23. L'Assassino e il Covo
Cosa c'era di più strano di un assassino che ballava da solo?
Un assassino che ballava da solo sulla cupola del Teatro Reale. Per la precisione sulla piccola passerella nascosta, posizionata a metri e metri sopra la platea, che gli artisti e i restauratori usavano per ravvivare i magnifici affreschi dorati abbarbicati proprio su quella cupola. La ringhiera di freddo metallo mi separava da un volo da capogiro nel vuoto e una botola in alto comunicava col tetto, da dove ero entrato.
Il ballatoio offriva una vista sensazionale del palcoscenico, forse un po' troppo lontana rispetto al tanto invidiato palco reale, ma comunque molto migliore della platea e dei palchetti privati. E io ero lì a godermela.
C'era qualcosa di infelice e di catartico al tempo stesso, ondeggiare sul posto, con le mani aggrappate al corrimano e gli occhi fissi sulla scenografia e sulla cantante lirica che con la sua voce d'angelo intonava un'aria che mi faceva venire un groppo alla gola, per quanto fosse commovente.
Questa era una sera da segnare sul calendario. Una sera da aspettare, anelare e, al suo raggiungimento, gustare finalmente. La sera prima del mio compleanno.
Andare a teatro, in questo preciso giorno, era una tappa fissa con mia madre. Una compagnia talentuosa di musicisti e cantanti iniziava la sua tournée proprio il primo settembre, tutti gli anni, esattamente il giorno prima dell'anniversario della mia nascita. Sembrava un regalo del destino, che io ed Edna Bloomwood accoglievamo sorridenti, mano nella mano in un palchetto angolare, perché non avevamo abbastanza soldi per poterci permettere di meglio. Ma lo adoravamo lo stesso.
Non avevo raccontato quest'usanza ad Alaister, ma quando gli avevo detto il giorno del mio compleanno aveva colto l'occasione per invitarmi alla prima della compagnia tutte le volte. Era diventata una tradizione, ormai. E lui sapeva quanto profondamente contasse per me.
Anche lui era lì, stasera.
Chissà, forse si immaginava di incontrarmi. Forse ci sperava, visto che era passato un mese dal nostro scontro nel suo ufficio: non mi aveva più contattato, punzecchiato o anche solo incrociato nei giorni seguenti, quasi credesse e temesse la mia minaccia. Ma ero certo che non fosse così. Mi accontentavo di sperare che Sfavillo fosse lentamente svanito dalla sua mente. Ma anche su questo ero certo del contrario.
E ora eccolo lì, sullo stesso palchetto di sempre, con un abito elegante, uno sguardo attento verso la cantante. Il posto al suo fianco, il posto che avevo sempre occupato io, non era vuoto. C'era Lysandro, tutto impettito con una mano intrecciata nella sua. Era incredibile pensare che, anche dopo un mese, quei due si frequentassero ancora.
Evidentemente Sophia aveva incastrato Lysandro e non si trattava solo di vendere ad Alaister la sua verginità, ma tutto il pacchetto completo. Per chissà quanto tempo. Non sapevo chi compatire dei due, ma era chiaro che si meritassero.
Mi mordicchiai l'interno della guancia, incapace di soffocare la fitta di struggimento che mi provocò vedere quel posto occupato. Come se al Re degli Assassini bastasse così poco per sostituirmi. Tanti anni insieme a lui e all'improvviso venivo dimenticato.
Non era assurdo?
Sospirai, tornando a concentrarmi sulla musica: gli archi e i flauti si erano uniti in un'unica spirale di armonia, raggiungendo un picco talmente profondo da farmi vibrare l'anima. Strinsi con forza la ringhiera della passerella ed inspirai l'aria, quasi potesse ripulirmi da tutte quelle sensazioni. Da quei tormenti, da quelle turbolenze.
Quanto ero sciocco a preoccuparmi di Alaister e di Lysandro. Io ero libero. Yul era libero. Non avrei mai potuto suonare nuovamente questa musica su un pianoforte perché non ne avevo uno. Avevo rinunciato a molte comodità della mia vecchia vita, ma adesso avevo un uomo che mi amava, tanto quanto lo amavo io.
Non c'era motivo di preoccuparsi di quel palchetto. O di quella notte. Yul ne valeva a centinaia. Perciò, quando la musica si concluse dolcemente, lasciando gli spettatori senza fiato, io rivolsi solo un ultimo sorriso verso l'orchestra, prima di scivolare fuori dalla botola.
***
Nessun bordello condiviso con cortigiani, nessuna catapecchia in comune con piccoli ladruncoli di strada, nessuna lussuosa Fortezza piena di assassini. Una casa tutta mia.
Ancora non riuscivo a capacitarmene mentre facevo scorrere le dita sul pomello di bronzo dorato, vagamente arrugginito, ma dal fascino indiscutibilmente vintage. Avevo salito le scalette di legno, superato il pianterreno del vecchio magazzino e ora scrutavo la porta di un verde profondo con un misto di soddisfazione e orgoglio.
Era passato un mese da quando ci vivevo, ma avevo l'impressione di viverci da sempre. In contemporanea, di non avere abbastanza tempo per vivere fra quelle mura, come se fosse solo una tappa temporanea e mi aspettasse molto altro. Scossi il capo, accantonando le elucubrazioni che si affollavano fra i riccioli dorati, ed infilai la chiave nella toppa.
