2. L'Assassino e il ballo dell'Orchidea

*PRE-NDA *

La musica che vi consiglio di ascoltare per la lettura (sottofondo di tutto il ballo) è "Social Ball" di Takefumi Haketa.

***

Guardai la carrozza, torvo, reprimendo un istinto malevolo che mi spingeva a digrignare i denti e aggrottare la fronte. Respirai piano e profondamente, pur di distendere i lineamenti. Avevo tutto il tempo di uccidere il mio obiettivo, quella sera, piuttosto che il mio collega di lavoro. Salii per primo dopo il suo «Prima le signore!» e il mio tentativo mancato di tirargli un pugno sull'occhio, così che non potesse nemmeno presentarsi al ballo. Ignoralo, mi dissi, ignoralo.

Mi sedetti sul morbido velluto che rivestiva gli interni della carrozza, accarezzandolo distrattamente con la punta delle dita. Poco dopo entrò Yul, con un'espressione maledettamente soddisfatta sul viso mentre mi si sedeva di fronte, appoggiando un gomito al finestrino, completamente a suo agio nel nostro comune bisticciare.

«Parti!» urlò al cocchiere sporgendosi dal nostro lussuoso mezzo e subito si udì il rumore della frusta e un nitrito di protesta. La carrozza si avviò spedita verso la meta di quella serata. Lasciai andare un sospiro dalle labbra appena schiuse. Come mi ero cacciato in quella situazione? Frustrato, gli tirai un calcio allo stinco, non con tanta forza, ma abbastanza da sentirmi quasi soddisfatto. Il rosso era l'ultima persona con cui desideravo dividere una fetta della mia gloria: gli mancava poco per raggiungermi e non l'avrebbe fatto grazie alle mie vittorie.

«Ehi!» strillò, massaggiandosi la gamba. Colto di sorpresa, mi scoccò uno sguardo accigliato. «Ma che ti prende?!» domandò, mentre sollevava un sopracciglio rosso con un misto di confusione ed esasperazione. Alzai le spalle, guardando fuori dalla finestra per mascherare la mia espressione divertita, un po' sadica forse.

«Niente, mi davi fastidio e l'ho fatto.» replicai imperturbabile, guardando con disinteresse il paesaggio che scorreva e si susseguiva, che fuori dalle mura di Skys Hollow aveva assunto l'aspetto di un'elegante campagna curata in ogni siepe che costeggiava il sentiero battuto. Per tutta risposta, alzò anche l'altro sopracciglio e scosse la testa, ridendo appena.

«Sei davvero infantile, Helias.» continuò a scuoterla come se fosse capace di fare soltanto quello. Spostai lo sguardo su di lui con un'aria piccata, non tanto per la frase - poiché sapevo che, in fondo, aveva un briciolo di ragione -, piuttosto per la conclusione di essa. Chi gli aveva dato il permesso di chiamarmi col mio vero nome?

«Valentine.» sibilai, sperando di essere sufficientemente chiaro. «Per te sono solo Valentine.» ripetei, velenoso. Per un attimo, così sfuggente e fulmineo che credetti di averlo soltanto immaginato, mi sembrò ferito. Ma poi alzò le mani in segno di resa.

«D' accordo, Valentine.» rispose, soffermandosi sul nome con un tono canzonatorio. Lo fulminai con gli occhi.

«Pensiamo piuttosto al lavoro.» Potevo essere anche infantile quanto voleva, ma quando c'era una missione in corso, nulla poteva distrarmi. Non c'era da scherzare con le vite e con le morti. «Cosa sappiamo del Visconte Callum Maclintyre?» domandai, ed allora anche il suo viso si fece serio in brevi attimi.

«Ha trent'anni, gli piacciono le feste, l'alcol, il sesso... Tutte cose piuttosto ordinarie in un nobile viziato.» elencò inutilmente Yul. Dentro di me nascosi un sorriso furbo: erano informazioni scontate, ma potevano rivelarsi utili nel momento del bisogno. Non che l'altro sicario avesse bisogno di saperlo.

«Altro? Nulla di sospetto?» chiesi. Ci doveva essere sicuramente qualcosa.

