Capitolo 1- Marvìa
Dedico il capitolo a SlyCooper17, senza il quale "Le Cronache di Phoel" non sarebbero quello che sono.
Al centro dell'Entroterra, oltre le pallide nebbie mattutine, oltre il dolce sentiero collinare e gli arazzi dorati che ondeggiano alla frizzante brezza proveniente da Sud, si stagliano le miracolose mura di Marvìa: alte come montagne elfiche, antiche quanto le foreste fatate, forgiate nel fuoco al pari delle fortezze naniche e più mozzafiato delle città sospese degli stregoni... o almeno era con queste esatte parole che Vazir il Poeta le aveva descritte nella sua raccolta.
Se invece fosse spettato a Godwyn il compito di descrivere il lavoro del grande scrittore, avrebbe di sicuro scelto l'aggettivo "visionario"... purtroppo non nel senso di lungimirante, piuttosto in quello di delirante; perché le mura di Marvìa erano un'accozzaglia instabile di mattoni neri e di miracoloso c'era solo il fatto che fossero ancora in piedi.
Quando Maestro Igor gli aveva proposto di affiancarlo durante il viaggio verso la Capitale di Phoel per trovare un nuovo Incantatore per la Gilda, l'apprendista era quasi schizzato via dalla propria pelle per l'emozione. Aveva passato intere notti insonni a leggere e rileggere tutti i documenti che citavano Marvìa anche solo di sfuggita, memorizzando ben più di quanto richiedesse il suo apprendistato, sognando con ansia l'istante in cui ne avrebbe varcato la soglia.
Eppure, ora che l'attimo tanto atteso era finalmente arrivato e Godwyn si trovava a pochi passi dalla soglia della città, alla delusione si sostituì il timore. Non solo le mura non erano la meraviglia architettonica che si era sempre immaginato, ma sembravano addirittura pronte per una guerra imminente: fortificazioni di legno scomposte si appoggiavano loro contro come arbusti strozzati dalla siccità; i cannoni sulla cima, con la luce dell'alba a illuminarli, parevano sbavare sangue.
Godwyn rallentò l'andatura del suo Cornadoro, stringendo le briglie mentre gli occhi verdi passavano sugli appuntiti elmi d'acciaio delle sentinelle, ritti e affilati quanto lance alla vigilia della battaglia.
Maestro Igor, che se anche fosse stato turbato da una simile dimostrazione arrogante di forza non lo dava a vedere, gli passò a fianco e consegnò alle guardie addette al portone d'ingresso l'autorizzazione per visitare Marvìa, quasi fosse stato un comune turista. La più giovane tra loro, con un sorriso gioviale e luminoso, si avvicinò a Godwyn e accarezzò il muso affusolato del suo destriero. L'apprendista di solito era geloso del suo Cornadoro, ed era Zoraf stesso a disprezzare le attenzioni degli sconosciuti, tuttavia il suo torso snello e muscoloso da cervide vibrò dalla gioia.
L'animale alzò una delle sinuose zampe feline e strinse con delicatezza una gamba dell'uomo, lasciando che questi gli pettinasse la criniera dorata e gli carezzasse le lunghe corna ramificate.
«Le mura sono spaventose, non è vero?» gli chiese la guardia, mentre Zoraf gli faceva le fusa, portando a sua volta lo sguardo sui bastioni e le feritoie che incombevano su di loro.
Godwyn annuì appena, ritraendosi, sella permettendo; osservandole dal basso, le mura nere assomigliavano a un ozioso omuncolo di pietra sdraiato su un lato, pronto a schiacciarlo da un momento all'altro.
«Non lasciarti ingannare dall'aspetto, servono a proteggere la brava gente di Marvìa.» Gli scoccò un occhiolino e indicò il mantello verde del ragazzino con un cenno del capo; su di esso la Fenice, stemma della Gilda omonima, avvolgeva con le ali una prole invisibile. «Proprio come fate tu e il tuo Maestro.»
