1.1 Segreti

Vissia aprì gli occhi sotto l'arcata di un cielo stellato senza luna e tinteggiato di sfumature violacee, solleticata dai sottili steli d'erba, sinuosamente fatti ondeggiare da una lieve brezza serale. I ricordi che pareva aver vissuto pochi istanti prima erano annebbiati e confusi, vorticavano tra le tempie della ragazza facendogliele dolere: lei e Bastian, suo fratello minore, si trovavano a casa di Veer, il padre di Arian, un ragazzetto dall'intelletto arguto considerabile come il migliore amico di Bastian. Rammentava per quale motivo si fossero diretti proprio da loro: volevano invitarli alla festa dei dieci anni di suo fratello che si sarebbe tenuta di lì a pochi giorni, di cui lei si era data premurata di organizzare fin nei minimi dettagli. Ma non riusciva ad avere memoria di come avesse fatto a raggiungere una distesa aperta di verde; era come se le fosse stato troncato di netto il resto della giornata e semplicemente ora dovesse fare i conti con ciò che inconsciamente doveva aver compiuto per essere lì. Qualcosa di cui poteva esser certa c'era però, si trattava di un'immagine nitida che periodicamente si affacciava alla superficie della sua memoria confortandola solo in parte mentre rimaneva inerme, immersa nell'erba a scrutare il cielo. Ciò che si mostrava così intensamente, era il piacere indescrivibile derivato dalla certezza di aver sfiorato l'infinito solo entrando in una stanza qualunque, di una casa come tante altre, da cui anche Bastian sembrava essere stato attratto. Lo ricordava al centro di essa, intento ad osservare un ammasso indefinito di luce bluastra che si assottigliava addosso alle pareti e si muoveva in cerchio, con un'andatura pigra e poco stimolata. Ricordava inoltre il volto stralunato di Veer quando anche lui si era affacciato all'interno ed aveva addocchiato il fratello, i suoi insistenti inviti ad uscire da quelle quattro pareti ed il brusco gesto con cui aveva bloccato Arian ad un passo dall'entrare in contatto con l'agglomerato luminoso. Ricordava infine l'esortazione mossa a lei per andare a recuperare Bastian ed il tepore che l'aveva pervasa nello stesso istante in cui era stata avvolta dal candore blu. E poi più niente, una macchia del medesimo colore si era rovesciata sopra tutti gli altri ricordi senza lasciarle cogliere il senso di quanto avesse vissuto.

Constatò di non sapere dove si trovasse, come avesse fatto a giungervi né tantomeno perché fosse sola. Dopotutto erano stati in quattro ad essere partecipi della sua medesima sorte. Tentò di levarsi in piedi, il corpo indolenzito, stremato da uno sforzo che non pensava d'aver compiuto e tornò in terra, con le ginocchia dei jeans nel fango molle, quando realizzò di essere fisicamente allo stremo. L'aria circostante era tesa e carica di un sapore acre, la invitava a rimanere vigile e a non abbandonarsi alle lusinghe. E, seppur tentennasse nell'immagine di un paesaggio apparentemente a riposo, allettante per la muta quiete che lo presiedeva, la sua ragione la esortava in ugual modo a non concedersi. Avrebbe voluto urlare per chiedere aiuto, ma la voce le moriva in gola, le corde vocali lacerate dalla paura di non sapere chi le avrebbe prestato soccorso. Se solo al suo fianco ci fosse stato Bastian sarebbe stata capace di trovare le forze per non arrendersi allo sconforto e continuare a lottare nella speranza di una soluzione, ma lui non era lì, come Veer e Arian. Era sola. Totalmente sola in mezzo ad un nulla sconosciuto e minaccioso. Tremò, nonostante il freddo fosse sopportabile, e le prime lacrime le solcarono gli zigomi sporchi di terra, gettandola in un oscuro oblio di rassegnata disperazione. Dapprima tentò di sorreggere il peso del pianto, nell'ultimo tentativo di non farsi schiacciare, ma più i minuti scorrevano come un fiume palpabile davanti ai suoi occhi, più si sentiva persa e desiderava essere soffocata dai suoi stessi lamenti. Lamenti crescenti in suono proporzionalmente all'amara consapevolezza che si stava facendo strada sotto la pelle di Vissia: non sarebbe arrivato nessuno a salvarla. Sul nascere di un'ondata di puro panico interiore però, giunse qualcuno alle sue spalle a coprirle delicatamente la bocca, già aperta per liberare la disperazione plasmatasi attraverso le viscere corrose dalla paura.

« Come ti ho trovata io, molti altri possono averlo fatto e credimi sulla parola, non vuoi sapere chi essi possano essere. » fu Veer a sussurrarle all'orecchio, la sua voce ridotta ad un sibilo e le mani impercettibilmente scosse da un sentimento rimasto appena celato. Annuì e si voltò per abbracciarlo, ma lui frenò il suo entusiasmo, accovacciandosi a terra abbastanza da scomparire tra l'altezza sinuosa dell'erba e portando Vissia con lui.

« Non fare movimenti repentini. » l'ammonì, perlustrando le vicinanze con occhio attento e tenendole ancora la mano poggiata sulla spalla affinché non si sporgesse troppo dal pelo del mare verde. Le disse di avanzare, lenta e costante, con movimenti sufficientemente fluidi da permettere anche ad un osservatore vicino di credere che in mezzo agli steli due persone non stessero realmente strascicando i propri corpi.

