13.1 Promesse
« Perchè lui? Sei una bestia, una lurida bestia! Glielo hai detto tu di farlo, volevi che morisse! » Autybe consumò la distanza che la divideva da Ferni a falcate, il viso arrossato per la rabbia e le mani che tremavano come una corda troppo tesa, prossima a spezzarsi.
Da quando era tornata da Menastir non aveva saputo darsi pace, continuava a pensare a Serhatan, alla sorte del fratello e agli striduli versi che la sua Viverna aveva prodotto per giorni. Il ragazzo per cui avrebbe sacrificato se stessa doveva star soffrendo angherie disumane, lei lo sapeva, altrimenti il suo animale non avrebbe avuto motivo di dimenarsi tanto, quasi le fiamme lo stessero divorando. Ma tale consapevolezza non era nemmeno la peggiore; l'impossibilità di fare qualcosa per aiutarlo, era quella che la faceva impazzire. Intuiva cosa lui stesse patendo, poteva vedere le scaglie del rettile contrarsi e sanguinare, gli occhi appannarsi e le ali contorcersi inutilmente, eppure ogni sua lacrima, ogni suo grido di aiuto, era inutile. La Viverna persisteva nell'agitarsi immobile tra le catene, trafitta dal dolore ed impossibilitata a ricongiungersi con il legittimo padrone. Ferni aveva preferito costringerla in un sotterraneo piuttosto che rischiarne la vita facendola volare dal cugino, ma a quanto pareva non aveva pensato di proteggere altrettanto Serhatan. Autybe mosse veloce un palmo, facendolo approdare in pieno volto del Rekkar, proprio sopra alla cicatrice, che presto si tirò per fare largo ad una risata.
« Gliel'hai detto alla fine » commentò ridendo, rivolgendosi a Yed che nel frattempo aveva raggiunto la figlia con il fiatone della rincorsa « mi chiedevo quanto ancora avresti aspettato. » tese il braccio con cui stava stringendo un bicchiere e l'unico servo presente nella stanza gli versò nuovamente da bere; quel pomeriggio il sovrano pareva più incline del solito ad ingurgitare vino, era già la quarta volta che il calice veniva riempito. A guardarlo negli occhi, si poteva quasi dire che fosse contento.
« Sei un porco! Un dannato porco bugiardo, ti odio! Ti odio a morte! Non hai sentimenti, non hai scrupoli, non ti importa di nessuno, proprio come un maiale! » la ragazza cercò di svincolarsi dalla salda presa del padre, tirando calci all'aria e sbraitando l'odio che le si era creato in corpo. Avrebbe tanto voluto che il suo piede raggiungesse la faccia di Ferni e la facesse sanguinare, anche solo una goccia le avrebbe donato un velo di sollievo. Invece raggiunse la coppa appena riempita, scaraventandola in terra con tutto il contenuto.
« Era buon vino » si lamentò il re, pulendosi con il polpastrello una goccia che aveva raggiunto la guancia e passandoselo sulle labbra « ti vedo piuttosto nervosa, quest'oggi. C'è qualcosa che possa fare per rimediare? » propose, senza mai affievolire il sorriso.
« Devi morire! Solo questo mi farebbe felice. » sibilò tra i denti Autybe, arrestando gli inutili tentativi messi in atto per liberarsi da Yed. Non sarebbe servito a niente insistere con quello spettacolo, lo aveva capito fin dalla prima parola di Ferni e dal sarcastico ghigno che gli si era dipinto sul volto sfregiato. Ormai Serhatan non lo avrebbe comunque potuto riavere indietro, si stava comportando come una bambina e mettendo in luce la già precaria fedeltà nei confronti del suo sovrano. La scenata si era conclusa, aveva riportato lo sdegno per Ferni nei limiti e fatto scemare la rabbia che si era addensata come le nubi prossime alla tempesta. Adesso non rimaneva altro che accettare la realtà: suo fratello aveva pugnalato Asper sotto esplicito comando del Rekkar di Igniphetra. E lei era stata tenuta all'oscuro di tutto quanto, probabilmente perchè avrebbe reagito esattamente in quella maniera sconsiderata. Yed, però, alla fine aveva ceduto, non era riuscito a zittire i sensi di colpa creati dal tenerle nascosta una verità tanto importante. Anche lui aveva saputo solo ad azione compiuta ciò a cui suo figlio aveva volontariamente deciso di obbedire, e sapeva bene cosa si provasse. Dopotutto, aveva perso un figlio. Si chiedeva come mai non fosse riuscito a sapere quel piccolo particolare neppure origliando tra un cunicolo e l'altro. E si rispondeva che Serhatan e Ferni l'avevano stabilito, con ogni certezza, in circostanze tanto segrete che non un'anima all'infuori di loro avrebbe saputo quanto si fossero scambiati. Anche le orecchie del Focolare a volte non riescono a giungere negli angoli più remoti.