Lo incitò con la mano a seguirlo, sbirciando da dietro lo spallaccio acuminato dell'armatura per assicurarsi che avesse abbastanza fegato da avvicinarsi ai bastioni da solo. Aiutò l'altra guardia ad aprire i due massicci battenti di ferro rivelando una strada spoglia e fetida, in cui spiccavano solo le stalle e alcuni negozi che vendevano rifornimenti.
«Buona permanenza!» Augurò loro, salutandoli mentre finalmente mettevano piede nella tanto discussa Marvìa.
«Tutto qua?» domandò Godwyn oltrepassato il cancello, senza nemmeno impegnarsi a nascondere l'espressione delusa. «La grande e maestosa capitale di Phoel non è altro che un cumulo di puzzolenti catapecchie?»
Igor ridacchiò sotto i baffi, porgendo a uno stalliere un gruzzoletto di monete e le redini del suo Cornadoro e di quello del suo apprendista. «Pazienza, Godwyn. Ti ho già detto che il Piumartiglio frettoloso non sopravvive al Gelo?»
«Sì» sospirò il ragazzino. «Almeno una decina di volte da quando siamo partiti da Castel Neve.»
Nei suoi dodici anni di età, il massimo che Godwyn aveva avuto l'onore di visitare era stato Nar, il microscopico villaggio vicino Castel Neve dove i Maestri andavano a commissionare le spade e ad acquistare il necessario per la rilegatura dei tomi. Nonostante ciò, entrato nel cuore della Capitale gli sembrò di conoscerla da sempre. Probabilmente perché si era consumato gli occhi a leggerne la storia, ma Godwyn voleva credere che ci fosse un motivo più profondo, che il suo fato fosse indissolubilmente legato a quello di Marvìa.
Quando si ritrovò nella Via Antica, la strada principale, si pizzicò il braccio, giusto per assicurarsi che quello che stava vivendo non fosse un sogno... poi se lo pizzicò di nuovo, perché non si poteva mai sapere. Passò buona parte del tragitto a fissare i sampietrini su cui stava camminando, cercando di capacitarsi di star poggiando i piedi sulla stessa pietra calpestata un tempo dai suoi scrittori preferiti e dai Custodi che l'avevano preceduto.
E i negozi! Ovunque si girasse ce n'era uno diverso: l'attimo prima la bottega di un fabbro, con tanto di incudine, rastrelliere, spade e armature scintillanti; l'attimo dopo un panificio che esponeva dolciumi e torte sconosciuti, realizzati con una varietà di frutti e fiori provenienti dall'intero continente.
E la gente! Godwyn non aveva mai visto così tante persone di etnia differente in un unico luogo. Al bancone, c'era un'elfa grassoccia, o "Ishk", il termine preso dalla loro lingua con cui preferivano essere chiamati, con un paio di soffici orecchie beige che sbucavano dalla chioma ordinata; stendeva l'impasto aiutata da un ragazzo ricoperto quasi interamente di farina. Nobildonne in ampie e morbide gonne e altre in armatura passeggiavano con grazia, quasi ignorando i nobiluomini e i cavalieri che si inchinavano con garbo al loro passaggio nella speranza di attirarne l'attenzione.
E la magia! A Godwyn sarebbe andata bene anche in senso metaforico, come l'incanto creato da un buon libro, ma la vera magia era persino meglio. Sopra il ponte di marmo bianco che attraversava il fiume Astan, un Uruls, altresì conosciuto con l'appellativo di "stregone", si esibiva insieme alla sua Balzafuoco da compagnia. Il grosso rettile dalla pelle nera e oleosa stava saltando nei cerchi di ghiaccio evocati dall'uomo; ad alcuni vi si appendeva con la coda, alla cui fine ardeva una piccola fiammella, e vi si dondolava finché il calore non scioglieva l'appiglio. La piccola folla che si era radunata lì davanti sussultò quando l'animale, dalla balaustra di marmo del ponte, balzò sul fianco di un palazzo, rimanendo lì attaccato senza alcuna difficoltà. Contrasse e stese di nuovo le poderose zampe posteriori e affiancò il padrone. Lui si inchinò davanti all'ovazione del pubblico, la Balzafuoco mosse i due mezzi collari membranosi ai lati della testa ovale e assaggiò l'aria con l'adorabile linguetta biforcuta.
