27. L'Assassino e l'ultima notte
«Avrai avuto freddo ad aspettarmi qui per tutta la sera.» avevo esordito, con un tono gelido, granitico, cercando di mascherare strenuamente la tensione che solcava i tratti dolci del mio viso. «Vado a preparare qualcosa di caldo da bere.»
Poi ero sgattaiolato nel cucinino e ora, con la schiena poggiata contro l'anta di legno della dispensa, tenevo il palmo posato all'altezza del cuore. Cercai di calmare le palpitazioni frenetiche, mentre sentivo le mani sudare. Presi un profondo respiro e mi obbligai a muovermi: se ci avessi messo troppo tempo lui lo avrebbe notato.
Volevo tanto trovare un modo per avvisare Yul di venire, di venire subito, ma fu un pensiero fugace ed irrazionale, perché se fosse entrato in casa e avesse visto Alaister nel nostro salotto sarebbe scoppiato l'Inferno. Era una benedizione che fosse occupato con la nuova missione.
L'idea che il Re degli Assassini fosse entrato in casa mia, che avesse profanato questo luogo a me sacro, era pari al sapere che un predatore era entrato nella mia tana cercando di sventrare i miei cuccioli. Come un eretico che entra in un tempio. Come un santo che si infiltra in un bordello, anche se nel signor Noir non c'era niente di santo.
Lui era nel mio salotto e l'idea era inconcepibile. Inaccettabile.
Come aveva scoperto dove vivevamo? Forse lo aveva appreso da quei pochi membri della servitù che mi avevano aiutato a trasportare mobili dalla Fortezza, anche se li avevo pagati per avere il loro silenzio? O magari aveva mandato qualcuno a pedinarci, dopo che avevamo pagato la penale per lasciare la Gilda?
Non saperlo mi faceva innervosire e la sola idea che, per entrare, avesse scassinato con facilità la serratura all'ingresso aumentava l'irritazione fino a trasformarla in rabbia. Quando avevo abbandonato la Fortezza al fianco del mio compagno, ero convinto che fosse l'ultima volta che avrei visto Alaister.
E invece mi sbagliavo.
Mi azzannai l'interno della guancia così forte da sentire il sapore di sangue sulla lingua, prima di rimettermi davanti al piano cottura, trasferendo l'acqua bollente dal pentolino alla raffinata teiera d'argento che avevo comprato insieme al resto del servizio di tazze e piattini per poche monete da un mercatino delle pulci.
L'odore del caffè d'orzo, ottimo da bere di sera senza rischiare di perdere le ore di sonno, si diffuse nel cucinino e ben presto anche nel salotto, quando mi spostai brandendo il vassoio, che appoggiai con un cozzare involontariamente forte contro al tavolino. Avevo perfino posto qualche biscotto secco dentro ad un piattino, benché sapessi che né io né Alaister li avremmo toccati. Stavano lì per far scena. Come il resto.
Fingendo che fosse una bella visita di piacere e lui un ospite gradevole, anche se non sapevo che cosa fosse venuto a fare in casa mia e non vedevo l'ora di calcioruotarlo fuori dalla porta per farlo arrivare fino alla luna.
«Davvero cortese, Helias.» esordì, il tono compiaciuto di un serpente viscido. «Ti ho educato proprio bene.» Come se fosse lui il responsabile di ogni mio comportamento e io solo una bella bambola a cui, in tutti questi anni, ha pettinato i capelli, cambiato i vestitini ed insegnato a fingere umanità.
Gli versai l'orzo nella tazzina e poi gli feci un cenno con la mano, per invitarlo a prenderla e servirsi a piacere con le zollette accatastate nella zuccheriera argentea, che splendeva un po' davanti al chiarore delle candele da poco accese. Avevo pensato di avvelenargli la bevanda, ma non avevo veleno in casa e Alaister non sarebbe caduto in un tranello così banale.
Era stato lui ad insegnarmi come riconoscere certi trucchi. Ed io ero meglio di così, lo sapeva anche lui, purtroppo.
«Evitiamo i giri di parole. Perché sei qui, Alaister?» sciorinai, stringendo così forte la tazzina che se fosse stata di porcellana l'avrei senza dubbio rotta. «E soprattutto, perché pensi di poter entrare liberamente in casa mia, come se ti fosse dovuto?»
