18. L'Assassino e la festa d'estate - p.2


Sentii il peso dello sguardo blu notte di Yul sulla schiena, mentre i miei passi incombevano sempre più vicino al divano di velluto dove il nostro obiettivo stava stravaccato in cerca d'attenzioni. Gli occhi dei quattro cortigiani mi individuarono ancora prima che lo facessero quelli di Joseph Martin, lanciandomi uno sguardo inceneritore che stava per "non pensare neanche di avvicinarti".

Invece fu esattamente ciò che feci, dimenticandomi che l'assassino dai rossi capelli mi stava scandagliando, dimenticando che io stesso fossi un sicario, per immergermi nel ruolo del pudico e amabile nobile, di famiglia marchese. Fiancheggiai leggermente, un movimento sinuoso e appena percettibile che doveva esser dettato da un'educazione nel portamento, ma che mi faceva apparire in qualche modo... Appetitoso.

Di sicuro avrei sollecitato l'appetito di quel maiale tracotante, che mi guardava con alterigia e al contempo lussuria facendo arieggiare il calice di champagne sotto al naso, mentre l'altra mano era arpionata sulla natica di una cortigiana.

«I miei ossequi, signor Martin.» cinguettai, profondendomi in un pomposo inchino e ringraziando che i segni di strangolamento fossero ormai guariti: sul mio collo non restava che una leggera ombra giallastra, invisibile sotto le luci della sala da ballo. Il motivo era che avevo appositamente evitato di indossare un fazzoletto intorno al collo e i primi bottoni della camicia erano aperti, sbottonati abbastanza per offrire uno scorcio della mia pelle e del mio petto mentre restavo inclinato in avanti.

Indugiai abbastanza perché potesse guardare, prima di raddrizzarmi con un sorriso timido. Non ero affatto svestito, al contrario dei cortigiani che lo circondavano, ma molto spesso era meglio celare che scoprire per attizzare il desiderio. E capii di esserci riuscito quando svuotò il bicchiere in un sol colpo, lo liquidò al cortigiano ai suoi piedi e con la mano libera mi tirò per un passante dei pantaloni, avvicinandomi a lui. Ero certo che se non avesse già avuto una cortigiana in grembo, ci sarei stato io sulle sue ginocchia.

«Posso fare qualcosa per voi?» gongolò, gli occhi scuri insistenti su di me, quasi sperassero di sentirmi chiedergli di levarmi i vestiti. Aprii le labbra in un sorriso raggiante, il sorriso di una groupie come potevano esserlo le tizie che ronzavano intorno a Lord Cain, cioè Yul.

«Appena ho sentito che il signor Joseph Martin era presente alla festa, ho capito che non avrei potuto assolutamente perdere quest'occasione.» esclamai, mentre la sua guardia mi scrutava con un misto di durezza e di indifferenza, diversamente dai cortigiani, che mi guardavano con aperta ostilità.

Avrei fatto loro un occhiolino, giusto per ripicca, ma non osai scivolare fuori dalla parte. «Sapete, mio padre desiderava davvero fare la vostra conoscenza, ma purtroppo stasera è malato.» Aggrottai la fronte, appoggiandomi drammaticamente una mano sul petto. «Perciò...» Mi guardai intorno e, come se non avessi notato fino ad allora l'ingombrante presenza della gente seminuda che lo circondava, avvampai. «Oh cielo. Non avevo capito di essere di tanto disturbo.»

Feci un passo indietro e la mano che mi teneva per il passante dei pantaloni ricadde sulla gamba del suo proprietario. Mi misi le dita sulle guance, sistemandomi meglio il giglio bianco dietro all'orecchio in un gesto che comunicava disagio, mentre distoglievo lo sguardo e facevo finta di non guardare per ricercare il perduto pudore. Martin tolse la mano dalla coscia della donna sopra di lui.

«Non arrecate nessun disturbo, anzi.» ammiccò rassicurante, ravvivandosi con una mano la chioma biondo cenere per togliersela dalla fronte abbronzata. «Vi prego di scusarmi, non vi ho ancora chiesto come vi chiamate.»