C'era talmente tanto da ammirare e da imparare che Godwyn perse la cognizione del tempo e nemmeno si accorse che il sole era ormai alto nel cielo. Mentre si stava avvicinando a una libreria da cui fuoriusciva un gradevole profumo d'inchiostro, un Dul robusto e muscoloso dalla barba rossa increspata e le estremità del volto di roccia, a cavallo di un Grugnispino infuriato, gli urlò di togliersi di mezzo.
Maestro Igor tirò via Godwyn dalla traiettoria della bestia selvatica un secondo prima che venisse investito. «Quel nano deve rallentare, rischia di ammazzare qualcuno» borbottò, incrociando le braccia.
L'apprendista osservò l'animale macinare leghe con le tozze e muscolose zampe dagli zoccoli neri, diretto a nord, e dopo lui e il suo fantino molti altri che si affrettavano nella stessa direzione. Un visitatore qualunque non l'avrebbe saputo, ma Godwyn aveva studiato le mappe di Marvìa per l'intera durata del viaggio con Igor, ed era perfettamente a conoscenza che alla fine della Via Antica si trovava Piazza dei Quattro Dèi.
«Andiamo anche noi?» supplicò, aggrappandosi alla casacca nera di Igor.
Il Maestro rilassò il cipiglio crucciato e si grattò il mento squadrato a disagio, consapevole di non essere capace di resistere alle smorfie da cuccioli dei suoi allievi. «Siamo qui per cercare Fraxinus...»
«Vi prego, vi prego!» insistette Godwyn, saltellando sul posto. «Potrebbe esserci uno spettacolo teatrale, un discorso politico-» Si interruppe di colpo, trasalendo. «E se ci fosse addirittura la famiglia reale?!»
Igor sospirò sconfitto, scompigliando i capelli ramati del suo studente. «D'accordo, ma dopo abbiamo altro a cui pensare che visitare la città.»
Seguirono la massa di marviesi, cercando di non rimanere schiacciati dalla calca, e arrivarono quindi a Piazza dei Quattro Dèi.
Godwyn prese per mano Maestro Igor e lo trascinò verso il lato destro del piazzale, dove figurava una statua di Re Ludwig il Giusto. Il ragazzino si arrampicò sul piedistallo e si sedette ai piedi del sovrano di marmo, che stringeva sotto il braccio il trattato di diplomazia con il quale aveva messo fine alle persecuzioni ai danni figli delle bestie perpetrate dagli Umani poco più di cento anni prima.
Il Maestro si appoggiò con un gomito a uno degli spigoli della base calcarea, proprio di fianco al suo apprendista. «Sembra che abbiano improvvisato un palco sui gradini della Cattedrale di Stigo...» notò, aguzzando la vista e schermandola con la mano dal sole cocente.
Godwyn adocchiò per meno di una frazione di secondo la struttura di legno in lontananza, poi si focalizzò sulla chiesa dedicata al dio della Giustizia; le aguzze guglie parevano conficcate nella trama del cielo e l'imponente corpo principale di marmo bianco sembrava riflettere, oltre che la luce, la saggezza infinita della divinità. Dai libri non si capiva affatto quanto fosse... enorme; improvvisamente gli parve molto plausibile che ci fossero voluti settant'anni per costruirla.
Mentre era impegnato a scorgere le altre divinità soffiate nel vetro del frontone della Cattedrale, la folla si acquietò. Sulla struttura simile a un palco comparve un giovanotto alto e ben piazzato, che indossava un vistoso farsetto d'oro con decorazioni corvine e un mantello dorato che riluceva al sole. Dato che il suo volto dai lineamenti decisi, tanto perfetto da sembrare quasi opera del dio delle arti Holso in persona, era ovunque sui libri di storia contemporanea che divorava nelle notti insonni, Godwyn riconobbe subito quel rampollo: il Principe Edward Phels, erede al trono di Phoel.