Curvò un lembo delle labbra in un sorriso glaciale. «Perché, perché... Tutti questi inutili perché.» elencò, senza scomporre quell'espressione affilata come una sciabola. «Non sono io a doverti chiedere perché, fra tutti gli obiettivi possibili, avete scelto di liberare un carico di schiavi ai cancelli di Ender?»
La tazza sussultò fra le mie mani, sgocciolando l'orzo bollente sulle dita. E nonostante ciò rimasi immobile contro lo schienale del divano di velluto imbottito. Strinsi i denti tanto forte che sentii male alle gengive. Ovviamente lo sapeva. Sapeva sempre tutto.
«Adesso sia io che Yul siamo fuori dalla Gilda. Ti abbiamo ripagato di tutto quanto, fino all'ultimo centesimo.» Spostai gli occhi sui suoi, in un duello di sguardo, un incontro-scontro di azzurro ghiaccio contro giallo oro. Come il cielo contro il sole, entrambi sconfinati, entrambi dipendenti l'uno dall'altro. Ma il cielo non stava sempre col sole. Ad un certo punto lo tradiva e sceglieva la luna, anche se era solo una scelta temporanea.
La mia era una scelta definitiva. Con me Alaister aveva chiuso. «Perciò, i nostri affari hanno ufficialmente smesso di riguardarti. Devi uscire dalla nostra vita. Devi uscire dalla mia.» sibilai, stringendo il pugno della mano libera fino a ficcarmi le unghie nei palmi delle mani: semicerchi ora costellavano il palmo arrossato.
«Oh, immagino che sia questo il motivo.» Il suo sguardo color topazio scintillò, come se avesse ottenuto una risposta a qualcosa che soltanto lui aveva compreso. «L'amore ti ha ottenebrato la mente. O è stato Pevensie?» Sbuffò una risata sprezzante dalle narici. «Scommetto che è stata una sua idea.»
«Non ti riguarda.» Fu tutto quello che potevo dirgli, perché era davvero stata un'idea di Yul. E lui lo intuì, tirando le labbra in un sorriso colmo di malevolo trionfo.
«Vuoi buttare sei anni della tua vita passata ad addestrarti, solo per imbarcarti in una missione che sai già sarà un fallimento, sin dall'inizio.» disse, ancora con quel sorriso, benché il tono fosse colmo di asprezza e di biasimo. «Sei più intelligente di così. Usa la testa, Helias.»
«Hai forse paura che, riuscendo in un'impresa simile, ti rubi il titolo di Re degli Assassini?» lo provocai, deciso a voler giocare il suo stesso gioco.
Scattò in piedi, gli occhi che gli lampeggiarono di collera trattenuta a stento, la tazza che si era rovesciata sul tappeto davanti al camino spento. «Il motivo per cui sto cercando di farti demordere, stupido ragazzetto incosciente, è che Ender e le sue guardie sono letali. Non accetterei una missione simile nemmeno se mi offrissero tutto l'oro del mondo!» sfiatò, praticamente incombendo su di me, che ero rimasto seduto e ora lo fissavo dal basso col respiro mozzato in gola.
«C'è un motivo se Ender è il campo di lavoro più temuto di tutto il Continente Magico. E c'è un motivo se a capo delle guardie c'è Ciril Crow. E sai bene chi c'è dietro di essi.» proseguì, inchiodandomi con gli occhi, mentre io facevo fatica ad incanalare aria nei polmoni. «Il Re di tutto l'Impero. Persino io non vorrei averci nulla a che fare, anche se ho passato anni interi a pianificare come eliminarlo.»
Quando finì di sputarmi addosso le sue sentenze, scattai in piedi anche io. Ne avevo avuto abbastanza. «Credi che me ne freghi qualcosa di ciò che pensi tu, dopo tutto quello che ci hai fatto?!» ringhiai, il rancore che mi ribolliva dentro come lava in un vulcano. Sapevo di avere un pugnale infilato nella cintola dei pantaloni, dietro alla schiena. Un solo movimento e avrei potuto raggiungerlo. Chissà se lo sapeva anche Alaister. «Vattene. Non sei e non sarai mai il benvenuto qui.»
