16.2 Parole

Una presa ferrea sulle sue spalle la costrinse a scivolare attraverso le porte aperte di una stanza mai notata prima.
A Vissia sfuggì in tempo un gemito, ma una mano, pronta a tapparle la bocca, arrestò ogni altro tentativo di urlare. Cercò allora di divincolarsi dal corpo dello sconosciuto, scalciando e mordendo le dita che le tenevano chiuse le labbra; non aveva intenzione d'essere spostata come una bambola priva di vita senza nemmeno un minimo di opposizione. Una voce alle sue spalle, però, le sfiorò le clavicole, chiedendole di calmarsi, e non appena la riconobbe, la ragazza s'impietrì sul posto. Le braccia aggrovigliate sul suo petto s'allontanarono, il palmo si scostò dal viso e la figura dai capelli ricci le si parò davanti, chiudendosi alle spalle l'entrata, attraverso cui era stata trascinata tanto sgarbatamente.
« Che diamine ti è saltato in testa? » borbottò, rassettandosi la gonna dell'abito al pari d'una dama colta in disordine. Maitreya rimase ad osservarla, bella nel suo cruccio e nei suoi gesti oramai divenuti consuetudine, fluidi e per poco non eleganti.
« Dobbiamo parlare » ammise, sbattendo convulsamente le palpebre per riacquistare un briciolo di contegno. Troppi pensieri gli si accartocciavano in testa, infastidendosi l'uno con l'altro, eppure Vissia sapeva farli tacere e ritornare nelle loro tane sotterranee, da cui erano riusciti a fuggire per mera fortuna.
Non avevano più avuto il coraggio di guardarsi negli occhi in tutti quei giorni di distacco, il sovrano dei Fenrir si era prodigato per continuare ad aiutarla nell'imparare a tirare con l'arco, facendo attenzione a non avere Veer nei dintorni, ma nulla di più. Un paio di volte erano persino riusciti a farsi scorgere da Cassivellanus e questo li aveva ancor più convinti che la loro divisione fosse la soluzione migliore. Non erano bravi a nascondersi, dunque dovevano non avere segreti da tenere celati. La notte trascorsa insieme rimaneva un bel ricordo, almeno quanto la mattina successiva, qualcosa d'afferrare per sentirsi meno soli e più amati nella necessità. Non poteva e non doveva ritornare ad essere niente di concreto, le memorie bastavano a mettere in pericolo entrambi. Avevano tradito la fiducia di Dhoveerdhan, era innegabile, se ne erano pentiti, anche questo era innegabile. Abbisognavano di dimenticare la passione alla quale si erano abbandonati, abbisognavano di domandare ammenda per la loro impulsività.
Nonostante tutto questo si chiamavano lo stesso. Con gli occhi, con i gesti, con una parola, con un tocco casuale, ogni piccolezza guizzava nelle loro menti e li rendeva instabili e pericolosamente inclini a compiere altri errori. Per tale motivo si erano ripromessi di tenersi a debita distanza, ciascuno occupandosi dei propri affari senza far intromettere l'altro. L'unico reale punto d'incontro avevano stabilito fosse il tiro con l'arco, per il resto fingevano di odiarsi e temersi a vicenda come era sempre stato e speravano di non dover mai rendere conto delle proprie scelte.
Ma in quel momento, Maitreya era appena andato contro tutti i loro buoni propositi risolutivi. Chiudersi soli in una stanza era tra le primissime azioni da evitare a costo della vita. Era quello che avevano appena fatto. Quello che lui aveva appena fatto.
« Non possiamo, lo sai meglio di me. Sto cercando di dimenticarti, di adattarmi per quanto possibile, così mi rendi le cose troppo difficili. Di cosa dobbiamo parlare? » inveì Vissia, tenendo la voce bassa affinché essa non si gettasse contro le imposte e graffiasse per uscire, raggiungere orecchie indesiderate.
« Quanto sei cambiata in così poco tempo, parlare con quel leccapiedi dei Celesti ti ha rivoltato il carattere » commentò Maitreya, aprendosi in un sorriso genuino.
La ragazza incrociò le braccia al petto, sfiorando il corpetto del vestito, il quale le stringeva i fianchi e la faceva rimanere eretta, longilinea come una sottile colonna di marmo. Si guardò attorno, percorrendo le piastrelle grezze del pavimento ed i pochi arredi minimalisti, per gran parte costituiti di solo legno. Non riteneva Almashan un leccapiedi, l'aveva aiutata a capire chi fosse e spronata ad abbandonarsi all'avvenire con l'animo in pace, tanto bastava per crederlo un amico e di certo non un ciarlatano. La mole della sua forza era stata così immensa da farsi sentire persino da lei. Al contempo sapeva, però, che discutere con Maitreya era come andare contro un muro a mani nude: inutile e sfiancante. Rimase pertanto in silenzio a guardarlo, alle prese con una situazione non alla sua portata.
