25. L'Assassino e l'ultima missione
La profondità incantevole della giornata precedente, la tenerezza che aveva lasciato nel mio cuore il modo in cui avevo trascorso il mio compleanno a fare l'amore con Yul, dopo aver aperto la nostra anima e aver messo a nudo il nostro dolore... Tutto era passato in secondo piano.
Sensazioni sopite sotto una coltre di tensione che palpitava fra me e il rosso come l'elettricità che crepita nell'aria prima di un uragano. Ci guardavamo, seduti l'uno di fronte all'altro, mentre la carrozza dondolava sul lastricato e poi parcheggiava davanti alla Fortezza dell'Assassino.
Quell'incontro avrebbe definito il nostro futuro. Non avremmo implorato, non avremmo strisciato, questo era un punto insindacabile: avremmo affrontato Alaister Noir faccia a faccia e ci saremmo ripresi ciò che ci spettava di diritto. La possibilità di ricominciare. Di vivere finalmente, totalmente, come uomini liberi.
Yul scese dopo di me e i miei stivali calpestarono rudemente il marciapiede, mentre superavamo la cancellata di ferro battuto e avanzavamo verso l'imponente portone all'ingresso. Phil, l'uomo appostato all'entrata, mi rivolse un occhiolino viscido a cui io mostrai i denti in un sorriso che pareva più una smorfia minacciosa.
Il mio compagno si limitò a guardarlo storto. Poi oltrepassammo la soglia. La penombra e il silenzio nell'androne di pietra e scalone imponenti era sempre lo stesso. E sempre uguale era la strada verso l'ufficio del Re degli Assassini.
La sua guardia personale, Trill - quello che io mi divertivo a confondere con la guardia all'ingresso, benché fossero molto diversi - ci rivolse un cenno del capo. Perfino un mezzo sorriso d'intesa verso Yul.
«Bello rivederti da queste parti.» disse stringendogli la mano e rifilandogli un paio di pacche sulla spalla con la sinistra.
«Non troppo bello in realtà, ma mi fa piacere vedere un volto amico.» rispose il rosso, il sorriso teso, il tono serio.
«Che tenero quadretto di solidarietà fraterna...» brontolai, piantandomi le mani sui fianchi. Non avevo intenzione di soffermarmi troppo fuori dall'ufficio di Alaister: volevo finirla il prima possibile e abbandonare la Fortezza, un luogo talmente saturo di negatività che mi mancava l'aria.
Trill assottigliò lo sguardo. «Tu sei rimasto proprio lo stesso.»
«Anche tu.» Gli rivolsi un ghigno incattivito. «Solita faccia di cazzo.» Poi presi per il polso Yul e lo trascinai con me oltre la porta, limitandomi a bussare con un colpo solo, secco, deciso. Un annuncio, non una richiesta d'entrare.
Trill non ci fermò e ben presto mollai il braccio di Yul per camminare lungo i tappeti elaborati verso lo scrittoio di Alaister come un funambolo che prosegue su una corda sottile senza un tappetino sicuro sotto di sé. No, sotto di me c'era un lago infestato dagli squali.
E lo squalo più grosso ora mi fissava coi suoi occhi dorati, pericolosi, ferini. Gelidi ed ingrado di scrutarmi sotto ai vestiti, quasi potesse vedermi nudo. E arrivare fino alla carne viva e sanguinante.
«Oh, il figliol prodigo che torna a casa.» cinguettò lui, il tono dolce come lo zucchero intorno al bicchiere per mascherare il veleno al suo interno.
Non era più casa mia. A dirla tutta, non lo era mai stata, ed Alaister lo sapeva. Stava giocando su questo, così come giocava soffermando la sua attenzione su di me senza considerare minimamente Yul, come fosse aria trasparente al mio fianco.
Alzai gli occhi per affrontare lo sguardo gelido del corvino. La mia ultima minaccia ancora mi risuonava dentro la testa, come il suono che fa un sasso poco prima della frana. «Ciao, Alaister.»
«Qual buon vento ti riporta qui da me?» chiese, appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, le mani intrecciate e il mento posato sulle nocche. Le lunghe ciglia nere erano strette, una feritoia da cui mi stava fissando con estrema attenzione.
Ci eravamo già accomodati sulle sedute di fronte alla scrivania, ma sentii Yul irrigidirsi sulla sua, spostando impercettibilmente il peso del corpo. Alaister continuava a far finta che lui non esistesse e la cosa non gli piaceva. Peggio: la frase che aveva appena pronunciato lasciava immaginare che avessi scelto io di essere dov'eravamo perché volevo fare dietrofront sulle mie intenzioni. E scegliere Noir, piuttosto che Pevensie.
«Vorremmo avanzare una richiesta.» proseguii, sentendo lo stomaco raggomitolarsi su se stesso come uno scoiattolo nella cavità stretta di un albero. Alzai il mento, cercando di mostrarmi sicuro. «Abbiamo intenzione di lasciare Skys Hollow ed avviare una nostra attività da qualche altra parte del continente.» Mi affrettai subito a continuare, perché messa così, sembrava una proposta allarmante.
