1.3 Segreti
« No. E' il figlio del secondo marito di mia madre. » ammise, turbata dall'averlo detto ad alta voce. Se Veer le aveva nascosto così tante informazioni, perchè doveva sentirsi in colpa a non avergli mai rivelato un dettaglio tanto insignificante? Considerava Bastian come un fratello, non un fratellastro acquisito. Erano cresciuti insieme, nonostante lei avesse il doppio dei suoi anni, e poi non si era mai posta il problema di non condividere affatto la sua stessa linea di sangue. Nel suo cuore non contava quell'insulso particolare, ciò che importava erano i sentimenti che lei nutriva nei suoi confronti, puri e sinceri. Eppure provava un certo rimorso nell'averglielo confidato solo in quelle circostanze.
Veer sembrò intuire i turbamenti della ragazza, le sorrise senza un motivo preciso, quasi volesse far intendere che entrambi si erano nascosti qualcosa, pertanto questo assottigliava l'uno le colpe dell'altro, dunque si alzò per andare verso Arian a svegliarlo.
Lei rimase sola con i propri pensieri e tentò vanamente di liberarsene immergendo la vista nel cielo aranciato costellato di punti luminescenti, ombra delle stelle della notte ormai trascorsa. Guardò in basso, superando la paura dell'altezza impossessatasi di lei da quando aveva ricordo, e scorse i prati diradarsi in un terreno roccioso, impervio, fatto di montagne relativamente basse ma di un'asprezza inusuale. Davano l'impressione di bucare l'aria con le loro punte a cono, talvolta ricoperte di un sottile strato di neve, talvolta interamente spoglie, senza nemmeno un arbusto. Si sporse ancora di più, per guardare sotto la pancia di Brea e oltre le sue scaglie azzurrate che sfumavano in toni di nero pece. Vide le zampe anteriori, piegate di poco verso il ventre, con artigli grandi come un suo braccio a squarciare l'atmosfera: era un essere maestoso, possente. Aveva tutto l'aspetto di appartenere ad una personalità come quella di Veer, regale e misurata, affascinante e misteriosa allo stesso tempo.
Non fu abbastanza però per farle dimenticare il doloroso ciottolo che aveva smosso la superficie ingannevolmente pacata del suo animo. Le onde che si propagavano sul pelo dell'acqua sollevavano il fondale sotto cui si erano nascosti anni di sofferenze celate. Il divorzio era sopraggiunto all'improvviso, quando aveva poco più di nove anni, da un giorno all'altro si era trovata a dover convivere con l'essere scambiata come merce tra sua madre e suo padre. Almeno finché non si era trasferita con lei abbastanza lontano da non permettere ai traslochi di continuare. Da quel giorno i contatti con l'altro suo genitore erano andati sfumando fino a ridursi a sterili auguri per le varie festività, mentre sua madre in poco tempo aveva avuto la fortuna di trovare l'uomo con il quale volesse nuovamente condividere la sua vita. Non si era data disturbo nel chiederle cosa ne pensasse, il parere di una bambina poteva contare poco o nulla sulle scelte di un'adulta, e dunque Vissia aveva undici anni quando inaspettatamente in casa sua apparve quell'uomo ed un fagotto grande poco più di una mano, figlio della prima moglie del nuovo patrigno. Nonostante non si aspettasse un così brusco cambiamento, dall'istante in cui vide Bastian iniziò a considerarlo come un fratello, un dono prezioso concessole per sopperire alle mancanze passate. e non aveva mai sentito l'esigenza di analizzare il fatto di avere genitori diversi. Doverci fare i conti in groppa ad una leggenda per bambini, dopo aver appreso che il genitore del migliore amico di Bastian non era chi avesse creduto che fosse e che ora lei stesse navigando l'aria di chissà quale mondo lontano dal suo, si era rivelato più complicato del normale. Le aveva tolto la speranza di potersi abbandonare liberamente al prodigioso fluire degli eventi. Anche nell'assurdità più totale, la realtà rimaneva un fardello ineliminabile ad appesantirle il cuore.
Fece un tentativo di alzarsi sulle proprie gambe per lasciare che il sangue potesse fluirle in corpo e far cessare il fastidioso formicolio che si era appropriato dei suoi arti inferiori, ma ancora una volta si lasciò stritolare dalla morsa della paura e tornò a cavalcioni attorno la scaglia appuntita, sbuffando ostinata a voler superare la propria maldestria. Vide Veer guardarla e, anche da lontano, i suoi occhi risplendevano di una risata velata. Al suo fianco Arian si era svegliato, alzando le mani al cielo per far uscire dal torpore del sonno non solo il corpo ma anche la mente. Adesso era anche lui in piedi, meno sicuro nella postura del padre solo a causa della tenera età, la quale non gli aveva ancora fornito l'esperienza adatta ad eguagliarlo; in Vissia crebbe il desiderio di vedere il panorama sui propri piedi. Dopo una terza prova andata a vuoto, però, si era stancata. Brea sembrava che sobbalzasse nel preciso istante in cui lei si immetteva nella manovra di un nuovo tentativo e questo le rendeva il tutto assai più difficile. Infine vide un palmo tendersi nella sua direzione e, seguendo la linea del braccio, giunse al volto di Veer, impassibile almeno al primo sguardo.
