05. L'Orso e La Tigre
La notte passò e non successe nulla.
Il Verde e Valerie andarono in esplorazione, mentre Flynn e Ron rimasero di guardia all'imboccatura della grotta. Avevano legato i cavalli alle stalle dell'ultimo villaggio ed erano liberi di muoversi senza preoccupazioni. Ron aveva abilmente piazzato diverse trappole nel fitto sottobosco di arbusti dalle foglie larghe attorno alla loro posizione. Penetrare nella grotta ed esplorarla era fuori discussione, come ci tenne a precisare immediatamente il Verde. Se l'orso si nascondeva lì non avevano altro modo di ucciderlo se non aspettare che uscisse.
Valerie, da sola in mezzo alla foresta, si spingeva a Est, tra l'erba alta e i tronchi rossi di faggio, accucciandosi dietro gli alberi o fra gli arbusti al minimo rumore, i coltelli alla mano, pronta a scattare.
«Il Cacciatore è paziente, il Cacciatore è attento» ripeteva in continuazione. Ogni fibra del suo essere era tesa nel cercare traccia della sua preda. Era un orso, un ammasso di muscoli e pelo di cinquecento chili, non poteva passare inosservato così facilmente.
L'Orso descritto da Flynn, tuttavia, non era un normale orso, era più grosso e più feroce. I Minotauri e le Manticore, tuttavia, relegavano un orso in una categoria di predatori molto meno pericolosa. Perché darsi così tanta pena per un orso? La giornata trascorse tra la vegetazione e il canto degli uccelli, persa in considerazioni varie.
Niente orsi, comunque. Al crepuscolo tornò dagli altri.
Fu più per intuito che riuscì ad avere la percezione di cosa stesse succedendo. Flynn e Ron erano spariti. Saltò in pochi balzi sull'albero di Flynn. Lo zaino con l'equipaggiamento del Capo era lì, appeso al ramo dove lo aveva lasciato. Guardò in direzione del nascondiglio di Ron. Scomparso, anche lui.
Gli ultimi riflessi del sole morente illuminarono la spada di Flynn, piantata all'esterno della grotta.
Valerie non ebbe paura, ne la minima esitazione. La sua mente cominciò a ragionare come le riusciva meglio. Cambiò posizione, senza mai scendere dalla folta copertura di foglie degli alberi. La spada piantata nel terreno in bella vista era un segnale. Flynn era stato costretto a ripiegare e nascondersi.
Per tutta la notte tenne d'occhio l'entrata della grotta. Sottovento, si fece un taglio sulla mano, cospargendo un ramo di sangue e lanciandolo poco lontano la sua posizione. Si mimetizzo con le foglie degli alberi e attese. Se quell'orso non era un semplice orso ma una Bestia del Mondo delle Tenebre, allora avrebbe sicuramente fiutato l'odore del sangue e avrebbe sfruttato l'assenza della Luce, per lui fatale, e si sarebbe messo a caccia.
Dopo ore di veglia, cominciava a sentire il peso della stanchezza. Se non fosse successo nulla entro poche ore avrebbe seguito il codice e sarebbe tornata indietro da sola, per riprendere il cavallo e abbandonare la zona. Nel codice del Clan, abbandonare dei compagni dopo averli dati per dispersi rendeva quel territorio "zona nera", ovvero, infestata dalle Bestie, e ripulirla saliva in cima alle priorità del Clan. Sarebbe ritornata con i rinforzi e avrebbero dato la caccia all'Orso e a qualsiasi altro predatore.
Stava riflettendo su questo mentre pensava alla missione, e al fatto che quel dannato orso poteva essere parte del suo passato e di quello della sua famiglia. Alle tenebre il codice, avrebbe trovato quel maledetto orso a ogni costo.
Il muso sbucò all'improvviso dalla grotta. Aveva fiutato il sangue. I suoi movimenti erano strani. Goffo e dalla camminata ciondolante, sembrava in tutto e per tutto un orso, eppure Valerie notò che c'era altro.
Analizzava, non osservava. Stava valutando attentamente la situazione. Probabilmente aveva capito che l'odore di sangue non veniva da una preda. Era abbastanza vicino per tentare un colpo. Tese l'arco.
Dei passi attirarono l'attenzione della bestia, che lesta s'infilò e sparì nel sottobosco. Valerie, cercando di rimanere mimetizzata, spostò il peso sull'altra gamba per voltarsi. Era il Verde, di ritorno dalla perlustrazione. Camminava sicuro, col suo solito atteggiamento di superficialità, mordicchiando distrattamente un filo d'erba tra i denti. Doveva avvisarlo, cercare di metterlo in salvo prima che l'Orso lo trovasse. Incredibilmente, la mole tozza e sgraziata della bestia era scomparsa nel sottobosco, perfettamente mimetizzata col gioco di luci e ombre dell'alba. Il Verde passò sotto di lei, cercando gli altri, chiamandoli.
Stupido.