«Yul! Sono tornato!» urlai dall'ingresso, mentre mi levavo gli stivali con un movimento rapido di talloni, appoggiando i fianchi contro il muro. «Ceniamo insie-» Stavo per togliermi la seconda scarpa, quando mi resi conto che l'interno era immerso nel buio.
L'ingresso comunicava direttamente col soggiorno, dove mi sarei aspettato un candeliere acceso e un fuocherello scoppiettante all'interno del camino, che invece era spento e privo di ciocchi di legno. Forse Yul era già a letto? Improbabile da parte sua.
Mi umettai il labbro superiore, orientandomi nella penombra lunare fino a raggiungere i fiammiferi di cui conoscevo bene la locazione, accendendo il candeliere sul tavolino basso di fronte al divano azzurro pavone. Come mi ero impegnato per arredare! Mi ero portato via tutto il possibile dalle mie stanze nella Fortezza e avevo aggiunto molto altro comprando e selezionando personalmente dai raffinati mercati d'alta borghesia nella città.
Era facile trattare, con un sorriso disinvolto e uno sfarfallare di ciglia. Yul mi aveva sempre chiesto se volessi una sua collaborazione, per lo meno economica, per l'arredamento. Eppure avevo rifiutato: volevo che quella casa fosse mia, completamente e per la prima volta.
Ancora con una scarpa sola, mi guardai intorno, ammirando il tavolo rettangolare di ciliegio, dove mi aspettavo ci fosse un piatto pieno di briciole che quello screanzato si era dimenticato di togliere via. E invece nulla, il soggiorno era immacolato.
Avrei potuto andare in camera da letto, controllare lì, leggere un buon libro. Oppure farmi un bel bagno caldo. Poi però notai il bigliettino.
"Ehi Hel, stasera sono via. Non preoccuparti per questo ragazzaccio e vai a dormire."
Mugugnai un verso che era un misto di irritazione, rabbia ed indignazione, mentre stritolavo il biglietto dentro al pugno. Sapevo dov'era andato, così come sapevo perché non mi volesse fra i piedi: non approvavo i suoi hobby notturni e tutte le conseguenze che comportavano. Nemmeno per sogno.
Perciò gettai la pallina di carta alle mie spalle e mi rimisi frettolosamente lo stivale. Sarei andato a recuperarlo per un orecchio.
***
C'era un posto perfino peggiore rispetto alle fognature di Skys Hollow, dove ratti su due gambe si aggiravano armati fino ai denti e come maiali masticavano e divoravano tutto ciò che veniva lanciato loro. Droghe, sesso... E violenza, soprattutto quella.
Quel posto era chiamato il Covo.
Era il ritrovo della delinquenza di tutta la capitale. Persone della peggior specie si aggiravano al suo interno e l'atmosfera malfamata si subodorava dalla puzza di sudore, di immondizia, di alcol rancido e di sangue in putrefazione. Mi fece rivoltare lo stomaco e dovetti inghiottire un conato.
Lo spaccio di alcolici era l'attività più innocente, lì dentro. La maggior parte dei bei ragazzi e delle belle fanciulle di strada non avevano la stessa fortuna di Lysandro o di mia madre di finire in una casa protetta dove diventare cortigiani di lusso, destinati ad accompagnare signori alle feste e riscaldare i loro letti.
La maggior parte, se riusciva a scampare al destino della schiavitù, finiva proprio in questo posto schifoso. A volte, quando mi sentivo particolarmente giù di corda e rimpiangevo ciò che ero diventato, pensavo a quello che invece avrei potuto essere. Al peggio del peggio.
Sarei potuto finire fra quei ragazzi nudi e sudati, fra le mani luride di quei criminali e con le braccia gonfie per via delle droghe iniettate per stordirli e renderli docili. In pochi erano ancora lucidi. Dovetti obbligarmi con tutte le mie forze a non guardare verso di loro, o a non desiderare di sfoderare un'arma per lanciarla contro chi li toccava. Che differenza avrebbe fatto?
Nulla, a parte guadagnarmi altri nemici e vedere come quegli stessi ragazzi sarebbero ritornati qui, al Covo, in cerca di altra droga.
Repressi un brivido, tirando più in basso il cappuccio della mantella. Non volevo attirare l'attenzione più di quanto non facessero le mie armi pregiate e costose, tutte impreziosite sull'elsa. Bastava avere un bel viso per finire nei guai.
Evitai di scivolare sul pavimento viscido d'alcol e vomito mentre continuavo a camminare: mi sventolavo una mano davanti al viso per scacciare nuvoloni di fumo sebbene l'altra fosse sempre ferma sull'impugnatura del pugnale allacciato al fianco. Zigzagai fra la fiumana di gente e arrivai finalmente al cuore del Covo.
Un cerchio di individui si stringeva intorno ad una fossa incavata nella terra e riempita di sabbia. Le persone alzavano i pugni, intonavano canti di morte, urlavano come indemoniati fino a farsi spiccare le vene sul collo. Non smettevano di sventolare i biglietti delle scommesse o manciate di banconote, mentre pioggia di saliva veniva sputata sulla testa di chi stava davanti, a furia di gridare.