Invece, lui tornò seduto contro la poltrona, accavallando le gambe come se non avesse finito e avesse pianificato di restare ancora un po'. Forse il tempo necessario perché io finalmente scaricassi un po' della mia rabbia su di lui.
«Torna ad accomodarti. Ho una proposta molto interessante per te, Helias.»
«No.» sbottai sulla proposta, perché ero già di nuovo sul divano, col respiro irregolare e il turbine di sentimenti negativi che mi arrossava le guance.
«Non essere affrettato. Non hai ancora sentito quello che ho da dire.» Prese un biscotto dal piattino sul vassoio, spiluccandolo piano, con tutta calma. Sentii le narici dilatarsi per l'ampiezza dei respiri che prendevo. «Posso scegliere alcuni fra i miei uomini migliori per accompagnarvi nella missione e farvi da spalla.»
Spirai una risata colma di sdegno. «Così puoi avere una nuova scusa per spillarci altri soldi? Ottima mossa, Alaister.» L'ultima cosa che avrei fatto sarebbe stata fidarmi ancora una volta di lui.
Alzò un sopracciglio. «Non ho detto che ti avrei fatto pagare qualcosa. Sarò io a retribuirli.»
«E perché tanta premura?» cinguettai, il tono ammantato d'ironia.
«Per essere sicuro che tu sopravviva. Sai bene che in due, anche con la fortuna dalla vostra parte, è impossibile completare un'impresa del genere.» Era sincero. Storsi le labbra in una smorfia, sentendo il sapore dell'orzo sulla mia lingua farsi amaro come un veleno.
La cosa peggiore di quel discorso? Il senso che aveva. Perché Alaister aveva ragione: affrontare in due un numero ignoto di guardie, il famigerato Ciril Crow ed intanto occuparsi di liberare gli schiavi senza allertare tutti i soldati all'interno di Ender... Volevamo giocare col fuoco e già sentivo la puzza di bruciato. Da soli non ce l'avremmo mai fatta.
Il Re degli Assassini colse il mio silenzio come un segno positivo e proseguì. «Voglio che rispondi ad una domanda, Helias. E voglio che tu lo faccia sinceramente.» Alzai gli occhi, prima bassi sul tappeto, ora su di lui. Circospetto. «Ti fidi davvero di Yul Pevensie?»
Sgranai gli occhi, tanto colpito dall'assurdità di quella domanda da restare senza parole per un attimo che mi parve infinitamente lungo. «Scusa?»
«Immagino che tu non gli abbia ancora raccontato la tua vera natura.» Piegò le labbra in un sorriso insinuante, crudele, che mi fece accapponare la pelle. «Penso proprio che gli piacerebbe esserne al corrente, visto quanto vi amate...» ironizzò, il tono tagliente e sottile come la carta.
La mia vera natura.
Alaister era l'unico a conoscere quella verità sottesa, che nemmeno io mi ero mai raccontato ad alta voce. Quando ero stato condannato a Treblin sarei dovuto morirci, lì. Invece ero sopravvissuto per addirittura sei mesi. Era impossibile per un ragazzino di tredici anni. Eppure, ero ancora qui.
Il Re degli Assassini aveva intuito prima di chiunque altro che ci fosse qualcosa di diverso in me. La mia guarigione, la mia velocità, la mia resistenza. Avevo qualcosa di inumano dentro, e lui lo sapeva.
Il cuore mi si strinse in una morsa così forte che pensai lo stesse stringendo lui dentro al pugno, minacciando di stritolarlo da un momento all'altro. Dovetti lottare con tutto me stesso per non far tremare la voce, quando dissi con fermezza e freddezza: «Si sta facendo tardi. Dovresti proprio andare, Alaister.»
Mi rivolse un sorriso ferino prima di alzarsi in piedi, spolverandosi la giacca - che non si era mai tolto - da qualche briciola, prima di darmi indisturbatamente le spalle così da dirigersi verso la porta. Seguendo la silhouette muscolosa della sua schiena, per un momento pensai di avvicinarmi e pugnalarlo alle spalle. Ma non lo feci. Invece, mi alzai dal divano e lo seguii per assicurarmi che se ne andasse una volta per tutte.
