9.2 Ritorni
Tremò, non solo per il freddo, e si concentrò con tutto se stesso verso Matar, per richiamarlo a sé ed intraprendere l'ascesa verso l'ammasso roccioso più alto, dove s'insediava, come un ragno nero nella propria tela, Ohlma Koshra. Generalmente, la via più semplice e veloce per attirare l'attenzione delle bestie a cui le Dinastie fossero legate, era il dolore, il sentimento più predominante e totalizzante tra le possibilità concesse all'animo umano. Ma per Cass era sufficiente concedere tutte le proprie attenzioni alla manticora per farla giungere a sé, il legame che avevano stabilito era più profondo di uno normale, la fragilità che lo caratterizzava era in netto contrasto con la possanza sprigionata da Matar e questo aveva loro concesso di essere l'uno il complementare dell'altro, reciprocamente sopperendo alle mancanze che li caratterizzavano. Cassivellanus era la gentilezza, la bontà e l'umiltà, Matar era la forza, l'esperienza e la fierezza. Una manticora di dimensioni considerevoli, dalle ali piumate come quelle dei Grifoni ed un'apertura alare mozzafiato. Si librava nell'aria leggera come una libellula, silenziosa ed aggraziata come un'aquila, un nobile spettacolo per apprezzare le creature che i Celesti avessero abilmente creato.
Cass fu sul ciglio di smarrirsi nella disperazione quando la manticora si posò alle sue spalle, chiudendo le ali piumate e scrollandosi la folta criniera corvina. Il pelo nero, corto e lucido, risplendeva nella foschia nonostante il sole fosse annegato nel mare di nuvole e la coda ondeggiava lenta, mettendo in mostra il ciuffo di pelo bianco con cui essa terminasse. Si abbassò fino ad accovacciarsi a terra e permise al ragazzo di salire sulla sua groppa. Il calore lo pervase fin dentro le ossa al solo tocco della pelliccia di Matar e Cass si strinse a lui, ascoltando il battito accelerato del cuore dell'animale mentre si preparava ad alzarsi in volo. Chiuse gli occhi come faceva sempre per non vedere la terra allontanarsi progressivamente da lui e li riaprì solo quando fu certo di trovarsi già in alto nel cielo. Il vento sempre più forte, che percepiva sferzargli il volto con la propria innata vitalità, fu un segno tangibile che non si trovava più poggiato al suolo. Sollevò le palpebre e guardò intorno: non si vedeva nulla che non fosse nebbia, nebbia dal colore biancastro con riflessi verdognoli. Matar fortunatamente però si orientava non solo con la vista, ma con tutti i sensi che potessero essergli utili e nel mezzo della furia sfrenata dell'altezza riuscì comunque ad inculcare tranquillità a Cass. Sentì le sue mani stringersi alla criniera e poi rilassarsi, quasi fino a mollare la presa nel momento in cui emerse dal mare di bruma la prima delle numerosissime guglie della fortezza. I sentimenti che lo colsero abbracciarono anche la spensieratezza di Matar, la manticora rallentò i battiti d'ala e prese coraggio per entrambi.