Mi feci strada a spallate, sibilando a denti stretti qualche imprecazione, fino a raggiungere la prima fila e a toccare la staccionata che richiudeva il ring con le dita, che strinsi al punto da farmi sbiancare le nocche.
Eccolo lì, Yul Pevensie.
Le fiaccole attorno alla fossa facevano scintillare il sudore che gli circumnavigava il petto marmoreo, quello che adesso si alzava e abbassava per riprendere fiato. Nudo fino alla vita e coi capelli scompigliati, si pulì la guancia da un rivolo di sangue col dorso della mano e rivolse un sorriso da sbruffone al suo avversario.
Non era il suo sangue, perciò potei tirare un sospiro di sollievo: era quello del suo sfidante, conciato per le feste, abbastanza da farmi credere che fosse stata una lunga scazzottata. Una in cui il rosso giocava come il serpente col topo, o come un sicario del Re degli Assassini avrebbe potuto giocare con un manichino d'addestramento.
L'aveva bersagliato di colpi e il tipo ancora si manteneva in piedi, ovviamente perché Yul voleva che fosse così. Non si combatteva al Covo solo per buttare al tappeto un avversario: dovevi regalare un bello spettacolo. Una bella dose di sangue avrebbe ricompensato con una bella dose di denaro.
A parte quella di lottare a mani nude, così che lo scontro potesse essere ancora più duraturo e sanguinoso, non c'erano regole. Era il problema di cui Yul non si rendeva conto: chiunque avrebbe potuto barare lì dentro. Cacciare fuori un pugnale dai pantaloni e ammazzarlo. Chiunque fra la folla, fra quelli che avevano scommesso contro di lui, avrebbe potuto colpirlo con una freccia, mentre lui era concentrato a riempire di botte il suo nemico.
Era un'idea stupida quella di guadagnare fra le mura del Covo. E noi non avevamo bisogno di altri soldi sporchi di sangue e di altri agganci pericolosi. Non c'era niente che mi piacesse della trovata che Yul credeva furba.
Rimasi, fremente di rabbia, a guardarlo mentre finiva il suo sfidante. Ondeggiò davanti a lui con movimenti fluidi ed eleganti, in parte naturali ed in parte acquisiti, prima di rifilargli un gancio destro talmente poderoso da far roteare l'omaccione su se stesso. Cadde pesantemente a terra e il ruggito della folla si sollevò tutto insieme come un'unica onda di pura isteria, che mi fece sussultare i timpani.
Il rosso alzò le mani insanguinate e rivolse un ghigno compiaciuto a tutti i presenti, mentre qualcuno trascinava per le spalle il suo avversario privo di sensi.
Non era giusto, in realtà. Qualunque avversario gli avessero messo davanti, chiunque si fosse presentato contro Yul, avrebbe subito lo stesso infausto destino: perdere.
Sorrisi. Forse non proprio chiunque.
Mi avvicinai alla fossa, ben recintata, e con un balzo fulmineo ci saltai dentro. La folla calò nel silenzio.
Ancora con il cappuccio calato sul viso, consegnai le mie armi al cerimoniere, ricordandomi della regola del Covo e sapendo di non poter essere derubato in tal modo.
Nessuno osò fiatare, neppure chi gestiva il circolo delle scommesse. Neanche Yul, che aguzzava la vista al di sotto del mio mantello. Piuttosto, erano tutti interessati alla svolta imprevista degli eventi.
Mi sfilai gli stivali, gettandoli ad un lato del recinto, sentendo la sensazione sgradevole della sabbia fredda e sporca sotto i piedi. Mi godetti quel momento colmo di aspettativa e di curiosità, temporeggiando. Poi, piazzandomi di fronte al rosso, mi sfilai il mantello di dosso.
Capivo come si sentiva. Non ottenevamo una missione da quando avevamo lasciato Alaister, il mese prima. Sebbene entrambi continuassimo ad allenarci come meglio potevamo... L'impulso di saltare nel combattimento e prenderli tutti a calci in culo era davvero feroce.
I miei capelli dorati scintillarono alla tenue penombra delle fiaccole, un sorriso malizioso mi si dipinse in volto. Mi sfilai via la camicia, rimanendo soltanto con i pantaloni addosso. Per il Covo questo sarebbe stato uno spettacolo indimenticabile. Se gli spettatori acclamavano Yul per la sua bravura, con me avrebbero avuto un ottimo motivo per urlare a squarciagola.
Il ghigno trionfante che c'era prima sul volto dell'assassino si tramutò in incredulità e forse una punta di fastidio, come se gli avessi rovinato quel momento. Eppure, tutto venne spazzato via: vidi l'adrenalina salirgli nel corpo, emergendo in ogni fibra del suo essere, impaziente di esibirsi in quella sfida eccezionale.
Potevo sentire lo scetticismo e l'ilarità degli spettatori, che non riuscivano a credere che un esserino gracile e delicato come me potesse sfidare l'imbattibile combattente dalla chioma scarlatta. Non riuscivano neppure a capire cosa ci facessi al Covo. Il mio ghignò si ampliò.
«Pronto a combattere?» chiesi, un sorriso beffardo stampato in volto.