«Ad ogni festa fa una nuova conquista, che trascina lontano da occhi indiscreti per appartarsi. E indovina? In tarda notte ritorna sempre da solo.» rifletté lui, esponendo le informazioni che era riuscito a raccogliere dai suoi contatti o che aveva letto dai fascicoli di Alaister, al contrario di me. «Parecchi testimoni dichiarano di averlo visto con alcune delle ragazze scomparse. Potrebbe trattarsi di un corteggiamento concluso senza successo, ma...» non finì la frase, restando con una mano ferma sul mento.

Ma, era ovvio che il colpevole fosse il visconte. Allora perché nessuno l'aveva mai denunciato? Perché non avevano mai pensato che fosse l'assassino di quelle ragazze? Qualcosa non quadrava. Ingaggiare un paio di assassini esperti ed altamente pericolosi sembrava estremo per un semplice nobile un po' psicopatico. Non sarebbe stato più semplice dire tutto alle guardie reali? Io ero fatto per uccidere, non per investigare.

«Sei bellissimo stasera.» disse Yul, all'improvviso, strappandomi completamente dai miei pensieri. Il complimento, se in un primo momento mi aveva portato a strabuzzare gli occhi, dopo mi imporporò le guance, ma cercai di nasconderlo il più possibile.

Effettivamente, mi ero vestito come un principe per la serata, un po' per il mio obiettivo di sedurre il visconte pur di carpirgli informazioni, un po' per la mia natura vanitosa. Al di sopra della camicia bianca indossavo un panciotto celeste polvere con un motivo ad ali dorato, assieme a dei pantaloni aderenti di seta panna, con una lunga fila di bottoncini d'avorio sulle cuciture laterali. Infine, portavo degli alti stivali neri laccati con la punta d' acciaio bagnata nell'oro. Quell'abito era stato meticolosamente confezionato dal mio sarto e non ostentare la sua bellezza sarebbe stato un sacrilegio.

Yul invece, al di sopra della camicia in seta indossava una marsina blu notte con rifiniture in broccato argento; al collo, volant di seta partivano dall'alto per concludersi sul petto. I pantaloni aderenti, dello stesso oltremare scuro e profondo dei suoi occhi, gli fasciavano le gambe mettendo in evidenza i muscoli guizzanti; infine, ai piedi portava delle scarpe da ballo con una fibbia d'argento. Aveva curato anche i suoi capelli rosso sangue, portandoli all'indietro con un po' di gel sul lato sinistro del volto e lasciandoli lisci e setosi sul destro. E il colore dei suoi vestiti si abbinava in modo impeccabile a quello splendente ed ipnotico dei suoi occhi, vestendo alla perfezione il suo corpo scolpito. Era bellissimo anche lui, ma non gliel'avrei detto neanche per tutto l'oro di Darlan.

Alzai il mento, senza degnarlo d'uno sguardo. Sicuramente mi stava prendendo ancora una volta in giro. «Logico, come potrei non esserlo?» gli rivolsi un ghigno altezzoso e lui increspò le labbra in un sorrisetto indispettito, mettendo in mostra quelle seducenti e dispettose fossette, che sembravano prendersi deliziosamente gioco di me. Poi fece qualcosa che non mi sarei mai aspettato.

Si alzò dalla poltroncina della carrozza sporgendosi verso di me, afferrò il bavero della mia camicia con uno strattone e mi baciò. Dapprima sentii solo le sue labbra calde sulle mie, poi i suoi denti incominciarono a mordicchiarmi. Spalancai gli occhi, inizialmente scioccato, ma dopo, come se non rispondessi al mio corpo, mi allungai verso di lui schiudendo le labbra.

Non era mai successa una cosa del genere, non si era mai spinto così oltre. Spesso stavamo vicini, i nostri corpi caldi ruzzolavano nella palestra d'addestramento della Fortezza quando lo picchiavo a sangue, il suo viso si faceva rasente al mio mentre mi sibilava di non sentire niente, di dover combatterlo con più vigore, e il suo fiato mi solleticava le labbra. Niente di tutto questo sarebbe dovuto succedere.