«Un posto lontano dalla capitale, niente che possa mettersi in competizione con la tua Gilda.» Ripresi fiato. «Ovviamente.» Yul mi lanciò uno sguardo e io lo captai con la coda dell'occhio. «Perciò, vorremmo chiederti il permesso per lasciare la Gilda degli Assassini.»
Il mondo si era fatto un posto asfissiante e silenzioso. Mi sentii schiacciato dal peso dello sguardo di Alaister e senza neanche accorgermene stavo arretrando con la schiena, benché fossi intrappolato contro la poltrona.
«Ma che splendida notizia.» fu la prima cosa che disse e io non sapevo se sentirmi sollevato oppure allarmato. «Eppure... Non avete appena comprato casa?» La sua fronte si aggrottò leggermente. «Spero che sia un'abitazione dignitosa. Tutti i miei assassini devono vivere in un luogo che è degno di quanto ho insegnato loro ad apprezzare e a gustare.»
I suoi assassini. Lo aveva sottolineato. Come a farmi capire che, anche a debito pagato, eravamo suoi. Non ci avrebbe lasciato andare.
Il rosso al mio fianco era rigido come una statua di sale. Avevo paura che sarebbe scattato da un momento all'altro e non sapevo nemmeno io come fermarlo, dal momento che provavo esattamente ciò che sentiva lui. Irritazione, rabbia, tensione, angoscia, apprensione.
«E non smetto certo di avere buon gusto.» replicai, con un sorriso controllato quanto tagliente, non rispondendo volutamente alla sua domanda. Non avevo intenzione di parlare della mia casa o delle nostre scelte sul trasloco a lui. Non voleva rispondere? Non avrei risposto neanche io.
«Sai, Helias...» si sporse verso di me, una luce maliziosa scintillava nel profondo dei suoi occhi dorati. «... in Fortezza si sente la tua mancanza.» mormorò, ma poteva sentirlo anche l'uomo al mio fianco. Con un tono vellutato, desideroso, quello che avrebbe usato un gentiluomo ad un ballo per corteggiarmi.
Parlava come se non fosse successo nulla. Come se niente di ciò che aveva fatto a Yul o a me fosse mai capitato. Anzi, come se andarmene fosse stato un mio capriccio infantile, un torto fatto al paparino o un dispetto fra amanti. Una situazione fra me e lui in cui il rosso non era che un elemento intrusivo di cui non era necessario parlare.
Quest'ultimo, proprio adesso, stava muovendo la mano silenziosamente verso il punto dove sapevo avesse nascosto il pugnale. Cazzo. Sentii il mio cuore fare una brusca capriola dentro al petto.
«Ci permetti di lasciare la Gilda?» chiesi apertamente, per la seconda volta, sperando che questa fosse quella buona. Lui sciolse le spalle, lentamente, allontanandosi dallo scrittoio per appoggiare la schiena contro la poltrona dietro di lui.
«Ancora non mi hai detto dov'è che hai intenzione di stabilirti.» esclamò, aprendo le labbra in un sorriso avvenente, quello che un tempo mi avrebbe fatto sciogliere come burro sotto al sole e che adesso mi stava facendo ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia.
Continuava ad ignorare la mia domanda.
«Cazzo, vuoi darci una diavolo di risposta?!» Yul si era alzato in piedi e la poltrona quasi si era schiantata a terra per il contraccolpo. Oscillava pericolosamente su se stessa, fino a raggiungere una posa statica.
Alaister lo fulminò con lo sguardo. Fu un'occhiata talmente agghiacciante ed inceneritrice che temetti si saltassero alla gola da un momento all'altro: sapevo che, se fosse accaduta una simile eventualità, Yul avrebbe perso. L'aveva già picchiato una volta.
Questa non l'avrebbe risparmiato.
Un lampo del suo sangue sul tappeto, un po' come era accaduto a mia madre, mi investì gli occhi e mi fece vedere nero. Volevo saltare anche io alla gola del Re degli Assassini, ma non si poteva fare, non con lui. Non in questo momento.
«Offriamo questa somma per andarcene.» La somma che comunicai era talmente esorbitante che riuscii nell'intento sperato: distrarli. Si voltarono a guardarmi entrambi e Yul tornò a sedere, molto lentamente, respirando affrettatamente per la fatica di tenere a bada la spirale d'odio e collera.
«No.» disse Alaister.
Battei le palpebre, confuso. «Come sarebbe a dire... no?»
Mi rivolse un ghigno dolciastro e caustico insieme. «Se volete andarvene, mi pagherete questa somma.» Questa somma. Per poco a Yul non uscirono gli occhi fuori dalle orbite, mentre io boccheggiavo come se mi avesse colpito allo stomaco e lottassi contro l'impulso di vomitare la mia bile sul pavimento.
La somma in questione era precisamente quanto mi restava in banca. Tutto, tutto quello che avevo. Fino all'ultimo centesimo. E non sapevo come, ma Alaister ne era consapevole.
