Cap. 12- Rinnegata
Lja
"Figlia dei Kohah..."
"Viscidi vermi."
Mormorò qualcuno.
La mia espressione iniziò a mutare in viso. Radtjah mi aveva accortamente avvertita del fatto che l'esito infelice della nostra ribellione avesse destato repulsione nei confronti della nostra famiglia, da parte di molti tendryan.
Tuttavia, non avrei immaginato di ricevere una tale accoglienza dai miei simili.
Molti uomini mi si erano riuniti intorno, facendomi indietreggiare verso l'ingresso della sala.
"Le rinfreschiamo le idee?"
Propose qualcuno tra loro, ridacchiando.
Venne portata in sala una grande bacinella in legno, che si apprestarono a riempire con brocche d'acqua.
Mi ritrovai piuttosto confusa e guardai spaesatamente il loro agire.
Radtjah si fece nervosamente largo tra loro, piazzandomisi davanti.
"Fratelli, fermatevi. Non fu una sua colpa. Non è il suo sangue che vogliamo."
Alzò la voce, allargando le braccia come a voler distanziare da me gli assalitori.
"A te penseremo dopo, vile traditore."
Sibilò un grosso elfo, vestito interamente in armatura da guerriero.
Quest'ultimo mi sollevò di peso, immergendo violentemente la mia testa nella gelida acqua, con l'intento di affogarmi lentamente, mentre gli altri elfi sghignazzavano, incoraggiandolo a continuare.
Si trattava senza dubbio di una delle pene più spietate per un tendryan. Nel mio caso, fortunatamente, l'acqua non rientrava tra le mie peggiori paure.
La ferocia di quell'atto mi fece tuttavia ben presto uscire sangue dal naso.
Tentavo invano di liberarmi, ma ormai non avevo abbastanza forza e i disperati tentativi di oppormi servivano solo a consumare il poco fiato che mi rimaneva.
Sentivo di star per perdere i sensi.
Radtjah, così come Guinhir, sembrava ignorare la situazione.
Si avvicinò cautamente al tavolo, sorseggiò un bicchiere di vino, poi prese un piatto e parve ammirarlo, con aria disinteressata.
In un fulmineo attimo di distrazione generale, si intravide lo stesso piatto sfrecciare ad andamento rotatorio, per poi infrangersi in mille pezzi sulla testa del forzuto elfo che si stava divertendo a torturarmi.
Egli abbandonò del tutto la presa, lasciandomi scivolare all'interno della bacinella.
Non persi tempo e rialzai la testa dall'acqua recuperando il fiato.
Tossii, respirai affannata tenendo aperta la bocca e cercando di assumere più aria che potevo.
Il grosso guerriero si voltò quindi verso Radtjah in vaga confusione per via del colpo, puntandogli indosso i rossi occhi pieni di rabbia.
L'assassino non li evitava, lo fissava anzi altrettanto insistentemente, imponendo prepotentemente il suo sguardo di sfida.
Inutile dire che in quella sala scoppiò una violenta rissa.
Tutti ne furono partecipi, persino i bambini.
"Dunir, se ti fai pesticchiare, ti pasticcio!"
Si udì urlare.
Volavano sedie, piatti e scodelle.
Anche pugni, calci e spintoni non mancarono di certo.
Ce ne tirammo fuori solo io e Guinhir, che continuò a fregarsi altamente di ciò che stava avvenendo, se non del bambino che riprendeva di continuo.
Egli si mise comodo e si limitò a scrivere su di un taqquino con espressione divertita.
"Si può sapere cosa sta succedendo qui?!"
Si udì una voce potente, che rimbombò per la sala e fece arrestare la scazzottata in corso.
Tutti si ricomposero.
Io me ne stavo in piedi nei pressi della porta e mi asciugavo il sangue dal naso con una vecchia pezza appena raccolta dal tavolo, al momento in cui mi volsi alla mia destra, da dove mi sembrava provenisse la voce.
Si trattava di un vecchio elfo, sulla 60ina, ancora tonico e ben muscoloso.
Si reggeva su due forti stampelle legnose, costretto a riporre l'intero peso del corpo sulle proprie braccia, dal momento che gli mancavano entrambi i piedi.
Bianchi e lisci capelli, lunghi fino al collo, ricadevano sul suo scuro viso squadrato, marchiato dai segni del tempo; un lungo pizzetto ne allungava invece i tratti del mento.
I suoi occhi, lucidi e irosi, ringiovanivano la sua figura e ne davano vigore.
Gli occhi di chi ha sopportato tanto ma non si è mai arreso, di chi mai lo farà.
Una donna di qualche anno in meno, forse la moglie, gli camminava vicino.
Ella, contrariamente all'uomo, aveva gli occhi gonfi e stanchi, come se avesse pianto ininterrottamente fino a quel momento.
Sembrava osservare accorta ogni suo avanzamento, tenendo protese le mani, pronta a sostenerlo in caso ne avesse avuto bisogno.
Un atto di poco conto, che tuttavia lasciava intendere tra loro un amore profondo.
"Ehy, signor Krjppel!"
Salutò Guinhir, distogliendosi un attimo dal suo taqquino.
"Ma cos'è che scrivi?"
Mi rivolsi a lui così, presa dalla curiosità.
"Mi prendo la libertà di scriverchiare in un diario tutto ciò che avvienfiene nella mia vita."