Eppure, desideravo improvvisamente di più. La sua lingua si insinuò nella bocca, accarezzando la mia, e subito percepii un fresco sapore di menta e stranamente anche di caramello. Un brivido di piacere mi percorse la schiena. In quel momento si staccò. Bofonchiai un lamento, mentre Yul mi sorrise beffardo. Accorgendomi solo allora di ciò che era successo, ma soprattutto di come il mio corpo aveva risposto, digrignai i denti, arrossendo fino alla punta delle orecchie.

«Ma che diavolo fai?» biascicai con la lingua ancora intorpidita, infuriato e allo stesso tempo imbarazzato. Lui alzò le spalle, scostandosi una ciocca di capelli vermiglio davanti agli occhi.

«Niente, mi davi fastidio e l'ho fatto.» sghignazzò. Tremai di rabbia: il bastardo usava le mie stesse parole contro di me. Prima di poter dire qualsiasi cosa per vendicarmi, la carrozza si fermò e ci ritrovammo davanti alla tenuta del Visconte, pronti per la nostra missione.

***

Consegnammo i nostri inviti alle guardie situate all'ingresso principale ed entrammo nella tenuta. La prima cosa che mi colpì fu il profumo intenso di orchidee, che mi punse con violenza l'olfatto: se non fosse stato così concentrato, sarebbe stato perfino piacevole. Yul la pensò come me, perché storse il naso guardandosi intorno.

La musica dell'orchestra, invece, era meravigliosa. Aveva qualcosa di inquietante, ma i violini sembravano incitarmi a buttarmi nelle danze, i violoncelli conferivano all'ambiente quell'atmosfera aristocratica e i flauti aggiungevano quell'eleganza spiccata che si intonava alla tenuta del visconte.

Dopo aver consegnato i mantelli e i bastoni da passeggio alla servitù, facemmo il nostro ingresso nella gigantesca sala da ballo. Mi brillarono gli occhi appena lo splendore della stanza mi avvolse. I pavimenti erano ricoperti di parquet talmente lucido da riuscire a riflettere il soffitto. I muri erano decorati da pannelli di marmo con rifiniture e ghirigori dorati, e si aprivano in volte altissime, tappezzate da affreschi raffiguranti angeli, nuvole, natura, dee prorompenti e scene di caccia. Cinque file di lampadari a bracci di finissimo cristallo illuminavano la stanza reggendo decine e decine di candele bianche.

Agli angoli della sala si ergevano statue di fanciulle d'oro che sorreggevano altri candelabri, e poi vasi, anfore ed immense fioriere di orchidee bianche che spargevano ovunque quell'esagerato profumo. A concludere quel paradiso per gli occhi vi erano i lunghi tavoli ben coperti da tovaglie di candido pizzo, dove erano esibiti un tripudio di stuzzichini al caviale e tartufo, piramidi di bignè e fontane di succhi di frutta, vino, calici pieni di champagne frizzante.

Trattenni a stento un'esclamazione di pura meraviglia. Ma poi il mio entusiasmo sparì con la stessa velocità con cui era arrivato, ricordandomi il perché mi trovassi lì. Il mio sguardo guizzò alla ricerca delle uscite. Constatai immediatamente che quelle non erano un problema, dato che la sala era completamente tappezzata da porte-finestre a vetri che s'affacciavano sul terrazzo e sull'immenso giardino. Contai il numero di guardie: due all'ingresso della sala, quattro nascoste dietro l'orchestra ed una ad ogni angolo della stanza. Dieci in tutto.

Immediatamente, uno stormo di oche starnazzanti ci piombarono addosso, circondando Yul, inondandolo di saluti e complimenti. «Lord Cain!» e «Siete incantevole stasera!» o ancora «Era da troppo tempo che non partecipavate ad un ballo, ci siete mancato! » ed infine «Ballerà con noi?» Ed ecco che la maggior parte tentava di mettersi in mostra il seno, che già non faceva fatica a strabuzzare dalle scollature profonde: i temibili corsetti facevano il resto del lavoro. Qualcuna gli fece l'occhiolino. Alzai gli occhi al cielo, trattenendo una smorfia di stizza.

«Oh, Lord Valentine, non l' avevamo vista!» Ci credevo a stento. «Anche voi siete molto bello stasera!» Anche voi. Come se io fossi la seconda scelta. Mentre loro ritornavano a dedicarsi a Yul - o meglio, Lord Cain - trascinandolo verso la pista da ballo, io le fulminai con lo sguardo svariate volte. Lui si fece portar via, impotente, lanciandomi un'ultima occhiata esasperata che brillava di blu.

