6.1 Incontri

Le aveva intimato di comportarsi come le circostanze richiedevano, rimanendo in silenzio e non facendo domande perchè tanto le risposte non gliele avrebbe date comunque in quel momento.
Vissia si era nascosta nella camera da letto in cui aveva dormito quella notte per riflettere su quanto le fosse capitato, non solo riguardo il giorno precedente ma anche ripensando al suo risveglio, facendosi piacevolmente avvolgere dalla constatazione che Veer era venuto nel suo letto per farla stare meglio, e questo era un segno tangibile del fatto che lui voleva aiutarla. L'avrebbe fatta tornare a casa propria e con ancora l'odore dei suoi capelli a profumarle la pelle, si sentì protetta ed al sicuro. In grado di affrontare tutto ciò che il destino avesse in serbo per lei. Eppure non si aspettava di essere travolta dagli eventi così presto: Veer irruppe nel mezzo dei suoi progetti, spalancando la porta e facendola cozzare rovinosamente contro la parete, in un gesto che non si addiceva affatto all'eleganza che solo visivamente sprigionava, ma poi Vissia lo vide, il motivo che si celava dietro quell'azione e qualasiasi elucubrazione inutile l'avesse avvolta, si dileguò istantaneamente, spazzata via dalla visione di Mothalthin.
« Vai a chiamare Mihir, subito. » Veer si rivolse a Maitreya che si era affacciato anche lui nella stanza, ignorando la richiesta d'aiuto che Vissia gli aveva offerto ed accompagnando il fratello a sedersi sul bordo della panca ai piedi del baldacchino.
« No, nessuno deve saperlo. » gli rispose, testardo, e Veer lasciò le mani di Mothalthin, che ricaddero stanche fino a toccare il legno della seduta, e si avvicinò al sovrano, fronteggiando il suo sguardo.
« Vai a chiamarlo. » gl'intimò di nuovo, Maitreya passò la mano sull'elsa della spada, indignato. Non aveva nemmeno potuto provare ad ammazzarlo e non avrebbe potuto farlo in futuro, altrimenti ad Asper cosa avrebbe detto? Ed ora doveva persino far mettere il naso in mezzo a tale faccenda a Mihir, quel dannato vecchio che non era mai certo di quanto gli fosse o meno fedele. E se l'avesse riconosciuto? Mothalthin era il maggiore e la sua pretesa al trono risultava ben più legittima di quella che a suo tempo aveva avanzato Maitreya, e poi tutti lo amavano così tanto, il suo odioso fratello, se si fosse sparsa la voce della sua resurrezione, non sarebbe trascorso molto prima di vedersi spodestato.
« Nessuno, avevamo detto. » sibilò tra i denti.
« Prima di constatare quanto l'avessi martoriato. » Veer sibilò a sua volta nell'orecchio di Maitreya, sufficientemente vicino da non rendere nessun altro partecipe a ciò che si stessero dicendo.
« La risposta rimane no. Se non è morto prima, non morirà ora. » ribattè, tendendo tutti i muscoli che avesse in corpo per non avventarsi contro Veer, e se ne andò, rivolgendo un'occhiata puramente di sfida al suo interlocutore e fulminando Vissia quasi avesse avuto la colpa di trovarsi in quel luogo al momento sbagliato per sua volontà. Con lui portò anche Asper, nonostante il fratello non volesse andarsene, e dall'uscio spalancato Vissia vide persino la presenza di Kaitos dileguarsi. Tirò un sospiro di sollievo impercettibile. Rimaneva comunque un Fenrir a vegliare nel corridoio, ma non le incuteva lo stesso timore nero del lupo di Maitreya, anzi, il pelo grigio dell'animale somigliava teneramente al pelo liscio e lucente del suo certosino.