La regina Nueeq, Rakkar delle Manticore ed unica moglie del sovrano Ermosed, vantava la bellezza di quarant'anni. La pelle però era ancora tesa, liscia e sgombra d'imperfezioni, solo qualche solco eccessivamente profondo intorno gli occhi poteva lasciar trasparire quanto in cuor suo quella donna si sentisse vecchia, consumata e prossima alla morte. Aveva trascorso gli ultimi anni del suo regno ad occuparsi di un marito crudelmente orgoglioso, che ogni qualvolta avesse avuto l'occasione le aveva imputato la colpa di non aver generato figli sani, forti, a cui affidare il trono. Cassivellanus era stato il solo frutto a cui avesse saputo dar vita e questo aveva allontanato da lei la gentilezza già limitata dell'uomo, consegnandola ad una vita di pene e sofferenze che le aveva macchiato l'anima, insozzandola con il rancore e l'odio verso colui che avrebbe dovuto amare. Sperava che il ricongiungimento con il figlio le potesse donare sollievo, alleviare il lancinante dissidio interiore che aveva perturbato le sue membra dall'istante in cui aveva acconsentito a separarsi da lui, senza nemmeno tentare di opporsi, di lottare per crescerlo lei stessa, nonostante l'aspetto fosse discutibilmente piacevole. Ma l'accoglienza iniziale che le era stata riservata dal frutto del suo ventre aveva fatto tentennare le speranze di essere nuovamente amata. L'attesa del suo arrivo si era rivelata controproducente, aveva patito il gelo a sufficienza per sentirsi lei stessa parte integrante della fredda capitale ed in cambio non aveva avuto altro che uno sguardo sospetto ed un figlio dimenticatosi di lei. Perlomeno, questo era quanto lei avesse creduto, Cassivellanus in realtà portava nella memoria dei ricordi sfocati di Nueeq che gli raccontavano una verità differente da quella visiva. Rimembrava la madre come la giovane e bella sposa che era stata, i lunghi capelli scuri, gli occhi chiari, oro colato al sole, splendente di speranza ed aspettative, e le mani soffici che troppo poco l'avevano stretto al suo grembo. Ricordava la sua semplicità, la purezza che strabordava dalle pupille nere della madre, ma la figura che gli stava camminando a fianco, era violata, triste e spenta. Non aveva nulla a che vedere con il dolce incanto delle sue memorie fallaci, le quali l'avevano portato a non riconoscerla, squarciandole il petto dal dolore. L'aveva quasi visto, lo sterno di lei spezzarsi sotto l'incudine che vi aveva scagliato contro con le sue parole, e si era sentito in colpa. Così in colpa da concederle d'avvicinarsi, togliergli il velo dal volto e baciargli la guancia. Un gesto tanto pieno d'affetto quanto di disperazione da lasciare la pelle, su cui si erano poggiate le labbra, scottante di sentimento.
« Tuo padre vuole parlarti. Non farlo aspettare. » la regina parlò, sistemandosi il diadema che le incorniciava la fronte, delicatamente avvolta, come il collo e parte delle spalle, i capelli tutti ed il mento, in un tessuto leggero, tinteggiato di un azzurro tanto chiaro da sfumare nell'argento. Una donna della sua età era doveroso che non mostrasse troppo di se stessa, la bellezza iniziava a sfiorire e ciò che il tempo rubava veniva sostituito da vesti preziose, sfarzosi accessori e copricapi ricamati. La bellezza scivolava via dalla donna stessa e si riversava negli ammanti in cui ella s'avvolgeva per nascondere l'approssimarsi della vecchiaia. Era triste, come abbandonare la libertà per una gabbia dorata.
Cass annuì, in silenzio: camminare per i corridoi serpentini di Ohlma Koshra, gli stessi in cui aveva trascorso la sua prima infanzia, senza niente a contrapporsi tra lui, il suo aspetto, e chiunque stesse percorrendo la medesima strada, lo metteva a disagio e gli causava moti incontenibili di paura. Gli sguardi altrui lo facevano sentire giudicato, diverso, un errore dei Celesti mandato a punire la cattiveria del Rekkar Ermosed, suo padre. E tale idea non faceva altro che accrescere la convinzione di essere appena entrato nel luogo più sbagliato in cui potesse incorrere. Le sofferenze che lì dentro aveva subito grondavano come melma dalle pareti di marmo bianco, sommergendo ogni fiamma danzante delle candele e scaraventandolo nel buio delle proprie ombre. I tonfi secchi e cadenzati dei bassi tacchi di sua madre accompagnavano le cupe reminiscenze che gl'infestavano la mente in quel momento, preparandolo per le fitte ai muscoli che l'avrebbero colto nel rivedere il viso austero ed arcigno del sovrano.
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