« Se vuoi alzarti davvero, credo sia opportuno che tu l'afferri. » disse, rivolgendo un cenno alla mano. Titubante, la ragazza accettò l'offerta e, nel momento in cui la propria pelle incontrò quella di Veer, tante piccole scosse si dilatarono fino alla spina dorsale, provocandole un brivido. Non l'aveva mai toccato, non pelle contro pelle almeno, ed il ghiaccio delle sue iridi si rivelò detenere il possesso dell'intero corpo. La mise in piedi, con una forza che Vissia non pensava potesse avere una corporatura sostanzialmente fatta di ossa e niente muscoli, e trovarsi spalla contro spalla con Veer la fece sentire bassa e rozza. La schiena piegata dalla stanchezza ed i capelli giallognoli sporchi ed annodati tanto discostavano dalla postura eretta e fiera di lui e dal suo capo avvolto in una chioma di seta nera. Non lasciò la presa su di lei fin quando non furono vicino ad Arian, la testa di Brea che alitava sotto di loro.
« Non manca molto all'arrivo. » la rassicurò Veer, vedendola strabuzzare gli occhi dal terrore di infastidire il Drago « E lei è abituata al volo in compagnia. Oserei dire che le garba. » si abbassò per toccare le scaglie meno taglienti della nuca e l'animale si mosse in segno di approvazione quel tanto che bastò a far ritornare Vissia seduta. In una nuova e più propizia posizione, certo, ma non come avrebbe voluto. Arian le si sedette vicino, la bocca tirata in un sorriso. A Bastian mancavano entrambi i denti davanti perchè si stava finalmente avviando ad ottenere quelli definitivi e negli ultimi mesi non aveva fatto altro che perderne uno dopo l'altro. Ad Arian sembrava la cosa non l'avesse affatto sfiorato, seppur fosse della stessa età del fratello.
« Dove siamo diretti? » chiese, scacciando la constatazione appena fatta e conscia che una risposta sarebbe stata uguale all'altra.
« Terre dell'Ostro, Menastir. » parlò Veer, guardando avanti, verso le nubi sulle quali la tinta aranciata non sembrava ulteriormente sortire alcun risultato. Stavano diventando sempre più bianche e sottili, scoprendo il cielo azzurro, striato di violetto come l'aquilegia, il quale pareva ricordar loro da quanto tempo fossero sulla schiena di Brea. Non faceva caldo e, nonostante la serenità del clima, Vissia riusciva quasi ad avere freddo nei momenti in cui si concentrava sul proprio corpo. Doveva essere appena finita l'estate in quei luoghi.
« Andiamo dai Fenrir! » esultò Arian, allargando ancora di più, se possibile, il sorriso.
« Fenrir. » gemette lei, sentendosi tremendamente stupida.
« Lupi. Di proporzioni mediamente assai più grandi dei comuni lupi che conosci ed assai più intelligenti. » fu Veer a risponderle, non dando tempo al figlio di spiegarsi
« La vita in queste terre, Vissia, è differente. Chi e cosa le abita, è differente. Devi accettarlo fintanto che vi rimarrai. » parlò lapidario, l'intento velato dietro a quel tono era stato più palese di quanto non avesse voluto. Non farsi più tante domande ed accogliere i fatti per ciò che erano, non avrebbe potuto cambiarli in nessun caso. La stava forse addirittura invitando ad abbandonare la propria renitenza per farsi travolgere dalla diversità, accettarla come un dono e non un problema.
« Stiamo andando da dei lupi. » la voce le si era strozzata prima che la propria affermazione si tramutasse in questione. Non voleva contraddire Veer, né tantomeno mettere in discussione quel che le spiegasse, ma provava l'impellente necessità di avere tutto sotto controllo piuttosto che ripiegare in una passiva accettazione del futuro. L'aveva fatto per troppo tempo.
« No, stiamo andando dalla nobile Dinastia dei Fenrir. Esistono altre nove Dinastie oltre la mia, ognuna indissolubilmente legata ad un animale. Comunemente ci si riferisce ad esse con il solo nome di quest'ultimo. » alzò le spalle, per lui si parlava di gergo banale, persino un analfabeta l'avrebbe compreso, e la scarsa consapevolezza che Vissia non facesse parte di quelle Terre non giovava nel rendergli più semplice il compito di comprenderne la curiosità.
« Nove? E quali sono? » le si illuminarono gli occhi di meravigliato interesse e fu Arian alla fine a prendere la parola, per iniziare un elenco che le sarebbe parso puro incanto se solo non fosse stato interrotto dall'annuncio di Veer: erano arrivati. Rivolse allora l'attenzione verso il basso per riuscire a vedere dove i suoi piedi avrebbero poggiato ed il fiato le si gelò in gola.