« Mi sto adattando all'atmosfera del castello » disse in una smorfia, concludendo il suo ostentato mutismo, ed alzò le spalle « di cosa dobbiamo parlare? »
« Ho bisogno di qualcuno che mi capisca » confessò, rovistando in una tasca dei pantaloni di pelle scura, alla ricerca di qualcosa « non hai idea di quante cose sto tenendo in piedi in questo momento, Vissia. Ciò che più mi turba, però, è mio zio. Gli ho inviato una lettera, qualche giorno fa, domandandogli di presentarsi a Menastir per discutere di un'unione dei nostri eserciti. Questa è stata la sua risposta: sai leggere, vero? » le chiese, porgendole un foglio di carta stropicciato e spiegazzato di dimensioni piuttosto ridotte per rappresentare una degna risposta.
« È ovvio che so leggere, accidenti. Dammelo qui » la ragazza glielo sfilò dalle mani, lo rigirò su se stesso e si decise ad aprirlo.
« Verremo » recitò, rimanendo ella stessa interdetta per la brevità e la concisione di quell'unica parola scritta in una calligrafia impeccabile « che cosa significa? Non pensavo avessi uno zio. »
« È questo il punto » le rispose, passandosi un palmo nervoso tra i capelli « sono generazioni intere che siamo divisi in due rami, uno primario di cui io e i miei due fratelli siamo gli unici rimasti, ed uno secondario, di cui fa parte mio zio ed i miei cugini; più in generale vi rientrano coloro i quali sono stati allontanati per paura potessero prendere il sopravvento. Capisci che ho appena dato a quell'ammasso di risentimento la possibilità di muoversi contro di me? Gli ho inviato una richiesta d'aiuto, mi ha risposto questo. Io come lo devo interpretare? »
« Non ne ho idea, stai parlando con la persona sbagliata. Io non ci sto capendo niente, non capisco le vostre dinamiche familiari neppure volendolo. Sono piuttosto sicura di non aver mai avuto a che fare con parenti assassini di altri parenti, ma la mia memoria è poco credibile lo so. » Vissia guardò in terra, verso la punta degli stivali.
A poco a poco si stava sgretolando il muro di sabbia entro il quale si era rinchiusa per poterne uscire più preparata al momento giusto, fornita di una nuova forza e consapevolezza; ma ora aveva paura di ritrovarsi per l'ennesima volta in balia di se stessa. Non le avevano dato tempo a sufficienza per riuscire ad affrontare, e soprattutto comprendere, quel tipo di mondo. Non era semplicemente pronta a farlo, serviva tempo per adattarsi a certi ritmi. E lei non era riuscita ancora ad inserirvisi degnamente, il turbinio di informazioni ed eventi che si susseguivano a Thora Koshra riusciva sempre a prenderla alla sprovvista e farla cadere.
Era quanto stava accadendo con Maitreya in quel momento: la stava sommergendo di altri problemi, accodatisi insieme a tutti gli altri, nuovi o vecchi non sapeva nemmeno più distinguerli, ai quali non riusciva a dare una soluzione. E se non ne era in grado lui, come pensava potesse farlo lei? Finora nessuno dei due aveva saputo aiutare concretamente l'altro, in quell'occasione non sarebbe probabilmente accaduto l'impossibile.
« Non so con chi altro parlarne. Veer non riesco a guardarlo in faccia, Asper sta sempre peggio, Mothalthin sta avendo crisi interiori su chi sia e cosa debba fare e poi c'è Almashan che sembra sempre pronto a giudicarti, Cassivellanus, il quale sarebbe capace di impugnare una spada dalla lama, ed infine la numerosissima serie di soldati e comandanti ai quali non affiderei la vita di un cavallo » sciorinò una lista di nomi ai quali non volle dare un volto preciso. Li elencò e basta, non aveva bisogno di associare ad essi persino un aspetto da affrontare, era sufficiente sapere non rappresentassero un ramo abbastanza poderoso per reggere la scalata. Doveva evitarli, voleva evitarli, non poteva fare altro che evitarli, in verità « devo fare tutto da solo, come sempre. »
« E allora fallo, ci sei abituato a superare i problemi in solitudine. Non penso faccia bene a nessuno dei due contare sull'altro, dal momento che dovremmo odiarci » sussurrò Vissia, inarcando in avanti il busto per farsi sentire meglio da Maitreya. Quella porta chiusa non le riusciva a dare sicurezza, intravedeva la luce del giorno penetrare dalle giunture ed aveva incrociato Veer ad una svolta del corridoio non troppo distante. Se fosse entrato qualcuno o se qualcuno li avesse visti uscire insieme, delle spiegazioni non le avrebbero sapute trovare. La finzione del loro astio, ed in particolare del suo timore nei confronti del sovrano, era divenuta una recita ostentata ed inverosimile.
