CAPITOLO 5 - MILKY'S BAR
Quartiere periferico. Una strada d'asfalto bucherellata sale sulla collina.
Villette a schiera tutto intorno, non di quelle belle però; catapecchie di legno e calcestruzzo nelle quali ci si fa una vita. Carrelli pieni di spazzatura ai lati della strada. Lampioni sfarfallanti. Le radici degli alberi disossano i marciapiedi. L'erba cresce, s'ingiallisce e muore.
Qualche luce illumina i cucinotti nelle case. Dalle finestre aperte provengono urla di mamme infuriate che provano a metter i bambini a letto e i commenti sagaci dei commentatori sportivi.
Una Cadillac marrone solca lenta l'asfalto accidentato.
Accostata al lato della strada un'auto della polizia senza targa. Sullo sfondo la trafficatissima Superstrada 622. Il sole le tramonta dietro. Il cielo un miscuglio d'arancione, ocra e azzurro.
La signora Potter indossa un cardigan giallo canarino e una gonna verde pera; collant marroni e un paio di scarpe ortopediche a strappo. Se ne sta seduta in un angolo del letto, come se non fosse quello di casa sua, con le mani in grembo e i capelli grigi stretti da una forcina in un tuppo.
Clangori, raschi e tonfi provengono dalle altre stanze.
Un ragazzo irrompe nella camera, di fretta come un corriere e apre a colpo sicuro il quarto cassettone della cassapanca. Ne tira fuori un sacchetto di plastica pieno di gioielli ma si rovescia sul palmo della mano solo un paio di fini collane d'oro e degli orecchini di diamante. Esce burbero com'era entrato lanciando un'occhiataccia alla signora, che strizza gli occhi impaurita e gira la testa stringendo le labbra, trattenendo le lacrime.
Quello indossa un paio di sandali Gucci e dei calzini di spugna neri al ginocchio, pantaloncini rosa shocking e una t-shirt dei Metallica. Sembra vestito come se quella casa fosse la sua, tranne che per una maschera da hockey bianca che gli copre il volto.
A grandi falcate attraversa il corridoio e raggiunge la cucina.
Solleva la maschera ed espira esausto.
«Questa cosa è un inferno».
«Hai finito di là?» gli risponde qualcuno dal salotto.
«Sì!» grida lui mentre il frigorifero. Si piega per cercare qualcosa che valga la pena di mangiare ma trova solamente delle sottilette. «Questa vecchia non ha niente in casa» commenta.
Prende del pancarrè dalla mensola sullo scolino e il barattolo di maionese dallo stipo sotto il tagliere. Sguaina un coltello dai pantaloncini, lo affonda nella maionese e la spalma sul pane; aggiunge tre sottilette e chiude il panino.
«Che fai?» chiede l'altro interdetto. Sta sulla soglia della cucina e lo fissa con sguardo ebete con un sacco di iuta semipieno e un candelabro tra le mani.
«A te che sembra» risponde sarcastico morsicando il sandwich.
L'altro apre lo sportello sotto il lavandino e affonda il braccio tra i detersivi e i prodotti per la casa. Afferra un vecchio barattolo di caffè impolverato sul fondo e ne caccia qualche banconota lasciandone la maggior parte all'interno.
«Andiamo» dice tirandosi su. I dread gli ballano in testa ad ogni movimento. Una bandana verde arrotolata sulla fronte impedisce che gli vadano sugli occhi.
Afferra il candelabro e fa per uscire, ma l'amico lo precede.
Salta sul davanzale della finestra della cucina e si accovaccia come una scimmia. Si guarda intorno, poi salta giù e inizia a correre ancora con la bocca piena, senza preoccuparsi dell'amico, che scavalca goffamente una gamba per volta e lo segue sul vialetto.
Dalla finestra della camera si vede l'anziana signora, seminascosta dietro le tendine bianche, aggrapparsi ad un rosario e salutare leggermente con la mano ossuta.
