13.2 Promesse
« Io l'avrei rotto, infastidendo mio fratello? » Ferni percepì i rimproveri di Kohor come un attacco personale. Non era abituato a sentirsi dare consigli, tantomeno a condividere le proprie strategie con altri prima ancora di averle pensate. Aveva richiesto un aiuto al Rekkar di Tehéweha, capitale della Penombra, soltanto per avere qualcuno con cui parlare e sfogare le proprie frustrazioni. L'aveva sempre fatto con Serhatan, ma ora non poteva più. L'avrebbe fatto con Yed, se non avesse saputo che quel pelato non teneva mai la bocca chiusa. Autybe lo odiava, l'aveva sempre odiato, preferiva Veer e lui lo sapeva. Dunque non gli era rimasto nessuno che non fossero servi incompetenti e uomini di non accertata fiducia. Kohor era stata l'unica scelta, il solo che lo avesse sostenuto fin da principio ed aiutato a farsi valere, proiettando alle sue spalle un'ombra più grande di quanto realmente non fosse. Ma con quelle parole, si sentiva quasi tradito, come se all'improvviso lo scarto di età tra loro due gli fosse caduto addosso, una pioggia ghiacciata che lo aveva stordito. Si era sentito inferiore a quella saggia figura, avventato ed anche materialmente un dilettante. Lui, a ventiquattro anni, non aveva ancora condotto alcun esercito, gestito strategie militari né vinto nulla. La congiura contro il fratellastro era stata una cosa talmente facile, dopotutto nessuno aveva mai accettato sul serio la sua vicinanza a Maitreya, che col senno di poi risultava scontata, fattibile anche senza grandi doti di ingegno. Cosa Kohor avesse fatto alla sua età, non voleva nemmeno immaginarlo.
« Quel ragazzetto ha sofferto il peso del diverso e del reietto. Tu hai fatto in modo che Dhoveerdhan lo potesse comprendere più del dovuto. Era ovvio che avrebbe patteggiato per lui. Maitreya ha mandato Veer e quell'altro al suo fianco per suonare la giusta melodia tra le corde di Cassivellanus. E ci è riuscito. » l'uomo parlò chiaro, non risparmiandosi accenti più marcati sulle parole di maggior rilievo. Se fino ad ora era stato in silenzio, era soltanto perché le carte in tavola non erano ancora state messe. Ma dopo la cerimonia funebre, i confini iniziavano ad essere tracciati e mancavano all'appello solo due Dinastie minori che, però, potevano fare la differenza. Centicore e Turul non erano mai stati tanto importanti.
« Quell'altro, già » Ferni parve ignorare il resto della paternale, aggrottando la fronte e chiudendo gli occhi per concentrarsi solo su quel particolare « non ho idea di chi sia, ma sono sicuro di averlo già visto. Era un viso... »
« Familiare. » Kohor finì la frase al suo posto, assumendo un'espressione dubbiosa ed attenta a cogliere ogni più recondito pensiero del ragazzo. Forse stavano pensando la stessa cosa.
« Era troppo familiare. » Ferni schiuse le palpebre serrate e posò la mano sulla bocca, picchiettandola per farsi venire un'idea su chi potesse essere. Se Maitreya aveva mandato quella persona al fianco di Veer, in essa doveva riporre non poca fiducia. Che fosse un parente, che l'avesse chiamato da Bernovem per avere una spalla su cui contare dopo che lui gli aveva strappato Asper dalle mani?
« Ho avuto la tua stessa impressione, Ferni. Ho timore di credere si tratti di un cugino, o uno zio. Maitreya deve risolvere i conflitti familiari tra consanguinei di second'ordine se vuole che l'Ostro abbia un esercito unito. »
« Credi abbia mandato quell'uomo per dimostragli che di lui si fida? Per avere il completo appoggio suo e del resto della Dinastia? » Kohor annuì e Ferni si morse un labbro. Non aveva nemmeno immaginato Maitreya fosse capace di accantonare decenni di rivalità familiari per guadagnare forza, non perlomeno così presto. Forse aveva intenzione di attaccare prima di quanto avessero immaginato, o sperato.
« Dobbiamo provare che le nostre ipotesi sono fondate. Scoprire chi era l'accompagnatore di tuo fratello » il sovrano biondo aizzò un dito al soffitto verdastro, scuotendolo a ritmo regolare come per ricordarsi qualcosa ed infine lo puntò contro Ferni « e devi richiedere un colloquio con i Turul, adesso che Maitreya si è unito alle Manticore sarà facile tirarli dalla nostra parte. »
« Per le Centicore? » domandò annuendo, invaso da un'ansiosa preoccupazione che mai aveva sperimentato prima di allora e che lo rendeva incapace di ragionare.
« A quelle ci penso io, i confini li condividono con la mia Terra. » asserì stoico Kohor, con un velo di ombre ad annerirgli le iridi rossastre. Se non potevano essere convinti a schierarsi con le buone, quei selvaggi l'avrebbero fatto con la forza.