Era difficile, tremendamente complicato mostrare dei sentimenti fasulli, l'esatto contrario di quelli reali. Così, se s'incontravano per errore tra un passo e l'altro, lei abbassava lo sguardo, lui le passava accanto deviando il percorso; se dovevano condividere la medesima stanza, Maitreya la teneva il più distante possibile, lei s'accostava a Veer; se capitava di parlare a cena, uno dei due restava zitto mentre la discussione procedeva spedita, lasciandolo indietro. Il tiro con l'arco rappresentava l'unico momento della giornata nel quale si spogliavano delle pastrane di menzogne ed indossavano il velo della verità. Si guardavano in viso, si sorridevano e si sfioravano le mani per correggere una posizione imprecisa, un muscolo troppo flesso o una freccia tenuta eccessivamente in alto. Si nascondevano negli antri più sperduti del castello e si amavano in silenzio, con gli occhi ed i gesti insicuri, tra uno strale ed un centro perfetto.
« Lo sai meglio di me che non ti riesco a guardare come una detestabile sconosciuta, non più » una mano del Rekkar le si posò sulla guancia, attirandola a sé « ancor meno se mi mostri questo atteggiamento di ammirabile superiorità. »
Fu prossimo a posarle un casto bacio sulle labbra, il loro profilo incastrato come metà perfetta in controluce. Se fossero state due nere sagome, private d'identità, avrebbero dovuto soffrire tanto per amarsi? Non c'era malattia peggiore dell'amore proibito, Maitreya lo sapeva bene. Ti strisciava sotto la pelle, pungendoti con le sue spine ed ammaliandoti con il suo profumo. Ti stordiva grazie alla passione fatta ardere dalla proibizione, dalle difficoltà e dalle regole infrante per strappare un semplice gemito di piacere. L'aveva fatto con lui, l'aveva fatto con Gaverna: lui era rimasto scottato, lei era stata bruciata dalle sue stesse fiamme. Sapeva a cosa stesse andando incontro, il ricordo era vivo e sanguinante, uno squarcio in cancrena nella sua mente, eppure non sapeva controllarsi. Al dolce sapore di Vissia non sapeva rinunciare.
La ragazza si levò in punta di piedi, chiuse gli occhi e lasciò che le loro bocche si congiungessero per un solo istante, poi si ritrasse e mosse un passo indietro. Stare così vicina a lui la rendeva instabile e le toglieva il poco senno riacquisito in quei giorni. Maitreya era un veleno dolce, aromatizzato, ingiustamente mortale.
« È meglio che vada » lo guardò appena mentre già si stava muovendo per uscire, ma una mano la colse in tempo per arrestarla e farla voltare.
« Cosa dovremmo fare, Vissia? Stiamo brancolando nella nebbia, prima o poi incontreremo un ostacolo più infimo degli altri e cadremo rovinosamente a terra, ci scontreremo con le conseguenze delle nostre azioni. »
« Carpe diem » gli rispose, lasciando posare le lettere di quella frase nell'aria una ad una. Le vide risplendere vivide innanzi a lei, sfumare nell'atmosfera inondata di luce rarefatta ed infine svanire oltre il capo del sovrano, un cruccio insanabile dipinto sul suo volto statuario.
« Che cosa significa? » le chiese, speranzoso fosse una risposta aperta a più interpretazioni. Non conosceva quella lingua, ma il suono era melodioso e prometteva di dare forma concreta ad utopie di sogni e chimere di desideri.
« Cogli l'attimo. Goditi i momenti belli della vita e non pensare ad altro. »
« Sono considerabile come un momento bello? »
« Il migliore » riuscì a dire, poi la rigidità voluta mantenere perse consistenza, si sciolse e dissolse in una pozza, la invitò a tornare sui propri passi per evitarla. Intrecciò le mani con i ricci di Maitreya, le chiuse dietro il suo collo e si lasciò sollevare dalla sua forza brutalmente delicata.
La schiena di Vissia incontrò la parete, i palmi del sovrano si districarono tra gli strati della gonna e si fermarono solo dopo aver incontrato la pelle calda e delicata della ragazza. La guardò in viso, gustando i suoi occhi scuri come la terra arata e frustata dal sole, ed infine le posò un primo bacio sul petto lasciato scoperto dall'abito, seguito da un altro ed un altro ancora. Armeggiò con le corde del corpetto dietro la schiena di Vissia al pari di una sarta esperta, ed in poche mosse la liberò completamente del tessuto, mostrando prima le spalle minute, l'incavo della clavicola cominciò a chiedere le sue attenzioni, e poi il seno. Un seno acerbo, di una ragazza ancora incastrata tra gli ultimi bagliori dell'adolescenza, perfetto da sfiorare con i polpastrelli. Scese ad assaporarla fino allo sterno, amalgamando la sua lingua con la pelle calda sotto di essa, la sentì fremere e stringergli i capelli tra i palmi, per avvicinarlo sempre di più a lei.
Un gemito sommesso si sprigionò dalle labbra di Vissia, Maitreya riprese fiato e si sorprese di quanto avessero saputo resistere alla loro stessa trappola. Poi perse ogni ragione, allucinato dal sentimento rosso e denso che gli scorreva in corpo. Aveva bisogno di saperla sua un'ultima volta. Un'ultima volta, o forse no.
Carpe diem, ansimarono insieme nel tradimento. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top