Cap. 13- In volo
Luogo: pressi di Foltausto
Rolak'un
Ero finalmente giunto a Mefilyus, anzi, nella parte più remota di esso.
Non avevo davvero intenzione di finire così a sud, ma ci ero praticamente precipitato.
Vi spiego come accadde.
Il porto della regione meridionale di Zibaw era alquanto caratteristico e singolare.
Ogni nave, infatti, godeva di un moderno marchingegno di ingegneria elfica che le consentiva di volare.
Si trattava di roba sconosciuta per quanto mi riguardasse, sia chiaro che non avevo idea di chi mai inventasse certe diavolerie.
Rubai ignaro una piccola barca, perchè potesse condurmi lontano dall'odiato continente degli elfi bianchi.
Avevo da subito notato che si trattava di una barca di latta grottesca e orripilante, ma poco mi importava.
Era concava come un cucchiaio, il cui bordo si richiudeva in un tettuccio: pareva una strana sorta di bolla. Credetti di essere dentro un grosso uovo la cui unica zona rimasta scoperta era la prua.
Pensai bene che la bislacca circoscrizione servisse a non far stare il guidatore troppo al sole, ma di certo non rendeva possibile remare.
Cercai dunque con lo sguardo almeno un timone, ma vi trovai solo una piccola leva, proprio nel mezzo della barca.
La tirai.
Il motore si accese e gigantesche pale rotanti partirono a razzo sotto la strana struttura.
Avanzò giusto qualche metro sul filo dell'acqua per poi spiccare il volo, emettendo un forte ronzio.
La sensazione di pericolo pervase il mio stomaco e mi raggomitolai su me stesso cercando di non guardare l'esterno.
Volevo scendere, così tirai avanti e indietro la leva nel tentativo di fermare tutto ciò, non contando che il veicolo si trovava ormai all'altezza delle nuvole.
Il risultato del mio istintivo errore fu una terribile e vorticosa accelerazione in lungo e verso il basso.
Durante quell'ora di tortura mi sembrò di percorrere il moto di una freccia appena scoccata, che stava per giungere a destinazione.
Avrei giurato di poter rovesciare le budella quando mi schiantai a bomba sul suolo di Mefilyus.
L'impatto aveva creato una grossa voragine sul terreno e aveva alzato tanta di quella polvere da non farmi distinguere nulla del luogo in cui ero finito.
Mi strascinai a piccoli colpi di tosse fuori dallo strumento suicida che mi aveva condotto lì, tentando di vederci chiaro.
Avrei presto capito che mi trovavo in un fitto bosco, nei pressi del regno di Foltausto.
Si parlava tanto di questo luogo e di quanto i suoi abitanti fossero dei fulminati, in tutti i sensi.
Il posto subiva infatti violenti temporali ogni notte, fino alle prime luci dell'alba, come fosse colpito da un maleficio.
I cittadini non erano neanche tanto normali dal canto loro.
Come calò la sera, venne coperta di nubi e si scatenò la tempesta.
Ed eccomi laggiù, seduto sotto l'albero più grosso che riuscii a trovare, colpito dalla burrascosa pioggia.
E, come già narrato, fecero largo nella mia mente sentimenti come la depressione e l'autocommiserazione.
Volevo che il mondo si dimenticasse della mia esistenza cosicchè non potessi nuocere ad esso nè lui a me.
Quale modo migliore se non ritirarsi nella natura come eremita?
La sfida sarebbe stata accettare la solitudine senza lasciarsi coinvolgere nella follia che a lungo andare essa comporta.
Immaginavo già i lunghi e filosofici discorsi riguardanti il senso della vita con i quali avrei intrattenuto me e me medesimo in un clima di tristezza infinita.
Avrei cercato una casa o un rifugio dove vivere solo una volta trascorsa la notte, così mi misi comodo fra le radici e la fanghiglia, in attesa di prendere sonno.
Proprio in quel momento mi sentii vagamente osservato.
I miei stanchi occhi, finora rimasti intenti ad osservare l'affascinante riversarsi delle rapide gocce sul suolo sporco e melmoso della foresta, furono colpiti da una figura, che se ne stava appesa all'albero di fronte a me.
Non era possibile scorgere molto dell'essere, se non i suoi vispissimi occhi bianchi, simili a fanali le cui palpebre non accennavano a sbattere un istante.
Grande una volta e mezza un uomo, costui se ne restava a fissarmi, circondato da una nuvola di pipistrelli svolazzanti.
Tale vista mi inquietava non poco, ma non sarei andato lontano fuggendo con questo tempaccio, così mi limitai a stringere tra le mani uno dei pugnali che tenevo con me.
Un lampo d'improvviso illuminò la bestia, rendendola ben visibile ai miei occhi.
Era un drago, che se ne stava appeso a testa in giù aggrappato serramente ad un ramo.
I lunghi e affilati artigli di cui era disposto lo aiutavano a reggere facilmente il suo peso.
Non si trattava di un drago comune in realtà, ma di un nerissimo dragopistrello, dal corpo interamente peloso e dalle lunghe corna a punta in grado di captare ogni minimo ultrasuono.
Muoveva nervosamente la lunga e sottile coda.
Era chiaro ce l'avesse con me poichè avevo invaso il suo territorio.
Ovviamente non avevo la minima idea di come comportarmi nei confronti di simili creature, ma restare immobile pareva senza dubbio essere la soluzione migliore.
Lo stallo durò a lungo.
Io non accennavo a muovere un muscolo e nemmeno lui.
Entrambi non distogliemmo lo sguardo l'uno dall'altro per una buona mezz'ora.
Il tempo trascorso servì a farmi abbassare la guardia e rilassare i nervi; se il curioso dragopipistrello avesse davvero voluto attaccarmi, dopotutto, avrebbe di certo agito prima che potessi accorgermi di lui.
Socchiusi gli occhi per via della stanchezza e, d'istinto, mi tamburellai ritmicamente le dita su di un ginocchio.
Il rumore della pioggia non consentiva al suono di questo singolo gesto di giungere al mio orecchio.
L'udito del drago, invece, era ben più affinato, me ne accorsi poichè ciò destò in esso una reazione.
Notai che aveva smesso di muovere la coda finendo per emettere un singolare gorgoglio.
Non sembrava arrabbiato, piuttosto vagamente interessato al ritmo riprodotto dalle mie dita.
Per maggiori certezze, cominciai a battere tutta la mano, facendo più rumore.
La bestia a quel punto mosse curiosamente il collo e chinò la testa da un lato, incoraggiandomi a continuare.
Un sorriso allietò il mio volto, facendomi dimenticare momentaneamente i cupi pensieri che aleggiavano nella mia mente.
Tamburellai energicamente sulle mie gambe, usandole come perfetti strumenti a percussione, mentre rivolgevo nuovamente il mio sguardo al drago.
Questo era ora davvero entusiasta e seguiva il ritmo con la testa.
Non mi è facile ricordare di aver mai conosciuto un tendryan simpatico come lo era quell'essere.
Lo avrei volentieri adottato.
Anche il duro tronco dell'albero si aggiunse alla mia batteria e ci picchiettai con forza, fino a quando non avvenne qualcosa di inaspettato.
Si trattava di uno strano rumore metallico, o qualcosa di simile, che doveva provenire dal basso.
Come mi fermai dal picchiettare, la terra si aprì sotto di me e vidi il buio.
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