« Dove siamo? » Vissia tentò di ricavare qualche informazione prima di muoversi. Ora che le sue paure erano state confermate dall'atteggiamento guardingo e nervoso di Veer, non le mancava altro se non dare un nome alla fonte da cui provenivano. Le rispose solo dopo i primi metri percorsi, la voce in un affanno mentale più che fisico

« Mi dispiace. » ed il cuore della ragazza perse qualche battito, non perché lui non sembrasse affatto il genere di uomo che si abbassa a domandare perdono di un proprio presunto errore, piuttosto perché quelle parole celavano, come una porta sbarrata, ciò che vi stesse dietro, quasi avesse voluto aggiungere 'Mi dispiace, se non ce la faremo'. Arrancarono attraverso il terreno umido e viscido in fila, silenziosi abbastanza da percepire l'uno le preghiere velate dell'altro. Nessuno, però, ebbe coraggio sufficiente per domandarsi se almeno uno dei due credesse veramente in ciò che stesse dicendo. Il tempo si dilatava e a Vissia pareva non finisse mai quell'immensa distesa di prato; avrebbe volentieri chiesto quanto ancora mancasse ma le scuse di Veer le facevano eco nella testa, minacciandola di rimanere zitta. Alzò lo sguardo del minimo necessario per osservare dove fossero diretti, e vide appropinquarsi sinistra una foresta. Intorno ad essa, sospesa a mezz'aria, aleggiava una coltre di nebbia dal macabro colore bianco sporco, satura di umidità e quasi lucente sotto il chiarore etereo delle stelle. Vissia si arrestò ed afferrò con la mano una caviglia di Veer, il quale si girò immediatamente, il volto tirato in una smorfia di paura « Hai visto qualcosa? » la ragazza sconfessò l'ipotesi con un gesto del capo ed il volto di lui riacquistò colorito.

Cosa non le stava dicendo? Dov'erano? Chi doveva seguirli? Le sue scuse non avevano sostanzialmente apportato alcun contributo nella ricerca di una risposta e lei rimaneva brancolante in una coltre di questioni.

« Dobbiamo proprio immergerci là dentro? » bisbigliò, scoprendosi perfettamente pronta ad accettare di rimanere nel fango anche per tutta la vita piuttosto di farsi avvolgere da quell'ambiente spettrale. Veer accennò una risposta muovendo solo le labbra, ma lei non la riuscì a carpire. Dubitò si trattasse di una vera e propria frase articolata, si convinse invece che doveva essere un sì biascicato appena, incomprensibile persino per lui.

Quando furono sufficientemente vicini, Vissia scorse un'ombra attenderli sul ciglio della macchia di alberi. Sperò egoisticamente in cuor suo non si trattasse di Bastian, non avrebbe sopportato di vederlo in una situazione simile, a rischiare la propria incolumità ad appena dieci anni. Fu anzi Arian, il figlio di Veer, a porgerle una mano per alzarsi, delicato come un fiore l'aiutò anche a pulirsi gran parte del terriccio rimasto attaccato ai vestiti. Si guardò attorno in cerca di un segnale che le confermasse l'assenza di suo fratello, nonostante dentro di sé una voce gridava per farsi ascoltare, ma lei perpetrava nell'ignorarla. Le diceva che Bastian era rimasto al sicuro in quella tanto strana e speciale stanza al secondo piano, eppure doveva essere sicura stesse affermando il vero, prima di poterle credere e rilassarsi.

« Rimanete qui. » ordinò Veer, rompendo il silenzio che aveva cominciato ad aleggiare insieme alla nebbia « Devo ricordare come si esce una volta entrati. »

« Sei già stato in questo posto? » la ragazza sembrò sinceramente incredula nell'immaginare qualcuno solcare un simile terreno inospitale. Per di più, che quel qualcuno fosse stato Veer, le pareva davvero impossibile. Si conoscevano da mesi, se non anni, e non aveva mai neppure accennato ad un tale luogo. Si trattava, dal suo ignorante punto di vista, d'un particolare non proprio irrilevante da trascurare in un'amicizia. Vissia fu dunque spinta a rimugiare a fondo riguardo le basi su cui si fondava il loro legame e si accorse di non aver mai sentito Veer parlare del proprio passato. Perciò, quando le ebbe detto che tutta quella distesa faceva parte del suo mondo, si sentì sorprendentemente tradita, come se le avesse appena rifilato uno schiaffo dritto sulla guancia. Ed in coda alle altre centinaia di migliaia di domande che le si affollavano nella testa, se ne aggiunse un'altra: quante cose le aveva nascosto?

Veer rivolse al suo viso sconvolto un'occhiata colpevole, carica di dispiacere, e per la seconda volta avanzò delle scuse, quasi si ritenesse lui stesso il creatore di tanto scompiglio. Scosse il capo in un gesto rassegnato e si voltò per inoltrarsi nel fitto degli alberi.

Se non fosse stato per un gridolino inorridito del figlio, sarebbero rimasti lì da soli, Vissia e Arian, come due stranieri in una città troppo grande e nessuna indicazione a soccorrerli

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