«Valentine Ellis. Figlio del marchese Abraham Ellis.» tubai, mordendomi il labbro inferiore, le guance rosse, l'aria innocente di un ragazzino che ancora non conosceva il piacere delle mani di un uomo sul proprio corpo. «Ma davvero, non vorrei importunarvi, quindi...» E lentamente mi feci scivolare via la maschera dorata, rivelando completamente il mio volto.

Joseph Martin pendeva letteralmente dalle mie labbra, a quel punto. «Restate pure.»

«Se non sono troppo indiscreto o impudente... Potrei venire a trovarvi con mio padre?» Sfarfallai le lunghe ciglia scure, in contrasto con la mia chioma dorata. «Ma non domani o dopodomani, perché papà ha degli affari coi suoi soci di Warsaw, però il giorno dopo ancora...» Emisi un risolino, uno che avrebbe certamente dato adito alla sciocca idea sulla gente stupida perché bionda. «Intendo dire, fra tre giorni!»

Martin restò in silenzio per qualche secondo che servì per riempirmi di incertezze: poteva aver capito che era un trucco? Eppure, ero certo che nominare una città influente e ricca come Warsaw, così come l'implicita possibilità di stringerci degli affari per mezzo del mio fasullo padre, avesse fatto il suo effetto. «Sono libero a colazione o a pranzo.» disse infine.

«Oh, che disdetta!» esclamai, aggrottando le fronte e mettendo su un adorabile labbruccio tremulo. «Ho migliaia di cose da fare in giornata. Lo sapete che mio padre insiste per farmi fare un tirocinio con lui? Vuole che apprenda il mestiere!» Sospirai, affranto. «Però potrei chiedervi se vi va di unirvi a noi di sera, a teatro... Nel nostro palchetto privato.» ridacchiai. «Papà arriverà un po' tardi insieme ai suoi soci, ma potreste anticiparlo e seguire l'inizio dello spettacolo insieme a me...» Solo noi due in una cabina buia e piena di velluto. «Se non vi dà noia.»

«La trovo una splendida idea.» si affrettò a dire, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

«Ottimo!» dissi, raggiante. «Allora sarei lieto di passarvi a prendere con la nostra carrozza. Entrare da solo a teatro è una cosa così misera...» sussurrai, il tono mesto e ancora delicato, quasi lo implorassi di non lasciarmi solo. Ancora una volta sorrise: forse mi avrebbe messo le mani addosso ancora prima, sin dal viaggio in carrozza, dentro la sua testa. Peccato che secondo i piani, a quell'ora era già morto.

«Quando posso passarvi a prendere?» domandai, un quesito semplice, ingenuo, prima di muovere le sopracciglia con un leggero sussulto. «O forse farei meglio a chiedervi quando finite le vostre faccende serali!» dissi, un pelo allarmato, quasi temessi che lo portassero via dal nostro piano di smancerie lascive a teatro.

«Oh, non preoccupatevi, è solo una cena sbrigativa con un amico. Potete comunicare al vostro cocchiere di passare per le otto e mezza.» rispose, liquidando la mia apprensione con un cenno della mano. Quindi lo scambio sarebbe avvenuto alle sette e mezza al massimo.

Oh sciocco, stupido, stolto Martin. Mi aveva appena comunicato l'ora della sua morte.

«E così sia. Non vedo l'ora che arrivi quel giorno!» esclamai, con l'innocenza di chi a stento aveva capito i piani dell'altro ma con una malizia infantile ne era comunque attratto. E lui lo percepiva. Poi mi congedai con un ultimo profondo inchino, quasi fosse un principe davanti a cui genuflettersi, e mi allontanai con disinvoltura, mescolandomi pian piano fra la folla così che mi perdesse e si dimenticasse delle promesse del giovane Valentine Ellis.

Non avrei potuto sperare in un risultato migliore: ero riuscito a scoprire l'ora dello scambio. E avevo ancora un sacco di tempo per godermi il resto della serata!

Di buon umore, mi avvicinai al tavolo imbandito, dove il buffet offriva una vastissima scelta di pietanze salate e dolci. C'erano bignè ripieni di gianduia e rivestiti di foglia d'oro, torte a piani al triplo cioccolato, composizioni di frutta riccamente decorata da riccioli di panna. Per non parlare dei vassoi dove tacchini arrosto lucenti, accompagnati da composizioni di verdura tagliata a forma di fiori, fumavano avvolgendomi con un odorino fragrante.