Ichi è già sul sedile del guidatore. Si accende una sigaretta.
Slump arriva affannato, getta il sacco e il candelabro sui sedili posteriori e sale dondolando i dread.
«Muovi quel culo. Stiamo rapinando una casa se non te ne fossi accorto»
«Ma quale rapina – dice l'altro mentre accende il motore - Siamo solo venuti a trovare tua nonna».
I due partono.
«Suoniamo la sirena?» chiede Ichi.
«Non dire cazzate» lo fulmina Slump. Poi i due incrociano gli sguardi: Slump sorride mostrando una scintillante fila di placche dentali d'argento. «E va bene» cede poi.
Attacca la sirena sul tettuccio e la accende.
«Uuuuh!» grida Ichi accelerando giù lungo la collina.
Sorpassano una Cadillac marrone a tutta velocità.
«Volante uno, due, sei, quattro. Centrale. Mi ricevete?» gracchia la radio.
«Merda» dicono i due all'unisono. Slump rientra in fretta la sirena.
«Ci avranno sentito?»
«Non lo so. Proviamo a chiederglielo - dice Ichi afferrando la ricetrasmittente – Centrale, qui volante uno, sei, due quattro. Mi ricevete?».
Dall'altra parte regna il silenzio per un attimo. Slump strabuzza gli occhi e schiaffeggia Ichi sul collo. Batte il dito contro la targhetta identificativa dell'auto: uno, due, sei e quattro.
«Affermativo – risponde la centrale dopo un tempo che è sembrato un'eternità – Mi confermate la vostra posizione?». Slump abbandona la testa sul sedile.
«Siamo sulla diciottesima. Effettueremo il cambio turno al Milky's. Imbocco sud-est della Superstrada 622».
«Ricevuto. Passo». La comunicazione si interrompe.
«Perché gli hai detto dove siamo?»
«Tanto lo sanno comunque. Queste macchine avranno mille localizzatori».
Slump espira esausto. Si passa una mano sul volto. «Cos'è Milky's?» chiede poi.
«Ti piacerà. Senza esagerare è la miglior gelateria in città».
Ichi schiaccia il pedale dell'acceleratore e imbocca la rampa d'accesso per la Superstrada 622.
Un parcheggio rocambolesco con due ruote sul marciapiede.
Ichi tira il freno a mano e scende dall'auto. Slump afferra il sacco di iuta e lo segue, dimenticando però il candelabro, rotolato sotto i sedili anteriori.
L'insegna rosa di Milky's troneggia su un piccolo locale che dà quasi sulla strada, semivuoto, con un gelataio dalla barba appuntita annoiato.
Ichi guarda fiero il locale, poi si volta dall'altro lato ed entra nella gelateria di fronte: MyGelato.
Slump lo segue confuso.
Ordinano un cono tre gusti – nutella, cioccolato e stracciatela – ed una coppetta alla frutta e si siedono su un tavolino tondo d'acciaio sotto un ombrellone a strisce rosse e bianche.
Slump poggia il sacco sotto il tavolo. «La coppetta? – inizia – Sul serio?»
«Perché?»
«Chi è che prende la coppetta? È una merda la coppetta. Mangia il gelato come un vero uomo»
«Ah è leccandolo che lo mangerebbe un vero uomo?» risponde Ichi infilandosi il cucchiaino in bocca.
«Tsk»
«E poi con la coppetta non succede quello» indica la felpa di Slump macchiata di marrone.
«Cazzo! Merda!» impreca quello, leccando il cono cercando di evitare che il gelato gli si sciolga in mano.
Il cielo ormai è blu scuro, la notte prosegue e di stelle non se ne vedono. I lampioni a neon e le vetrine dei negozi illuminano la strada.
Una Cadillac marrone parcheggia davanti la volante uno, due, sei, quattro.
Ne scende un uomo sulla cinquantina, con un fedora grigio sulla testa e una giacca di tweed verde con delle pezze marroni sui gomiti. Chiude a chiave l'auto ed entra da Milky's togliendosi il cappello e salutando amabilmente il gelataio, che sorride felice nel vederlo.
