7.1 Ricordi

Aveva la gola arida, la saliva secca ed impastata alla lingua faceva sì che muoverla fosse tedioso e controproducente. Aprì gli occhi, certo che innanzi a sé non si trovasse altro che oscurità, l'abitudine gli aveva insegnato a rassegnarsi a non vedere nulla e ad immaginare solo con la mente ciò che le sue mani sfiorassero, alla stregua di un cieco. Ed invece quella volta una fievole luce si materializzò, prendendo consistenza quanto più restava a fissarla. Impiegò svariati secondi a focalizzare il fascio luminoso che penetrava dalle tende accostate l'una all'altra. Tende rosse: le sue. Quelle della sua stanza. Si accorse allora d'essere adagiato al morbido materasso del suo letto, le coperte, tirate fin sopra le spalle, lo riscaldavano piacevolmente e la testa inabissata in un cuscino gli aveva donato il privilegio di trascorrere alcune ore nella ricchezza dei sogni. Era trascorsa una quantità di tempo così indecifrabile dall'ultima volta che aveva potuto assaporare la comodità di una camera da letto ed il calore dell'essere protetto da qualcosa che non fosse solo la propria pelle nuda, che credette di essere morto. Finalmente tramortito dalle infezioni o stroncato dalla sete. Eppure, quando dolorosamente alzò la testa per guardarsi intorno, incontrò lo sguardo di suo fratello minore in cerca del suo e fu certo che la morte non l'aveva ancora accolto.
Asper era seduto scomposto sul bordo del baldacchino, la schiena poggiata ad una delle quattro colonne di legno intarsiato e le gambe reclinate, con i piedi rivolti verso Mothalthin.
« Maitreya non voleva che venissi qui. » disse, muovendosi in direzione del comò accanto al fratello « Sono venuto lo stesso. » alzò le spalle e prendendo uno dei due bicchieri che si era procurato prima che lui si svegliasse, ne versò dentro del vino e glielo porse. Mothalthin sfilò un braccio da sotto le coperte e si accorse d'essere vestito, un leggero tessuto pregiato gli avvolgeva il polso con i dei ricami cremisi. Il suo pudore riacquistò un lieve vigore: era rimasto coperto con sudici stracci dalla vita in giù per anni, i piedi scalzi ed i soli capelli a donargli del calore, ed avere qualcosa addosso per un'altra volta, dopo tanto tempo, gli risultava stranamente meraviglioso. Prese tra le dita il calice che Asper gli aveva teso ed istintivamente allungò anche l'altra mano, consapevole che una sola non avrebbe retto nemmeno il peso di un ago. La sua forza era stata rosicchiata lentamente dalla fame, proprio come i muscoli, raggrinziti sotto lo sforzo di resistere senza nulla di cui cibarsi. E la furia di Maitreya che l'aveva travolto prima che Veer lo fermasse, non aveva fatto altro che ridimensionare persino le ultime risorse che ancora gli rimanevano in corpo. Se non fosse stato per Dhoveerdhan, forse sarebbe morto sul serio quel giorno, avrebbe finalmente abbandonato il desiderio di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione e sanguinato fintanto che anche l'energia vitale non fosse sgorgata a poco a poco dalle ferite. Magari sarebbe stato persino un destino migliore, che non dover riallacciare i rapporti con una realtà dalla quale era stato strappato per troppo tempo, tanto da incutergli un terrore nero. E poi Maitreya non si sarebbe certo accontentato di vederlo girovagare per il castello come nulla fosse successo, non dopo averlo torturato per anni ed anni. La morte avrebbe avuto un sapore più dolce, ragionò Mothalthin, portandosi il liquido alla bocca e trangugiandolo avido, mentre il volto truce di suo fratello permaneva ad invadergli i pensieri. Porse il bicchiere vuoto ad Asper e lui lo riempì ancora.
« Vacci piano, non l'ho allungato con l'acqua. » sorrise, allungandogli di nuovo il vino ed attendendo che lo bevesse, per poi riporlo al proprio posto. Mothalthin sorrise a sua volta, mostrando una dentatura malridotta, con più di qualche dente guasto, e lo ringraziò. Non sapeva se fosse stato Asper ad averlo raccolto dalla panca e sistemato a letto, ma aveva la certezza che fosse stato lui ad offrirgli da bere e tanto bastava per essergli grato con tutto se stesso.
« Cos'è successo in tutto questo tempo? Dove sei stato? Maitreya non parla, non sembra contento. » il fratello si riappropriò della posizione iniziale in cui l'aveva trovato ed appoggiò un palmo su una gamba di Mothalthin, come per assicurargli che lui fosse lì e non se ne sarebbe andato.
« Ciò che conta è dove sono ora. Sono qui. » tentò di sollevarsi abbastanza da poter guardare Asper in viso « E' finita, qualunque cosa abbia subito. » sperò che la stanchezza insita nella sua voce lo facesse desistere dal chiedere ulteriori spiegazioni. Non voleva dire chi fossero i colpevoli della sua prigionia, non lo voleva ammettere nemmeno a se stesso.