Sospirai, infilandomi una tartina al caviale nero in bocca. Una buona metà delle donne mi avrebbe ritenuto un partito perfetto sotto ogni punto di vista, ma l'altra metà, fra cui anche e soprattutto le fan di Yul, mi odiava. Con i miei lineamenti dolci che suggerivano qualcosa di femmineo, immaginavo che dovessero vedermi come un potenziale nemico. Che sciocche. Sentii un fruscio di gonne alle mie spalle, segno che qualcuno si stava avvicinando. Mi voltai, sorseggiando del vino rosso in un calice di cristallo. Una ragazza mora mi fece un'ampia riverenza, alla quale risposi con un lieve cenno del capo a mo' di inchino.

«Era da molto tempo che non vi incontravo, Lord Valentine.» cinguettò, sbattendo le ciglia. «come sta vostro padre?» chiese, ostentando la sua ipocrita cortesia. Dovevo già averla incontrata in qualche ballo precedentemente, eppure non ne conservavo il minimo ricordo. Non che fosse brutta o sgraziata, anzi, ma non avevo il minimo interesse per le donne, specialmente il carattere di quella dama si poteva paragonare alla piattezza di un tavolo. Alzai gli angoli della bocca in un cortese e fintissimo sorriso.

«Oh bene, ultimamente i suoi affari vanno a gonfie vele. Di recente, ha perfino scoperto una miniera d'oro in un territorio non lontano dal regno di Darlan!» spiegai, entusiasta del mio immaginario padre. Era incredibile quanto fossi bravo ad inventare falsità sul momento, le bugie mi venivano facili. Sorseggiai dell'altro vino, sperando che la tipa sparisse in fretta.

«Ma davvero? Incredibile!» Si mise una mano sulla bocca e incominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli scuri attorno alle dita guantate, in un gesto che doveva pensare potesse essere seducente. «Allora, quando pensate di invitarmi a ballare?» Dritta al punto.

«Ma non avete un carnet da rispettare?» Simulai un'espressione preoccupata. «Non vorrei provocare qualche brutto disguido...» Per una volta ringraziai una stupida invenzione come il carnet: una lady stilava la scaletta di tutti i lord che desideravano ballare con lei, pur di non causare scontri e di renderli infelici. A quel punto ero salvo, dal momento che non avevo mai prenotato un ballo con la tizia di fronte a me.

Lei ridacchiò, posando una mano sul mio braccio. «Infatti voi siete in cima alla lista!» E rise in un modo che mi fece venir voglia di tapparle la bocca con un quintale di tartine al caviale. Strinsi il bicchiere con eccessiva forza.

«Ecco...» pensai ad una scusa adatta, poi ricordai della mia falsa identità: io ero un nobile, ed in quanto tale non potevo azzardarmi a rifiutare un ballo. Mi trattenni a stento dallo sbuffare «Allora non ci resta altro che iniziare le danze!» risposi, con un sorriso suadente ma la voce resa stridula dal fastidio, poi le presi delicatamente la mano, che in realtà desideravo stringere in una morsa omicida. Lei invece mi sorrise euforica.

Ci mescolammo fra folla, in mezzo a gonne colorate e stivali lucenti, gioielli sfarzosi e acconciature ingellate e, ben presto, ci ritrovammo in una quadriglia. Quando alzai lo sguardo di fronte a me ritrovai Yul a fissarmi con un sorriso beffardo. La serata andava di male in peggio e non ero ancora riuscito ad individuare il mio obiettivo.

Gli rivolsi uno sguardo d'avvertimento sebbene servisse a poco, perché mi accorsi che il rosso era immerso in un'animata discussione con l'oca bionda al suo fianco e, mentre rideva senza staccarle gli occhi di dosso, la dama gli strofinava il seno prosperoso contro il braccio. Ero sicuro che se avesse spiaccicato ancora per un po' il seno su di lui, le sarebbe saltato fuori dalla scollatura.