Nelle mie dirette vicinanze c'era Eliza Smetanova: mi stava lanciando sguardi di sottecchi. Le iridi nocciola erano screziate di amarezza e, per un attimo, mi chiesi se non volesse tirarsi indietro proprio all'ultimo. Si trattava pur sempre dell'uomo che aveva sposato, o no?

Mi si avvicinò e la sua gonna ampia mi si increspò contro le gambe. Forse quell'espressione era dovuta all'impazienza, al fatto che non vedesse l'ora di mandare a monte i piani di uno schiavista, e temeva che avrei fallito. Non sapeva quanto si sbagliava. La superai, dirigendomi con sicurezza verso una piramide di profiteroles rivestiti di pistacchi. Mentre mi riempivo il piatto, Yul si accostò al mio fianco, silenzioso come un tramonto.

«Allora? Novità?» sussurrò, lanciandomi uno sguardo da dietro alla mezza maschera bianca da Fantasma dell'Opera. Era sempre uno spettacolo da guardare - lui, non quello al quale la sua maschera s'ispirava - ma non lo diedi a vedere. Aspettai che Eliza si allontanasse: non avevo intenzione di coinvolgerla nell'esecuzione diretta del lavoro, caso mai fosse davvero pentita o avesse l'insana idea di intromettersi.

«Secondo te?» Lanciai uno sguardo laterale al rosso, arricciando le labbra in un sorrisino impudente. «Insomma, farmi certe domande scontate, pur sapendo che sono il migliore di tutti...» Mi pavoneggiai e l'assassino alzò gli occhi al cielo, esasperato e divertito insieme.

Posai il piatto sulla tavola, pieno di roba che avevo impilato senza neanche guardare mentre fingevo di essere tanto interessato al buffet, in attesa che la Smetanova se ne andasse. «Sette e trenta.» mormorai, le labbra a cuore che si assottigliavano in un sorriso trionfante.

«E' questa l'ora dell'incontro col socio?»

«Puoi giurarci.» asserii, risistemandomi la maschera sul volto, mentre lui lanciava uno sguardo accigliato in direzione dei privé, dove Martin si era soppiantato per palpare tutti i suoi cortigiani.

Intanto, un allegro motivetto attaccò dal complesso in fondo alla sala e i cantanti iniziarono ad intonare una sinfonia che mi prometteva divertimento assicurato. Sgranai gli occhi.

«Sbaglio, o è appena iniziata una delle mie canzoni preferite?» ridacchiai, lanciando sguardi alla pista da ballo. «Ora che il nostro compito è concluso, Lord Cain, dovremmo proprio approfittare dello splendido party.» Mi umettai il labbro superiore. «Chi ha ancora voglia di lavorare in una sera come questa?!»

Su quelle parole, guizzai verso la folla ballerina.


***


Odiavo
ripetermi, ma quando dicevo che c'era qualcosa di magico in quella serata, non mi sbagliavo: mentre passavo da una mano all'altra, ballando in cerchio, con le gonne ampie delle dame intorno a me che si aprivano in ventagli colorati di seta, taffetà, raso, era come trovarsi dentro ad una fiaba.

La musica mi trascinava in un limbo ritmico in cui non esisteva altro che quell'armonia incalzante, il suono del mio respiro e il battito del mio cuore. Roteavo su me stesso, battevo le mani e ritrovavo le dita delle persone al mio fianco, che cantavano a tempo scandendo bene le parole.

Intanto, l'alcol girava a profusione e fra la calca ci si passava una vasta scelta di vini misti: alcuni fruttati, altri secchi, altri ancora corposi e aromatici. I bicchieri erano ormai passati in disuso e tutti bevevano dai colli di vetro, di bocca in bocca, in un senso di generale e assoluta libertà. Alcuni si erano tolti le scarpe e i piedi scalzi saltavano sui pavimenti ricoperti di mosaici colorati.

Non era solo magia, era pura ebbrezza, un meraviglioso invito a lasciar andare i freni inibitori mentre il mondo esterno perdeva di totale importanza. Avevo lanciato solo un breve sguardo a Joseph Martin, trovandolo ad ubriacarsi e a baciare i seni della cortigiana sul suo grembo.

