ringrazialo la prossima volta che lo incontri.»
Rufus ingoiò l'ultimo boccone e osservò il fuoco, che si rifletteva nelle sue iridi chiare. «Beh, spero proprio che non accada presto.»
«Perché?» gli chiese Godwyn.
«È morto due anni fa.»
«Ah.» Le guance olivastre di Kalika, già celesti per il freddo, si scurirono tanto da sembrare livide.
Godwyn storse la bocca. «Come? Sempre che tu voglia dircelo.»
Rufus incrociò le gambe, vi si poggiò con i gomiti e squadrò i due apprendisti con astio. «È stata la vostra specie.»
Godwyn tese la mano verso di lui come se volesse consolarlo, o forse scusarsi, però Kalika prese parola e il ragazzino chiuse il pugno e lo ritrasse.
«Ovviamente!» sbraitò, scuotendo la testa. «Sono sempre i figli delle bestie, non è vero? Sei povero? È colpa dei figli delle bestie! Il tuo pargoletto è malato? L'hanno contagiato i figli delle bestie! Sei stato derubato? I colpevoli sono di sicuro i figli delle bestie, come potrebbe essere altrimenti?»
Rufus attese che la piantasse di sproloquiare prima di affermare con freddezza: «Intendevo letteralmente. Un gruppo di figli delle bestie l'ha assalito e l'ha pugnalato a morte.»
Se il volto di Godwyn si incupì, quello di Kalika rimase impassibile.
«E lui cosa stava facendo? Ammazzava i neonati di fronte alle madri? In fondo era un Reilly e voi-»
«Offendi me e il mio casato quanto vuoi, ma non ti azzardare a insultare Baldric!» strillò, spaventando la ragazzina che trasalì. Si ricompose subito, rimproverandosi di aver lasciato che le sue emozioni avessero avuto la meglio. «Lui non era come mio padre e gli altri nostri parenti. Credeva che Umani e figli delle Bestie fossero pari e sognava un mondo in cui fossero l'armonia e la comprensione reciproca a regnare al posto dell'odio e della diffidenza. Si era recato nei quartieri dei figli delle bestie per stipulare un trattato di non aggressione, intendeva iniziare con gli Alto Abetesi e si augurava di trovare presto un accordo con i figli delle altre città del Nord. Diamine, una volta nominato Lord era disposto a cedere parte dei possedimenti dei Reilly per permettere alla vostra razza di avere di nuovo una terra a cui appartenere... e guarda quello sciocco sogno dove l'ha portato.»
«Non era uno sciocco sogno» affermò Godwyn. «Se le cose fossero andate diversamente-»
Rufus scrollò le spalle. «Non ha più importanza. L'erede dei Reilly adesso è mia sorella Nava e lei non ha alcuna intenzione di perdonare la vostra specie. Ogni speranza di un futuro di pace è morta con Baldric.»
Per svariati secondi, lo scoppiettio del fuoco fu l'unico suono nella grotta.
«Quindi...» Kalika si corrucciò. «È per questo che odi me, Godwyn, Idunn, Fraxinus e qualunque figlio nel continente.» Le sue iridi da rapace erano fisse negli occhi gelidi del nobile. «Perché una manciata di figli delle bestie ha ucciso tuo fratello.»
«E con ciò?» ringhiò Rufus. «Dove vorresti arrivare?»
L'elfa buttò un ramoscello bagnato nel fuoco, che sputò una grossa nuvola di fumo. «Che se la metti così, anche noi dovremmo odiarti.»
«Kalika...» Godwyn sospirò.
Rufus sbuffò. «E perché mai? Non vi ho fatto alcun torto.»
«Ma Edward ha bruciato vivi i miei genitori davanti ai miei occhi, e lui è un Umano.» Posò di nuovo lo sguardo su di lui. «Un tuo simile.»