Raggiunse l'uscio, la sua mano si spostò dal fianco per circondare con le dita affusolate la maniglia... Finché, come colto da un improvviso pensiero, lasciò la presa. Si voltò verso di me, facendo qualche passo nella mia direzione, nello stesso momento in cui io indietreggiavo. Le mie spalle incontrarono il muro, le mani mi si chiusero a pugno, il mio volto rimase impenetrabile, una maschera di perfetta calma apparente tradita solo da un rapido movimento di palpebre, ciglia che sbattevano contro le guance come un ali di farfalla.
Appoggiò una mano contro il muro, sopra la mia spalla, mentre con l'altra mi sfiorò una mano. Era troppo vicino e il mio coltello era troppo lontano, premuto fra la schiena e il muro. Deglutii, mentre il pomo d'Adamo ballava a tempo di una musica scandita dal cuore, che batteva a tutta forza per l'angoscia.
Quegli occhi da coccodrillo, che sembravano scrutarmi come se leggessero nel fondo della mia anima sporca di sangue, mi mangiarono vivo.
«Anche se ho fatto degli sbagli, Helias...» Le sue dita si sollevarono all'altezza della mia guancia, mi delinarono la forma dello zigomo. Mentre io trattenevo il fiato, in bilico sull'orlo di un burrone. Un passo e sarei precipitato. «... Provo qualcosa per te. Qualcosa di vero.»
Sentii la mascella cedere. Quelle parole mi infilzarono come una picca su cui si sistema la testa mozzata dei traditori.
Tutto il mio corpo era propenso alla fuga, a voler staccare il mio viso dal suo tocco e i miei occhi dai suoi, che scintillavano come oro colato. Ma ero come paralizzato, incapace di muovermi.
Ci fu un lungo silenzio.
«Questi stessi sentimenti mi hanno spinto a fare tutto ciò per cui adesso mi odi. Ero arrabbiato, ero deluso, perché sapevo che avevi scelto Yul, da molto prima di pagare il vostro debito.» Si era accorto dell'amore che provavo per il rosso, ancora prima che lo facessi io? Probabilmente. Ai suoi occhi non sfuggiva mai niente.
Eppure, volevo gridargli contro che era un bugiardo. Uno sporco, fottuto bugiardo, perché se davvero era stato attento, allora si sarebbe accorto che, prima di innamorarmi per Yul, quasi veneravo lui. Ogni giorno spasimavo per le sue attenzioni. Per un suo tocco. Per uno sguardo. Perché era l'unica famiglia che avevo. L'unico che mi restava al mondo.
Non sapevo cosa avrei dato per sentire quelle parole, prima. Ma non le aveva mai pronunciate: sapeva cosa dire e quando dirlo con una tempistica micidiale. Proprio adesso stava usando quelle parole come armi, come strumenti contro di me.
Purtroppo per lui, era troppo tardi.
Avvertii il suo profumo costoso e virile quando mi sfiorò leziosamente il collo con le labbra, fino a raggiungere l'orecchio, dentro cui sussurrò: «Resta a Skys Hollow. Resta qui, con me.»
«Andrei ovunque pur di stare lontano da te.» sibilai, la voce così bassa da essere appena percepibile, come un veleno inodore ed incolore, ma infallibile.
Si raddrizzò, tirando la testa indietro per guardarmi. Dentro ai suoi occhi d'oro c'era una scintilla di implorazione, con cui sperava di convincermi. La sua mano si spostò con estrema lentezza dalla mia guancia al collo, che avvolse fra le dita come lo stelo di un fiore che si può sempre strappare.
Sostenni il suo sguardo, con gelida determinazione.
Mi aveva mandato fra le grinfie dei pirati per mettere a repentaglio documenti a favore degli schiavi, mi aveva spedito nel covo di un mostro consapevolmente, mi aveva raggirato per spingermi ad uccidere un simpatizzante dei ribelli. Anche se era l'uomo che mi aveva salvato da Treblin, l'uomo che aveva fatto di me quello che ero oggi, il numero di torti che mi aveva fatto era troppo grande per passarci sopra.
E l'amore che provavo per Yul troppo grande per pensare di poterlo anche solo perdonare. «Vattene da casa mia e non tornare mai più.» fu l'ultima cosa che gli dissi.
Fece un passo indietro, distaccando la mano dal mio collo come se non avesse mai avuto la minima intenzione di farmi del male. Nascose le dita nelle tasche dell'elegante soprabito e si diresse verso l'uscita.