Yul invece, con mio grande disappunto, si teneva ad una rispettosa distanza di sicurezza: aveva le spalle appoggiate ad un colonnato, le braccia incrociate e ogni tanto muoveva le dita a tempo sull'avambraccio. Avrei detto che stesse lì a fare il suo lavoro di appostamento, solo che rivolgeva le spalle a Martin e mi lanciava sguardi furtivi, mentre ignorava tutte le persone che gli ronzavano intorno cercando di trascinarlo nella spirale confusa di danze e alcol.

Un sacco di ragazze e ragazzi avevano provato a fare di lui l'unico compagno di ballo, ma il rosso restava stoicamente nella sua posizione, rifiutando tutte le avances che riceveva, con mia grande soddisfazione. Tuttavia, qualche istante dopo, lo ritrovai ad intraprendere una conversazione con l'esaltata oca bionda, incontrata al ballo dell'Orchidea diversi mesi prima, e proprio con Lysandro accanto, che indossava una maschera verde smeraldo da gattino.

Strinsi i denti, cercando di frenare la rabbia e di non catapultarmi da lui per strapparlo dalle loro grinfie. Bene, mi sarei divertito anche senza di lui. Rimanesse con quei due.

Affogai la frustrazione sorseggiando dall'ennesima bottiglia, per poi dimenticarla del tutto quando la musica cambiò e il sound si fece sempre più sensuale. La voce dolce e roca di una solista si accompagnava alle note profonde di un violoncello e pareva tutto un dolce invito ad ondeggiare coi fianchi e a strusciarmi in quel serpeggiare generale.

Alzai le braccia, le dita sfiorarono i rami bassi di un salice piangente, mentre scuotevo la testa a tempo e mi lasciavo completamente andare. Quasi non avevo notato Alaister ed Eliza, insieme con qualche altro individuo dentro ad uno dei privè, che continuavano a parlare dei loro affari, in un clima di tensione generale. Chissà se la Smetanova stesse condividendo le sue perplessità: non mi interessava. Meglio divertirsi indisturbati, perché ero sicuro che tutto sarebbe filato liscio.  

Era tardissimo ormai. Non avrei saputo definire l'ora con certezza, perché il tempo aveva perso ogni logica e ogni attrattiva, contava solo l'inizio della prossima canzone.

Avvolto dal turbinio caleidoscopico di maschere, volti e musi di animali impagliati ma talmente ben fatti da sembrare vivi, rischiai quasi di perdere il movimento in cima alle scale. Eppure la coda dell'occhio colse un luccichio argenteo e mi voltai verso l'imponente gradinata appena in tempo per notare l'ingresso di un gruppo di giovani uomini.

Il portamento, la foggia degli abiti, le espressioni spavalde e sicure: sarebbe stato impossibile negare che fossero nobili, anche di un alto rango, poco importava che indossassero maschere d'argento per celare la loro identità. E c'era solo un motivo che portava aristocratici tanto illustri ad infiltrarsi in una festa in piena notte. Fare qualcosa di proibito.

Li guardai scendere la scalinata godendosi le attenzioni che la gente in pista donava loro con sguardi interessati, per quanto ebbri e alticci. Forse era proprio in quello che speravano: quella libera e totale mancanza di freni e di codici educativi.

Al fianco di chi capeggiava il gruppo c'era un bell'uomo, ben piazzato, i capelli color cioccolato e una spada al fianco. Si muoveva rigido e si capiva dal modo in cui teneva corrugata la fronte che non aveva alcuna voglia di essere lì e ci era stato trascinato. Magari a protezione di qualcuno.

E quel qualcuno era... Cielo, si capiva che colui che capeggiava il gruppo era quello splendido ragazzo dai capelli corvini, bello anche con la maschera indosso, che sorrideva seducente e ammiccante al mondo intorno a lui. Ci vollero solo pochi secondi perché intercettasse il mio sguardo, dall'altro lato della sala e l'espressione che mi rivolse fu la migliore di tutte. Quella di chi non aspettava altro che incontrarmi.

Gli sorrisi, celando nella piega invitante delle mie labbra una promessa proibita: mi sentivo sfrenato, quella sera. Coraggioso e leggero. Perciò sollevai le mani verso l'alto, fiancheggiando, i movimenti che si facevano sinuosi e seducenti.