Aveva letto che, a soli ventun'anni, vantava più pretendenti di tutti i suoi predecessori messi assieme. E con quella folta chioma bruna, i magnetici occhi azzurri, il sorrisetto malizioso accentuato dagli zigomi alti e dalla mascella squadrata, non c'era da sorprendersi nell'apprendere che ciascuna fanciulla di corte cadesse ai suoi piedi.
«Cittadini!» li chiamò, allargando le braccia. «Per troppo tempo abbiamo tollerato la presenza dei rivoltosi nella nostra meravigliosa città!»
Godwyn corrugò la fronte e si voltò verso il Maestro, alla sua sinistra. «Rivoltosi? C'è qualcuno che si oppone alla monarchia a Marvìa?»
«Secondo il nostro amato Principe, praticamente tutti i figli delle bestie» rispose lo stregone con la Balzafuoco al guinzaglio, che aveva appena concluso la sua esibizione, dal lato destro del piedistallo della statua; il suo sguardo era fermo su Edward e una scintilla d'odio si agitava nelle iridi bianche, tanto chiare da confondersi quasi con la sclera.
«E perché mai?» domandò il ragazzino.
L'Uruls scostò gli occhi gelidi da Edward per fissarli sul viso dell'apprendista. «Perché per l'erede al trono ogni figlio delle bestie, fin dal primissimo vagito, è destinato a diventare un cospiratore regicida.» Tornò a osservare il palco. «Ammetto che, tra di noi, sono in molti a desiderare la fine della monarchia Umana; però per ogni stregone, nano, fata ed elfo pronti a pugnalarlo a morte, ce ne sono migliaia che neanche ricordano com'era la vita prima della Conquista e che non hanno motivo di architettare piani malefici con il favore delle tenebre.»
Il Principe Edward camminò lungo il confine del palco. «I figli delle bestie complottano per sottrarci le regioni del Nord, del Sud, dell'Est e dell'Ovest.» Si portò una mano sull'ampio petto, continuando il discorso con voce commossa. «Vanificando l'unificazione di Phoel per la quale i miei e i vostri antenati hanno sacrificato le loro vite.»
Dalla piazza si levarono grida di dissenso e l'intera Marvìa parve sobbalzare dalla rabbia.
«Unificazione? Casomai invasione!» sbraitò Maestro Igor, quasi totalmente sovrastato dal chiasso. «Abbiamo rubato loro la terra, ne abbiamo cambiato il nome e vi ci siamo insediati con la forza bruta, distruggendo le loro città e spazzando via millenni di cultura e tradizioni. Se i figli delle bestie si sollevassero contro la monarchia per riappropriarsi delle regioni d'origine, sarebbe solo giusto e nessuno potrebbe biasimarli.»
Lo stregone rise con amarezza. «Non avrei mai immaginato di udire parole del genere pronunciate da un Umano.»
«Sarò un Umano, ma non sono un ipocrita. Negare le nostre colpe non le cancellerà.»
Solo allora Godwyn notò che c'era qualcun altro sul palco: un Ishk vestito di stracci sporchi di farina, con un paio di simpatiche orecchie pelose macchiate di sangue bluastro. Quasi cadde dal piedistallo quando, dopo essersi sporto in avanti, si accorse di aver incrociato lo sguardo di quell'elfo attraverso il vetro della pasticceria.
«Questo figlio della Fenice è uno di loro! È il prodotto del sangue maledetto di una delle Bestie Demoniache!» gridò il Principe, sferzando l'aria con il braccio per additarlo. «Questo empiosangue merita una punizione esemplare per aver tramato contro la corona e, di conseguenza, l'intera Umanità!»