« E' meglio che tu esca da qui. » Veer la richiamò alla realtà, facendola voltare verso di lui
« Accertati che non entri nessuno. »
« Non sono così inutile. » si lamentò la ragazza, tentando di scostare le maniche ingombranti del vestito che Mocma le aveva fatto indossare, spiegandole che tra la nobiltà più il bliaut le aveva lunghe più veniva considerato sensuale ed un simbolo di riconoscimento per il rango di appartenenza. Contadine e donne di mestiere non potevano permettersi di essere intralciate da della stoffa, a differenza di regine e dame di corte, atte nella vita solo ad essere servite.
« Non ti sto dicendo che sei inutile. » Veer si era inginocchiato davanti a Mothalthin e si stava assicurando che fosse ancora cosciente « Solo che non servi qui. » prese le sue mani e gli sussurrò qualcosa che Vissia non riuscì a percepire, vide solo che l'uomo sorrise appena e tentò di parlare a sua volta.
« Solana. » biascicò, inciampando in ogni lettera, e come se dirlo gli fosse costato uno sforzo tale da prosciugargli persino l'ultimo baluginio di volontà che lo facesse resistere, si lasciò cadere all'indietro, esausto. Veer lo sostenne in tempo, evitando che la testa si scontrasse contro la panca. Avvicinò il volto a quello di Mothalthin, quasi potesse afferrare parte delle sue sofferenze e caricarle sulle proprie spalle.
« È bella come la ricordavo. » mugugnò ancora, afflitto dalla stanchezza ma non abbastanza da tenerlo zitto. Poggiò infine la schiena scoperta sul legno e chiuse gli occhi. Aveva detto ciò che desiderava.
« Lo è, sì. » la voce gli morì in gola, e Vissia vide un amaro accenno di nostalgia ricoprirgli il volto, oscurandolo parimenti alla luna durante una notte plumbea: per quanto tentasse di brillare, rischiarando il buio tutt'intorno a sé, un imprevisto leggero come una nuvola era capace di annientare i suoi sforzi. Si alzò in piedi, tirò le tende e non disse più nulla. Con un cenno invitò Vissia a seguirlo.
« Volevi risposte, te le posso dare ora. Andiamo, lascialo in pace. » le tese un palmo e lei l'afferrò senza pensarci, in pena per la persona che si era appropriata dello spazio in cui stava riflettendo ed al contempo gratagli per averle riportato Veer, liberandola dal peso dei propri pensieri e dalla malinconia di casa che si stava appropriando del suo subconscio per un'altra volta. Era incredibile come uno sconosciuto sapesse farla sentire meglio, molto più di qualunque affetto avesse ritenuto tale durante la sua vita. Per di più ai confini del surreale. Veer era speciale, qualunque cosa lo riguardasse era speciale e sapeva far sentire tale anche lei. 

Le chiome degli alberi si protendevano le une verso le altre, intrecciando le loro dita scheletriche a creare un cielo verde di foglie e rami, da cui i raggi solari penetravano radi, carezzando la clorofilla degli arbusti tra cui tentavano di farsi strada e tingendosi della medesima tonalità. Pareva di trovarsi nelle profondità di un oceano lussureggiante, increspato dal ritmico ondeggiare della vegetazione sotto l'influsso continuo della brezza dell'Ostro ed i riflessi di luce che li circondavano come una corolla, intessevano ragnatele di ombre sul terreno in perenne movimento. Nel silenzio innaturale della Foresta Celibea echeggiavano solamente i richiami lontani di uccelli sconosciuti, lo scalpiccio degli zoccoli sul terreno ed il frusciare delle piante, e se tali rumori non ci fossero stati, forse Vissia avrebbe persino potuto udire il proprio sangue scorrerle famelico in corpo. Lei e Veer stavano solcando una via stretta e poco agibile, che si districava innanzi a loro come una vena dell'immenso essere pulsante in cui si erano immersi. Le radici più prorompenti che bucavano il terreno, disarticolandosi tutt'attorno al fulcro che le alimentava, si protendevano similmente a mani verso Vissia, soffocate dal muschio e dai licheni. Parevano invocare il suo aiuto. Non c'era anima viva che non appartenesse al regno vegetale, gli animali sembravano non esistere in quel luogo piacevolmente misterioso e le persone non erano solite cavalcare strade secondarie, troppo indaffarate negli affanni della vita per godersi i piccoli piaceri gratuiti offerti dalla natura.