Intercettai lo sguardo di Yul, non troppo lontano da me, ancora appoggiato ad una colonna. Lo vidi lampeggiare di collera ed io mi strinsi nelle spalle, rivolgendogli un sorrisetto serafico che voleva lavarmi via da qualsiasi tipo di colpa mi fossi macchiato quella sera.

Poi tornai a guardare il corvino: con poche ed ampie falcate si era aperto la strada fra la folla e ora mi fronteggiava, affascinato e affascinante insieme. Attraverso le fessure della maschera, i suoi occhi erano di uno scintillante azzurro ghiaccio che assomigliava molto al mio, benché scevri della rabbia che di solito mi apparteneva.

«Carino il party. Peccato non essere arrivato prima...» soffiò al mio orecchio, con una voce calda e melodiosa, che subito pensai d'aver sentito già da qualche altra parte. Ma me ne dimenticai all'istante, quando le sue labbra mi sfiorarono il lobo per continuare a parlare e farsi sentire da sopra al ruggito della musica. «Ci siamo già visti prima d'ora?»

Se era una tattica per provarci... Be', ci stava riuscendo. «Chissà.» replicai, danzando vicino a lui, le movenze lente ed invitanti. Lui mi guardava con una tale attrazione che sospettai non avesse solo intenzione di mettersi a ballare in mezzo alla folla insieme a me.

«Dimmi chi sei.» chiese lui dritto nel mio orecchio, solleticandomi la pelle sensibile col suo respiro. Sorrisi soave, facendo scivolare una mano sulla sua guancia con l'intenzione di togliergli la maschera, curioso come lui di scoprire la sua identità, ma non ci riuscii: era ben fissata dietro la testa. Così mi limitai a parlargli all'orecchio, emulandolo.

«Il mio nome è Sole» bisbigliai «e Neve. E Sangue e Cenere. Il mio nome è uno scintillio disperso nell'oscurità della notte.»

Mi sentivo sfrenato e gioioso, profondo ed ispirato. Potevo anche librarmi a qualche centimetro dal pavimento, per quanto fossi leggero, come una libellula, come un colibrì. Il ragazzo rise delle mie parole, ma non per ilarità, piuttosto contagiato dalla mia ebrezza.

«Io sono tutto quello che il fato vuole che io sia.» proseguii, il tono di voce che si era fatto dolce e delicato come un bel sogno. Dicevo il vero: quante volte avevo avuto una personalità costruita sulle mie missioni? Una volta ero il componente di un harem, un'altra ero un giovane marinaio, l'altra ancora un avvocato.

L'uomo mascherato fece scivolare una mano sul mio viso, il dito liscio e privo di calli o imperfezioni, come di consueto per un nobile, tratteggiò la linea del mio labbro superiore.

«Stanotte il fato vuole che tu sia Mio

Pendevo dalle sue labbra, mentre sulla bocca mi si colorava un sorrisino coinvolto. Almeno finché qualcuno non si interpose fra noi. Un uomo, slanciato e muscoloso, dagli splendenti capelli rosso sangue. Yul. Strappò con forza le dita dello sconosciuto dal mio viso.

«Tieni le mani a posto.» sbraitò minaccioso allo sconosciuto. L'amico del ragazzo corvino, quello armato di spada, ci affiancò in un lampo: i tenui occhi color nocciola si erano sedimentati con durezza su Yul, che strattonai per il gomito.

«Piantala!» borbottai, immusonito.

Il bel corvino misterioso rivolse uno sguardo piccato a Yul, alzando un sopracciglio scuro. Poi parve capire qualcosa che a noi era misterioso e fece un passo indietro, alzando le spalle con nonchalance.

«Peccato. Sarà per un'altra volta.» tagliò corto con un sorrisino malizioso al mio indirizzo prima di eclissarsi fra la ressa col suo compare, sparendo nel baluginio argentato delle loro maschere.

«Non ci credo! Ma ti rendi conto della figura che mi hai fatto fare?!» trillai a Yul, fra l'accigliato e il basito.