La musica si fece più forte, annunciando l'inizio del ballo. Passai prima alla dama al mio fianco, poi a quella di fronte, dopo a quella laterale, e ancora a quella accanto a me. Io e Yul eravamo i più bravi: aggraziati e agili come delle gazzelle, nascondevamo davanti a quegli stolti nobili la nostra identità da assassini.

***

Sfinito, mi sottrassi alle danze con la scusa di aver bisogno d'aria, nascondendomi nel terrazzo e sperando che la mora impicciona non riuscisse più a trovarmi. Rimasi per un po' a fissare il giardino che si estendeva ampio di fronte a me, con le sue vistose fontane di pietra e sculture dinamiche di animali intagliati nelle siepi. Soltanto per un attimo, per qualche secondo improvviso, il mio istinto d'assassino si svegliò, segnalandomi l'incombere di un pericolo.

Avvertii il peso di uno sguardo sulle spalle, tanto intenso che mi diede l'impressione che qualcuno stesse scavando nel profondo della mia anima. Mi voltai su me stesso, fulmineo, ma la folla era troppo fitta e confusionaria e non riuscii ad individuare nessuno di sospetto. Ritornai a volgere lo sguardo distratto verso il rigoglioso giardino. Non ero neppure riuscito a trovare il visconte. Sospirai. Accigliato, mi accorsi che stavo sospirando troppe volte ultimamente.

Ritornai col pensiero a quell'uomo: stando alle descrizioni doveva essere biondo e alto, caratterizzato da un paio d'occhi scuri e un bell'aspetto che gli perdonava molte nefandezze. A distogliermi dai miei pensieri però, fu un guizzo bianco fra i cespugli dell'immenso labirinto di rose viola, probabilmente dipinte, a meno che non fossero state magiche, cosa improbabile visto che il Re aveva bandito qualsiasi piccola magia nel regno. Aguzzai la vista, ma non riuscii a capire di cosa si trattasse. Sparì in un attimo. Scesi dalle scale di pietra del terrazzo, troppo incuriosito per non andare a vedere.

La brezza notturna mi accarezzò le guance, scostandomi dolcemente i capelli dal viso. La musica trionfante divenne solo un sottofondo, lasciando il posto ai versi delle cicale e al sibilo del vento. Sentii la morbidezza dell' erba e del terriccio fresco d'annaffiatura sotto la suola degli stivali. Percorsi a grandi passi il giardino fino all'entrata del labirinto, lasciandomi inondare dalla dolce fragranza di rose, molto più gradevole di quella eccessiva delle orchidee. Man man che procedevo, la luce diventava sempre più fioca. Svoltai per almeno tre volte, superando file di cespugli tutti uguali. Mi arrestai, riflettendo sul rischio di perdermi per una sciocchezza, al punto da voltarmi deciso a tornare indietro.

Proprio in quell'istante, qualcuno sbatté violentemente contro la mia schiena. Sussultai.

Era una ragazza. Indossava soltanto una sottoveste lurida e sdrucita che un tempo doveva essere bianca. Oltre i capelli sporchi e scarmigliati, c'era quel genere di disperazione che un tempo avevo conosciuto perfettamente: riempita di lividi e dalla magrezza preoccupante, era l'immagine stessa della fame. Rimasi per un attimo pietrificato, ma lei mi afferrò prontamente e con furia per le braccia.

«Ti prego, aiutami!» esordì in preda al panico, quasi gridando, mentre mi strattonava scossa da tremori convulsi. Rimasi a bocca aperta. Mi occorsero una buona manciata di secondi per riconoscerla sotto a quella coltre di sporcizia. Prima che potessi intervenire, udii un fruscio nel buio di fronte a noi. La ragazza sobbalzò e trattenne a stento un urlo con le lacrime che le rigavano la faccia, lasciando lunghe tracce nella sporcizia. Poi, con la stessa velocità silenziosa con cui era arrivata, fuggì come se avesse il diavolo alle calcagna.

«Aspetta!» mi sgolai, vedendola svoltare all'angolo cespuglioso del labirinto, troppo in fretta rispetto alla mia maturata decisione di rincorrerla col rischio di perdermi nel cuore del giardino. Ormai, era già sparita.