Un attimo prima che Valerie potesse avvisarlo, l'orso eruppe dal sottobosco, caricando. Scaraventò il Verde contro delle rocce, rompendogli la schiena. Per sua fortuna, il Cacciatore morì sul colpo, prima che l'Orso si avventasse su di lui con incredibile agilità e cominciasse a divorarlo. Anche in quell'occasione, Valerie non potè fare a meno di notare che l'animale non era guidata dalla pura ferocia dell'istinto, era come se stesse colpendo il corpo esanime del Verde in modo mirato, per infliggere il maggior danno possibile.
Valerie non ebbe più esitazioni.
La prima freccia trapassò il collo tozzo. Barcollando, l'Orso indietreggiò, tentando di individuare la minaccia. Una seconda freccia sibilò da lontano, centrandolo al costato. Non gli creò grossi danni, solo un evidente fastidio che ebbe l'unico risultato di farlo infuriare. Quello che successe dopo, lasciò Valerie senza parole. L'Orso, alzatosi sulle zampe posteriori, prese le frecce tra le zampe, una alla volta, e se le strappò via. Ormai allo stremo delle forze, cercò di tornare alla tana. Valerie, esterrefatta da quel comportamento, con un balzo scese dall'albero e si trovò faccia a faccia con la bestia. Sapeva di avere infranto una decina di regole con quel gesto, ma non le interessava, perché l'orso la guardava, anzi, la osservava. C'era intelligenza in quegli occhi, c'era una consapevolezza che andava oltre l'istinto di cacciare per nutrirsi, eppure era un animale vecchio e stanco, con lo spirito e il fisico provati da una vita di caccia.
Come il nonno.
Rugliava sommessamente, come se stesse cercando di comunicare qualcosa. Era un cacciatore, come lei. In lui c'era rabbia, dolore, odio. Cosa gli avevano fatto?
«Valerie»
Riconobbe la voce subito, era Flynn, era lui che aveva scagliato la seconda freccia. Di risposta l'orso mandò un ruggito terrificante. Valerie, con un gesto istintivo, estrasse l'arco e glielo puntò. L'orso voltandosi, vide gli ultimi istanti della sua vita, che ebbero il suono dello strappo secco della corda. Valerie lo guardò morire, e, nei suoi occhi attenti, vide qualcosa che si spegneva, e il sollievo che ne conseguì.
Lucien non sborsò un soldo per il funerale del nonno. Assieme a lui aveva seppellito gli scheletri dei suoi genitori e della loro scomparsa, del suo passato, di quel mondo di cui non si era mai sentito parte e che aveva sempre rifiutato. Valerie, però, ci sarebbe rimasta male sicuramente. Teneva al nonno, anche se non voleva ammetterlo. Lei era diversa, sensibile, era una donna.
Il giorno seguente alla morte del nonno giunsero i Nani. Arrivarono alla spicciolata, un carro alla volta. Erano centinaia. Oltre agli uomini, c'erano donne e bambini che scorrazzavano tra i carri e aiutavano i padri ad allestire i baracchini. Una delle qualità migliori dei Nani era la loro caparbia costanza. Sapevi sempre cosa aspettarti da un Nano. Le pianure a Est della città vennero invase come un'ondata di piena. In un giorno solo, l'enorme mercato era allestito.
In file ordinate, vennero disposte bancarelle piene di vestiti e gioielli, giocattoli e ninnoli di ogni materiale, fattura e pregio. Avevano anche pensato alla sicurezza. Gli oggetti di valore venivano venduti nei banchetti più interni, anche se la loro idea sul valore degli oggetti pareva molto singolare.
Al centro dell'accampamento, perché questo sembrava, si vendevano i pezzi di scarto dei loro complessi macchinari meccanici. Leve e rondelle, griglie e serpentine, piastre d'acciaio e minerali vari dalle forme e dimensioni più varie a cui dare nuova vita sotto altre forme.
Lucien puntava sempre lì, al cuore della carovana.
Il primo giorno lo passò interamente a scandagliare ogni più piccolo pezzo di metallo. Alla fine della giornata aveva fatto solo scorta di storie strampalate e racconti inverosimili sulla provenienza di tutto quel materiale. Fu il giorno seguente che quelle storie cominciarono a interessarlo.
Nella zona Ovest del mercato, dove poteva trovare le spezie per le sue pozioni, sentì un'altra di quelle storie. Un nano grasso e pelato stava raccontando una storia di paura a dei bambini spaventati ed eccitati allo stesso momento. Parlava di una tigre grossa come un cavallo, regina di un covo di mostri, nelle colline a Nord-Ovest, sulla lunga e tortuosa strada che da Folkrith si inerpicava su per le montagne fino a giungere alla fortezza di Galad-Hal. La carovana aveva incrociato il suo cammino e dopo un cruento scontro, avevano vinto e la Bestia si era ritirata, ferita a morte. Non era un gran oratore, a essere onesti, cosa abbastanza strana vista l'abilità dei nani nel sapersi vendere, ma ciò che destò la sua attenzione fu che un racconto simile lo aveva sentito un giorno prima, da un altro Nano che raccontava storie incredibili per vendere.
