Cap. 10- Le vie del sottosuolo

Lja

La neve cominciò presto a cadere con maggiore impeto quando giungemmo al vecchio e alto cancello d'entrata di un piccolo cimitero.
Costruito in ferro battuto, era ormai colmo di ruggine e cigolava lievemente a causa del vento.
L'assassino tendryan vi si arrampicò fino in cima, arrivando per primo dall'altra parte.
Guardò verso di me pronto a prendermi, nel caso in cui ne avessi avuto bisogno.
In effetti ero molto stanca e debole, ma allo stesso tempo troppo orgogliosa per accettare ulteriore aiuto da lui.
Scavalcai con le mie sole forze, atterrando piegata sulle ginocchia al di sopra della spessa coltre di neve che andava ormai imbiancando le strade di tutta Tsipenude.

"Ho sentito qualcosa." Sussurrò lui.

Era l'avvicinarsi delle guardie, le quali intendevano pattugliare anche quella zona.
Dovettimo inoltrarci lungo il campo santo così da nasconderci dietro la statua di una dea sonnereichana, innalzata su di una tomba.
A differenza mia, fu dura per il mio salvatore restare ben celato lì dietro, dal momento che era particolarmente alto rispetto alla scultura.
Ne sorrisi, sperando non se ne accorgesse.

Il cimiterò, le cui lapidi incise sulla pietra giacevano ai piedi di ogni statua, non era ben curato e sembrava ricevere visite molto di rado.
Al centro di esso vi era un laghetto artificiale, ormai congelato, sotto il quale si intravedeva un grosso pesce spinato, probabilmente di proprietà del custode.
Le divinità del sole, solitamente ricoperte di oro e gioielli pregiati, venivano raffigurate nei luoghi di morte in posizione di preghiera, affrante e prive di vesti.
Ciò rappresentava il distacco del defunto dagli affetti e dai beni materiali.

Contrariamente a noi tendryan, che consideriamo la morte come una rinascita immortale a fianco di Akhraz, il credo degli elfi bianchi non dona speranza una volta oltrepassato il confine della vita.
Essi vedono il ciclo della loro esistenza come un breve attimo, concessogli dagli dèi tramite l'energia del Sole; la stessa che, a detta loro, sarebbe responsabile dello scorrere del tempo, del moto planetario e dell'intero universo.
Alla morte, il loro soffio vitale si ricongiunge alla propria fonte di origine, così da contribuire a far sbocciare vita nuova.
La maggior parte degli umani di Hadm ha assecondato il credo degli elfi bianchi facendolo proprio.
Alcune minoranze, invece, seguono personali idee religiose, ispirate in ogni caso a miti e leggende cantate dagli Erixtov.

"È da queste parti il passaggio?" Domandai a bassa voce.

"Si, ma conviene aspettare che le guardie si dileguino."
Rispose.

Io mi strinsi tra le braccia, tremante.
Le mie mani erano tanto gelide da non riuscire più a sentirle.
Il freddo di Tsipenude cominciava ad essere per me insopportabile, in quanto avevo balordamente lasciato l'armatura abbandonata sulle rive del porto di Fioraside.
Sotto l'umile mantello rattoppato che mi era stato offerto dai gentili marinai durante il ritorno in patria, non tenevo altro che sottili bende di pezza.

Il mio interlocutore notò il malessere che mi affliggeva.
Si spogliò del poncho e me lo mise indosso, rimanendo coperto solamente dalla nera armatura leggera.

"Che fai? Morirai di freddo.."
Sussurrai.
Lui mi fermò afferrandomi per le braccia non appena accennai a levarmelo.

"E dovrei lasciar morire te dopo quello che ho rischiato per salvarti? Scordatelo."
Fu piuttosto scontroso.

Ora che non aveva più il cappuccio riuscii a osservare meglio i tratti del suo volto.
Era un giovane, di qualche anno più grande di me, dalla scura pelle grigio perlaceo.
I suoi svegli occhi a mandorla erano di un brillante color indaco, mentre i neri capelli, lisci e molto lunghi, ricadevano sciolti sulle sue spalle, scossi dalla potenza del vento.
La fermezza del suo sguardo mi aveva immobilizzata, impedendomi di controbattere.

Si voltò d'un tratto verso il cancello di ferro, notando così che le guardie avevano girato l'angolo, evitando di perlustrare il cimitero.

"Bene, via libera." Rassicurò.

Ci avviammo verso il vecchio casolare in legno del custode.
Era mal ridotto e pericolante, sembrava che il vento potesse buttarlo giù da un momento all'altro.
Mi affacciai ai vetri della finestrella impolverata, osservandone l'interno.
Un umano, con ogni evidenza il custode, stava pranzando tranquillamente a lume di candela con la moglie.

"Gradisci un pò di Piliovino, caro?"

"Non tentarmi oh mia adorata!"
Sentii dire.