Occhieggai verso il punto dove entrambi avevamo sentito il fruscio che ci aveva allarmati, ma anche lì non c'era anima viva. Con una sensazione pensante sullo stomaco, mi chiesi cosa potesse averla spaventata tanto da farla scappare con tutta quella fretta. Un'informazione chiara però ce l'avevo. Dovevo immediatamente trovare Yul e dirgli tutto, perché quella non era una ragazza qualunque.

Era una delle scomparse.

***

Man mano che i passi si susseguivano verso la tenuta e la musica ricominciava ad essere udibile, mi sforzai di riprendere il mio contegno, tornando nelle vesti del figlio di un marchese. Salii le scale con le spalle dritte e il mento sollevato, nel tipico temperamento borioso di ogni nobile. Poi, finalmente sul terrazzo, allungai la vista nel groviglio di lady e lord elegantemente vestiti, di danze sfrenate e di servitori indaffarati. Rientrai nella sala e l'armonia di archi tornò ad esplodermi nelle orecchie. Dove si era cacciato Yul proprio quando mi serviva?

Mi avvicinai ad una corpulenta donna di mezz'età con troppo trucco e troppe piume fra i capelli, cercando di scostarla dalla visuale, ma improvvisamente qualcuno dietro di me mi cinse il polso, facendomi ruotare verso di lui con un ondeggiare di boccoli biondi.

«Yu...» le parole mi morirono sulle labbra. Davanti a me si ergeva un uomo alto e snello, con lisci capelli giallo canarino e occhi corvini come il carbone. Indossava vestiti completamente neri, perfino la camicia di seta e il fazzoletto intorno al collo, eccetto per una spilla appuntata su di esso, caratterizzata da un brillante rubino rosso, più grosso dell'unghia di un pollice. Non era bello come il Re degli Assassini o Yul, ma possedeva il fascino di un uomo ricco ed interessante. Lo riconobbi all'istante. «Visconte Maclintyre!» esclamai in un tono compiaciuto, inchinandomi decisamente di più rispetto a come avevo fatto con la brunetta ore prima.

Per una volta, in quella serata, le cose cominciavano ad andare per il verso giusto. Anzi, molto meglio di così: non ero stato io a cacciare la preda, era stata la preda a venire dritta verso di me. Nascosi un ghigno soddisfatto per sostituirlo con un sorriso gentile e cortese. Gli occhi del visconte lampeggiarono di una strana luce mentre si avvicinava pericolosamente.

«Buonasera, fiorellino.» Mi prese il mento con una mano, in modo da incrociare i nostri sguardi tenendomi il viso sollevato. «Non ho mai visto nessuno con questi splendidi occhi.» sussurrò, ad una distanza eccessivamente ravvicinata. In quel momento mi sentii più io la preda. Scostai la sua mano con un gesto molto delicato, rifuggendo ai suoi occhi d'ebano. Mi tamburellai una mano sulla guancia.

«Così mi mettete in imbarazzo.» mormorai, con lo sguardo basso e le labbra tremule. Presi a torturarmi le mani, con fare impacciato. Lo sentii divorarmi con lo sguardo. Era difficile trattenermi dallo sghignazzare compiaciuto. Sapevo di essere un ottimo attore e sapevo anche come funzionava con i tipi come il visconte: più facevo il timido e più quelli si eccitavano. Mi afferrò la mano trascinandomi verso un angolo nascosto del terrazzo, ed io mi aggrappai a lui. Quando mi sbatté contro il muro così bruscamente che dovetti trattere a stento un lamento, allungò le braccia accanto al mio corpo, tenendomi inchiodato alla parete.

«Vi ho guardato da quando siete entrato nella sala.» sibilò, vicino al mio orecchio, facendomi venire la pelle d'oca. «Non vi ho perso neanche per un momento.» Si avvicinò alla mia bocca. Velocemente fermai le sue intenzioni mettendogli due dita sulle labbra, facendo scorrere lo sguardo verso il basso, in una mossa intimorita.

«Qualcuno potrebbe vederci...» sussurrai e come mi aspettavo, invece che fermarlo, ottenni la reazione opposta. Mi afferrò la mano ed iniziò lentamente a leccarmi le dita lungo tutta la loro lunghezza, con un fare provocatorio che quasi riuscì a strapparmi gemito. Dopo, intrecciò le sue dita alle mie, sbattendo le nostre mani sul muro ed impedendomi in quel modo di fuggire.