«Sei completamente sbronzo.» sospirò il rosso, tanto vicino che sentivo il suo respiro sulle guance. Assottigliò lo sguardo. «E quello lì se ne stava approfittando.» Mi fece scivolare le mani intorno alla vita, chissà se fosse perché ero sempre più instabile sulle gambe, o perché lo stavo desiderando in quel preciso momento. Il duo di bellocci mascherati era già sparito dalla mia testa. Ma restavo irritato per ciò che aveva fatto.

«Non puoi trattarmi come se fossi un moccioso che non è in grado di compiere le sue libere scelte o capire certe intenzioni!» dissi, divincolandomi appena, un mero atto di inutile ribellione.

«Ti accompagno alla Fortezza. Domani me ne sarai grato e mi dovrai anche un favore per tutto questo.» disse lui, con un ghigno che voleva essere furbo, ma celava un tono di preghiera, come se non volesse altro che una mia conferma. Non che potessi fare altrimenti, visto che le sue mani mi stringevano con una morsa ben decisa la vita, senza lasciarmi andare.

«Non credo proprio.» Secco e perentorio. Martin era collassato da tempo nel proprio giaciglio di corpi attorcigliati, Alaister non si era allontanato dal privè e dai suoi affari con Eliza. E io me ne dovevo tornare a casa? Ptf. «Deciderò io quando, come e con chi tornare a casa.» mi impuntai, facendo un passo indietro per liberarmi dalla sua presa. «Andiamo, puoi anche tornartene da Lysandro o quella sciocca biondina!» borbottai, inondato da quell'improvvisa onda di gelosia nel ricordarli a parlare in tre.

E io non potevo permettermi forse di flirtare un po' con un bel nobile di cui non sapevo neanche il nome? Era un po' ipocrita da parte sua.

«Non me ne frega un accidenti di Lysandro, la bionda o qualsiasi altra persona!» Strinse la mascella, duro, anche quando mi prese per mano e i miei battiti accelerarono. «Come puoi non rendertene conto, razza di...»

«Non continuare la frase! Tanto non mi importa assolutamente niente di cosa pensi di me!» mentivo e l'alcol nel mio corpo rendeva difficile la cosa. Del resto, come avrebbe potuto crederci Yul, se non ci credevo neanche io? E dopo tutto quello che avevamo fatto? Dopo tutte le volte l'uno fra le braccia dell'altro...

«Ah sì?» disse lui, sbuffando dalle narici. «A me invece importa eccome sapere quello che tu pensi di me. Così tanto che sono rimasto a guardarti ballare per ore ed ore, sorbendomi quest'inutile festa, mentre tu mi tratti peggio del tuo lustrascarpe.»

Mi sentii punto nel vivo, deluso da me stesso. La rabbia scemò all'improvviso, sostituita dal batticuore, per via dell'angoscia, il pentimento e altro che non sapevo ancora spiegarmi. «Non è vero...» Deglutii. «E poi, basta così. Non voglio litigare con te. Questa doveva essere una serata divertente. Quindi... Possiamo far finta di niente?»

Yul scrollò le spalle, ma i suoi occhi erano ancora scuri e lucidi. Ovviamente bellissimi come al solito. «Vuoi continuare a ballare e a strusciarti su quel tizio? Fai pure. Non ti fermo di nuovo.» disse, irritato.

«Non dire stupidaggini!» Mi squadrò con uno scintillio nello sguardo e la sua presa si fece di nuovo stretta intorno al mio polso.

«Quindi, Helias Bloomwood, stasera hai deciso di farmi arrabbiare...» sussurrò, in tono talmente basso che la musica l'aveva sovrastato e io lo avevo udito appena.

«Che hai detto?!» urlai, mentre un giovane di Malescot ci piombò praticamente addosso, ballando: lo schivammo simultaneamente. Poi mi afferrò la mano e iniziò a trascinarmi lontano dalla pista, per poi avvicinarsi alle tende dei privè.

«Che stai facendo?!» borbottai, prima di essere sbattuto su un divanetto di velluto blu. Yul richiuse le tende di velluto dietro di sé con uno scatto repentino e l'unica candela ad olio illuminò l'alcova in penombra. Non ebbi tempo di parlare che l'assassino dai capelli rossi fu su di me, avvolgendomi col suo mantello nero e sovrastandomi con la sua slanciata figura. Deglutii nuovamente. «Che ti prende...»