«Non vedo l'ora.» rispose, ricambiando il ghigno con compiaciuta tracotanza.
Ora iniziava la vera lotta. Ci scagliammo l'uno contro l'altro.
Il primo a colpire fu Yul, che tentò subito un gancio verso il mio zigomo. Schivai con una rapida capriola e gli arrivai alle spalle, piantandogli un calcio al centro della schiena, che lo fece barcollare in avanti. Si voltò e con incredibile velocità afferrò la mia gamba, ancora a mezz'aria, pronto a sbattermi a terra.
Con l'altra gamba, mi affrettai a spingergli un piede sul petto, liberandomi dalla sua stretta e atterrando in ginocchio sulla sabbia. Mi rialzai in un secondo, le mani strette in due pugni davanti alla faccia, in posizione difensiva. Sorrise e i suoi occhi blu scintillarono, ricchi di adrenalina.
Sferrò un secondo pugno, che deviai con il palmo della mano sinistra, mentre quella destra sferrava un gancio diretto alla bocca. Inclinò il capo, schivando solo per qualche centimetro. Pura fortuna. Rifilai una ginocchiata al fianco, che in quel momento era scoperto, e lui fu costretto ad incassare il colpo.
La folla era visibilio, urlava, incitava, batteva i piedi, imprecava quando il loro beniamino veniva colpito.
Yul contrattaccò, tentando un calcio circolare rasoterra, ma io feci un balzo, schivando ancora una volta. Eravamo sudati, ansimanti. I riccioli dorati mi si incollavano alla fronte, l'aria acre soffiava sul mio torso nudo.
Il combattimento sembrava aver raggiunto un momento di stallo: io e Yul rimanemmo immobili, pugni allineati davanti al naso, posizione difensiva, fiato corto, arti scattanti, sensi pronti a reagire. L'uno studiava l'altro, tacendo, con i lembi delle labbra sollevati verso l'alto, godendoci quel momento di condivisione.
Ci giravamo intorno lungo il perimetro del recinto, l'aria carica di elettricità, un silenzio impenetrabile.
Tutti trattenero il fiato.
Poi, gli balzai addosso.
Gli circondai con le gambe i fianchi, con una mano mi aggrappai alla sua spalla per non cadere, con l'altro braccio invece cercai di rifilargli una gomitata alla mascella. Per tutta risposta, mi diede una capocciata così forte che per un momento la vista mi si oscurò.
Cademmo entrambi a terra, io con le gambe strette intorno a lui e lui con le braccia intorno al mio torso. Rotolammo in un intreccio confuso di corpi, l'uno cercando di colpire l'altro, la sabbia che si appiccicava alla pelle nuda e sudata.
Riuscii a sferrargli un pugno ed ebbi la meglio, piantandomi su di lui a cavalcioni così da immobilizzargli le gambe. Gli circondai il collo con una mano, pur senza stringere.
«Allora, direi che è evidente chi è il vincitore.» cinguettai, mostrandogli un ghigno trionfante. Feci scorrere brevemente uno sguardo sul suo petto nudo e muscoloso, poi nei suoi splendidi occhi blu notte.
La folla calò nel silenzio, troppo sorpresa per urlare. Il campione era sconfitto.
«Ma come ha fatto?» mormorò qualcuno, con i bigliettini delle scommesse perse ancora in mano. Yul mostrò un sorrisetto malizioso, poco turbato dalla cosa. Sapeva che io ero l'unico ad avere quel potere su di lui, lì dentro.
«Sai Hel, sei davvero eccitante in questa posizione.» sussurrò, in modo che fossi l'unico a cogliere le sue parole, mentre indugiava sul mio torso scoperto. Arrossii e mi alzai, sciogliendo la presa intorno al suo collo per porgergli la mano, aiutandolo ad alzarsi. «La tua vittoria è stata solo un colpo di fortuna.» biascicò poi, una volta in piedi. Alzai un sopracciglio, allargando le labbra carnose in una smorfia divertita.
«Ah davvero?» Con la mano ancora stretta nella sua gli calciai i polpacci e bastò un fulmineo gesto del polso per usare il suo peso come leva: lo sbattei sulla sabbia. Poi gli piantai il piede scalzo sul petto, mettendomi le mani sui fianchi, trionfante.
«Dicevi?»
***
Il fatto che fossi così calmo era un sintomo chiaro della rabbia che montava silenziosamente dentro di me. Come la quiete prima della tempesta. Lasciai che Yul ritirasse le sue vincite e che io incassassi la mia, grazie all'ultimo spettacolare combattimento che avevamo offerto al Covo, poi uscimmo fuori da quel putrido luogo di depravazione.
Restai in silenzio mentre svoltavamo per le stradine della periferia di Skys Hollow, che avevano tutte quel caratteristico olezzo di urina e quella patina di sudiciume umida e fumosa, cinerea, che avevi l'impressione ti restasse incollata addosso.
L'unico suono udibile erano i miei stivali che centravano tutte le pozzanghere sollevando collericamente schizzi. «Su, avanti... Non aggrottare così la fronte.» esordì Yul, allungando una mano per tastarmi dispettosamente lo spazio fra le sopracciglia. «Poi ti verranno le rughe e non potrai più vantarti del tuo bel visetto.» sghignazzò. Un suono che si esaurì molto presto, quando si accorse che io invece non ridevo.