Rufus rabbrividì alle parole dell'Ishk. Per un attimo l'immaginò al posto dei ragazzini i cui padri avevano subito la stessa sorte per ordine di Kohir e che, sempre per un suo ordine, era stato costretto a guardare. «Non sono stato io ad accendere la loro pira» si difese, incrociando le braccia.
«E noi non abbiamo affondato i pugnali nella carne di tuo fratello.»
Rufus fu stranito per qualche secondo, chiedendosi se davvero lo reputassero tanto stupido.
«Credi che non lo sappia?!» esclamò subito dopo, scattando in piedi. «Non sono uno stolto.»
Anche Kalika si alzò e lo squadrò dall'altro lato del fuoco. «E perché ti comporti come tale? Perché ti ostini a riversare su di noi la tua rabbia?»
«Perché...» ringhiò. «Perché...»
Rufus strinse i pugni e la verità gli serpeggiò dal ventre fino alla punta della lingua, pronta a riversarsi fuori; ma lui la ingoiò e la rispedì al suo posto, seppellendola nuovamente sotto il lago gorgogliante di odio e disprezzo per i figli delle bestie.
«Perché è ciò che vi meritate. Perché siete popoli barbari e primitivi, portatori di caos e rovina. Siete esseri abietti, e purgarvi nel fuoco è una fine anche fin troppo clemente!»
Kalika digrignò i denti e gli diede le spalle, inspirando profondamente; quando espirò, le fiamme del focolare crebbero di altezza e intensità fino a sfiorare il soffitto della grotta, divorando la legna su cui ardevano e costringendo Rufus a indietreggiare.
Godwyn le poggiò una mano sulla spalla, ma lei la schiaffeggiò e marciò verso l'entrata della caverna, non mancando di cozzare contro Rufus mentre usciva.
«Kalika, dove stai andando?» le chiese l'Uruls, seguendola fino al confine della grotta.
«A bruciare qualcosa prima che la rabbia mi spinga a bruciare lui» latrò, sparendo tra i tronchi degli abeti.
Godwyn allora fissò Rufus con lo sguardo colmo di delusione. «Per un attimo mi ero illuso che fossi cambiato, sai? Mentre parlavi di tuo fratello avevi questa luce negli occhi, questo affetto nella voce...» Scosse la testa. «Ma tu non cambierai mai, ora l'ho capito, e non sarai mai nient'altro che un omuncolo vile e crudele. Qui l'unico essere abietto sei tu.»
Rufus afferrò il ragazzino per il mantello e sollevò il pugno, avvicinandolo minacciosamente al volto di Godwyn. Per la prima volta, lui non batté ciglio; restò a osservarlo senza neanche provare a reagire, a piagnucolare o a pregarlo di non fargli del male.
«Colpiscimi pure, se ti fa sentire meglio» affermò, incurante, con un sangue freddo che mai gli era appartenuto. «Ricorda però che "puoi mettere a tacere l'uomo che parla, ma non la verità che dice".»
Rufus contrasse il volto in una smorfia amareggiata nell'udire l'ennesimo proverbio di Maestro Igor e spintonò Godwyn. Lo oltrepassò e si diresse nella parte più profonda della caverna; lì si sedette contro la parete rocciosa e si alzò il cappuccio.
Più tardi, quando l'Uruls stava già riposando da un po', Kalika tornò e aggiunse altra legna alle fiamme e Rufus finse di dormire.
Skal tintinnò contro il suo fodero con un sibilo metallico e il nobile portò lentamente la mano sul pugnale di Baldric temendo che l'elfa potesse attaccarlo; invece la udì piangere. Sbirciando verso di lei, la vide abbracciarsi le ginocchia e poggiarvi il viso, con la spada stretta nel palmo, mentre l'esile corpo veniva scosso dai singhiozzi. In seguito, Kalika si addormentò con il fodero di Skal stretto al petto, ma Rufus continuò a sentire il suo pianto riecheggiare nella grotta per ore prima che il sonno lo cogliesse.
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