Godwyn si strinse nelle spalle, con migliaia di brividi che gli scalavano la colonna vertebrale, mentre i marviesi gioivano di fronte a quel termine. L'ultima volta che Rufus aveva usato un insulto simile nei suoi confronti, Maestro Igor l'aveva costretto a pulire l'intero castello per due settimane affinché l'acqua gli rischiarasse il buonsenso e la ragione. Edward lo usava impunemente, addirittura con orgoglio.
«Non mi piace come si stanno mettendo le cose, Godwyn. Andiamocene.» Maestro Igor si avviò verso la Via Antica, che si apriva subito dietro la statua, ma fu presto fermato dalle guardie reali, che avevano sbarrato gli archi e i passaggi per impedire ai presenti di lasciare la piazza.
«Che entri il boia!» strillò il Principe, fomentato dalle urla.
Tra la folla agitata c'era solo una manciata di persone su cui il carisma di Edward non aveva sortito alcun effetto, tra cui il nano che aveva rischiato di investire l'apprendista, che si sforzava di mimetizzarsi con il fianco di un edificio al limitare della piazza, l'Uruls con la Balzafuoco, al fianco di Godwyn; e infine la madre dell'elfo, a ridosso del palco, singhiozzante e pallida.
Sul palco salì un uomo enorme, che osservò l'Ishk per svariati secondi con la bava alla bocca prima di posizionarsi alle spalle del Principe. Le assi di legno sotto di lui si curvarono e scricchiolarono, minacciando di spaccarsi da un momento all'altro. La sua gigantesca pancia cadaverica, solcata da innumerevoli cicatrici, risaltava ancora di più messa a confronto con lo striminzito cappuccio nerissimo, sporco e logoro che gli copriva il volto; l'ascia bipenne che aveva in mano scintillava minacciosa alla luce del sole.
Edward arricciò le labbra rosee in un sorriso soddisfatto e annuì alle guardie, che spinsero con brutalità l'elfo su di un ceppo frastagliato, facendo in modo che la sua testa sporgesse oltre il bordo del palco; il boia gli si avvicinò lentamente.
Lo sguardo di Godwyn volò su Maestro Igor, che sbraitava contro un soldato impassibile dietro la statua di Ludwig, pretendendo che il Reggente Jean venisse informato di ciò che stava succedendo.
«Per crimini contro la corona e contro la pace...» Il Principe alzò il capo, squadrando la calca con anticipazione. «Ti condanno a morte!»
L'urlo della madre dell'Ishk squarciò il silenzio per appena un secondo, prima di essere fagocitato dalle grida di approvazione della ressa.
Godwyn deglutì a fatica e scosse la testa con lentezza, guardandosi intorno alla ricerca dell'eroe che sarebbe avanzato fino ai gradini della Cattedrale, avrebbe sconfitto il malvagio Principe e salvato la vita del povero elfo; nei suoi libri preferiti accadeva sempre.
Eppure, attorno a lui nessuno cercava di arrivare alla chiesa, non una singola persona. Quelle che non strillavano e agitavano le braccia perché favorevoli, rimanevano immobili al loro posto con una maschera di terrore in volto e la pelle madida di sudore.
Gli Alasporca sui tetti dei palazzi, con i loro becchi uncinati e le orecchie rotonde tese, presero a gracchiare l'uno dopo l'altro, unendosi al coro di persone non appena il boia alzò l'ascia. I pochi figli delle bestie trattennero il respiro con angoscia mentre gli spettatori e il Principe lo incoraggiavano.
«Godwyn!» lo chiamò Igor, ormai incastrato dalla folla recalcitrante dietro la statua. «Scendi da lì!»
Ma l'apprendista si voltò di nuovo verso il boia, l'elfo e il Principe. Il cuore sembrava essergli salito nel cervello e le sue orecchie non erano in grado di percepire nulla al di fuori dell'assordante e straziato battito. I suoi occhi saettarono sui visi mostruosi della ressa, distorti dall'odio e dalla rabbia, sullo stregone in groppa alla Balzafuoco che si era dato alla fuga senza che Godwyn se ne accorgesse, sul Dul dalla barba rossa e sul Grugnispino che scappavano in una stretta stradina non sorvegliata, sulla madre del giovane con il volto seppellito nel petto del marito e, infine, sul viso terrificato del ragazzo solcato da una miriade di rapide lacrime.