«Perdonatemi, ma devo avere le vostre labbra.» sibilò, guardandomi dritto negli occhi. I suoi brillarono famelici, prima di gettarsi su di me. Si impadronì della mia bocca e il suo sapore, di vino e qualcosa di salato, mi si diffuse in bocca. Aprii le labbra, mentre sentivo la sua lingua esplorarmi la bocca, sempre più voracemente. Sapevo di dovergli chiedere delle ragazze scomparse e di cosa ne pensava, ma non ci riuscii. Mi baciò in maniera tanto violenta che sbattei la testa contro il muro e mi morsi la lingua.

«Mi fate male..» biascicai mentre mi baciava ancora, ed io mi sentivo graffiare dal residuo della sua barba appena tagliata. Finalmente mi liberò le mani, solo perché le sue mi afferrarono il fondoschiena, strattonandolo fino a quando il mio corpo non arrivò contro il suo.

Completamente attaccato a lui, sentii la sua durezza premere contro il cavallo dei miei pantaloni, palesando il desiderio che ero riuscito a suscitargli. Affondai le mani nei suoi capelli, facendo finta di provare le sue stesse sensazioni, quando non volevo altro che la smettesse.

Ci staccammo solo un secondo per riprendere fiato, poi il visconte si spostò sul mio orecchio ed iniziò a leccarne il lobo, cosa che mi provocò inaspettati brividi di piacere. Ansimai, come dopo una delle corse prive di pause che mi faceva fare il Re con gli Assassini. Ancora, dedicò la sua attenzione al mio collo, mordicchiandolo e leccandolo lascivamente, con l'intenzione di lasciare un segno evidente sulla pelle. Il desiderio suscitato da quelle attenzioni, forse non per quell'uomo ma più per la situazione stessa, mi attraversò come una scarica elettrica.

Improvvisamente, la voce stridula di una donna sulla soglia del terrazzo attirò la nostra attenzione. Fulminei, ci staccammo in un attimo. Grazie a Dio. Mi risistemai i capelli e il bavero della camicia, asciugandomi le labbra col dorso della mano.

«Visconte Callum?! Dove vi siete cacciato?!» sbottò una ragazza che usciva dalla sala da ballo. Quando fu fuori, finalmente ci scorse accanto alla porta-finestra. Il Visconte mi lanciò un'occhiata carica di desiderio, ma quando guardò la ragazza mutò in una neutra espressione scocciata. «Vi state nascondendo per caso?! Non mi avete forse promesso un ballo?!» esclamò risentita, stringendo in un pugno i lembi delle gonne. Incredibile, era la stessa oca bionda che ballava con Yul! Mi rivolse uno sguardo sospettoso: ed eccola in modalità nemica. Le mostrai un sorriso gentile.

«Vi lascio soli.» Mi piegai in un lieve inchino e me la svignai. Il Visconte sembrò tentato dalla possibilità di fermarmi, ma poi rinunciò seguendomi con uno sguardo vorace.

Appena rientrai nella sala, dopo uno sgomitare fra crinoline e parrucconi, sbattei dritto sul petto solido di qualcuno che mi era piuttosto familiare. Alzai lo sguardo. «Yul!» esclamai, sospirando. Perché quando lo cercavo era impossibile da trovare e quando non lo volevo davanti, eccolo che spuntava? Mi afferrò un polso con forza e per un attimo mi sembrò eccessivamente arrabbiato.

«Che stavi facendo? Chi era quello?» chiese, stringendo la presa. Strattonai il braccio e lui mi lasciò andare, sorpreso del suo stesso gesto. Poteva avermi visto con il Visconte? Be', la petulante bionda non era tipa da arrivare da sola.

«Ma che ti importa, ritorna dalle tue ammiratrici!» risposi, con un tono aspro e scocciato. «E poi quello è il nostro obiettivo, se ti fossi informato e io» sottolineai, sentendomi all'improvviso infastidito dalla sua inspiegabile aggressività «stavo cercando di strappargli informazioni!» conclusi, tutto d'un fiato. Mentre lui si divertiva, io invece facevo il lavoro di entrambi.