Ferni rimase a lungo nella Rèknamar anche dopo che Kohor se ne fu andato, abbandonandolo alla matassa indistricabile dei suoi dilemmi senza molti convenevoli. Era un uomo deciso, il sovrano dei Cani Neri, e per nulla incline ad aiutare il prossimo nelle difficoltà. Si indeboliva il carattere intromettendosi nei problemi altrui e risolvendoli al loro posto; almeno era con tale concezione che quelli della sua Dinastia venivano cresciuti. Uomini che di difficoltà ne avevano dovute affrontare fin dall'alba dei tempi, abituati a lottare non solo con il prossimo ma anche con la propria dimora. Un luogo inabitabile, dove l'impossibilità di vivere pacificamente con la terra stessa ed il perenne rigetto che essa perpetrava nei confronti dei suoi conquistatori, aveva generato mostri e uomini dal carattere di ferro. La Penombra era una landa incavata, paludosa per gran parte ed insidiosa, la notte non si era mai certi di chi o cosa camminasse per gli immensi prati ed infestasse le foreste, costantemente avvolte dalla nebbia. Tutto il territorio era generalmente caratterizzato da un'oscurità persistente, anche quando il sole risplendeva alto nel cielo, la Penombra rimaneva nel crepuscolo. Solo in brevi periodi dell'anno si avevano ore di luce vere e proprie, per il resto dei mesi non c'era possibilità di sfuggire all'oscurità e alla nebbia. Ed era per questioni di adattamento che Cani e padroni avevano sviluppato una vista sopraffina, in grado di penetrare anche il buio più ostinato. I loro occhi risplendevano come bragia nella notte e non erano pochi coloro che sostenevano di aver visto la dannazione in quelle iridi rosse.
Anche il sovrano del Focolare aveva dovuto combattere contro la sua dimora, conquistandosi a fatica un posto a sedere che gli permettesse di ottenere rispetto. Non aveva forse dovuto affrontare la meschinità di una palude o le zanne di una fiera, ma la sua lotta era stata altrettanto estenuante. La sua stessa nascita era stata una lotta, perchè nessuno avrebbe permesso che il bastardo di un sovrano vedesse la luce; nessuno eccetto suo padre Deithor, anzitempo denominato il Magnifico per buoni motivi. Tra quelli non rientrava aver salvato la vita ad un'ignominia, mettendola addirittura al pari del proprio primogenito, ma a Ferni era sempre piaciuto pensare che in quell'aggettivo c'entrasse anche lui. La magnificenza del genitore che si era manifestata non solo in gesta eroiche, anzi, soprattutto nella smodata bontà verso il prossimo. Perchè Deithor era stato un uomo severo, eppure nella sua severità c'era sempre stata una crosta di celata benevolenza che molte volte, forse più dello stesso Veer, egli aveva intravisto e provato.
Tuttavia gli anni di relativa pace e protezione a cura del padre durarono poco per Ferni, il sovrano morì quando lui aveva meno di nove anni e con l'ascesa al potere di Dhoveerdhan la sua vita divenne un susseguirsi d'angherie. Tra i due, la rivalità era stata una costante, in qualunque aspetto del quotidiano. Che si trattasse di ricevere attenzioni, complimenti o incarichi, di duelli atti ad allenarsi, di giochi o scherzi, uno doveva sempre primeggiare sull'altro. E nonostante Veer fosse due anni più grande, Ferni aveva costituito un ostacolo non irrilevante. La scaltrezza da ragazzo, la furbizia di bambino e l'innocenza ostentata l'avevano reso all'altezza del legittimo erede, causando invidie e gelosie palesi in quest'ultimo. Il quale, divenuto Rekkar, non aveva avuto dubbi su come ripagare Ferni delle proprie mosse. L'obiettivo principale era stato quello di escluderlo da Tellhana Koshra, mostrandolo come il bastardo reietto che doveva essere fin da principio. Un bambino, suo fratello, dall'indole malevolmente vendicativa. Si chiedeva ancora come nessuno avesse notato quanto nel cuore di Veer ci fosse cattiveria, perché mai non un'anima avesse avuto pena per la sua sorte e per quale motivo, per tanto forse troppo tempo, il nuovo sovrano fosse stato osannato. Probabilmente anche grazie alla sorella, rifletté; Solana era stata docile, gentile, dispensatrice di speranza ed irrorata d'amore per Veer, oltre che accecata dai suoi stessi sentimenti, proprio come Autybe. Avevano trascorso la vita insieme, quei due, consapevoli che un giorno si sarebbero uniti ed avrebbero regnato fianco a fianco; il loro amore era stato puro come quello che lega due gemelli e passionale come quello tra due amanti. Per questo Ferni aveva avuto tanto piacere nell'ammazzare Solana, uccidere prima Veer sarebbe stato controproducente. Non avrebbe mai visto nei suoi occhi la disperazione che lui, invece, aveva provato in tutti gli anni passati sotto il suo regno.
Dhoveerdhan gli aveva rovinato l'esistenza. E lui aveva solamente ricambiato il favore.
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