I due scrutano l'uomo interrogativi ma la loro attenzione viene subito catturata da un'altra volante della polizia che si accosta sulla via perpendicolare alla gelatiera.
Due poliziotti, una donna con una coda di cavallo bionda ed un uomo alto, così alto che per entrare da Milky's deve chinare la testa per non sbatterla sul controsoffitto.
«Merda, merda, merda, merda» Slump va nel panico.
«Fai silenzio, comportati normalmente» gli risponde Ichi con la bocca sporca di panna.
«Normalmente? Ma hai visto che c'è sotto il tavolo?!»
«E quindi? Legalmente non hanno il diritto di perquisirci né tantomeno di aprire le nostre cose. Sarà pure un sacco di iuta ma finché è chiuso rimane proprietà privata».
Slump abbandona la testa all'indietro sbuffando.
I poliziotti, schermati dalla vetrina, guardano fuori sporadicamente per evitare sospetti.
La donna prende posto in fila dietro l'uomo, con un paio di grossi occhiali da sole neri sugli occhi. La poliziotta nota la stranezza e lo indica al collega con un cenno del capo. Quello la guarda avvicinando la mano alla pistola. Un vecchio seduto ad un tavolo nota il gesto e deglutisce nascondendosi dietro il giornale: 'Riqualificazione straordinaria zona Marina', recita il titolo in prima pagina.
«Mmm...mango...e...mm...stracciatella – ordina finalmente quello – La panna è gratis, vero?» scherza col gelataio. Quello ride e gli mette un cucchiaio di panna sulla coppetta.
Paga e si volta. «Scusate» fa passando in mezzo ai poliziotti.
«Non l'ho già vista da qualche parte?» gli chiede il poliziotto quando ormai gli è alle spalle.
L'uomo si ferma. «Capita spesso – dice sorridente – Ho una faccia molto comune». Poi afferra la maniglia della porta a vetri. «Come mai gli occhiali? – chiede scontrosa l'altra poliziotta – Non mi sembra ci sia il sole fuori». L'uomo si ferma di nuovo. Si volta. «Sa – inizia a dire, abbassandosi gli occhiali – Ho le retine molto sensibili. Perfino la luce di un lampadario mi infastidisce». Ridacchia un po' ed esce finalmente dal locale. Si ferma sul ciglio della strada e mangia un boccone del suo gelato.
Il tavolino d'acciaio di MyGelato, sotto l'ombrellone a strisce rosse e bianche, è vuoto.
Ichi e Slump camminano a passo svelto lungo la via.
Joe Cavot si sfila gli occhiali, li getta insieme al fedora nel cestino più vicino e s'incammina.
I due poliziotti escono dalla gelateria dopo aver fatto alcune domande al gelataio e scrutano l'interno della volante sospetta. L'uomo accende la luce di una piccola torcia e nota sotto uno dei sedili un candelabro d'oro. Spalanca gli occhi.
«Centrale, qui agente Jhonson. Chiedo rinforzi immediati. Sospetto in fuga in direzione... - gira di scatto la testa verso i cartelli stradali – East Haven».
Il telefono fisso di Fred Campanile squilla nel cuore della notte. Lui, assonnato, alza la cornetta.
«Sarah?» risponde Joe Cavot al cellulare.
«Ti manca molto? Avevamo un appuntamento quindici minuti fa» si sente dall'altra parte del telefono.
«Arrivo subito. Ho avuto un imprevisto»
«Mm, d'accordo. Sei fortunato che a quest'ora solo tu hai il coraggio di tatuarti. Sbrigati però!».
Joe allontana il cellulare dall'orecchio e preme col pollice sulla cornetta rossa. Una macchia di sangue con la sua impronta digitale cola sul display.
Joe Cavot sorride, mostrando una scintillante fila di placche dentali d'argento.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top