«Contatterò i miei sicari, verranno da te alla buon'ora per assisterti.» tagliò corto, senza guardarmi. Aprì la porta, che cigolò appena, facendo entrare il vento freddo all'interno della stanza.
Poi, si girò a guardarmi un'ultima volta, con uno sguardo che aveva tutto il sapore di un addio. E uscì.
***
Quando Yul tornò a casa, avevo seriamente bisogno di prendere un po' d'aria, quasi che la visita di Alaister mi avesse tolto l'ossigeno necessario e avesse reso la nostra tranquilla dimora un posto che mi rubava il fiato dal petto. Il rosso mi aveva proposto di andare a mangiare in una delle nostre locande preferite, non troppo costosa - dopo tutti i soldi che avevamo speso allo Swan's Nest per pedinare Crow, era meglio così - ma tranquilla.
Io però avevo bisogno di camminare, di liberarmi da tutto lo sconvolgimento che la sorpresina del Re degli Assassini mi aveva donato, scagliandolo contro il marciapiedi della città, passo dopo passo. Non avevo detto niente a Yul, temendo che lo distraesse da un compito già difficile, limitandomi a proporgli di mangiucchiare qualcosa mentre passeggiavamo per le strade lontane dal centro, lungo le rive del fiume.
Mi ritrovai con un involtino fumante fra le mani, ripieno di carne e verdure, che divorai a piccoli morsi per gustarmi il suo sapore. Grazie ad esso cancellai quello dell'orzo, che attribuivo allo scontro con Alaister e mi rendeva la bocca troppo amara.
Durante il pasto, Yul mi raccontò dettagliatamente tutte le informazioni che aveva raccolto: non solo su Crow, ma anche sulle guardie, la loro formazione, il loro numero e i piani che avevano per spostarsi. Ormai la missione era imminente ed io fui lieto che, almeno, possedessimo tutti gli elementi di cui avevamo bisogno.
Non saremmo partiti impreparati.
Così dimenticai per un attimo il domani e riflettei sull'oggi. Era successo veramente di tutto: avevamo mangiato in un ristorante di lusso per spiare Crow, avevo detto addio ai locali che preferivo in città esibendomi un'ultima volta, avevo fronteggiato Alaister e i suoi avvertimenti ed infine avevo taciuto tutto quanto a Yul mentre lui mi spiegava i dettagli della missione.
Quando tornammo nella nostra dimora ero esausto e sollevato di poter scrivere la parola fine a quella giornata interminabile. Volevo soltanto poter dimenticare tutto ciò che mi aveva detto il Re degli Assassini, desideravo cancellare la sensazione che la casa non mi appartenesse più, adesso che lui l'aveva invasa. E soprattutto avevo bisogno di riposare sufficientemente.
L'indomani mattina ci aspettava un viaggio pericoloso: la destinazione finale era Ender. Non ci restava che liberare quegli schiavi e poi abbandonare Skys Hollow una volta per tutte. Croce e delizia della mia esistenza, il luogo dove io ero nato e mia madre era morta.
Mi lasciai cadere davanti allo sgabello imbottito della toeletta antica in camera da letto, il legno consumato e lo specchio ossidato ne avvaloravano l'aria usurata, stanca quanto lo ero io in questo momento.
La spazzola dalle setole un po' rigide scivolò fra le ciocche bionde, mentre districavo le ciocche nella speranza che sciogliere i nodi fra i capelli sciogliesse anche quelli fra i pensieri. Ero talmente assorto che non mi accorsi di Yul, che mi era apparso dietro alla schiena: quasi sussultai, avvertendo il suo tocco sulle spalle.
«Poche volte ho visto quell'espressione sulla tua faccia, Hel.» esordì, con un sorriso un po' sghembo, che tuttavia celava una traccia di serietà dentro a quelle fossette a malapena accennate. Mi massaggiò delicatamente le spalle, un movimento che aiutò a sollevare almeno un pizzico della tensione accumulata.
E che tornò nell'istante in cui mi guardai riflesso: capelli scompigliati anche se cercavo di domarli con la spazzola, ombre scure sotto agli occhi di ghiaccio tempestati di viola e di argento.