«Spero che sia uno scherzo, perché non...» Appoggiai la mano sul ginocchio del rosso, interrompendo il flusso della sua ira.
«Va bene.» pronunciai, perentorio, gelido, immobile come l'astro fuori dalla finestra.
Non ci provai neppure a contrattare. Ce l'eravamo ripromesso, in fondo: non avremmo implorato e nemmeno strisciato. Sapevo che non si sarebbe smosso da quella cifra neanche davanti ai miei occhi dolci, perché l'aveva scelta col puro scopo di punirmi ancora una volta.
Dopo avermi mandato nel deserto, avermi spedito contro una banda di pirati efferati e nella tana di un mostro malefico; dopo avermi raggirato e convinto ad uccidere un simpatizzante dei ribelli... Questo era il decisivo colpo di grazia.
Ma io ero bravo ad incassare. Me lo aveva insegnato proprio Alaister. Perciò, con assoluta dignità e la giusta dose di odio dentro agli occhi, mi alzai dalla poltrona prendendo Yul sottobraccio, che mi osservava sgomento e rabbioso.
«Appena sarò fuori di qui, farò trasferire i soldi sul tuo conto. Dopodiché, io e Yul abbiamo chiuso con la Gilda, per sempre.» Piantai gli occhi di ghiaccio contro quelli dorati dell'altro, come un chiodo contro al muro. Quella era la fine.
Non mi servivano altre risposte. «Addio.» Quindi mi voltai impettito e, sperando che fosse l'ultima volta in quella Fortezza o l'ultimo incontro con Alaister, abbandonai la stanza.
***
Camminavo per le strade con la stessa espressività di un'anima in pena, di ritorno dalla banca e solo, l'anima in tumulto e il cuore sottosopra. Non ero felice di come le cose fossero andate, ero furioso per l'ultima pugnalata di Alaister ma ero anche frustrato per come mi ero separato da Yul, che se n'era andato ancora prima che potessi versare la somma. Non voleva essere presente, segnalando con la sua assenza quanto fosse in disaccordo.
«Non avevi alcun diritto di farlo!» aveva sbraitato, dopo aver passato un paio di isolati, lontani dalla Fortezza e da tutti gli occhi e le orecchie del suo capo e proprietario. «Ero lì, immobile e zitto, costretto a fare la marionetta e non hai nemmeno pensato di consultarmi prima di accettare una cosa simile!»
Avevo lasciato, impotente, che la sua collera mi si riversasse addosso come una secchiata d'acqua gelida in pieno inverno, stringendo le labbra.
«Ho qualche rilevanza in questa storia, oppure deve essere sempre tutto fra te e quel fottuto Alaister?!» Non era stata la gelosia a parlare, lo sapevo bene: dopo tutto ciò che il Re degli Assassini ci aveva fatto, quella penale era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
«Non avevamo scelta, Yul. Non ce l'avevamo.» avevo reiterato ancora. «E comunque sono i miei soldi. Sono libero di decidere come spenderli, o no?»
Lui aveva stretto i denti, sibilando aria fra gli spazi come il vento che entra insidioso da sotto ad una finestra. «Non è vero che non ce l'avevamo. Non hai neanche provato a contrattare! Cazzo, ho sborsato una somma incredibile perché fossimo liberi. Non avrà nient'altro da noi.»
La situazione era precipitata molto in fretta ed anche se avevo goduto degli sguardi dei cittadini sul mio splendido completo verde smeraldo e avorio, ero sollevato che in quel momento stessimo litigando nelle stradine verso le vie del fiume. Non era una conversazione che quacuno avrebbe dovuto udire.
«Dimmi la verità. Ti dà più fastidio che Alaister abbia chiesto tutto quel denaro, o che sia io a pagarlo?» Orgoglio. L'eterna lotta fra Yul e il Re degli Assassini, in cui io mi ero ritrovato inconsapevolmente nel mezzo sin dal mio arrivo nella Gilda. Il fatto che fossi io adesso ad assumermi quella responsabilità e a tirarci fuori dai guai lo faceva tanto andare fuori dai gangheri?
Yul aveva esibito un ghigno pericolosamente sprezzante. «Quello che non comprendo è il perché continuiamo a dargli corda, a dargli importanza. Lo hai detto anche tu: noi siamo i migliori. Quindi perché non lo uccidiamo e basta?»
Ero corso immediatamente a tappargli la bocca. «Non lo dire nemmeno!» Era una frase troppo pericolosa perché potesse pronunciarla ad alta voce.
Lui mi aveva bruscamente allontanato le mani dalle labbra. «Ecco qua.» sbuffò, amaro, guardando la mia espressione. «Quando la chiudiamo per sempre con Alaister? Quando scriviamo la parola fine?»
«Lo abbiamo fatto, proprio oggi!»
Aveva scosso la testa, come se non ci credesse neanche un po'. «Lo abbiamo solo lasciato vincere, per l'ennesima volta.» Poi si era girato e aveva iniziato ad allontanarsi verso un vicolo poco trafficato. Prima che provassi a fermarlo, lo aveva già fatto lui. «Inizia ad avviarti verso casa. Ti raggiungo.»
