Cap. 8- Verso sud
Rolak'un
Era ormai mattino presto, quando tornai alla piana di Soliside.
Il sole accennò a mostrarsi, ma senza venir fuori del tutto, come una timida chiocciola rintanata nel suo guscio.
Il prato a quell'ora veniva ripulito accuratamente dei corpi e del sangue da appositi elfi bianchi netturbini.
Detto molto grezzamente, era evidente che gli Erixtov fondassero il proprio regno sulla falsa bontà.
Tenevano particolarmente nel dare a tutti l'idea di essere un popolo cordiale e pacifico, nascondendo viscidamente le loro brutali repressioni.
Li vidi trasportare i corpi in carretti di legno, per poi gettarli sul fuoco e incenerirli.
Io e Sjhraaj stavamo nascosti dietro una delle rare rocce che ricoprivano il prato fiorito.
Guardavo tristemente mio padre e mia sorella maggiore, Lja, mentre venivano trasportati verso le fiamme.
Con un attento sguardo, per fortuna, mi accorsi che lei respirava ancora.
Non persi tempo e tentai un modo per distrarre l'attenzione dei netturbini, così mi cimentai nel vecchio metodo del sasso.
Ne lanciai uno non molto distante da loro. Due elfi presero a fissarlo insistentemente.
Erano tanto attenti nell'osservare un misero sasso rotolante, che presi la palla al balzo e sgattaiolai fuori dal mio nascondiglio.
Una sporgente pancia da birra, però, mi apparve da dietro, apparteneva ad un terzo elfo, il quale andava in giro tutto incipriato.
Mi afferrò con forza per l'orecchio lasciandomi sguggire un "ouch!"
Era chiaro che la troppa ricchezza aveva influito parecchio su quella che era la naturale bellezza degli elfi bianchi, rendendoli ingordi, sgraziati, bisognosi di beni materiali.
Ciò li spingeva ad impuparsi con trucchi, parrucche e begli abiti, cose che permettessero loro di mantenere comunque viva la propria vanità.
"E tu chi saresti? Un fuggiasco? Non molto furbo per di più." Commentò, con la voce grossa di chi vorrebbe fare il prepotente, ma che, ridicolmente, non è in grado di risultare temibile.
A quel punto anche gli altri si erano accorti di me.
Non proferii parola e gli mollai un calcio negli stinchi.
"Aaaah!" Gridò istericamente, mentre si reggeva dolorante la zona colpita e saltellava su un piede solo.
Nel frattempo Sjhraaj allungò la coda, afferrando la caviglia di Lja e trascinandola in fretta verso di sè.
Entrambi ci lanciammo in una frenetica corsa.
È buffo come in quel momento mi venisse quasi da ridere: ero uno sciagurato, a mia volta portatore di sciagure, eppure qualcuno aveva deciso di aiutarmi.
Non capivo perchè lo facesse, ma era chiaro che gli elfi bianchi dovessero trattarlo piuttosto male, in quanto schiavizzato dalla nascita così come molti altri colubrian.
Non fecimo altro che strascinare mia sorella tra le erbacce, mentre giravamo tutt'intorno alla piana inseguiti da netturbini arrabbiati, tra cui uno zoppicante.
Continuammo a correre (o strisciare, nel caso di Sihraaj) vigorosamente fino a quando questi non si furono finalmente accasciati a terra sfiniti.
Soliside era come un labirinto i cui muri erano costituiti da steli di fiori alti quanto gli alberi zibawniani (più bassi del normale): sembrava uguale da ogni punto di vista la si guardasse.
Al fine, stanchi morti, lasciammo sdraiare Lja in mezzo al prato, con i vestiti ancora insanguinati e capelli tutti scompigliati e pieni di foglie.
Non eravamo stati molto delicati nella fuga, in effetti.
Le districai alla meno peggio i fili d'erba dai folti capelli, poi curai la sua ferita.