«Non è niente, Yul...» sussurrai, iniziando a separare i bottoni lucenti dalle asole del panciotto, con le dita fin troppo svelte, come se non vedessi l'ora di liberarmi anche dei vestiti, perché anche quelli contribuivano ad appesantirmi.
"Provo qualcosa per te. Qualcosa di vero."
Le parole di Alaister tornarono a colpirmi come una badilata alla nuca. Provai l'irrefrenabile ed improvviso desiderio di scagliare lo sgabellino contro la finestra e mandarla in pezzi. Quel bastardo era venuto a seminare discordia proprio prima della missione perché sperava di vedermi vacillare. Esattamente come stavo facendo.
E mi aveva anche messo nella posizione di non poter rifiutare il suo aiuto, anche se non gliel'avevo chiesto. Come potevo dirlo a Yul senza che mi urlasse contro? Senza che mi accusasse di aver fatto nuovamente comunella con Alaister, anche se tutto ciò che volevo era che sparisse dalla mia vita? E, al tempo stesso, come potevo rifiutare il supporto di altri assassini, sapendo che in due il fallimento fosse assicurato?
Non era una questione di orgoglio, accettare o rifiutare la proposta di Alaister. Ci andava di mezzo la nostra sopravvivenza. Quella di Yul, soprattutto. Mi aveva chiesto espressamente di occuparsi lui delle guardie e di Crow e io nemmeno gli dicevo che gente della Gilda si sarebbe messa in mezzo... Mi sentii mancare l'aria. Deglutii il groppo.
«Che c'è che non va?» Il bel rosso batté le palpebre. «Guarda che mi sto preoccupando.» aggiunse, in un tono che doveva essere ironico ma non ci riuscì del tutto.
Con un movimento lesto delle spalle mi tolsi il panciotto e poi slacciai il fiocco che mi chiudeva il colletto inamidato della camicia. Il nastro scivolò sul pavimento, mentre io mi voltavo ad ammirarlo e, perdendomi nella sua immagine, cercavo il modo giusto per dirglielo.
No, per dirgli tutto. Quello che non gli avevo mai detto. Che ero diverso, che c'era qualcosa di disumano in me. E nemmeno io sapevo come, anche se sentivo, percepivo che mia madre mi avesse sempre taciuto qualcosa. Glielo leggevo negli occhi: un peso terribilmente oscuro, che non poteva condividere con me. Non con un bambino. Magari, se fossi cresciuto... Ma qualcuno aveva stroncato quella possibilità.
Qualcuno di cui non mi sarei mai vendicato, perché presto avrei abbandonato Skys Hollow. Ma non importava: esistevano cose - e persone - perfino più importanti della vendetta.
E la persona in questione adesso mi prese le mani, allontanandomele dai fianchi per portarsele alle mani con profondità e gentilezza. «Helias, ci sono io qui...» soffiò, facendomi vibrare l'anima. Sollevai gli occhi chiarissimi per perdermi nei suoi, scuri.
«Yul...» chiamai, anche se eravamo così vicini da poter respirare della reciproca aria. «... Qual è il tuo segreto più grande?»
Per un attimo pensò che scherzassi e sbuffò una strana specie di sospiro divertito. I miei occhi luccicarono, seri e profondi quanto il fiume che s'intravedeva dalla nostra finestra, profondi quanto il sentimento che provavamo l'uno per l'altro.
E allora mi lasciò andare le mani per potermi prendere il viso fra le sue, i palmi premuti contro le guance e i pollici a disegnarmi cerchi sugli zigomi. «Non ne ho. Sono un libro dannatamente aperto, per te.» Sospirò con dolce abbandono. «Quando ero piccolo ho sempre dovuto nascondere la mia povertà: eravamo nobili, ma la miseria di quella realtà non era contemplata.» Sorrise, mostrando una certa amarezza. «Poi sono cresciuto e sono andato avanti.»
Rimasi in silenzio, ogni volta incantato dal fatto che lui mi aprisse il cuore in quel modo. «E l'unico segreto che mi rimase da mantenere fu che ti amavo. Ti amavo tanto da star male e non osavo dirlo a nessuno. Al punto che pensavo me lo sarei portato nella tomba.» Chiuse gli occhi, appoggiando la fronte contro la mia.