Guardai verso il tendryan al mio fianco, con aria interrogativa.
Egli non fece che tamburellare sulla porta in modo schematico, seguiva un codice simile a quello Morse.

"Tesoro, stanno bussando! Presto!"

Non fecero in tempo ad andare ad aprire che la stanza si rivoltò letteralmente al contrario.
Il sopra era divenuto il sotto e viceversa, come per magia.
Tale stravolgimento non era visibile dall'esterno, che rimaneva invece immutato.
Il mio accompagnatore, impassibile, spalancò la vecchia porta, invitandomi ad entrare.
Rimasi giusto qualche istante sulla soglia, guardando impressionata i due umani, i quali giravano confusamente appesi al soffitto egualmente a tutto il resto del mobilio.

"Incantesimi di sicurezza. Mai sentito parlare?"
Domandò il ragazzo, vedendo la mia reazione sorpresa.
Scossi la testa.
Appena fummo al centro della stanza, lui roteò sveltamente le mani su se stesse, l'una dopo l'altra, scrioccandone interamente le ossa.
Tale movimento sembrò innescare un qualche meccanismo sotterraneo.

"Botola!"
Avvertì subito dopo.

Il pavimento sotto di noi si aprì a rapido scorrimento, facendoci precipitare nel buio, per poi richiudersi allo stesso modo.
L'interno della casa si ricapovolse, come se nulla fosse avvenuto.
Non si sentì altro più, se non il mio soffocato urlo di spavento proveniente dal basso.
I due umani tornarono alla posizione di partenza, ignari di tutto e un pò scossi.
Noi, invece, eravamo giusto qualche metro più in basso, atterrati sul morbido.
Era tutto buio, pertanto non si vedeva nulla e non sapevo dove fossimo.
Scivolai le mani sullo spesso tappeto di pelliccia, piacevole al tatto, sul quale eravamo finiti.
Probabilmente era stato posto lì appositamente.
Da laggiù si udivano ancora rimbombare le voci dei custodi del cimitero.

"Ma perchè succede così ogni volta che bussano?"
Udii la donna sbottare.
Sorrisi, pensando a quante volte dovesse essergli inspiegabilmente capitato.

L'assassino, nel frattempo, aveva creato una scintilla fra le mani, accendendo con essa una torcia di legno, col cui fuoco illuminò finalmente la zona.

"Hai poteri fulminei, dunque!" Esclamai.

"Non stupirti per ogni minima cosa, mi dai sui nervi."
Pronunciò, con un timbro anche più basso del solito.
Sbuffai per quanto lo trovassi antipatico.
Eravamo all'interno di una galleria circolare dalle sgretolanti pareti rocciose, della quale non si vedeva la fine.
Ricordai di aver sentito effettivamente parlare mio padre di queste gallerie sotterranee.
Esse erano state fatte scavare dai Kohah quando questi erano ancora sovrani di Hadm, nascoste bene al punto che nessun altro potesse venirne a conoscenza.
Un tempo fungevano come riparo per i civili in caso di guerra, erano infatti collegate a ciascun regno.

"Bene. Dal momento che, a quanto pare, ti devo la vita, vorrei sapere almeno il tuo nome."
Tentai nuovamente di instaurare una conversazione pacifica, mentre ci inoltravamo lungo la fredda galleria.

"È Radtjah."
Rispose.

"Ordunque, Radtjah. Come mai hai deciso di aiutarmi? Cosa te ne viene?"

Mi guardò, poi tornò a osservare di fronte a lui, sospirando.
Sembrava dovesse riflettere un attimo su se dirmelo o meno.
"Un bel niente. Anzi, dopo la strage i tendryan rimasti hanno preso a detestare voi Kohah, compreso me.
Stavo solo assistendo alla tua decapitazione, ma poi ho udito il tuo canto.."
Concluse, in modo vago.

"E hai provato pena?"
Sussurrai, con il lieve fondo di tristezza con il quale ripensavo agli avvenimenti da poco accaduti.
Anche lui notò che mi ero incupita.

"Tutt'altro."
Si voltò interamente verso di me e mi prese una spalla, spingendomi a girarmi a mia volta, così da potermi guardare negli occhi mentre pronunciava queste parole.
"Ho provato rispetto.
Non conosco uomini, tra noi, fieri e coraggiosi al punto da cantare il proprio inno in faccia al nemico in procinto di ucciderti. Non avrei potuto lasciar morire un guerriero come te."
Il suo tono calmo mi parve sincero.

Accennai appena un sorriso, poi mi volsi nuovamente per proseguire il cammino.
"Devo presumere che tu abbia cambiato idea rispetto al precedente discorso fatto sulla nave."

"Non del tutto."
Disse, ironicamente.
"In verità, ti trovo ancor più desiderabile adesso.."
Sussurrò al mio orecchio mostrando anche lui un lieve sorriso.
Non mi resi troppo conto di essere arrossita alle sue parole e risposi con un quasi impercettibile "Stupido..."

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