Avevo perso tutta la verve frizzante che mi aveva pervaso grazie all'adrenalina, durante il nostro combattimento dentro al ring. «Avevi promesso.» sibilai, stringendo con furia i pugni. C'erano molti motivi per cui essere arrabbiato, ma lo ero talmente tanto che non riuscivo ad elencarli tutti. «Avevi promesso che non ci saresti più tornato!»
Vederlo rincasare livido, con un labbro spaccato o un'ombra viola sullo zigomo, faceva montare in me una tale furia che volevo catapultarmi al Covo e prenderli tutti a calci nel sedere.
Per un po' il rosso non disse nulla, gli stivali che continuarono a rumoreggiare contro il lastricato. Ci stavamo frettolosamente allontanando dai sobborghi e non avevamo più bisogno di guardarci le spalle: non ci saremmo stupiti se qualcuno del Covo avrebbe provato ad aggredirci per rubarci i soldi ottenuti dalle vincite.
«Non era esattamente una promessa.» commentò infine, esalando un leggero sospiro. «Ho solo detto mi ci sarei tenuto lontano per un po'... Senza definire quanto tempo.» Fece spallucce, con quel suo fare da sbruffone, mentre io gli dardeggiavo contro uno sguardo inceneritore.
«Non è passata neanche una settimana, idiota!» brontolai, stringendo i pugni.
«Insomma, qual è il problema del Covo?!» sbuffò, a voce un po' troppo alta, che risuonava come un rullare di tamburi nel silenzio della notte.
«Ne abbiamo già parlato!» Battei un piede a terra per via della frustrazione. Volevo afferrarlo per le spalle, scuoterlo e dargli due scappellotti perché si svegliasse. «E' un posto disgustoso. E soprattutto è un posto pericoloso. La gente lì è sleale e fuori di testa.»
Il rosso alzò gli occhi al cielo. «Abbiamo passato chissà quanti pericoli alle dipendenze di Alaister. Cazzo, Helias! Siamo assassini addestrati, non poppanti alle prime armi!»
Mi misi una mano fra i capelli, stringendo così forte che avrei potuto strapparmeli dal cuoio capelluto. «L'assassinio è completamente diverso. Ci appostiamo per ore, pianifichiamo tutto, agiamo nell'ombra e sappiamo vita, morte e miracoli del nostro obiettivo.» Schioccai le labbra. «Lo sai che è diverso.»
Si limitò a guardare la strada di fronte a sé con uno sguardo cupo, mentre i soldi nei sacchetti legati alla cintura continuavano a tintinnare. «Quegli scontri sono una passeggiata, comunque.» Si ficcò le mani in tasca. «E poi, abbiamo bisogno di soldi.»
«Soldi!» strepitai. «Ne abbiamo ancora abbastanza.» affermai, celando perfettamente l'insicurezza nella mia voce.
Non era vero. Era passato solo un mese e diminuivano ad una velocità disarmante. Molte delle comodità che godevo nella Fortezza, comodità che mi erano sembrate normali, quasi semplici dettagli sullo sfondo, erano dei problemi insormontabili nella vita di tutti i giorni.
Il cibo, se non si trattava di schifezze piene di grassi, veniva a costare cifre esorbitanti. I trasporti erano salati: pareva che le tariffe dei cocchieri fossero alte per via delle tasse imposte sulla circolazione nelle vie principali di Skys Hollow. Per non parlare della servitù: per cercare un lavoro, né io né Yul avevamo tempo per fare cose semplici come la spesa, pulire casa o lavarci i vestiti.
Erano tutte cose che avevo dato per ovvio, solo qualche mese prima, e che Alaister non aveva mai conteggiato nella lunga lista di debiti che ormai erano stati ripagati.
«Vorrei crederlo anche io, ma sono destinati a finire. E presto.» Yul mi richiamò alla realtà ed io deglutii di fronte a quella verità, nuda e cruda. «Perciò permettimi di continuare a combattere nei ring. Non siamo riusciti ad ottenere nessuna nuova missione... Il Covo potrebbe essere il nostro unico guadagno.»
Mi si strinse il cuore e mi si contorse lo stomaco dalla frustrazione. «No. Non voglio.» Ingoiai il groppo in gola, continuando a parlare prima che il mio compagno m'interrompesse. «Non è giusto. Se ci abbassassimo a frequentare postacci del genere, allora Alaister avrebbe vinto, dimostrandoci che possiamo dipendere solo da lui per avere una vita dignitosa.»
Scossi con forza la testa. Era perfino irritante dire ad alta voce quello che stavo pensando, ma sapevo che Yul mi avrebbe capito. «Ci meritiamo molto di più di lavoretti umilianti.» Molto più del Covo. «Troveremo occasioni migliori altrove.»
A quel punto, l'assassino si arrestò di colpo, quasi fulminato da un'illuminazione. «E se...» Mi toccò il polso, con delicatezza e un entusiasmo mal trattenuto. «... ce ne andassimo?» Battei le palpebre, confuso. «Se lasciassimo Skys Hollow?» Sentii la mascella cedere ma prima di restare a bocca aperta serrai i denti. «Esistono milioni di posti oltre la Capitale dove possiamo ricominciare.»