Ci volle un istante, una frazione di secondo, e la testa dell'Ishk si staccò dal suo corpo. Un fiume bluastro ne fuoriuscì, lordando gli scalini immacolati della Cattedrale del dio della Giustizia. Senza che potesse impedirlo, Godwyn incrociò lo sguardo vacuo e iniettato di sangue dell'elfo, il cui capo era rotolato qualche scalino più in basso, che pareva fissare proprio lui. Non si sarebbe sorpreso se dalla bocca spalancata fosse emerso un terribile grido; forse era accaduto, ma lui semplicemente non l'aveva sentito.
Qualcuno tra la folla svenne, qualcun altro diede di stomaco. Godwyn era pietrificato dall'orrore, tanto immobile che a un'occhiata disattenta l'avrebbero scambiato per un pezzo della statua.
Gli Alasporca si buttarono in picchiata sul cadavere, sbattendo le ali di pece che avevano sulla schiena, con i corpi da roditore, panciuti e pelosi, che penzolavano goffamente verso il basso; erano pronti a divorare il cadavere ancora caldo, ma furono scacciati da una giovane fata e da uno stregone, che corsero a consolare la madre dell'Ishk.
Quando Maestro Igor fu in grado di riunirsi al suo allievo, il Principe Edward aveva già abbandonato la piazza a bordo di una carrozza d'oro con lo stemma reale dipinto su un fianco. Secondo la versione ufficiale, la corona dorata sovrastata da candide nuvole rappresentava la vicinanza al cielo e agli Dèi della famiglia reale; tuttavia, tra il popolino e i figli delle Bestie circolava un'altra storia, riconducibile a un particolare evento accaduto durante le persecuzioni di Re Ludwen il Sadico: la Pioggia Sanguigna. Si raccontava che quel monarca avesse versato così tanto sangue che questo, una volta evaporato, avrebbe sostituito la pioggia, riversandosi sulla terra per sette giorni e sette notti di fila.
E Igor dava più credito alla seconda ipotesi, soprattutto dopo lo scempio a cui lui e il povero Godwyn avevano appena assistito. Non avrebbe mai dovuto portarlo a Marvìa, non con il clima d'intolleranza che si respirava da qualche tempo. Sarebbe stato più al sicuro a Castel Neve, su nel profondo Nord. Invece l'uomo aveva dato ascolto a Gregory e si era trascinato lo sventurato allievo per mezzo continente per farsi scambiare per un padre in pellegrinaggio col figlio e viaggiare nell'anonimato.
Mentre rassicurava Godwyn stringendogli la spalla, la folla si dileguò quasi completamente, tranne che per un vecchietto e una banda di uomini armati.
«E loro sarebbero reali?! Che bella dimostrazione di nobiltà decapitare uno a cui era appena spuntata la barba!» sbraitò l'anziano, scuotendo il bastone da passeggio intarsiato. Dalla sua casacca viola decorata e dalla barba intrecciata e curata, Igor dedusse che fosse di ceto aristocratico.
«Vecchio» lo apostrofò uno degli individui rimasti. «Al Principe non interessa quanti anni avesse quella belva, l'unico empiosangue buono è un empiosangue morto.» Sputò a terra con disgusto.
Igor non poté trattenersi dall'intervenire, ed era lo stesso codice d'onore dei Custodi che gli imponeva di ergersi a difesa dei più deboli; raggiunse il nobile e puntò il dito contro l'uomo.
«Belva? In quanto Custode guerriero uno dei miei compiti è sterminare le belve e quel ragazzino non lo era di certo.»
Dietro il tizio si fece avanti il resto della banda. Uno di loro, con una cicatrice gonfia sulla guancia destra, puntò il palmo della mano verso Igor. «Aveva le orecchie molli e pelose come un animale, e il suo sangue era blu! Un essere del genere non può essere che una belva.»