Vegliai su di lei per tutto il giorno e per tutta la notte successiva, con molta pazienza.
I morsi della fame si facevano sentire, la sete, la sonnolenza, ma le restai accanto.
Fortunatamente, vivendo in povertà, per secoli noi tendryan ci fummo abituati a resistere alla fame molto più a lungo di altre creature.
Siamo esseri che si adattano con estrema facilità alle condizioni di vita che gli si presentano.
Inoltre, avevo sempre ammirato mia sorella maggiore per la sua buona volontà e sapevo che lei per me avrebbe fatto altrettanto, probabilmente.
Nonostante il nostro rapporto fraterno avesse vissuto molti alti e bassi, io le volevo bene e speravo che anche lei me ne volesse ancora.
Attesi con ansia che si riprendesse.
In seguito, quando le prime luci dell'alba del giorno seguente toccarono il cielo, fui preso dalla stanchezza e mi afflosciai stremato per terra, là vicino, rivolgendole il mio sguardo.
Notai che nè il dolore, nè la terra fra i capelli, avevano scalfito la sua bellezza, non troppo, almeno.
Somigliava molto a nostra madre.
Così, abbandonai per un attimo il mio essere freddo e distaccato, finendo per abbracciarla dolcemente.
Forse si trattava di un inconscio tentativo di chiederle scusa,
O forse avrei voluto solo trasmetterle un po' di quel calore che in tanto tempo non le avevo mai dato.
D'un tratto la sentii mormorare.
"Padre.." sussurrò, con una voce che sembrava venire dall'oltretomba.
Mi venne un colpo, poi sorrisi, felice che si fosse ripresa.
Così, senza dire nulla, mi alzai in piedi, iniziando ad avviarmi.
"Te ne vai così?!"
Sentii da dietro di me la voce di Sjhraaj.
"Non posso più stare con lei e quel che resta della nostra famiglia, causerei solo altri guai." Risposi, voltandomi verso di lui, giusto quel tanto affinchè potessi guardarlo con la coda dell'occhio.
"Non mi importa di questo. Non sei qui per sconfiggere gli elfi bianchi? Non sei qui per liberarci?" Domandò, come fosse rimasto profondamente deluso dalla mia ritirata.
"Non è più mio intento uccidere, Sjhraaj. Mi dispiace." Il mio tono era basso e fermo, poichè per me questa guerra era conclusa.
"Ti auguro tanta fortuna." Detto questo mi voltai nuovamente verso la strada che stavo per percorrere.
"Aspetta!"
Mi fermò nuovamente il piccolo colubrian, mentre il suo lungo corpo diventava più minuto e pian piano prendeva forma umana.
Il bimbo, ricciolino, mi abbracciò da dietro.
"Non puoi andare! Tu e Sjhraaj insieme formereste una grande squadra!"
"Non lo metto in dubbio, ma non puoi stare con me, per te non sarebbe un bene." Mi distaccai delicatamente dal suo abbraccio con un leggero filo di amarezza.
Mi guardò offeso e accigliato, arricciando il naso come se fosse in procinto di piangere ma controvoglia.
"Ora andrò a sud, verso Mefilyus. Occupati di Lja, addio."
Rivolsi un ultimo saluto al piccolo amico serpente e andai avanti seguendo la bussola, dritto per la mia strada, senza voltarmi.
"Ehi! Torna qui!"
Sjhraaj mi chiamò a sè ancora una volta.
"Certo che sei insistente! Ti ho detto che voglio stare da solo!" Stavolta alzai la voce, gesticolando perchè comprendesse meglio.
"Il sud è da quella parte, stupido!" Mi intimò, indicando un'altra direzione con aria spazientita.
Rimasi perplesso un istante e scossi la vecchia e mal funzionante bussola che, momentaneamente bloccatasi, riprese a posizionarsi verso la direzione giusta.
Ricominciai il mio viaggio, dritto per la mia strada, senza voltarmi.
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