Non aveva precisato quanto tempo dopo. Ed ecco che, dopo aver fatto il bonifico bancario ad Alaister, vagavo per il quartiere più trafficato di Skys Hollow cercando di schiarirmi le idee, proprio come stava facendo anche Yul chissà dove in questo momento. Speravo non al Covo.
Superai un forno da cui arrivava un irresistibile profumo e non mi soffermai davanti ad una sartoria, dove stampelle e manichini di legno mostravano gli ultimi capi femminili, tutti pieni di sottogonne, tulle e rouches. Mi limitai a guardare la mia immagine riflessa nella vetrina, che riusciva a cogliere solo in parte il mio smarrimento.
Per certi versi, Yul aveva ragione. Ma ci eravamo entrambi, in quel disastro: era iniziato tutto dal ballo dell'Orchidea. Era stata quella missione a farci avvicinare, il suo salvataggio a cambiare profondamente il nostro destino. Mi chiesi all'improvviso se non avessi compiuto un enorme sbaglio: era Yul quello che mi amava da anni. Eppure, non si era mai dichiarato apertamente prima.
Si limitava a punzecchiarmi, a pungolarmi come un ragazzino che non ha il coraggio di dire in faccia all'interessato i suoi sentimenti. Io però avevo scelto di avvicinarmi, piano piano, e lui si era preso un pezzo del mio cuore alla volta.
Ma se non mi fossi avvicinato? Se fossi rimasto lontano? Lui non si sarebbe trovato in questa situazione. Avrebbe pagato il suo debito e se ne sarebbe andato lontano, con la sua bravura diventando il capo di una Gilda che sarebbe diventata sua. Niente più soprusi, niente umiliazioni: solo il rispetto che si meritava di avere.
Invece lui era rimasto per causa mia. Al tempo stesso, io ero rimasto al suo fianco: quella prospettiva mi scombussolava e al tempo stesso mi faceva sentire angosciato. Avevo tenuto ad una sola persona, mia madre, e lei era morta. Non esisteva nessuno al mondo che amassi quanto amavo Yul.
Lo avevo costretto a subire per così tanto tempo le angherie di Alaister: il minimo che potessi fare era pagare per liberarci dalla Gilda. Non era compassione, né senso del dovere. Non volevo sdebitarmi perché lui aveva estinto il mio debito col Re degli Assassini. Era semplicemente... Un modo per scusarmi di tutto.
Ma preferivo non dirglielo. Era un po' come confessargli "scusa se mi hai amato mentre io ti detestavo, pago per questo!", probabilmente lui l'avrebbe presa così.
Quindi lo avevo lasciato andare senza seguirlo, limitandomi a camminare per il dedalo di strade, mentre servi in divisa con lo stemma reale piazzavano scale sotto ai lampioni e accendevano le candele al loro interno ad una ad una, facendo passare la città da giorno a notte in un battito di palpebre.
Guardare il mio riflesso nelle vetrine aveva fatto sì che non mi rendessi conto dove effettivamente le mie gambe stessero andando. Avevo camminato senza un reale costrutto, con la testa affollata di pensieri come uno stormo di uccelli che non sa dove migrare.
E ad un certo punto eccomi lì, piantato sullo spiazzo di pietra bianca, di fronte ai monumentali cancelli blindati edificati in oro e argento, che custodivano il posto più pericoloso di tutto il Continente Magico. Mi si contrasse lo stomaco, quando i miei occhi di ghiaccio serpeggiarono sul viale di ghiaia bianca che s'intravedeva oltre le inferriate.
Una strada bianco perla costeggiata da alberi imponenti, altissimi cipressi, lampioni d'oro. Le farfalle svolazzavano colorate quasi si trattasse di un posto fantastico dentro cui volare, invece era il peggiore possibile e quasi le compativo per aver inconsapevolmente solcato quell'ingresso.
Sulla sommità del sentiero, avvinghiato sopra ad un fossato come un corvo, il Castello di Re Kavendish, la sua casa, la sua dimora. Il nido del mostro. Quello che era il vero, solo ed autentico Re degli Assassini. Era lui che aveva preso le decisioni più terribili per il suo Impero: dare il potere a pochi eletti, il denaro a pochi privilegiati. La magia a nessuno.
Niente magia, poca cultura. I maghi andavano al patibolo, ma quel tempo era già finito: erano tutti spariti, ormai. Trucidati o bruciati come i libri pericolosi. Il resto dei suoi oppositori tutti confinati in quei posti che aveva istituito per regalare loro un assaggio di come può essere l'Inferno, anche quando non hai il lusso di morire.
Treblin, Ender... Campi di prigionia, per non dire campi di tortura.
Odiavo il Castello. Odiavo il modo in cui troneggiava su ogni cosa, odiavo il modo in cui sembrava osservarti, scrutarti dentro, come una cosa viva. Mi faceva venire i brividi: la minaccia di essere scoperti in quanto assassini, trasformandoci da predatori a prede del regno, era sempre dietro l'angolo.