Non sapevo nemmeno io che cosa dire. Che cosa pensare.
Lasciare il posto dove ero nato? Dove avevo perso la mia bussola e, disorientato, avevo ritrovato la strada fra le cure del Re dell'Omicidio? Che cosa ne sarebbe stata della mia vendetta? Come avrei fatto a scoprire il mistero legato a mia madre e all'uomo che l'aveva uccisa?
Lasciare Skys Hollow... Potevo farlo davvero? E dove potevamo andare? Era un'assurdità.
Mi liberai dalla sua stretta. «Andiamo! Non c'è niente che ci trattenga qui!» sentii la sua voce - miele per le mie orecchie - riecheggiarmi alle spalle, mentre io restavo muto, salendo le scalette cigolanti di legno che conducevano verso la nostra casa.
Muto come una tomba, mi liberai velocemente dal mantello appesantito dall'umidità e dalla foschia notturna e ancora più rapidamente dagli stivali intrisi della sporcizia della periferia. Yul fece lo stesso, camminando scalzo verso la cucina, sicuramente affamato. Io invece mi diressi nel bagno, intenzionato a lavarmi per cancellare ogni granello di sangue e sabbia che potevano essermi rimasti addosso.
La nostra splendida vasca coi piedini di leone era dotata di un impianto ad acqua corrente, ero stato disposto a pagare un supplemento sufficiente per un luogo che avesse quella comodità. Una tecnologia simile esisteva soltanto a Skys Hollow: ovunque saremmo andati, avremmo dovuto rinunciare non solo all'acqua corrente, calda ogni volta che giravo la manopola. Ma ad un sacco di altre cose che la città poteva offrire.
L'unica cosa rassicurante era l'idea di potermi allontanare dal Castello del Re. Avevo sempre l'impressione che mi fissasse - quasi mi dicesse: conosco i tuoi sporchi segreti, conosco la tua identità, so chi hai ucciso e cosa hai fatto e ti troverò - e liberarmi da quel genere di peso poteva essere un sollievo.
Ma tutto il resto? Potevo abbandonarlo?
Stavo ancora rimuginando, a mollo nella vasca da bagno, quando Yul entrò silenziosamente dalla porta, tenendo fra le mani affusolate un piattino colmo di spicchi di mela. Il labbro inferiore era ancora gonfio e aveva un livido sulla guancia, per non parlare delle nocche scorticate, ma per il resto stava una favola. Era avvenente come al solito. Mi lasciai scivolare verso il fondo della vasca, coprendomi con la schiuma.
Yul addentò uno spicchio di mela e si sedette sul bordo, scrutando fuori dalla finestrella del bagno, che rivelava la distesa scintillante della capitale e il Palazzo dai vetri illuminati che troneggiava su tutto quanto.
«Allora, l'esito della mia difficile e complicata domanda è...?» chiese, una leggera nota d'ironia nel timbro vocale. Gli rivolsi un'occhiata imbronciata.
«Senti, hai fatto veloce a dire "lasciamo Skys Hollow".» mimai delle virgolette nell'aria. «Ma i trasferimenti sono dispendiosi. Non so nemmeno io dove potremmo andare, ma togliendo il denaro per il viaggio, dobbiamo trovarci una nuova casa. Questa non sarà facile da rivedere. E chissà quanto tempo ci servirà per trovare un nuovo lavoro!» Mi grattai la nuca insaponata. «Dovremmo ricominciare tutto da zero.»
Solo all'idea di dovermi ricostruire una fama, senza dover usare la reputazione di Sfavillo perché legata ad Alaister, mi faceva girare la testa. Ma ci stavo seriamente riflettendo.
«Se trovassimo un'ultima missione, ben pagata, quel che è necessario per lasciarci tutto alle spalle senza rimorsi...» Questa nuova casa, che non avevo nemmeno fatto in tempo a sentire mia prima di iniziare a riflettere sull'ipotesi di doverla già abbandonare. Se l'avessi saputo prima, non mi ci sarei impegnato poi così tanto ad arredarla. «Possiamo farcela. Possiamo trovare un ultimo incarico, in fondo io sono ancora Sfavillo. E tu... Sei tu.»
Yul mi lanciò un'occhiataccia e sul viso iniziò ad affiorare l'ombra di un sorrisetto. Senza volerlo, sogghignai. Poteva anche funzionare. «Al diavolo. Facciamo una follia: prepariamo le valigie e ce la svignamo. Domani o... O anche subito, diamine!» mi rimbeccò, cercando di infilarmi fastidiosamente uno spicchio di mela in bocca.
«Certo, facciamo fagotto e andiamo a vivere sotto ad un ponte, già che ci siamo.» brontolai, con sarcasmo. «Scemo... Ascolta il mio piano. Se rinunciamo a tutto qui, allora pretendo di avere i soldi per costruirci una vita degna altrove.» Era un punto su cui non avevo intenzione di transigere.
«Tutti questi se non mi piacciono per niente. Ce ne andiamo, missione o meno, non c'è altro da stabilire.» disse lui, perentorio.