« Deduco sarai infelice ancora per molto, allora. » Ferni alzò le spalle, aprendo le braccia in un gesto di discolpa ed arricciando la bocca in una smorfia denigratoria. Quanto poteva importare a lui di una pecora data in pasto al lupo, quando tutto il gregge permaneva a fargli gola, segretamente pronto all'attacco? Assolutamente niente.
Rimase a rimirare la cugina mentre veniva trascinata fuori di peso dalla Rèknamar, la Sala delle Consultazioni in cui, prima di essere interrotto, stava colloquiando con Kohor.
L'uomo era restato in disparte, gustandosi dall'alto della posizione di spettatore ciò che aveva preso vita davanti ai suoi occhi. L'austera rigidità che lo caratterizzava era come le colonne di marmo della stanza: ti ci potevi poggiare contro, tentare di muoverle, prenderle a pugni e persino abbracciarle, ma niente le avrebbe fatte mutare. Tale era rimasto il volto del Rekkar dei Cani Neri, una maschera di imperturbabile serietà anche davanti ai sentimentalismi di una donna troppo giovane per il proprio ruolo. Considerava Autybe una bella ed intelligente ragazza, nonostante il volto a cuore contornato da una folta chioma di capelli rossi la faceva somigliare all'amante della madre traditrice. Non aveva niente, assolutamente niente a che vedere con l'eterea bellezza della stirpe del Drago; la sua era un'eleganza selvaggia e sfrontata, incontrollata come una lenta ed inesorabile inondazione, ed il suo acume veniva annegato in una pozza di emozioni senza redini. Se Solana era stata chiamata Rakkar Mheriir, la Regina Mite, Autybe avrebbe certamente ottenuto il sigillo di Raskadra oc Thos, Comandante del Cuore, perchè era l'unico a cui si sapesse affidare nelle difficoltà. Un grave, e forse un giorno fatale, difetto femminile.
« Stavamo dicendo? » Ferni tagliò il filo dei pensieri di Kohor con un colpo secco e pulito, intimando al servo addossato alla parete di farsi avanti nuovamente e pulire il vino versato a terra. Non sopportava vedere quel glorioso pavimento macchiato, era un ignobile spreco di bellezza. Proprio come la cugina, disse tra sé e sé, ridacchiando spensierato.
« Cassivellanus, stavamo discutendo cosa farne. » asserì pronto il sovrano biondo, lisciandosi la barba con il palmo della mano. Non era preoccupato di ciò che avrebbe potuto fare quel ragazzetto minuto ed incapace, piuttosto temeva l'ombra che si teneva alle sue spalle. Almashan era a tutti gli effetti un avversario temibile, perchè, anche se non era concesso al suo ordine di prendere parte alla guerra, la sua fine arte la conosceva come pochi altri. E l'avrebbe insegnata al suo nuovo protetto, lo avrebbe reso spietato ed abile quanto il padre. Ne era certo.