Il ricordo di Veer che gli chiedeva scusa poco prima di tramortirlo con un colpo ben assestato sulla tempia e la voce di Maitreya che riecheggiava nella sua testa mentre perdeva i sensi gli parevano surreali, impossibili. Ma le cose erano andate davvero così. Abbiamo finito, gli aveva sentito ammettere. Il tono di Maitreya era stato così compiaciuto da farlo svenire con i brividi ancora conficcati nella schiena. Solo successivamente era venuto a conoscenza del motivo di tale soddisfazione, il fratello gli aveva orgogliosamente rivelato di come si era finalmente liberato di ogni ostacolo si fosse mai posto in mezzo alla sua strada: aveva ammazzato loro padre, la loro madre ed i fedeli di entrambi, risparmiandone tre o quattro per accusarli di tradimento e dare la colpa ad essi di ciò che lui e Veer avevano in realtà commesso. Chiunque quella notte avesse avuto la sfortuna di incontrarli, era stato silenziosamente eliminato ed una volta che anche il legittimo erede al trono, il primogenito di Kuhrah, fu dato per morto ed incoronato al suo posto il nuovo erede, Maitreya, nessuno ebbe più il coraggio di mettere in dubbio quanto fosse accaduto. Dopotutto, chi avrebbe potuto contestare le parole di due giovani sovrani, di cui uno amato dalla sua stessa gente? Le voci di coloro che ancora fossero scettici erano andate spegnendosi e Mothalthin era stato per gran parte dimenticato.
Col passare del tempo, poi, Maitreya si era liberato di chiunque avesse visto il fratello maggiore in vita, che si trattasse di servi, nobili o funzionari di corte. L'unico rimasto era stato Mihir, poichè aveva promesso che mai avrebbe parlato riguardo l'accaduto, nonostante avesse intuito e saputo assai prima che la faccenda accadesse ciò che quel ragazzo dal cuore di ghiaccio avrebbe fatto per vendicare lei ed il suo onore. Aveva persino approvato quanto avessero fatto, in un certo senso, perchè era inconcepibile quello che Kuhrah per primo avesse commesso, e nessuno sarebbe rimasto con le mani in mano. Tanto meno Veer e Maitreya.
« Vorrei solo sapere chi è stato a ridurti così. » l'occhiata che Asper gli rivolse fu rivelatrice. Doveva essere stato lui ad essersi preso cura della sua persona, mentre era inconsapevolmente caduto nel sonno, e doveva essere stato lui a vedere le centinaia di ferite e cicatrici che gli correvano per ogni centimetro di pelle.
A Maitreya erano sempre piaciute le torture, loro padre non gli aveva mai permesso di invischiarsi in certe losche faccende ma il suo interesse non era andato esaurendosi, esattamente come quello per la caccia. Suo fratello possedeva un istinto naturale nel far del male a qualunque essere respirasse, e la disinvoltura con cui riusciva a mettere in atto i suoi vaneggiamenti rivelava quanto Kaitos avesse lasciato tracce in lui. Forse non era nemmeno tutta colpa di Maitreya se il destino gli aveva concesso una sensibilità quasi nulla ed un attaccamento ossessivo verso la morte altrui. Forse era stata in parte colpa della Bothàra.
« Non lo so. Sono rimasto rinchiuso in una cella, al buio completo. Per tutti questi anni. Quanti sono stati, piuttosto? »
« Otto. Otto anni, Otha.» fu un colpo al cuore sentire quel numero. Era conscio del fatto che numerose stagioni si fossero susseguite imperterrite ma non pensava d'aver trascorso gli ultimi otto anni della sua vita incatenato ad un muro con la speranza di star vivendo un incubo. Al solo ricordo delle catene, sentì i polsi dolergli e non potè trattenersi dallo scostare i polsini ricamati della veste per vedere i segni che dovevano avergli lasciato. Asper li aveva coperti con delle bende.
« Ho chiesto a Mihir cosa potevo fare. Maitreya non lo deve sapere. Non vuole che nessuno ti veda, per ora. » prese un'unghia troppo lunga tra i denti ed iniziò a mordicchiarla, agitato « Dice che sei stato fortunato che non ti siano andate in cancrena. » ma Mothalthin non credette ad una sola parola di quel vecchio. Maitreya doveva sapere molto bene che, essendo legato ad un Fenrir, nonostante vi avesse rinunciato, gli effetti di tale unione sarebbero rimasti. Un uomo comune sarebbe morto in pochi mesi, un Fenrir sarebbe potuto vivere per il resto dei suoi giorni negli stenti. Ed era per questo che aveva potuto esaudire ogni suo più sadico desiderio. Mihir doveva avergli rivelato quel piccolo particolare precluso a chiunque, considerato che la Bothàra fosse proibita, tranne che ai Grandi Sapienti, unici rimasti a conoscenza del rito per una tale pratica e delle conseguenti ripercussioni. 

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