12.3 Confessioni

« Non ricordo quasi niente di casa mia » ammise, appigliandosi ad un ciuffo ribelle per non scivolare nella tentazione di parlare troppo. Iniziò ad attorcigliarlo attorno all'indice, concentrando lo sguardo esclusivamente sulle punte degli stivali che si mostravano appena dal verde della seta.
« Questo lo so. Anche Dhoveerdhan sta dimenticando. Il mio ed il tuo mondo non sono compatibili. Eppure rimani triste, oltre che smemorata. Perchè? » lo disse con una dolcezza quasi profumata nella voce, distendendo le folte sopracciglia e le labbra carnose « Mi detesti, so anche questo. Mi temi, come tutti. So più di quanto credi. Ma ora stiamo condividendo qualcosa che va oltre chi siamo. Non negarti questo privilegio. »
E Vissia decise di non negarselo.
« Mi chiedo spesso quanto dovessi essere sola, prima di trovarmi qui. Ho dimenticato tutti, tutti. Che importanza potevano avere, per essersene andati così velocemente? Quanto ero sola? » alzò la testa, incontrando i suoi occhi, due pietre fisse su di lei, impassibili nonostante ancora arrossate « Non so chi sono, non ho più un passato. Hai parlato di perdere se stessi, ed è quello che mi è successo. Nessuno sa dirmi il motivo, nessuno sa darmi risposte. È come se dovessi imparare a vivere di nuovo, accettando di essere nata qui e basta. E sai cos'è che mi fa davvero male? Non esserne dispiaciuta. Non mi importa niente, niente di quello che ho vissuto, fatto, pensato, amato. Perchè ogni volta che la mia mente si aggira tra ricordi che non possiedo più, rimane ferita. Le emozioni, i sentimenti, le sensazioni legati al mio essere la attaccano, la pugnalano, la percuotono. Non vogliono farsi scoprire, non vogliono rivelarsi. Rimangono nascosti a tormentarmi, come fantasmi di un passato mai vissuto. » Vissia strinse i denti, pulendosi con il dorso della mano le lacrime che la rabbia di quella situazione le stava facendo colare. Non voleva Maitreya la guardasse con pietà, la compatisse né tantomeno la considerasse stupida. Desiderava solo qualcuno che rimanesse ad osservarla, distaccato, mentre i suoi pensieri trovavano un posto in cui acquietarsi. Ed era quanto lui stesse facendo. Se ne stava in piedi, davanti a lei, con le braccia conserte e l'esperienza di chi la sa lunga su come comportarsi in certe circostanze. Non perchè le abbia vissute tante volte, ma piuttosto perchè quello era ciò che si era augurato, fin troppo spesso, qualcuno facesse per lui.
« Sento le viscere contorcersi in una pozza d'odio nel dire ad alta voce tutto quanto, perchè le cose diventano più reali quando ti escono dalla bocca. Ed io ho in testa la confusione di una catastrofe, una confusione che mi fa venire conati di vomito da quanto è vera ed inequivocabile. Non la posso negare né superare, mi sta davanti, mi schiaccia. Eppure, se mi guardo attorno, vedo una bellezza accogliente, un invito allettante a lasciarmi andare, lavare via ogni singola memoria e costruirne di nuove. Quindi perchè non riesco a farlo? Per quale dannatissimo motivo non riesco a liberare me stessa dalle mie pene, anche quando queste non ricordo nemmeno per quale motivo esistano? Tutto questo non ha senso, ci provo a darglielo ma non lo trovo. Mi hai chiesto che cosa stessi facendo in corridoio, no? Cercavo di godere di quello che adesso possiedo, di quello in cui devo imparare ad esistere. E se per una volta ci riuscissi, ci riuscissi sul serio, sono convinta migliorerebbe tutto. Ma non ne sono capace » rilasciò un ultimo, frustrato, respiro e si chiuse nel silenzio.
Avevano appena rivelato frasi così grondanti di vita, che ora quella stessa sembrava averli abbandonati. Percorse i lineamenti del viso di Maitreya e li trovò duri, erosi dalle intemperie della vita.
« Siamo due inetti » concluse, voltandosi per uscire dalla stanza con una nuova consapevolezza: Vissia non era la bambina che Veer si ostinava tanto a vedere. Non era indifesa, non aveva bisogno di protezione, non voleva essere amata. Poteva rivedere in lei l'aspetto di Solana, lo vedeva anche lui, ma il carattere di quella ragazzina non poteva essere più diverso. La dolcezza in lei era acuminata, una rosa con le spine velenose; la vergogna e l'ignoranza, che non le permettevano di mostrarsi apertamente, la tradivano, facendo credere agli altri di non sapere cosa stesse facendo, che bisognasse aiutarla; e la spensierata curiosità che tanto voleva ostentare, non celava altro che una nera necessità di sopperire alle innumerevoli mancanze che la perforavano come frecce. L'aveva compreso, lui, quel complicato ammasso di rovi e sterpi.