La ragazza teneva strette le redini tra le mani e saldi i piedi nelle staffe, agitata dall'idea di non poter poggiare le suole delle scarpe a terra nel caso stesse per cadere. Era salita in groppa ad un cavallo una sola volta nella sua vita e l'esperienza si era rivelata così traumatica da non concederle di ritentare nuovamente. Amava gli animali ma non possedeva l'abilità di destreggiarsi con loro, che fossero di grandi o piccole dimensioni, selvaggi o domestici. Füssli, il suo gatto, era l'unico capace di gestirla, ma Veer non aveva voluto sentire repliche, o l'avrebbe fatta a piedi o su un destriero. La promessa che non si stavano dirigendo a pochi metri da Thora Koshra l'aveva fatta desistere dal seguirlo con le proprie gambe e Chara, la cavalla dal manto dorato sul cui dorso stava dondolando, le era risultata pacata e ben disposta, decisamente bella e assai curata. Il cavallo di Veer invece era nero quanto i suoi capelli e se non fosse stato per la camicia bianca che gli cadeva larga, non ci sarebbe stata distinzione netta tra il manto dell'animale e la sua persona.
Lo stava seguendo ormai da tempo indefinito, tenendosi ad una distanza adeguata per non intralciarlo ma nemmeno sentirsi abbandonata a se stessa. Avevano attraversato i cancelli d'entrata di Menastir e battuto il ponte ricurvo sotto cui scrosciavano sanguigne le cascate del Fiume Rosso che le generava. Veer le aveva spiegato che fossero i fiori di Cidonia a conferire al corso d'acqua quell'inusuale colore, li usavano anche i mercanti per tingere i tessuti, non era nulla di cui rimanere ammaliati. Nel Focolare, l'Almabyra era bianco come il latte e durante l'inverno risultava quasi impossibile distinguerlo dalla neve che puntualmente lo circondava. Vissia era rimasta affascinata lo stesso dal pensiero che ci fossero fiumi di colori diversi, dopotutto per tutta la sua esistenza li aveva sempre visti trasparenti. Talvolta melmosi o sporchi a causa dell'inquinamento, ma generalmente non si coloravano per vie naturali. Si erano poi diretti, aggirando il borgo che iniziava pochi piedi di terreno dopo il ponte, verso una fitta boscaglia che Vissia aveva già visto in groppa a Brea. Si accostava alle rocce scoscese della voragine, protendendosi fino a circondarla per qualche miglio, nulla in confronto alla serie di abitazioni e botteghe che occupavano il rimanente spazio, ma tanto bastava per consentire di inoltrarvisi in poco tempo. Ciò che destabilizzava e faceva poi scorrere le ore non era quindi la distanza dal centro, quanto piuttosto l'estensione smisurata della foresta Celibea, un intricato ammasso di alberi, arbusti e sottobosco dal sapore di fiaba solo superficialmente. Le viuzze che vi si dipanavano all'interno costituivano un pericolo per chi non le conoscesse. Conferivano un aspetto sempre uguale all'ambiente metro dopo metro, era facile perdersi, ma Veer sapeva dove muoversi. Conosceva quella terra meglio della sua, forse perchè da piccolo incuriosiscono sempre e solo i possedimenti altrui, o forse perchè Maitreya gliel'aveva fatta apprezzare nei suoi aspetti più crudi ed insidiosi, trascorrendo con lui anni a vantarsi di cosa suo padre possedesse, che si trattasse di una rovina o di una pianura.

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