Rispose.
"E in quella degli altri."
Tenne a sottolineare Radtjah, il cui volto appariva lesionato dalle botte incassate.
Il vecchio zoppo ricambiò il saluto con un cenno della testa, aspettando impazientemente una risposta alla sua domanda.
"Radtjah ha condotto qui una Kohah!"
Accusò uno di loro, indicandomi tra la folla.
Krjppel rivolse a me il suo freddo sguardo.
Lo girò pertanto verso Radtjah, che tentava di usare la confusione e il disordine che vi era in sala per celare le pessime condizioni in cui aveva ridotto il robusto elfo guerriero, il quale giaceva ormai al tappeto con la testa dentro la bacinella.
Il vecchio non sembrava avere intenzione di rimproverarlo.
Egli fece un sospiro nasale, poi parlò come volesse giustificarmi il motivo di questa ostilità.
"Vedi... personalmente non odio i Kohah, non potrei mai. Piuttosto, l'argomento crea in me rabbia e risentimento.
Mi fidavo ciecamente di tuo padre, ragazza, lo avevo addestrato io stesso ed era forse il guerriero che più mi aveva reso onore in vita.
Ma quando ci chiamò a raccolta mi sembrò farneticante e non partecipai alla spedizione."
Prese una pausa, come per ricordare in silenzio la sua morte.
Poi, aiutato dalla moglie, percorse la sala fino al trono e vi ci sedette.
Era chiaro che per via della sua esperienza militare, in questo momento di sconforto gli altri tendryan avessero deciso di considerare Krjppel una sorta di capo.
"Devi sapere che la tensione a Toqajv si trovava in quel momento sul filo del rasoio.
Tra noi e gli elfi bianchi vi era una sorta di pace non dichiarata che somigliava più, tuttavia, ad una guerra fredda.
Le autorità del regno di Palven erano infatti perfettamente a conoscenza del fatto che noi ci trovassimo nascosti fra le caverne del monte.
Ma mi premurai io stesso di mantenere segretamente rapporti con costoro, i quali avevano promesso che ci avrebbero lasciati vivere serenamente a patto che non avessimo creato problemi o rivendicato una posizione sociale.
La vostra piccola follia costò molto cara a tutti noi, poichè la voce si sparse più rapidamente del previsto e non fecimo in tempo ad evacuare tutta la zona, prima che dessero alle fiamme il regno.
Non fummo puniti solo noi, ma anche tutti coloro che ci avevano coperti, elfi bianchi compresi.
Ognuno di noi perse qualcuno.
Per quanto riguarda me, ad esempio, tornai alla mia casa scoprendo che il mio primogenito aveva perso la vita per salvare quella dei fratelli."
La sua voce perse l'iniziale calma, divenendo grossa e adirata.
"Guarda, ragazza, guarda il volto della madre che compiange la perdita di un figlio!"
Urlò, portando l'attenzione su sua moglie, che lacrimava ora disperata.
Ripresero le calunnie e le percosse nei miei confronti.
Ma non avrei sopportato altro, poichè a quel punto anche la mia rabbia era ribollita.
Sbattei violentemente entrambi i pugni sul tavolo, facendo tornare fra i tendryan il silenzio.
"Va bene, ora parlo io."
Gli occhi di tutti si rivolsero quindi a me, compresi quelli di Krjppel.
"Anche io ho sofferto, ho sofferto come voi.
Ho perso il padre e la madre, mia sorella minore è morta fra le mie braccia e stavo per perdere la vita io stessa.
Credete che io abbia desiderato tutto questo?! Che io abbia mai appoggiato quella follia?!
Ma se fossi stata a conoscenza della pace di cui ora hai parlato, io mi sarei opposta a viso aperto.
Qualcuno di voi invece si è forse opposto?!
Qualcuno ha forse tentato di fermare questa spedizione?!"
Tutti tacquero.
"Esatto, No!
Voi siete colpevoli di ignavia, esattamente quanto lo sono io.
L'autore di ciò non è la sottoscritta, bensì colui che un tempo tutti voi veneravate come 'Intercessore'.
Ed egli, sangue del mio sangue, cadrà un giorno per mano dell'ultima sorella a lui rimasta, me.
E questa è una promessa."
"Sono forti parole le tue, ragazza..."
Interruppe il mio discorso Krjppel.
"Lja."
Lo apostrofai.
"Lja..."
Ripetè.
"Ma più che verso l'Intercessore, credo che il nostro desiderio di vendetta sia ora più che mai rivolto agli Erixtov."
"Non mi avete lasciato concludere il discorso, signore.
Mentre mi trovavo a Fioraside, mi è venuto lo spunto per un'idea, stavolta ragionata, che potrebbe far cadere quest'impero una volta per tutte.
In verità, più che un'idea, io ho un piano.
Ma per realizzarlo mi serve tutta la vostra lealtà."
"Lealtà?" Guinhir ridacchiò. "Dovrebberemmo fidarciarci di questa ragazzina?"
"È vero, non ho intenzione di fidarmi di una ragazzina. Ma ho intenzione di ascoltarla, poichè ella sembra sapere il fatto suo.
Dimmi, cosa proporresti, Lja?"
Mi domandò Krjppel con evidente interesse, massaggiandosi il mento.
Io sorrisi appena e mi apprestai ad esporre a tutti la mia pensata.
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