« Non posso insegnarti come vivere » sussurrò, poco prima di aprire la porta e svanire oltre di essa « ma, se lo desideri, posso farti vedere come sopravvivere »
Lasciò aleggiare ogni singola lettera nell'aria tesa della camera, neppure cercando di capire se Vissia avesse afferrato l'implicazione delle medesime. Lei però non ebbe dubbi, quello era lo strano modo di Maitreya di invitarla a seguirlo per la seconda volta.

« Ho insegnato a Gaverna come conficcare una freccia nel cuore di un falco in volo » Maitreya riapparve davanti agli occhi di Vissia, ancora immobile al centro del cortile interno in cui l'aveva lasciata, stringendo un arco ed una faretra colma di dardi tra le mani « come tagliare la gola ad un uomo con il filo della spada. Le ho insegnato a difendersi, ad essere più di una principessa da salvare; mia sorella è stata una guerriera fino al suo ultimo respiro. Ha vissuto consapevole della propria forza, senza paura »
Le tese l'arma, incoraggiandola con un cenno della testa ad afferrarla.
Vissia gli rivolse un'occhiata tesa, carica di aspettative. Maitreya non la stava trattando come una farfalla dalle ali sgualcite, non voleva proteggerla, rassicurarla e farla sentire a suo agio. Forse questo era dovuto al fatto che non era condizionato da sentimento alcuno, o forse all'inclinazione di Veer verso l'eroico romanticismo cavalleresco. Inclinazione che aveva iniziato a mostrarle solo dopo essersi rivelato per chi fosse realmente, ragionò Vissia. Che lo facesse, perchè si sentisse in colpa di averle mentito per anni? La ragazza dissolse i pensieri a lui rivolti con uno sbrigativo gesto della mano e strinse le dita attorno il cuoio dell'impugnatura. Un brivido le percorse la schiena: tirare con l'arco era qualcosa di affascinante ed incredibilmente elegante, dal suo umile punto di vista. E se avesse imparato a farlo, avrebbe avuto un motivo in più per apprezzarsi. Inoltre, non disdegnava certo la sicurezza che una base di autodifesa potesse donarle. Maitreya voleva davvero darle tanto? Probabilmente nemmeno era conscio di quanto il suo gesto significasse per lei.
« Se me lo permetterai, avrò il piacere di fare lo stesso con te. La timidezza che mostri, la vergogna, l'insicurezza, non si addicono al fuoco che hai dentro. E se Veer non ha pensato di insegnarti a proteggerti da sola fino ad ora, vedrò di rimediare » riprese a parlare, non distogliendo mai gli occhi dai suoi, ed infine le si posizionò alle spalle.
« Mostrami il fianco e distanzia i piedi della larghezza delle tue spalle » le suggerì, allontanandosi appena per concederle di muoversi, e sul volto di Vissia si aprì un sorriso sincero « serve aderenza al terreno, ed equilibrio, per mantenere la posizione »
Maitreya attese che si fosse sistemata e, dopo averla ben osservata, le si avvicinò per collocare meglio le punte degli stivali. Fece arretrare con un colpetto la sinistra, in modo tale che fosse schierata in parallelo con la sorella destra, e le prese l'arco dalle mani, per mostrarle la postura ideale per il tiro.
« Le punte dei tuoi piedi devono essere su un'unica retta, è la prima vera base di appoggio su cui regolare la direzione del lancio » le spiegò, facendo scivolare la cocca inferiore del corpo in legno davanti ai suoi piedi, perfettamente allineati, ed infine rivolgendola verso una porzione imprecisata del muro davanti a loro « con ogni probabilità, la freccia percorrerà questa retta. »
Sfilò uno strale dalla faretra e con un gesto fluido lo incoccò, prese la mira e lo librò nell'aria fredda del primo pomeriggio. Vissia l'osservò descrivere un semicerchio nel vuoto, fendendo il gelo al suo passaggio, e conficcare la punta al limitare del prato. Esattamente sulla stessa linea delle punte degli stivali di Maitreya. Si trattenne in tempo dallo scoppiare in un eccesso di eccitazione solamente alzandosi sulle punte ed unendo le mani davanti alla bocca per zittirsi. Lui non sembrò notare il fremito dipintosi in volto a Vissia.