Avrebbe potuto trucidarci tutti, proprio come aveva trucidato interi popoli per arrivare dov'era adesso. Non lo sapevo nemmeno io, da quanto tempo regnava: solo, da quanto tempo fossi in grado di ricordare. Non esisteva una data precisa, dal momento che non esistevano resoconti storici del suo arrivo, anche quelli cancellati dalla censura.
Nessuno ricordava il prima. C'era solo il dopo, solo lui.
Eppure, in qualche racconto lontano, tramandato oralmente forse da qualcuno appartenente a quello stesso campo di battaglia, avevo sentito di una sua guerra. Una sua spedizione contro il regno più grande, più influente, il più bello di tutti. Si diceva che il Regno di Astrea fosse stato ricco di magia, sovrani sapienti, cavalieri dalle armature splendenti, creature fantastiche e ricchezze oltre ogni immaginazione. Si diceva anche che fosse stato l'unico in grado di tenere testa alle terribili mire del Regno di Darlan.
E poi era tutto sparito, erano tutti morti. Tutti sterminati.
Per quanto ne sapeva adesso la gente, Astrea era solamente una terra abbandonata, fatta di montagne e abeti interminabili.
Probabilmente si trattava solo di una leggenda, una storiella che i ribelli si raccontavano a vicenda, immaginando che qualcuno potesse essere ancora vivo, immaginando che la speranza palpitasse da qualche parte come una fiamma in mezzo alla tormenta.
Ma non era così, non ci poteva essere speranza davanti all'orribile dominio del Re.
Rimanere lì a fissare quel Castello iniziò a farmi sentire piccolo e debole, come se non valessi nulla. Come se i miei sforzi, in quanto Sfavillo, non fossero che un grido lanciato verso il vento contrario: un urlo che mi ricadeva addosso.
I problemi con Alaister Noir sembravano una sciocchezza, davanti all'immensa violenza del Re. In fondo, mi resi conto che ero felice di aver versato quella somma in banca: io e Yul ce ne saremmo presto andati e finalmente mi sarei liberato anche da quella sensazione.
Da quell'insulso senso di asfissia ogni volta che fissavo il palazzo. Perciò mi voltai e molto velocemente mi allontanai da lì, lasciandomi inghiottire dai vicoli, sperando che, dopo aver guardato l'abisso, lui non avesse guardato me.
***
Non c'era niente di meglio, per dimenticarsi dei propri problemi, di infilarsi in quelli degli altri. Perciò proprio in questo momento ero accoccolato sul tappeto davanti al camino, sui riccioli dorati mi danzava l'ombra aranciata delle fiamme, che illuminavano le pagine di un libro giallo davvero avvincente, nonostante fosse particolarmente cupo.
Fra una pagina e l'altra, avevo semplicemente perso la cognizione del tempo. Ma non dimenticato il fatto che Yul non fosse ancora ritornato a casa. Ma era un uomo adulto, nonché addestrato: non era il caso di preoccuparsi, anche dopo il preoccupante confronto che avevamo avuto in giornata con Alaister.
Mi concentrai sulla lettura, aggrottando la fronte mentre ripercorrevo con gli occhi lo stesso paragrafo, per la terza volta. Sbuffai. Chissà, forse su il segnale che serviva al destino per darmi una risposta: sentii uno sferruzzare provenire dalla porta d'ingresso.
Qualche minuto dopo, Yul si era fatto largo nel soggiorno, senza stivali e soprabito. Spalle larghe, una blusa bianca un po' aperta sul petto che calava perfettamente sulle spalle muscolose e la chioma rossa un po' scompigliata. Richiusi il libro, lentamente, per ponderare bene le mie parole.
«Buone notizie.» esordì lui, salvandomi da un primo approccio, probabilmente catastrofico. Si sedette sul divano di fronte a me, mentre io rotolavo su un fianco ma restavo accoccolato sul tappeto.
«Cioè?» sentii il cuore accelerare i battiti.
«Abbiamo una missione. Non solo io, o solo tu. Tutti e due.» Sgranai gli occhi, scandagliando la sua espressione, che era serissima. «Pagherà così tanti soldi che potremmo condurre una vita più che benestante ovunque. Basterà puntare il dito sulla cartina e...» Stava già iniziando a sognare: glielo leggevo negli occhi blu, che luccicavano di un'entusiasmo e una frenesia mal trattenuta.
«Aspetta. Aspetta, Yul.» Non volevo stroncarlo, ma cercai di riportarlo per lo meno alla ragione. «Chi è il mandante che ce l'ha commissionata?»
Si mosse sul divano, irrequieto. «Era in incognito, come la maggior parte dei clienti di Alaister. Solito mantello e cappuccio sul viso.» Non era niente di diverso dal solito: molti contatti lo preferivano. Era più sicuro per tutti così.
