1.2 Segreti
La ragazza sciolse a fatica il nodo in gola creatosi al pensiero e si girò ad osservare il motivo della reazione del bambino. Si aspettava qualunque genere di essere vivente, bestia o uomo che fosse; già in testa aveva prefigurato quel momento ed il modo con cui vi avrebbe interagito per non doverlo fare su due piedi, prendendo la decisione peggiore solo a causa dell'agitazione. Non si era però preparata certo ad una corsa estenuante per fuggire da quel qualcosa; del come avrebbero fatto a raggiungerli non aveva fatto i conti. Aveva dato per scontato che la notte li avrebbe fatti materializzare davanti a loro, proprio come aveva fatto con Veer, ed invece gli inseguitori erano lontani, visibili solo grazie alle luci rossastre, le quali dovevano star tenendo in mano. Luci? Vissia aveva scartato l'ipotesi si trattasse di occhi più per paura di cosa ci fosse oltre quegli stessi e non per un ragionamento coerente. Dovette però ammettere che la sua ipotesi non filava, le luci erano a due a due ravvicinate come se realmente fossero iridi incandescenti bramosi d'afferrarli.
« Dobbiamo muoverci. Adesso! » Veer si girò a sua volta e dopo un primo istante di tetro sconvolgimento, incitò gli altri e se stesso a trovare la forza fisica per iniziare una fuga a perdifiato. La tensione, ormai raggiunto il culmine, li graziò della momentanea adrenalina che permise a tutt'e tre di cominciare a correre, seppur esausti, in mezzo alla foresta. I piedi ben presto iniziarono a sprofondare nella terra molle di una selva acquitrinosa, più simile ad una palude, rendendo l'avanzamento lento ed estenuante. Veer rimaneva volontariamente poco più indietro del gruppo, esortandolo a non voltarsi per nessun motivo, ma lui stesso periodicamente ruotava la testa per realizzare che li avrebbero raggiunti. Procedevano con un'andatura sostenuta, era evidente dallo sforzo che i loro muscoli stavano compiendo per non cedere, ma non riuscivano comunque a contrastare l'incedere brutale dei Cani Neri. Mancava assai poco prima che le urla degli uomini ed il ringhio dei cani iniziasse a manifestarsi non solo nella propria mente, lo sapeva, gli era evidente, cristallino come le sacre acque dell'Almabyra; a chi sarebbe importato quale ruolo lui avesse avuto prima di fuggire? A nessuno avrebbero fatto paura le minacce di un sovrano scappato dal proprio ruolo.
Si chinò per immergere una mano in una pozza di acqua melmosa, alla ricerca del fondo e della connessione con l'energia vitale che scorreva sotto il terreno, ed un'altra la mosse nel tentativo di trovare un qualunque oggetto adatto ad incidere. Addocchiò, , assai più in fretta di quanto sperasse, una pianta simile ad un rovo, ricoperta di fini ed appuntite spine. Si sporse per staccarne un ramo e lo strinse nel palmo finchè delle lucide e piccole gocce di sangue non iniziarono a scivolare verso terra. Immerse allora anche l'altra estremità nell'acqua torbida e sperò che Brea percepisse la sua esasperata richiesta di aiuto. Non era certo di cosa stesse facendo, se mai avesse potuto funzionare, ma doveva tentare lo stesso. Perdere tentandoci. Qualora quell'atto avesse sortito l'effetto desiderato, Brea avrebbe facilmente seguito il flusso del dolore che Veer si era procurato, giungendo giusto in tempo per salvarli da una sorte non proprio piacevole. E se non fosse andata così, non avrebbe illuso né Vissia né suo figlio di poter continuare a fuggire.
Entrambi si accorsero in ritardo dell'arresto di Veer, quando ormai erano già andati avanti di molto, eppure ritornarono comunque sui loro passi, consapevoli che lasciarlo indietro non costituiva una grande idea. Lo raggiunsero sempre correndo, ed iniziarono ad implorarlo di alzarsi e proseguire, inconsapevoli dell'importanza del suo gesto. Ma ormai lui si era estraniato dalla realtà e percepiva solo lontanamente le loro voci rotte dal pianto e le suppliche mosse tanto insistentemente. Qualche goccia del suo sangue si era affacciata alla superficie della pozza marrone, quando allentò la tensione e riprese coscienza, la mente stremata dalla fatica di congiungersi con Brea ma il volto non più tirato in una smorfia, bensì, pensò Vissia, beatamente rilassato.
« Dobbiamo muoverci! Stanno a-a...» le parole le morirono sul pelo delle labbra: non c'erano più gli occhi rossi alle loro spalle. La ragazza lasciò la frase a metà. Incredula, e constatò che per davvero non c'era più nessuno alle loro calcagna. Poi rivolse lo sguardo a Veer ed infine ad Arian, all'apparenza tanto spaesato quanto lei.