«Ancora non capisco cosa ti abbia portato ad innamorarti di me.» mormorai, vicino alle sue labbra, la punta del naso a sfiorare la sua. Ero stato così insopportabile con lui e col resto del mondo, impegnato a far crescere il mio spesso strato di spine per nascondere i petali, come una rosa.
«Non è facile da spiegare a parole. E' come se tu avessi sempre avuto qualcosa di speciale, qualcosa che cercavi intensamente di nascondere agli altri. Ma io ero in grado di vederlo, anche se tu non lo sapevi.» Mi sentii mancare il fiato. «Troppi, fra quelli che fanno il nostro lavoro, non hanno un cuore. Volevi ingannare tutti mostrandoti più cattivo di loro. Invece tutto quello che hai sempre fatto, sin dall'inizio, era sacrificare parti di te stesso per uccidere le persone che facevano del male agli altri.»
Sapevo di avere gli occhi lucidi, ma non feci niente per frenare ciò. «Sei forte e bello e fragile di una fragilità che amo, Helias.» Mi passò le mani fra i capelli, dolcemente, ammorbidendo i nodi in un istante. «Qual è il tuo segreto?»
«Lo sai.» sfiatai, con un filo di voce. «Te ne sarai accorto anche tu. Mentre io non volevo vederlo.» Battei le ciglia e sulle mie tonde guance rotolarono piccole perle trasparenti. «Il mio segreto è che sono un vigliacco.» Mi asciugò le lacrime col pollice, guardandomi intensamente, benché confuso. «Sì, sono un vigliacco ed ho paura. Ogni giorno, in ogni istante. Ho paura sempre.»
Paura della missione, delle guardie, del Re. Paura di Treblin, paura di Ender. Paura per le cose che ancora non sapevo. Paura della mia identità. Paura di perdere di nuovo la persona che amavo, come avevo perso mia madre. Paura di perdere Yul.
«Non sei un vigliacco, Hel. Sei solo umano.» Mi offrì un affettuoso sorriso d'incoraggiamento, premendomi le mani sulle guance umide. «E anche io ho paura... Cerco solo di affrontare tutto di petto e non chinare mai la testa.»
«Se ti dico una cosa, tu non prendermi troppo in giro.» bisbigliai, alzando i lembi delle labbra verso l'alto. «Quando la paura diventa un mostro troppo grande da affrontare, ripeto: mi chiamo Helias Bloomwood e non avrò paura. Fu mia madre ad insegnarmelo.»
«Visto che sei il migliore, immagino che sino ad ora abbia funzionato con successo.» scherzò dolcemente, scompigliandomi i riccioli dorati. «La terrò a mente per quando mi servirà. E' una bella frase.» continuò, andandosi a sedere sul letto per tirarmi subito dopo sulle sue ginocchia.
«Tu sei bello.» risposi, arrossato dall'amore e da quel momento, mentre lui sorrideva di gioia e mi baciava, spazzando via gli ultimi baluardi di agitazione che mi macchiavano l'anima.
Le sue labbra erano morbide e calde, come sempre, il suo sapore di menta e caramello mi scivolava sulle labbra, nella bocca. Le nostre lingue si cercavano, si incontravano e si riconoscevano. Feci scivolare le mie mani fra i suoi capelli setosi, di un vermiglio acceso. Era così bello dimenticare tutte le preoccupazioni e sentirlo semplicemente accanto, e baciarlo, e sapere che lui ci sarebbe stato sempre, e che non mi avrebbe mai lasciato.
Mi sfilò la camicia con un unico gesto, rapido ma delicato. Non c'era fretta, quella notte era solamente nostra. Era l'ultima notte a Skys Hollow e l'avremmo passata nel migliore dei modi.
Altre mosse e i miei stivali volarono via, accompagnati dai pantaloni. Mi adagiò sul letto, mentre incominciava a sbottonarsi con gesti troppo lenti il panciotto, assicurandosi con un ghigno che io seguissi con desiderio ogni suo movimento.
Lo scrutai a lungo, come ogni volta, ipnotizzato dalla sua bellezza. La sua pelle bianca e diafana, alla luce dorata delle candele, aveva preso una bellissima sfumatura ambrata; i suoi capelli ricordavano un campo di tulipani ritratti in qualche dipinto; i suoi muscoli guizzavano ad ogni movimento delle braccia. Non mi sarei mai stancato di guardarlo, abbracciarlo, baciarlo, amarlo.