«Era un ragazzino» ripeté Igor, trattenendo a stento la rabbia. «Cosa importa che avesse sangue Ishkra nelle vene?»
«Sangue elfico, sangue maledetto, sangue empio» lo corresse il capo della banda, con una saccenteria che stava pericolosamente urtando i nervi del Maestro. «Ha avuto ciò che si meritava.»
«Da quello che so, la pena di morte si dà solo agli assassini» affermò il vecchio. «Quello sbarbatello ha frignato prima di morire. Non avrebbe mai avuto il fegato di ammazzare un'Alasporca, figuriamoci un uomo! Qual è stata la sua colpa?»
«Nascere.»
«Come?!» Il Maestro aveva sentito perfettamente, ma rifiutava di credere che a distanza di più di cent'anni dall'era di Re Ludwen il Sadico ci fossero ancora persone convinte che i figli delle bestie fossero delle belve da epurare.
«La sua colpa è stata nascere» ribadì il bandito, con una naturalezza che metteva i brividi.
«No, la sua unica colpa è stata non scappare da Marvìa finché era in tempo!» Il nobiluomo avanzò digrignando i denti. Il bandito estrasse un pugnale e lo puntò verso di lui, costringendolo a ritornare sui propri passi.
Maestro Igor poggiò la mano sull'elsa della sua Giglio Bianco, una spada che l'accompagnava da quando era appena un ragazzo e che aveva affondato in esseri molto peggiori di quelli che aveva davanti. «Ti conviene mettere quel rottame arrugginito a posto» minacciò, lasciando intravedere l'acciaio temprato della lama.
Per qualche istante carico di tensione, un guizzo nell'espressione del bandito sembrò tradire la sua intenzione di attaccare.
«Vuoi sfidare un Custode guerriero, povero sciocco? Ah!» Il nobile ghignò. «Non riusciranno a rimontarti in tempo per il funerale.»
Solo allora il criminale si decise a riporre il pugnale. Poi s'incamminò a passo spedito, con il resto della banda al seguito, verso la statua di Re Ludwig il Giusto, a est della quale iniziavano i bassifondi di Marvìa.
«Quel maledetto principe Edward è determinato a seguire le orme insanguinate del suo antenato e, nonostante le proteste a corte, il Reggente non mi vuole ascoltare» sospirò il nobiluomo, sviando l'attenzione di Igor. «Se solo ricordassero gli orrori della guerra e dell'odio, le famiglie spezzate e le città in rovina... Vi ringrazio per aver rischiato lo scontro, Maestro Custode. Bifolchi come quelli comprendono solo una lingua e io sono diventato troppo vecchio per parlarla.»
Igor piegò la bocca in un mezzo sorriso. «A me sembrate ancora gagliardo nonostante l'età, mio Signore.»
«Heh!» esclamò il nobile, molleggiando baldanzosamente sulle articolazioni scricchiolanti. «Detto da voi è il più grande degli onori.»
Igor chinò il capo con rispetto. «Vi auguro di rimanere tanto vispo ancora a lungo. Ora, vogliatemi scusare, ma devo tornare dal mio allievo.»
Portò istintivamente lo sguardo sulla statua dove aveva lasciato Godwyn... ma lui non c'era più.
Il meraviglioso aesthetic a inizio capitolo è stato realizzato dal Cigno de GliAnimaliIncantati
*Il mio schizzo di un Cornadoro. Non sono una disegnatrice, quindi spero apprezziate lo sforzo. Nel capitolo "Bestiario" c'è una descrizione più accurata. 😊
Spazio Autrice
Salve, apprendisti e Custodi! Quella che avete davanti a voi è l'ultima e definitiva versione (si spera) di un racconto che mi porto nel cuore da ormai quasi cinque anni. Il mio augurio è che, tra queste pagine, troviate ristoro e riparo, gioie e dolori, personaggi da amare e altri da odiare. E se ne aveste bisogno, ricordate che per voi, cari lettori, le porte di Castel Neve saranno sempre aperte.
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