Mi morsi il labbro inferiore. «Perché non si è rivolto agli Assassini?» Era strano. Forse, ora che avevamo pagato per liberarci dalla Gilda, Alaister aveva ritirato la voce che ci impediva di ottenere ingaggi? Sembrava troppo gentile, da parte sua.
Non poteva essere: perché privarmi di tutti i soldi che avevo in banca e poi darmi la possibilità di recuperarli? Poi capii.
«Perché l'ha già fatto. Alaister ha rifiutato.» rispose. Ero a bocca aperta, un'espressione di sgomento che ben presto si sostituì a una smorfia. Se perfino il Re degli Assassini aveva detto di no, doveva trattarsi di qualcosa di pessimo.
Mi alzai in piedi ed andai sul divano, non esattamente accanto a lui: ero nel posto lì accanto, ma non abbastanza vicino da sfiorare il suo braccio col mio. Stavo cercando di riavvicinarci dopo la piccola frattura che si era creata quel pomeriggio e non volevo fare niente di brusco per causare un suo ennesimo allontanamento. «Perché rifiutare?» domandai, con cautela.
«Vogliono che liberiamo un carico di schiavi subito prima del loro arrivo ad Ender.» pronunciò, torcendo appena il busto per potermi guardare. Aveva le narici dilatate, respirava piano ma con tensione.
Lo stavo osservando, adesso, con la giusta dose d'intensità per impedirmi di boccheggiare. «Ender.» ripetei, con la voce incrinata e un nodo alla gola talmente grande che doveva aver formato un gomitolo di corde vocali.
Yul annuì. Un fragore di fruste, catene, picconi contro la pietra, mi riempì le orecchie. Dovetti chiudere gli occhi per mandarlo via.
«No.» sbottai all'improvviso. Lapidario. Mi alzai in piedi. «No no no.» Scossi la testa, come per scacciare quell'assurdità o quei suoni che riecheggiavano fino in fondo alla mia anima. «E' di Ender che stiamo parlando!» dissi, con un tono talmente stridulo che preva un singhiozzo.
Non riuscivo a smettere di vivere quelle reminiscenze brevi, quei piccoli lampi di pochi mesi che pensavo di aver dimenticato. Ma erano sempre lì, appiccicati nel profondo, come lo sporco che si accumula in un secchio dove, giorno dopo giorno, depositi la spazzatura. «Non è qualcosa che possiamo fare noi... Non è al nostro livello.»
Attorcigliai i pugni così forte che le mie dita potevano sembrare ricci spinosi, richiusi su di sé. Urla e grida e preghiere e singhiozzi. Una permanenza breve, quella a Treblin. La ricordavo e non volevo, non potevo. Ender era molto, molto peggio. Non potevo andare in un posto del genere senza rischiare di perdere la mia lucidità.
Yul si sollevò dal divano per fronteggiarmi. «Ormai abbiamo liquidato la Gilda: se non vogliamo ritornare entrambi alle vecchie abitudini e riprendere a rubare, abbiamo seriamente bisogno di questa missione.» Il suo tono era ineluttabile, inevitabile. Chiusi gli occhi, cercando di allontanare quel senso di sopraffazione che mi investì tutto insieme.
Ero io il primo che voleva una vita dignitosa... Ma a quale prezzo? Iniziai a ponderare perfino l'idea di rubare. Eravamo così bravi ad essere furtivi, grazie alle nostre doti come sicari, che rubare dalle case dei ricchi e fuggire nella notte poteva anche riuscirci.
Ma era un'assurdità anche quella.
«Ascoltami Hel.» Il bel rosso mi prese delicatamente le mani. «Lo so che è difficile. Lo so.» Dubitavo che avesse una reale idea di cosa ci aspettava, ma lasciai che intrecciasse le dita affusolate alle mie. «Ma questo incarico è un'assoluta necessità.»
Dovetti reclinare la testa per poterlo vedere in faccia e incrociare i suoi meravigliosi occhi blu. Lui appoggiò la fronte alla mia. «Sarà il nostro ultimo contratto e poi saremo liberi. Liberi da Alaister, dalla Gilda e da Darlan.» Sentii il mio terrore sciogliersi a contatto con la sua pelle.
«Yul... Anche volendo, siamo solo due. E' una follia! Lo sai anche tu.»
«Una follia che solo i migliori possono portare a termine.» Cercava di rivolgermi un sorriso rassicurante, ma agli angoli delle labbra non vedevo le solite fossette, era piuttosto rigido in realtà.
«Ci deve essere un altro modo. Se aspettiamo qualche giorno e la tensione con Alaister si allenta, forse riusciremo a trovare un lavoro migliore. Più sicuro.» Non potevamo seriamente imbarcarci in quell'impresa impossibile.
«Helias.» disse, in un sussurro basso ed eloquente. «Sai che non succederà. Non ci lascerà in pace fin quando non ce ne andremo. E comunque, non troveremo mai un altro incarico tanto redditizio.» Non avevo ancora compreso a fondo la portata di quella ricompensa: la somma che mi riportò era la più alta che avessi mai sentito. «Pensaci, sarebbe il miglior modo per aggiustare ciò che è successo con Martin.»