Menastir era colossale e leggendaria quanto le sue mura, un freddo abbraccio di pietra che sottraeva spazio in cielo agli dei con la propria altezza. Aveva conquistato il primato di unica città inviolata, titolo a lungo conteso con Igniphetra, la sacra capitale delle Terre del Focolare, ora tramutatasi in un fiorente covo di impurità. Lei invece rimaneva salda e boriosa sull'unico roccione al centro dell'immensa gola scavata dalle cascate, le quali stroncavano, dopo un lungo e tortuoso corso, il Fiume Rosso. Fiume Rosso, uno dei tanti nomi parlanti di quelle terre, che stava ad indicare la purpurea tinta dell'acqua, una tinta donata dai petali dei profumati fiori di Cidonia. Quei fiori ricoprivano gli speroni rocciosi del precipizio e della sorgente natia dall'alba dei tempi, crescendo a grappoli tra l'umidità delle fessure. Avevano un ciclo vitale inusuale, resistevano alle temperature fredde e vivevano pochi giorni, lasciando presto spazio ai nuovi boccioli. Quando un fiore moriva, si lasciava cadere nel gorgoglio della corrente e perdeva il proprio colore, donandolo all'ambiente circostante. Così la sfumatura rossastra si estendeva a tutto il fiume, rendendolo una ferita aperta della terra.
Non c'era opportunità di penetrare senza permesso nella cinta muraria, un lungo ponte a dorso d'asino era il solo collegamento da una sponda all'altra, con un'estremità situata nei pressi dell'unico cancello d'ingresso, veniva costantemente sorvegliato da uomini scelti tra i più leali dal re stesso ed abili sia nello scontro corpo a corpo che in quello a distanza. La selezione per permettere l'accesso era spietata, pochi entravano ed ancora meno uscivano, consapevoli che il rientro non sarebbe stato agevolato dalla loro posizione iniziale. Tutt'intorno al fulcro della città si estendevano a dismisura abitazioni e piazze, strade e botteghe, un borgo che da lontano poteva essere scambiato per una lussureggiante e vivace cittadina di ricchi mercanti indaffarati nei loro affari. Il movimento, dall'alto della posizione di Vissia, era la caratteristica che catturava immediatamente lo sguardo. Si muovevano gli uomini come una colonia di formiche intente a procacciarsi il necessario, senza sosta, animando ogni angolo in cui la vista si poggiasse, ed i colori, i colori tinteggiavano quel movimento, rendendolo ancora più vivo. Prevalevano i toni della terra, come il rosso, il marrone ed il verde, ma scrutando attentamente emergevano anche il giallo, il viola e l'arancione, un arcobaleno pareva aver baciato le vie di quel luogo. La ragazza fremette, estasiata dall'idea di entrare a far parte di un tale mondo.
« Visto da vicino non è così ammaliante. » Veer aveva fatto spostare Arian per prendere il suo posto senza che lei se ne accorgesse, troppo conquistata dallo spettacolo che si stava svolgendo sotto di loro. Non prestò molta cura alle parole del ragazzo, l'immaginazione, dopotutto, era riuscita a prendere il sopravvento sulla ragione. Di questo Veer non se ne rammaricò più di molto, anche se Menastir non era propriamente una città in cui augurarsi di vivere. Da anni il popolo moriva di stenti, il lavoro nei campi era improduttivo e la terra sembrava sempre più sterile e maledetta da un gelo ostinato. La carestia si era fatta sentire, la povertà frustava la schiena di tutti coloro che non facevano parte della ristretta cerchia di corte, costringendoli a piegare la testa al cospetto della morte, ad invocarla come unica salvezza da un inferno di sofferenze fisiche. A più riprese si erano generati focolai di rivolta, la monarchia aveva subìto minacce svariate volte, eppure mai erano state tanto vigorose da non riuscire ad essere sedate nel sangue di pochi uomini dall'animo più ardito degli altri. E nelle ultime settimane, realizzò Veer, con l'avvicinarsi della Sèkdora, la sanguinaria celebrazione di fine stagione rievocata esclusivamente dai Fenrir, dovevano essere svanite del tutto. Nessuno osava contrastare la potenza del regno, mettendo in pericolo la propria vita, per ritrovarsi poi a dare piacere ai ranghi più elevati in una cerimonia macchiata di sacrifici. Il popolino in quei mesi preferiva sottomettersi, come era giusto che fosse.
« Scendiamo. » disse Veer, rivolto a qualcuno d'indefinito, probabilmente a Brea, perchè iniziò ad abbassarsi a livello dei tetti più elevati, intenta a trovare uno spiazzo grande a sufficienza per contenere la sua mole e permetterle di tornare a terra. « Dentro le mura. Il nostro arrivo è già stato annunciato. Inutile nasconderlo. » la voce si era fatta cupa, gutturale, quasi le parole gli raschiassero la gola prima di uscire. Vissia tornò in sé, iniziando a dubitare che i suoi occhi non l'avessero ingannata mostrandole una verità dolce quanto falsa, che Veer al contrario sembrava ben conoscere. La guardò distrattamente « Stai attenta, osserva ciò che pensi di vedere d'ora in avanti. » le sussurrò per poi tornare a curarsi di dove il Drago si stesse avvicinando.
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