« Siamo al sicuro. » sentenziò il padre, levando lo sguardo al cielo nell'esatto istante in cui un'ombra più nera della notte stessa passò a pochi metri dalle loro teste, muovendo i lunghi capelli di Veer in un turbinio e scompigliando quelli piuttosto corti e già arruffati di Vissia e Arian
« Andiamo. » tornò eretto, rimanendo ad ammirare l'alone di splendore lasciato dall'animale, volato sopra di loro con una grazia ineccepibile. Fintanto che non scomparve del tutto, i tre rimasero immobili nell'aria satura di scintille invisibili, e solo con la loro totale scomparsa Veer riprese a camminare, tremando fin dentro le ossa per la mancanza di forze. Il figlio si mosse anch'egli, stringendogli la mano ed unendosi al suo fianco nel ritorno sui propri passi, ma la ragazza rimase impietrita, incapace persino di respirare.
« Che cos'era quello? » chiese stridula, con un tono che non ammetteva di essere ignorato. Veer le rispose solo dopo che anche lei si decise a seguirli « Un Drago. Il mio Drago. »
« Il tuo Drago. » era rimasta in silenzio fino a quel momento. Non aveva parlato, non ci era riuscita, nemmeno quando il leggendario animale si era offerto, con le proprie ali, di fare da appoggio per giungere sul suo dorso. Aveva goduto dell'innaturalezza della situazione per sentirsi più viva, come se a provare quell'esperienza non fosse lei in persona ma un alter ego più fortunato, a cui era concessa la possibilità di vivere nelle fiabe che tanto ammirava. La sua lingua l'aveva tenuta a freno anche mentre il Drago si era apprestato ad iniziare il proprio volo, solcando l'aria fino a raggiungere un'altezza spropositatamente elevata di cui Vissia aveva preso coscienza solo alle prime luci dell'alba. Allora si era fatto strada tra le sue corde vocali un gorgoglio di esaltato terrore, esattamente come quando si sta per fare qualcosa di dannatamente incosciente, ma lo si fa in ogni caso perchè è quel gesto che ricorda il significato della parola vita. Poi però più niente, era ricaduta nel suo inconsueto mutismo atto ad usufruire dell'istante prima che svanisca. Ma esso cadde, similmente ad un muro nella morsa di un terremoto, allorché Veer si avvicinò a lei per la prima volta dopo la pessima esperienza della notte precedente. Sapeva muoversi come un funambolo sulla schiena di Brea, abile e ben equilibrato la attraversava dalla testa alla coda senza esitazione, seppur il volo fosse tutt'altro che imperturbabile, lui lo rimaneva, saldo come in terra. Vissia aveva provato ad alzarsi e subito l'idea iniziale aveva ceduto il posto all'immagine di lei che scivolava dalla groppa dell'animale e si schiantava al suolo dopo chilometri di caduta libera. Dunque si era aggrappata ancora più saldamente alle enormi scaglie sporgenti della schiena, abbandonando definitivamente il proposito di muoversi. Persino Arian, con la sua tenera età, aveva dimostrato più abilità di lei, riuscendo a ricavare un giaciglio nei pressi del monumentale capo della bestia, dove il corpo si faceva più liscio e piano, e lì trascorrendo parecchie ore a dormire con l'invidia della ragazza.
« Ti devo delle spiegazioni. » le parole di Veer giunsero dal nulla e destabilizzarono Vissia a tal punto da mollare quasi del tutto la presa sul Drago. Le mani le dolevano per essere state chiuse attorno alla punta aguzza troppo a lungo.
« Era ora. » non volle dar a vedere quanto fosse soddisfatta di quella frase, non aspettava altro che chiudere un po' di questioni ancora aperte, alcune totalmente spalancate. Conosceva molto bene Veer, le loro vite si erano incrociate più volte grazie all'amicizia creatasi tra Arian e Bastian, e con lo scorrere del tempo il rapporto creatosi si era solidificato, fino a sigillarsi in una vera e propria amicizia in cui lei aveva ciecamente creduto. Almeno fino all'accaduto della sera precedente. Il rossore sulle sue guance tradì il sentimento di malcelato rimprovero che gli stava involontariamente rivolgendo.