Abbassai lo sguardo, fissandogli il petto: aveva ragione, su quello. Il male che avevo inconsapevolmente contribuito a spargere poteva essere arginato se liberavamo quel carico di schiavi alle porte di Ender.
«Non hai scoperto proprio niente del cliente?» Strizzai le labbra. «Hai provato a pedinarlo?»
Ammiccò. «Cosa pensi che abbia fatto per tutta la serata?» Poi proseguì: «Sapeva di essere seguito. Ha fatto per un bel po' cose normali come vagare per il mercato, intrufolarsi nelle locande... Se non avessi mollato la presa, avremmo continuato così per tutta la notte.» Scosse la testa. «Se è un capo fra i ribelli, ha tutte le ragioni per non volersi mostrare.»
«Non sono convinto.» dissi, asciutto. «E' troppo sospetto.»
«Cerchi giustificazioni per rinunciare senza nemmeno provarci?»
Strinsi i denti. «No, ti sto dicendo la nuda e cruda verità dei fatti, stupido Yul!» Mi accigliai, sfilando le mani dalle sue. «Sai quanti hanno tentato di fuggire o liberare qualcuno da Ender? E quanti di loro sono ancora vivi?» Lasciai vagare quella domanda solo per un paio di secondi. «Zero.»
«Però conosco qualcuno che è scappato da Treblin...» mormorò, con un sorriso appena accennato, d'incoraggiamento.
«E' diverso. Lo sai che è diverso.» affermai, stringendo le palpebre. Il rosso prese un profondo respiro.
«La vuoi una vita insieme a me?» Battei le palpebre, preso in contropiede dalla sua domanda. «Vuoi vivere con me, oppure tornare all'esistenza di prima?»
Era l'unica cosa che importava. «Certo che voglio.»
«Allora non abbiamo scelta che dire di sì. Completiamo quest'ultima missione, incassiamo il denaro e ricominciamo da qualche parte. Nell'Impero o fuori dal Continente Magico.» Mi accarezzò il viso, scostandomi un ricciolo dagli occhi per accompagnarlo verso l'orecchio. «Vorrei poter prendere tutto e sparire stanotte stessa, ma voglio qualcosa di migliore per noi.» Mi baciò una guancia, lentamente. «Vorrei poterti regalare il mondo.» E poi la sinistra. «Tu lo meriti.»
Sospirai, sentendo i miei ultimi freni inibitori cedere. «E' per questo che dobbiamo accettare.» disse, con voce carezzevole, stupenda, come ogni altra cosa di lui. Non sapevo neanche io come avevo fatto ad odiarlo, per tutti questi anni.
«Ci devo ancora riflettere, non ho confermato niente...» Era troppo pericoloso. Soprattutto se i nostri nemici erano guardie reali, o meglio, chi si serviva di loro. Il Re.
«Sono un tipo piuttosto paziente.» soffiò Yul, abbozzando un sorriso. Le sue labbra ora vagavano sull'angolo della mia bocca, invitanti.
«Ho detto delle cose stupide, oggi pomeriggio...» mormorai, mordendomi l'interno della guancia.
«Il grande Sfavillo sta forse cercando di scusarsi?» I suoi occhi si accesero, la sua bocca si aprì in un ghigno beffardo e sulle guance gli comparvero due irresistibili fossette. «E' un miracolo?»
Bofonchiai qualche brutta parola con le guance rosse, ma lui zittì le imprecazioni con un bacio, su cui riverberò una risata divertita. Poi mi avvolse i fianchi fra le braccia e quello fu il segnale che servì al mio corpo per sciogliersi e ammorbidirsi fra le sue mani come creta.
Le sue labbra sapevano di buono. Erano fresche e dolci e le adoravo. Mi davano alla testa, esattamente come l'alcol. Lasciai che mi portasse in camera da letto, adagiandomi fra le coperte con uno sguardo che era famelico e adorante insieme.
Si allontanò da me solo il tempo di togliersi con movimenti agili e aggraziati i micidiali pugnali nascosti attorno ai polsi, seguiti dal panciotto e la blusa già semi-slacciata. Divorai con lo sguardo la sua pelle diafana, il torace muscoloso e quelle impercettibili efelidi che ogni tanto spuntavano lì dove non immaginavo fossero.
Era perfetto.
Le sue labbra tornarono nuovamente a divorarmi, chino sopra di me, saggiando il proprio peso su mani e gomiti senza correre il rischio di schiacciarmi, pur riuscendo abilmente a sovrastarmi. Il cuore martellava dentro al petto così forte che mi scoppiava nelle orecchie.
«Sei troppo vestito, Hel.» soffiò al mio orecchio con una risata canzonatoria, la voce arrochita dal desiderio. «E' mio dovere sistemare la situazione.» Mi slacciò la camicia, lentamente, bottone dopo bottone. Fremetti quando posò i suoi penetranti occhi blu notte sulla mia pelle chiara e scoperta.