Ci riflettè per un giorno intero, nel suo laboratorio. Quando aveva pensato di impedire a Valerie di partecipare a quella follia, si era informato sulla missione.
Un Orso dal comportamento in tutto e per tutto simile a una Bestia. L'aveva subito ritenuta un'idiozia, eppure c'era qualcosa d'inquietante. Il Clan dei Cacciatori era un branco di esaltati, ma le bestie che cacciavano erano reali, di rado mentivano sulle loro prede, ne andava della loro stessa vita.
Ora, dopo aver assistito allo stesso racconto da due Nani diversi, si convinse che c'era qualcosa sotto, qualcosa che la sua innata curiosità non poteva ignorare, una frase in particolare attirò la sua attenzione, una frase che entrambe i Nani avevano pronunciato alzando le braccia sopra la testa e muovendo velocemente le dita
"occhi furbi e svegli, che scrutavano e vedevano, non si limitavano a osservare"
Sia il primo che il secondo nano l'avevano detta, ed era la stessa frase che descriveva l'Orso. Si fece dire dal primo Nano, dopo aver comprato le sue inutili spezie, dove si trovava la grotta della tigre e partì il giorno stesso.
Seguire la strada non fu un problema, la carovana lasciava sempre un sentiero di alberi abbattuti e terreni solcati dalle ruote di legno facilmente individuabile da chiunque. In un giorno giunse alla tana della tigre. L'esterno era disseminato di ossa e sangue. Lui non era un cacciatore, e il suo addestramento si limitava a quello sostenuto durante la leva obbligatoria nell'esercito regolare, utile giusto ad arrivare fin lì a cavallo con la giusta attrezzatura.
Era un inventore, però, e un alchimista.
Estrasse una sfera dalla sacca e, inserite delle chiavi nel giusto ordine, l'attivò. Il dispositivo cominciò a rotolare verso la caverna come fosse portato da un'energia invisibile. Lucien mise a terra l'antenna magnetica e la sfera prese a ruotargli attorno. Dall'antenna, regolò la frequenza del segnale e la sfera partì. Dopo qualche minuto, tornò indietro. Non c'era nulla di più grosso di un cinghiale lì dentro.
Sempre meglio che andare a vedere di persona, aveva sempre pensato Lucien.
Ripetè l'operazione per altre due volte prima di avere successo.
La sfera magnetica aveva mandato dei segnali di risposta molto lunghi e dalle basse frequenze, segno che qualcosa di grosso aveva incrociato il suo cammino, ed era decisamente la misura di un predatore.
Era giunta l'ora di provare il suo nuovo aggeggio. L'aveva chiamato fischietto deflettente. I suoni prodotti ad altissime frequenze grazie alla tecnologia nanica, rimbalzando sul suo corpo, venivano percepiti dagli animali come provenienti da un animale grosso due volte un orso, espediente sufficiente, secondo i suoi studi di zoologia, a spaventare qualsiasi animale.
Avrebbero spaventato anche una tigre o un branco di lupi.
Forse.
Trovò la tigre sdraiata su un fianco, ferita e sofferente.
A quanto pare, la storia del mercante Nano non era del tutto inventata. Il manto striato della tigre era cosparso di diverse macchie di sangue scuro, rappreso, segno che la lotta era stata estenuante e, alla fine, si era dovuta ritirare nella sua tana. Anche lì, nella penombra di quel posto freddo, illuminato da spiragli di cielo che filtravano attraverso ampie crepe sul soffitto, si distinguevano ampie pozze nere di sangue che si asciugava lentamente.
L'animale, in effetti, sembrava più grosso rispetto a una tigre comune, ma non fu quello a sorprendere Lucien. Il suo fischietto, unito all'effetto tranquillante del profumo che si era spruzzato, sembravano tenere a bada la bestia. La tigre, a fatica, si mise in piedi comunque, affrontando la nuova minaccia a testa alta, gli occhi fissi sui suoi. Lucien non aveva nessuna intenzione di lottare con una tigre, pur se ferita a morte. Tuttavia, guardandola negli occhi, rimase senza parole. Che razza di tigre era mai quella?
Uscì dalla tana, continuando a fischiare. Preparò un unguento con delle erbe officinali e sciolse il tutto in una brodaglia dal profumo di erba di campo. Dopo qualche ora tornò dentro, trovando la tigre stesa a terra, col respiro affaticato. Mise la ciotola con l'intruglio di fronte alla tigre e provò a farle capire che doveva berla. Rimase lì qualche minuto, ma la tigre sembrava più attenta alla sua presenza che alla ciotola che poteva salvarle la vita, mostrando le terrificanti zanne con il suo ringhiare basso e costante.
Era un animale maestoso, non era una Bestia del Mondo delle Tenebre come gli orrendi Minotauri o le Idre. Non rimase a vedere gli sviluppi e decise di tornare a casa.
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