Sentii la gola serrarsi. Afferrai bruscamente lo spicchio di mela che ancora combatteva per entrarmi in bocca, un gesto spasmodico che evidentemente Yul faceva per tenere a freno l'irritazione.
«Ah no?» inclinai la testa di lato, lanciandogli uno sguardo eloquente. «Lo sai anche tu che non possiamo andarcene lasciando le cose in sospeso con Alaister.» Quelle parole bruciavano come peperoncino sulla punta della lingua.
Gli occhi blu profondo di Yul lampeggiarono: collera, gelosia, perfino una punta di vittoria, come se finalmente avesse sentito ciò che non volevo ammettere. Che mi costava andarmene perché separarmi da Alaister significava tagliare per davvero il cordone ombelicale che ci legava. Ma ormai avevo scelto Yul e lui lo sapeva: non aveva più ragione di dubitarne.
«Lo so.» sibilò, digrignando la mascella. «Già adesso, se non troviamo una dannata missione, è per colpa sua, perché ha detto in giro di non avvicinarci. Ecco perché dobbiamo mettere quanta più distanza fra noi e lui.»
Scossi la testa. Lo sapeva molto bene anche lui: se volevamo ricominciare da qualche parte come uomini liberi, avevamo bisogno del benestare di quel bastardo. Tante volte, quando eravamo più giovani, eravamo stati mandati a dare la caccia agli elementi della Gilda che si erano rifiutati di pagare i contributi ad Alaister, oppure a chi semplicemente era scappato perché voleva lavorare in proprio.
Finiva sempre in maniera cruenta, per loro. E, anche se ero migliore di tutti loro, l'idea che mi dessero la caccia e che dovessi guardarmi le spalle per tutta la durata della mia esistenza non mi piaceva affatto. Non erano buoni presupposti per una nuova vita. D'altro canto, non volevo nemmeno essere ancora incatenato in quel sistema mafioso di continui pagamenti e di appartenenza, specie perché la libertà ce l'eravamo sudata così tanto.
«Dobbiamo, hai ragione. Ma non faremo i fuggitivi. Piuttosto, dobbiamo affrontare Alaister a viso aperto e lasciare la Gilda degli Assassini.» Il rosso mi lanciò uno sguardo esitante e torvo al tempo stesso. Eravamo gli elementi più validi fra i suoi sottoposti: ci avrebbe costretto a pagare una multa salata, nella migliore delle ipotesi. Altrimenti...
«Non mi inginocchierò per pregare quel sacco di merda di lasciarci andare.» grugnì, velenoso. Lo capivo perfettamente.
«Non accadrà. Non lo permetterei mai.» E quella era una certezza. «Lo affronteremo fra qualche giorno... Il prima possibile.» Via il cerotto, via il dolore.
Poi restai in silenzio, a mollo nell'acqua, ancora intontito da quel vortice di pensieri: abbandonare la mia odiata, amata Skys Hollow. Dimenticare le mie abitudini, i tetti smeraldo e rubino, i tramonti sul Tibor. Lasciare tutto e ricominciare.
Per Yul avrei potuto farlo.
Fiato caldo alle mie spalle mi strappò da quelle riflessioni interiori, solleticandomi il collo. Poi le braccia del ragazzo dagli occhi blu mi cinsero da dietro il corpo bagnato. Aveva fatto il giro della vasca e mi aveva teso un'imboscata.
«Voglio solo stare con te.» soffiò al mio orecchio. «Dove o come... Non ha importanza. Sei tu ciò che conta.» Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulla sua spalla.
«Hai ragione sul Covo, non dovevo andarci. Scusa.» mormorò sulla mia pelle, stampandomi un bacio sotto l'orecchio. Mi corse un fremito lungo la spina dorsale. Mi sfiorò il lobo con i denti e sentii un brivido elettrico percorrermi il corpo. Tornò a sedersi sul bordo della vasca, sporgendosi pur di riuscire a sfiorarmi le labbra.
«Un furbo di prima categoria, Pevensie... Usare i baci per convincermi a perdonarti! Non funzionerà.» riuscii a dire, proprio mentre la sua bocca si impadroniva della mia. Lui rise piano, accarezzandomi le labbra con il respiro caldo.
«Secondo me sì. Almeno un po'.» ridacchiò.
«Se metterai di nuovo piede in quel tugurio...» tentai di trovare una minaccia abbastanza persuasiva, mentre lui si manteneva ad un filo di distanza dalla mia bocca «... Non mi lascerò più neanche baciare!» Lo sentii sghignazzare, mentre mi lappava le labbra per spingermi a schiuderle.
«Allora non ci andrò mai più.»
Quindi smise di perdere altro tempo e insinuò la sua lingua nella mia bocca, che si aprì d'istinto, pronta ad accoglierla. Con una mano mi sfiorò la guancia, con l'altra si aggrappò al bordo della vasca. Il suo sapore, l'improbabile accoppiamento fra la menta e il caramello, mi accarezzò il palato. Gli afferrai il bavero della camicia e mi staccai per guardarlo.
«Sai, Yul» sul mio viso si dipinse un'espressione truffaldina. «hai decisamente bisogno di un bagno.» E lo trascinai nella vasca.