Quando fu completamente nudo, si posò sul letto, sopra di me, e mi baciò fino a stordirmi. Fra le mani di Yul e la sua bocca, riuscivo a malapena a ricordarmi come mi chiamavo. Senza avere la possibilità anche solo di respirare, mi tolse con velocità i boxer di seta, colto dalla lussuria, e mi aprì le gambe con uno strattone. Roteai gli occhi all'indietro e inarcai la schiena, quando la sua lingua liscia e calda leccò il mio orifizio. Pensavo che certe cose si facessero solo nei romanzi erotici, ma Yul era il solito pervertito. Non credevo che potesse farlo nella vita reale, né che fosse così incredibile.
«Oh, sì-» rantolai.
Riuscivo a malapena a parlare. Sembrava che il mio vocabolario fosse costituito da una serie infinita di grugniti, sospiri e gemiti lascivi. «Entrami dentro.» sussurrai. Non avevo abbastanza aria nei polmoni per parlare ad alta voce.
«Oh, lo farò...» gongolò e la sua voce profonda percorse il mio corpo quasi possedesse una consistenza solida, perfettamente in grado di toccarmi e pizzicare corde piacevoli.
Prima che potessi tornare a respirare, Yul mi penetrò. Gemendo, trassi un profondo respiro e mi rilassai, cercando di facilitare l'ingresso a quell'uomo incantevole.
«Così, Hel. Rilassati per me. Prendilo tutto...» tubò lui, ghignando di divertimento, mentre il sudore gli imperlava la fronte. «Sei così seducente...» mormorò, mentre scivolava lentamente dentro di me. Sospirai, con il piacere della penetrazione che mi ottenebrava i sensi. Feci scorrere le mani sulla sua ampia schiena, aggrappandomi alle sue spalle.
Iniziò a spingere ritmicamente, sfruttando a pieno la sua forza. Ansimai, graffiandogli la pelle calda, mentre le sue mani mi stringevano le gambe sotto le ginocchia e il suo membro frizionava dentro e fuori, ancora e ancora. Il velo di sudore gli bagnava i capelli scarlatti, circumnavigando il fisico villoso. Aumentò la velocità e, prima che potessi venire, sporcandoci entrambi di seme, Yul soffocò il mio gemito lussurioso tuffandosi sulle mie labbra, che non aspettavano altro che assaggiarlo.
Trattenni l'urlo fra la sua bocca e la sua lingua e raggiunsi l'amplesso, respirando a fondo col naso pur di non staccarmi dal suo bacio passionale. Mi strinse più forte le cosce, venendo anche lui con un sospiro soddisfatto, dopo avermi colmato a fondo di lui.
Crollò sull'altro lato del letto, ansimante e sudato, con i capelli scompigliati. Mi cinse le spalle con un braccio, stampandomi un ultimo bacio sulle labbra.
«Ci manca una sola missione e poi saremo liberi. Per sempre.» Mi sorrise, stanco ma raggiante. «Riesci a crederci?»
«Devo ancora realizzarlo del tutto.» risposi, le labbra incurvate verso l'alto. Non vedevo l'ora. Svegliarmi con Yul accanto e sapere che quel giorno sarebbe stato uno come gli altri, normale, monotono. Un giorno senza dovermi guardare le spalle e senza dover temere la mia morte, per mano di uno dei due Re del continente, se quello a capo dell'Impero o quello a capo dell'assassinio.
«Che lavoro ti piacerebbe fare, quando ci saremo trasferiti?» mi chiese, mentre io tracciavo dei cerchi immaginari sul suo petto tornito.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare da immagini del nostro ipotetico futuro. Era tutto racchiuso lì, poteva succedere qualunque cosa, potevamo essere chi volevamo.
«Che so, magari diventerò un acclamato pianista.» Yul rise insieme a me. La nostra felicità era così vicina. Così vicina.
Ci mancava soltanto quella missione e tutto si sarebbe sistemato. Intrecciai le dita fra le sue ed insieme scivolammo nel sonno. L'incarico poteva anche essere imminente, ma eravamo preparati.
O almeno, così credevamo.
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