« Ah, giusto » Ferni abbozzò un consenso puntando l'indice verso Kohor « lasciamo che il piccoletto si pieghi dalla parte sbagliata, non ha esperienza né tantomeno capacità sufficienti a contrastarci. E Maitreya, con lui accanto, fa quasi meno paura. È segno che si sente vulnerabile, sta muovendo i primi passi verso la sua stessa rovina. »
« Cassivellanus sarà anche debole, Ferni. Ma ti posso assicurare che Almashan non lo è. Sei giovane, tu non hai visto le capacità che i Grandi Sapienti come lui hanno. Averlo contro è da sconsiderati. » Kohor tentò di instillare nel suo pari una vena di paura che lo rendesse più consapevole delle forze e delle debolezze della loro alleanza, ma non vi riuscì. Da quando Dhoveerdhan era riapparso, Ferni si era fatto meno prudente e più stupido. Lo denotavano il suo comportamento, particolarmente quello infantile al funerale di Ermosed, ed i sentimenti positivi che lo rinchiudevano, a sua insaputa, in un mondo fatto di sogni e fantasticherie. Stavano per iniziare una guerra, non una partita a scacchi. Non si poteva ricominciare dopo uno scacco matto sulle spalle. Eppure pareva non capirlo.
« Quel fantoccio dei Celesti » esordì teatralmente, poggiandosi sul bordo del marmoreo tavolo al centro della stanza e gesticolando convulsamente « non può fare niente. La sua fede glielo impedisce, i suoi dèi glielo impediscono. Di cosa hai paura? » incrociò le braccia al petto ed attese una risposta, palesando un atteggiamento irriverente e poco rispettoso. I fluidi capelli neri tenuti dietro le orecchie e gli occhi chiari adombrati dalla sete di vendetta e potere.
« Dei poteri che Cassivellanus, Maitreya, Asper e Dhoveerdhan hanno. Ed ora non mi dire che non li sanno usare » Kohor zittì la protesta di Ferni prima che potesse avanzarla e proseguì « lui glielo può insegnare. A Veer l'avevano già insegnato, e se a tutti gli altri manca questa nozione, non sarà ancora per molto, credimi. Maitreya ed Asper fanno parte di una Dinastia che dei propri poteri praticamente non sa nulla, né sappiamo noi di cosa siano capaci. In ordine di nascita sono i secondi, vorrei ricordartelo. I Fenrir sono secondi solo ai Draghi. E i Draghi sono sostanzialmente estinti. Siamo di più, ma non per questo siamo al sicuro. »
« E dunque, cosa proporresti di fare? » Ferni, esasperato, rivolse un'occhiata di sbieco al suo alleato. Per la prima volta, non aveva idea di dove volesse andare a colpire.
« Di portare quel dannatissimo bambino con una corona in testa dalla nostra parte! Ma per colpa tua e del tuo teatrino al banchetto dell'incoronazione, sarà più difficile del previsto. L'hai rotto, quel bambino, dalla parte sbagliata. » biasimò il ragazzo davanti a lui con parole dure, spietate e senza mezzi termini. Doveva ficcargli in quella testa montata che non era invicibile perchè attorniato da sei Dinastie, doveva ficcargli in quella testa il concetto di potere e di forza. Non sempre chi ha uno ha anche l'altro. Loro, in quel momento, avevano il vantaggio del potere, ma la forza, la più importante, apparteneva ancora ai Fenrir, come lo era sempre stato. La forza di resistere, di combattere, di rialzarsi più forti di prima. Mai nella storia c'era stata Dinastia più testardamente superba ed ostinata a non arrendersi, i Fenrir preferivano la morte alla sconfitta. E non si hanno memorie di una guerra in cui siano realmente stati battuti. Caswallan I, l'Invasore dei Cieli e capostipite dei Draghi, aveva stipulato una tregua con Elnath, e non perchè quest'ultimo si fosse piegato al suo volere; quanto piuttosto perchè gli sforzi già impiegati per riunire tutte le altre Dinastie sotto il suo potere erano stati talmente ingenti, da non azzardarsi a muovere una nuova guerra contro l'Ostro, quasi completamente illeso. Sapeva bene che non l'avrebbe vinta. Per di più, spodestato lui, Elnath avrebbe preso il comando di ogni singola Terra. E nemmeno secoli di rivolte lo avrebbero fatto scendere da quel trono.
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