9.1 Ritorni
Un plumbeo cielo appesantiva le guglie annerite di Ohlma Koshra, le quali nuotavano tra le grigie nuvole come rondini disperse in una limpida tempesta di neve. Aveva nevicato quella notte, ed il primo, esile strato della gelida coperta si era silenziosamente posato sulle rocce delle Montagne Sospese di Ctèkratos, le Morhaves, caratteristica che contraddistingueva unicamente la capitale delle Terre dell'Empireo. Faceva freddo, ed il candore del paesaggio non mitigava la sensazione che il sangue fosse in procinto di congelarsi nelle vene. La carrozza di legno si muoveva pigra tra la fanghiglia della strada, affondandovi le ruote e con esse gli zoccoli dei cavalli che la conducevano. Cassivellanus era stretto nella propria pelliccia, le mani guantate immerse tra il morbido pelo bianco che lo avvolgeva dalla testa ai piedi ed il fiato condensato contro il velo sottilissimo che gli scendeva davanti al volto, opacizzandolo al mondo intero. Suo padre, il sovrano, stava morendo e sul letto di morte aveva deciso di richiamare a sé l'unico figlio che fosse mai nato dal grembo di una moglie infeconda. Cass era stata una benedizione dei Celesti, sotto un certo punto di vista, ed una maledizione al contempo, se si prendeva in considerazione sotto quale forma quella benedizione fosse stata mandata. La sua carnagione era lattea, una delle tonalità più invidiabili che si potessero osservare in tutto il continente, e gli occhi gialli, simili all'animale cui era legato, danzavano in un contrasto armonioso di colori con i capelli scuri, lisci come la seta. Sarebbe stato un ragazzo, quasi un uomo, di bellezza singolare, apprezzabilmente delicata, se solo non fosse stata deturpata dalla miriade di piccole macchie scure che gli infestavano il corpo. Le lentiggini erano state il motivo per cui, in tutti i suoi vent'anni di vita, suo padre non aveva mai desiderato vederlo, accettarlo, amarlo. Venivano chiamate anche baci dei morti, a causa dell'inusuale credenza secondo cui, colui che le possedesse, avesse dovuto scontare prima della vita un periodo nel mondo dei morti, per purificarsi di una grave colpa compiuta in una vita passata. La purificazione avveniva tramite il bacio, appunto, dei defunti sulla pelle del peccatore ed essi vi rimanevano impressi in eterno, una volta scoccati, anche dopo la rinascita. Tante più erano le lentiggini, tanti più baci erano stati necessari per sradicare la colpa dal colpevole e la quantità spropositata che si srotolava nelle più intime porzioni di pelle di Cass, denotava quanto profondamente il suo animo fosse maledetto. Era stato per suo padre motivo di angoscia, il suo aspetto, di tormenti interiori e di ripensamenti riguardo il desiderio di lasciarlo in vita. Più volte era giunto a pochi passi dalla culla del figlio con un pugnale stretto nella mano ed il coraggio tremante, e più volte si era arreso all'evidenza che non sarebbe riuscito a privare della vita una creatura tanto innocente. Dunque, quando era diventato sufficientemente grande per allontanarsi dalle cure della propria madre, Ermosed aveva infossato la sua esistenza, affidandolo alle cure di serve e servitori affinchè lo crescessero il più lontano possibile da lui, dalla corte e dal regno intero. Non avrebbe potuto presentare al cospetto della propria gente un figlio così vergognosamente sfregiato dai Celesti, il suo orgoglio non glielo avrebbe permesso. Ma era stato quello stesso orgoglio a fare in modo che Cassivellanus avesse ricevuto l'invito di tornare alla propria dimora, la morte stava accogliendo suo padre senza altri eredi e lui era il solo che lo potesse preservare dall'insulto di dover cedere il trono ad una linea sanguigna secondaria. Lo stava usando per salvare il proprio onore, comprese il ragazzo, non perchè gli interessasse qualcosa del suo stesso figlio ma per amore personale, egoismo cieco. Si sentì offeso, non solo dal comportamento che aveva perpetrato nei suoi confronti Ermosed, ma anche dai suoi ultimi capricci di uomo gonfio di sé. Voleva un successore diretto, ma non voleva suo figlio, eppure era costretto ad accettare l'ineluttabile evidenza che lui fosse il solo, unico erede e nonostante ciò, non si dava per vinto. Gli aveva chiesto espressamente che non si mostrasse a viso scoperto e che non si facesse notare durante il tragitto che lo divideva dalla campagna in cui aveva vissuto e la fortezza. Non voleva che nessuno sapesse, nessuno scoprisse che fosse stato proprio lui ad arrendersi e dare in mano il potere ad un abominio simile, preferiva che le voci girassero e storie più avvincenti fossero inventate riguardo la sorprendente ascesa al trono del suo improbabile successore.
« Da qui non si va più avanti, non a piedi. » Cass sentì i cavalli arrestarsi ed il conducente, che aveva continuato a fischiare per tutto il viaggio il motivo di una canzone popolare sulla Grande Guerra, tacere. L'uomo si affacciò all'interno, tenendo aperta la porta della carrozza e porgendogli la mano per scendere, sorridente « Dovete proseguire da solo. » s'inchinò riverente, non curandosi del viso arrossato per il freddo che il principe gli aveva causato con i suoi spostamenti nè del malanno che si sarebbe potuto prendere.
« Non so dove andare. » si lamentò, poggiando le suole delle scarpe sul terreno fangoso e stringendo la pelliccia candida a sé « Non so niente. » una folata di vento fece ondeggiare la chioma nera nell'aria e scostò il velo dal suo volto abbastanza per lasciar intravedere gli occhi carici di paura e smarrimento.
« Abbiate fiducia nel vostro istinto, principe. Il sangue delle Manticore scorre in voi. » l'uomo indietreggiò di pochi passi ma tanti bastarono a fargli intendere che presto sarebbe rimasto solo, circondato unicamente dai prati che si stendevano come una chioma verdeggiante sotto i cinque massi fluttuanti ad un'altezza incalcolabilmente elevata. Cass poteva scorgere solo il fondo delle rocce, che bucava la nebbia con le punte erose dal tempo, rese simili a montagne rovesciate. Era consapevole che, in quel momento, l'unico modo per raggiungere Ohlma Koshra fosse Matar. Nessuno, eccetto lui, doveva salire fino in cima, pertanto le scale scolpite nelle Morhaves sostavano ritratte al loro interno, e non si sarebbero rese visibili per far salire un'unica persona. Non aveva idea di cosa avrebbe incontrato una volta raggiunta la cima, i ricordi dei pochi anni che aveva passato a castello erano per gran parte andati persi, volontariamente o meno. Tutto ciò che conosceva e che aveva voluto conoscere erano state le campagne, il frumento giallo che circondava la sua vera dimora e la natura, l'unica vera madre che aveva saputo accettarlo ed accudirlo, nonostante il suo aspetto non fosse dei più piacevoli. Ora invece avrebbe dovuto affrontare la cruda realtà, l'idillio della sua infanzia ed adolescenza si era appena concluso, lo sentì lottare per rimanergli accanto ed infine abbandonarsi all'evidenza che non sarebbe comunque durato. La carrozza con quello sconosciuto l'aveva fatto accomodare al suo interno e portato via per sempre, il sogno si era infranto e dai cocci ricomposto l'austero presente.
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Volevo augurare un Buon Anno a chi è arrivato fin qui e a chi vorrà continuare a seguirmi.
Grazie ancora!
Ayduin
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