« Ora, tocca a te » le allungò l'arco ed una freccia dalle vistose piume rosse e nere « la mano dell'impugnatura puoi porla dove preferisci, più in alto o in basso, non fa differenza. Sta tutto nella comodità del tiratore. L'importante è che non continui a cambiarla, proprio come stai facendo » il rimprovero velato fece arrossare le gote di Vissia, la quale si decise per una presa a metà strada, al centro del rivestimento animale « il pollice è diretto verso l'alto e l'altezza a cui devi posizionare questo braccio, è data dalle tue spalle. Deve essere sulla loro linea » imitò l'aspetto ideale che Vissia avrebbe dovuto avere, ma che stentava ad assumere. Il corpo di Maitreya era perfettamente bilanciato su entrambe le gambe, la schiena dritta e le spalle aperte, a mostrare un petto che nascondeva i muscoli di anni ed anni trascorsi ad allenarsi. Vissia invece non sapeva neppure cosa significasse una postura rigida e salutare. Tese il braccio troppo in alto per la sua bassa statura ed il sovrano non mancò di farglielo notare.
« Piega quel gomito. Nell'esatta posizione in cui sei, piega quel gomito. Ti arriverà la mano dritta in faccia » rimase a guardare la ragazza, titubante, mentre faceva come le era stato detto. Le nocche le si avvicinarono pericolosamente al bel viso e, pur essendo inesperta e di conseguenza giustificata nel suo errore, si sentì stupida « quando pieghi il braccio, la mano deve arrivarti dritta sul petto. Altrimenti hai esagerato con l'altezza a cui lo hai teso » Maitreya continuò imperterrito nella sua spiegazione, ma nella voce non c'era alcuna nota di biasimo od irritazione. Si stava quasi divertendo a mostrare tutta la boriosa esperienza racimolata nei suoi vent'ottanni trascorsi a cacciare sul dorso di Kaitos.
Appurato che Vissia avesse appreso quale fosse la postura consona per il braccio dell'arco, ossia quello impiegato per impugnare l'arma, Maitreya le imitò la posizione della mano della corda. Tre dita, anulare medio e indice, che tengono salda la freccia e mettono in trazione la corda su cui è stata sistemata. Con sua sorpresa, e ben nascosta gioia, la ragazza la aggiustò in modo corretto fin dal primo tentativo; e quando infine venne il momento di incoccare, comprese da sé che la piuma leggermente più lunga delle altre doveva essere quella perpendicolare al corpo dell'arco e quindi alla sua corda. Maitreya le rivolse un cenno di approvazione e lei non ebbe il coraggio di fiatare, troppo eccitata all'idea dei progressi conquistati in poche e giuste dritte.
« Tieni a mente tutto ciò che ti ho detto. La freccia è incoccata, le mani in posizione, basta tendere e rilasciare. Il braccio piegato, non troppo indietro. Una linea, ricordalo. Devi seguire una linea dritta. Non solo con i piedi » Maitreya le parlò con calma ed improvvisa dolcezza. Le sue mani si mossero sul corpo di Vissia, abbassandole il gomito del braccio destro, quello dell'arco, e raddrizzandolo. Controllò la tensione del sinistro e la sua altezza, infine le fece scorrere i palmi sul busto per inarcarle appena indietro la schiena, in modo tale che risultasse eretta e solida.
« Non voglio illuderti, ma questa freccia dovrebbe filare dritta contro il muro. Se sbagli qualcosa, è tutto nel rilascio » le sussurrò all'orecchio, facendo aderire i ricci ai capelli biondi di Vissia per dare un ultimo sguardo alla mira « inspira, non distogliere gli occhi e semplicemente rilassa questa mano » le picchiettò sulla destra e si decise a lasciarla completamente libera di compiere anche l'ultimo passo verso il suo primo lancio.
Vide le sopracciglia di Vissia rilassarsi, il suo respiro bloccarsi in gola e la freccia sferzare elegantemente la mano dell'arco, oltrepassandola. La punta metallica del dardo incontrò la pietra grigia innanzi a loro, in un impatto non troppo violento, che lo scaraventò a terra con uno schiocco.
« Ce l'ho fatta? » la sentì bisbigliare a se stessa, ancora incredula di essere realmente riuscita nell'intento di scagliare quella freccia. Poi rivolse un occhio nella direzione del sovrano e lo vide trattenersi dall'abbracciarla, l'espressione austera rotta da un sorriso genuino. Non ebbe più alcun dubbio: ce l'aveva fatta; l'orgoglio che le inondò la testa non la fece più ragionare. Lasciò scivolare a terra l'oggetto della sua gioia e si gettò al collo del Rekkar, con la sola intenzione di ringraziarlo. Si liberò di ogni ansia, renitenza o qualsivolesse paura nei suoi confronti e lo accolse tra le braccia. E Maitreya, invece che scostarsi dalla sua presa, ricambiò il gesto, stringendo la sottile vita della ragazza a sé. Chiuse gli occhi e si abbassò alla sua altezza, sprofondando il viso nella treccia bionda ed assaporando l'odore di Gaverna che l'abito ancora emanava. Anche sua sorella era stata la donna più felice dell'Ostro intero, quando le aveva mostrato come scoccare il primo strale o menare il primo fendente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top