« Dove siamo? Come ci siamo arrivati? E dov'è Bastian? » l'ultima era la domanda a cui più fremeva per ottenere risposta, la sua voce interiore continuava a miagolare come un gatto affamato per essere udita, ma voleva sentire da qualcuno di reale la risposta a tale quesito. Il suo intelocutore si sedette, come a far intendere sarebbe stato un lungo e tortuoso discorso, il quale richiedeva comodità, e rivolse a Vissia uno sguardo raggelante. Era pronto a riversare su di lei l'inverno che tempo addietro era calato nel suo animo e di cui gli occhi azzurro fiordaliso facevano da custodi. Due pietre preziose e lucenti, pensò Vissia con una punta di gelosia, li avesse avuti lei così, ed invece si ritrovava due palle color marrone fango che non affascinavano nessuno.
« Oserei dire di partire dal principio. » cominciò, arginando il flusso inappropriato dei suoi pensieri « Veer non è il mio nome, non completo, mi sembra giusto dirtelo dato che ci troviamo in questa confusione insieme. Dhoveerdhan, mi chiamo Dhoveerdhan Algethy, legittimo Rekkar... » si interruppe per un attimo, ragionando su ciò che stesse dicendo e si corresse, appurando che Vissia non sapesse nemmeno cosa significasse Rekkar « legittimo sovrano di Igniphetra ed ultimo discendente puro della Dinastia dei Draghi insieme a mio figlio. Ho abbandonato la mia terra per salvare Arian dopo lo sterminio della mia stessa famiglia, un uomo timorato dei Grandi Sapienti ha concesso a noi di entrare nel tuo mondo, chiudendo qualsiasi comunicazione con la mia terra di origine per proteggerci. Il suo sigillo, la serratura che non si sarebbe mai più dovuta aprire, era la stanza in cui tuo fratello è entrato. Non voglio sapere come ci sia riuscito perchè era chiusa a chiave da anni e non era mai stata aperta, ma quel che è fatto è fatto. La chiave per aprire la serratura doveva essere però quella esatta, Bastian non lo era e così sarebbe dovuto anche essere per te, per questo ti ho mandato lì dentro a recuperarlo. Se fossimo entrati io o Arian, il sigillo si sarebbe aperto perchè il nostro mondo chiama a sé chi ne fa parte. Evidentemente ti ho considerata una banale mortale ed ho sbagliato perchè tu lo hai aperto ed ora siamo qui. Tocca a te spiegarmi chi sei, perchè io dubito di saperlo. » parlò tutto d'un fiato e dopo aver concluso le fece un cenno con la mano per esortare a divulgare anche lei qualche informazione a lui. Aveva sbagliato a tenerle tutto nascosto, non si era fidato di lei, non così tanto da scoperchiare il vaso in cui aveva racchiuso quanto avesse passato nei suoi quasi trent'anni. Ma adesso, liberatosi di quel peso, si sentì meno colpevole.
Vissia attese il suo cervello mentre elaborava ciò che aveva udito, sforzandosi di non scivolare in una crisi isterica. Era tutto così assurdo, così completamente sbagliato dal suo punto di vista che le pareva di star sognando e per un secondo, solo per un secondo, temette fosse tutto finto e presto si sarebbe svegliata. La mano di Veer che la richiamava alla realtà però era così reale da invitarla a credergli, dopotutto perchè sprecare energia nel chiedersi se si trattasse di un sogno, quando poteva esserne parte?
« Non ho niente di speciale, credimi. Vorrei solo capire perché sono qui e come fare a tornare. Mia madre si starà preoccupando tantissimo ed ho perso Bastian. » deglutì a fatica nel pronunciare le ultime parole. Vide Veer sovrappensiero, i lunghi e corvini capelli che dondolavano nell'aria e gli occhi vaganti su un'alba che era sorta silenziosa, dischiudendo le proprie meraviglie poco alla volta. Adesso, abbassando lo sguardo, si potevano scorgere le immense pianure verdeggianti su cui Brea stava sorvolando, interrotte da pochi, piccoli e distanti borghi abitati che s'intonavano all'armonia della natura incontaminata. La mano dell'uomo moderno non doveva essere passata a rivangare quella terra squisitamente selvaggia.
« Non posso portarti indietro, Vissia. Non ho questa capacità, mi dispiace ma non faccio parte del culto dei Grandi Sapienti, non so comandare la Shàkbara. Però posso assicurarti che Bastian non è in questo mondo, non era tuo fratello che la Shàkbara voleva qui. Tu e lui siete fratelli di sangue? » Vissia tirò un sospiro di sollievo nell'accertarsi che la sua coscienza avesse ragione, ma l'ultima domanda fu tanto inaspettata da mandare in secondo piano tutto il piacere e la calma che si era aspettata di provare. Non si spiegava il motivo per cui porle proprio una questione del genere, una così delicata questione gettata in un discorso come qualunque altra. Si chiuse in se stessa, costruendo un fortino di indifferenza attorno a sé, come se quella fosse stata in grado di proteggerla sul serio da ciò che stava per rivelare.
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