Yul rimase in silenzio per qualche minuto, come a cercare una risposta adatta. Poi incrociò le braccia, cupo. «Già, strappargli informazioni facendo ottimo uso della bocca!» ribatté, con tono accusatorio. Sembrava sempre più furioso.

«Ma che cosa vuoi da me?! Certe volte mi sembri geloso!» sbottai. Lui rimase in silenzio. La musica ci sovrastò per quelli che mi sembrarono minuti interminabili, portandomi ad aggrottare le sopracciglia. Non era possibile.

«Lord Cain!» strillò l'oca bionda, interrompendo qualsiasi nostra futura discussione. Arrivò come una furia e si fiondò sul braccio di Yul, facendo ben attenzione a sbattergli addosso il davanzale. Rivolse un'occhiataccia speciale solo per me e poi alzò il mento, impettita. «Andiamocene!» sbraitò, mentre il visconte ci raggiungeva e ne approfittava per posarmi una mano sulla schiena.

«Perché non ce ne andiamo anche noi in un posto più appartato?» mi sussurrò all'orecchio con la voce arrochita dal desiderio, ma abbastanza forte perché anche gli altri due ci sentissero. Mi feci guidare, voltando le spalle a Yul e alla sua simpatica accompagnatrice. La mano del Visconte tracciò ampi cerchi sulla mia schiena, fino ad arrivare sul mio didietro, posando una mano lì dove non avrebbe dovuto e lasciandola fermamente in quel punto.

In quel momento, il mio istinto d'assassino si risvegliò e segnalò un intento omicida alle mie spalle. Voltai appena la testa, incontrando lo sguardo furibondo del rosso, gli occhi blu riempiti di collera. La bionda invece era troppo impegnata a stringersi a lui e non se ne accorse neppure. Infastidito, gli rivolsi un ghigno lanciandogli un occhiolino perfido da sopra alla spalla, prima di girare completamente sui tacchi: quella sera la vittoria sarebbe stata mia, non sua.

Il visconte mi guidò fino ad una porticina nascosta sotto l'enorme scalone di marmo al centro della sala da ballo. Probabilmente l'ingresso nascosto di una saletta di servizio, ben celato dietro ad una composizione di vasi ed orchidee. La stanzetta in cui entrammo era decisamente angusta, anzi, quasi claustrofobica. A peggiorare la situazione c'erano le pareti tinteggiate di scuro, mentre l' unica fonte di luce era una piccola candela quasi del tutto consumata, abbandonata in un angolo della stanza. Niente mobili, niente finestrelle.

Che ci faceva una stanza del genere in un'opulenta tenuta nobiliare?

Il mio istinto non aveva neanche bisogno di risvegliarsi per gridarmi un allarme, manifestandosi con un leggero pulsare alle tempie. Tutto però scomparve quando il Visconte si rituffò sulle mie labbra e il desiderio si fece strada più nella sua, che nella mia mente. Ma finsi, ansimai, mentre lui mi strappava di dosso il panciotto e mi sollevava la camicia rapidamente. Rimasi a torso nudo.

Sentii subito il calore del suo fiato sul petto e la sensazione umida della sua lingua che vagava sulla gola, disegnando scie bagnate costellate di baci fino al petto. Quando giunse ai miei capezzoli, inarcai la schiena: incominciò a mordicchiarli e a risucchiarli fra le labbra quasi fossero grappoli d'uva, con così tanta intensità che sperava perdessi la testa.

Ma io dovevo restare concentrato, dovevo sapere il suo coinvolgimento con le ragazze scomparse. «Aspet...» biascicai. Poi improvvisamente, sentii un odore strano nell'aria, diverso. Il visconte si alzò dal mio petto e mi accolse le guance fra i palmi delle mani.

«Mi dispiace tesoro.» mormorò lui. L'odore si diffuse con una rapidità incredibile, disperdendosi nelle ristrette quattro pareti che mi circondavano. Il puzzo richiamava il mughetto ma c'era chiaramente qualcosa di artificiale e chimico a guastarlo. «Peccato.»

Si coprì la bocca e il naso con un fazzoletto bagnato. «Io ti volevo tutto per me...» Improvvisamente capii cos'era. E capii anche che era troppo tardi. «...ma Loro non me l'hanno permesso.» Oh, merda.

Era gas velenoso.

Crollai a terra e tutto divenne nero.


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