«Che non si dica che non sei un gentiluomo.» mormorai con una risata ironica, ansimante. Gettò la camicia da qualche parte nella stanza e le sue mani cominciarono ad armeggiare con il bottone dei pantaloni color avorio. Con la bocca assaggiò a piccoli sorsi il mio collo, depositando baci che diventavano piano piano sempre più voraci.
E finalmente la sua pelle calda mi sfiorò il petto, facendomi sospirare di piacere. Mi liberò dai pantaloni con un gesto impaziente e mi lasciai sfuggire un gemito eccitato quando mi strappò di dosso anche l'intimo. Ero nudo sotto ai suoi occhi affamati.
Ritornò ad impadronirsi di labbra, lingua, guance, palato. Di ogni centimetro della mia bocca. Il suo sapore era così dolce, con quel retrogusto di menta e caramello, e le sue labbra carnose erano così calde e morbide.
«Oh Yul» sospirai. Afferrai saldamente i suoi capelli color sangue, facendoli scivolare fra le dita. Erano talmente lisci da sembrare fili di seta. Ne volevo di più.
Mormorai un basso lamento quando lui si staccò. La sua bassa risata truffaldina mi risuonò all'orecchio come il tintinnio di mille cristalli che si infrangevano al suolo.
«Fammi almeno finire di togliermi i vestiti, Hel.» Mi strusciai contro i suoi pantaloni, giusto per gustare la sensazione di averlo eccitato ancora più violentemente.
«Veloce.» ansimai, studiando con desiderio ogni suo piccolo gesto. Finì di spogliarsi con una rapidità ammirabile. Osservai la pelle bianca come la porcellana tesa sopra i muscoli sodi e la luce animalesca nei suoi occhi, che era come quella di un animale selvatico pronto a reclamare il proprio compagno. Gli lasciai prendere il controllo, gemendo quando la sua pelle nuda e calda fu completamente contro la mia.
«Ti voglio così tanto.» sfiatò, mentre passava le mani affusolate e callose lungo le mie gambe, poi verso l'interno delle mie cosce.
«Allora fallo...» gemetti, senza specificare cosa. Era davvero incredibile che fossi ancora in grado di formulare parole comprensibili nonostante il sovraccarico di desiderio ed eccitazione che mi si agitava dentro, svuotandomi da ogni pensiero che non riguardasse Yul e le sue incredibili mani.
Avevo la mente così annebbiata che tardai ad accorgermi del suo tocco sensuale. Aveva iniziato ad usare le dita per penetrarmi e doveva averle lubrificate con qualcosa, dell'olio, o forse la sua saliva, perché erano scivolose al punto giusto. I suoi movimenti erano forti e mirati, mentre le sue lunghe dita mi stimolavano la prostata ad ogni colpo.
«Se continui, vengo.» lo avvisai, con la voce spezzata dall'eccitazione. La voce roca e beffarda di Yul oltrepassò la nebbia del desiderio che mi avvolgeva la mente.
«Non senza di me.»
Lo fissai con gli occhi appannati dalla lussuria mentre mi preparavo a riceverlo. L'assassino dai capelli cremisi mi sollevò le gambe e mi penetrò con un semplice movimento dei fianchi.
«Ahh, si!» Più a fondo. Più forte. Ancora più veloce. La stanza fu pervasa da gemiti, grugniti e dal rumore dell'incontro della nostra pelle.
Sopra di me brillavano occhi blu pieni di lussuria e l'intensità di quel momento mi scosse nel profondo. Yul era l'unica cosa di cui avevo bisogno, non importava quanto il destino ci mettesse i bastoni fra le ruote.
Mi accarezzò il membro, scivolando su e giù lungo l'asta con le dita ruvide. Fui attraversato per tutto il corpo da una sensazione intensa e dopo pochi attimi cedetti, inarcando la schiena. Strinsi il muscolo e udii Yul gemere con un lungo sospiro, riempiendomi di lui. Poi, mentre cavalcavo ancora l'onda dell'orgasmo, la sua lingua tornò a tormentare la mia bocca, mordicchiandomi le labbra.
Quando fu soddisfatto uscì lentamente e, dopo aver spirato un respiro profondo, saltò con grazia dal letto. Mentre ero ancora impegnato a sbattere le palpebre per riprendermi, lui tornò indietro con degli asciugamani puliti, pulendomi il basso ventre ancora con il desiderio ad accendergli gli occhi blu notte. Mi baciò ancora.
«Accettiamo la missione, Helias.» esclamò, ad un soffio dalle mie labbra. «Voglio essere lontano da qui, voglio godermi ogni istante insieme a te.» Ormai il nostro legame era talmente indistruttibile che mi aveva aperto gli occhi su una spaventosa consapevolezza: non sarei mai più riuscito a vivere senza di lui. «Potremo avere tutto il tempo del mondo per stare insieme...»
Era vero. Potevamo rifarci una vita. Potevamo dimenticare insieme gli orrori del passato. Potevamo sognare e potevamo sperare.
E quei sogni erano talmente grandi da poter mettere in discussione perfino la pericolosità di Ender.
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