Buona parte dell'acqua si rovesciò sul pavimento di legno, graffiato e rovinato dal tempo. Yul risalì da un ammasso di sapone e i vestiti, ormai fradici, aderivano al suo corpo, lasciando intravedere i muscoli villosi. Ridacchiai e il rosso non poté che guardarmi con una smorfia, espressione che mutò ben presto in un sorriso malizioso.
«Ti sei appena scavato la fossa da solo.»
Si liberò della camicia e il suo corpo scolpito fu subito premuto contro il mio. Il contrasto di sensazioni ravvivò l'eccitazione che il brusco cambiamento di scena aveva parzialmente sopito.
«Probabile...» mormorai, una volta che ebbi recuperato abbastanza prontezza di spirito per formulare una frase di senso compiuto. Lui rispose ammiccando, con un bacio colmo di desiderio. Gli sfilai bruscamente i pantaloni, gesto che sembrava estremamente difficile nello spazio ristretto della vasca. Negli occhi di Yul lessi un desiderio tale da provocarmi una durissima erezione.
«Vedo che qualcuno è ansioso di ricevere attenzioni.» bisbigliò l'assassino dai lucidi capelli scarlatti. La mia faccia assunse la stessa sfumatura dei suoi capelli.
«Sta' zitto, assassino pervertito.»
La sua risata, un delizioso riecheggiare di suoni rochi, mi suonò nelle orecchie, mentre la sua mano destra scivolava su e giù lungo il mio membro eretto, strappandomi gemiti incontenibili. Il mio corpo ricordò subito la gioia di avere Yul premuto contro. Era un piacere insopprimibile.
«Fermo... Sto per venire..» lo misi in guardia con un altro gemito a fior di labbra.
Mi lasciò andare il membro, non senza un mio lamento, e si tolse l'ultimo indumento che lo copriva, restando finalmente nudo. Mi riempii la vista con la sua incredibile bellezza: dai capelli setosi color cremisi ai profondi occhi blu, dagli zigomi alti alle labbra carnose, dalle spalle larghe ai muscoli guizzanti. Era perfetto. Il desiderio per quel meraviglioso assassino mi si agitava dentro come un mare in tempesta. Per poco non gli saltai addosso, colto da un istinto la cui ferocia mi sorprese da solo.
Per aria risuonò la bassa risata di Yul, mentre cercava di destreggiarsi fra lo spazio stretto della vasca e le mie gambe. Infilò due mani sotto le mie ginocchia, aprendole.
«Non vedi l'ora, non è così?» La sua bocca tumida si aprì in un ghigno sornione.
«Oh, taci e datti una mossa!» esclamai, in un tono bizzarro fra il rimprovero, l'imbarazzo e il desiderio puro. Lui scosse la testa esasperato, cercando di trattenere le risa. Era bello anche quello, fra di noi: che fare l'amore fosse una specie di gioco e al tempo stesso una faccenda serissima.
«Agli ordini.» Si inumidì le labbra, poi si leccò due dita e le inserì all'interno del mio corpo snello, che si contorceva sotto il suo.
«Aaah!» gemetti, sollevando le gambe per facilitargli l'ingresso.
Colpito e affondato.
Yul sogghignò, ben sapendo che la sua espressione somigliava più ad un ghigno lupino che ad un sorriso rassicurante. Toccò di nuovo quel punto preciso che mi fece gemere ancora più forte.
«Smettila di tormentarmi... Entra.» mi lamentai, dimenando i fianchi. Avevo bisogno di sentirlo dentro. Di riempirmi di lui fino a perdere la testa.
«Lasciami fare Hel, lasciami fare.» soffiò.
Tolse le dita e le sostituì con la propria virilità, penetrando il mio corpo caldo e aperto sotto di lui, con una spinta lenta e costante. Sussultai e sfoderai a mia volta un sorriso di scherno.
«Non essere timido, caro.» ridacchiai, con un tono canzonatorio. Lui mi penetrò fino ai testicoli. Mi aggrappai all'orlo di ceramica della vasca.
«Non. Sono. Timido.» Ogni colpo dei suoi fianchi mi stimolava la prostata, facendomi urlare. «Voglio solo essere certo di essere il benvenuto.»
L'acqua intorno a noi sciabordava e schizzava tutto il bagno, producendo un rumore incredibile. L'attrito con il mio corpo era feroce.
«Vieni.» continuò, seguitando a martellarmi la prostata.
«Aah... Cazzo, Yul!» gridai, obbedendo all'istante e schizzando così forte che tutto il mio corpo tremò. Un attimo dopo Yul godette a sua volta: gettò la testa all'indietro, le labbra aperte in un silenzioso grido, il corpo scosso dai tremiti. Poi si lasciò cadere addosso a me, mentre l'acqua della vasca ci lambiva fino alle cosce. Dopo avermi abbracciato, strofinò il naso sul mio collo, stampandoci su un lieve bacio.
«Ti amo, Hel.» mormorò. Le sue labbra trovarono ancora una volta le mie e rimasi a lungo senza parlare.
Ma mentre eravamo lì, i nostri corpi intrecciati, c'era una domanda che non aveva ancora ricevuto risposta. Una domanda che ci assillava entrambi, che nessuno dei due osava pronunciare.
Alaister ci avrebbe lasciati andare?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top