Ghignò, in un misto di vendicativo divertimento, con gli strascichi dell'irritazione che lo aveva animato poco prima. «Perchè non riprendiamo da dove siamo rimasti questo pomeriggio?» Una risata beffarda. Poi le sue labbra furono sulle mie.

Dapprima assaggiai solo la sua morbida bocca, poi schiusi la mia e le nostre lingue si incontrarono come se non avessero aspettato altro. Sentii subito il suo sapore di menta e caramello, il suo respiro fresco e allo stesso tempo caldo e ansimante. Il tessuto liscio e dorato della mia mascherina cozzò contro i bordi della sua, di porcellana bianca. Avvolsi con le mie gambe quelle di Yul, strofinandomi contro di lui in un impeto di passione.

Affondai le mie mani nei suoi morbidi capelli rosso sangue e per risposta, lui mi piantò le mani sulla nuca e il bacio divenne ancora più appassionato. Come se l'uno fosse assetato della bocca dell'altro. Non ci staccavamo neanche per respirare, usavamo il naso e l'uno passava l'aria all'altro. La sua lingua continuò ad accarezzarmi il palato, la mia a perlustrargli ogni centimetro della bocca.

Poi si staccò, il petto che si alzava e abbassava, si abbassava e alzava, come il mio. Mi poggiai una mano sul cuore, che sembrava avere tutta l'intenzione di balzare via. Fui quasi sul punto di chiedergli perché si fosse staccato e di intimargli di continuare, ma poi mi bloccai, pietrificato.

No. Non doveva capire che ero interessato.

Invece lui scosse la testa, esasperato. «Tanto domani avrai dimenticato tutto...» esclamò, fra un sospiro e una risata esasperata, amara quasi. Mi sollevò con un solo gesto dal divano e mi ritrovai catapultato fuori dalle morbide tende di velluto. Yul si diede ad un ultimo sorrisetto sornione, poi mi rifilò una pacca sul posteriore per spingermi in avanti. «Vai a divertirti. Parleremo domattina.»

Mi spinse fino alla pista da ballo e io rimasi a guardarlo perplesso fino a quando non mi acciuffarono per rendermi di nuovo parte di quel caleidoscopio di colori e fasti.



***

Il profumo del caffè che mi aveva portato il servitore direttamente in camera, lasciando la tazzina di porcellana sul comodino, aveva aiutato nell'arduo compito di risvegliarmi. La luce cerulea di un mattino rannuvolato si inoltrava dalla finestra, mentre scostavo le coperte e mi apprestavo a bere quel concentrato di energia liquida dinnanzi al davanzale.

Oltre la Fortezza, la città si era già svegliata, inconsapevole della notte di danze e bisboccia che l'aristocrazia di Skys Hollow aveva passato. Gli strascichi dei festeggiamenti mi erano rimasti nella bocca impastata e nella testa pesante, ma mi sarei ben presto ripreso dalla sbornia e dal sonno, appena mi sarei rimesso in moto.

In quel momento, tuttavia, restai a guardare il frenetico via-vai di carrozze, il passaggio di strilloni che sventolavano giornali e di artigiani che lucidavano gli esterni della loro vetrina. Sopra tutto quanto, c'era il Castello imponente del Re, che troneggiava su ogni cosa. Spiando, guardando, braccando. O almeno, quella era la sensazione che mi dava ogni volta che ci posavo sopra gli occhi.

Distolsi lo sguardo, vuotando la tazzina. Nonostante la sbronza, il party mi aveva lasciato una sensazione di generale soddisfazione. Mi ero divertito come non facevo da tempo. Tuttavia, sapevo che oltre ai fasti della città nella vita c'era ben altro. Altro... Qualcun altro.

Cosa avevo fatto con Yul?

Non ricordavo. Ma non importava. Avevo tanto da fare, oggi. Allenamento, pedinare Martin e ancora allenamento. Nulla mi avrebbe distratto, nemmeno il pensiero dell'unico ragazzo che fosse mai riuscito a farmi battere il cuore.

Eppure, quando mi feci scivolare la vestaglia dalle spalle e mi guardai allo specchio, lessi qualcosa nel mio volto che mi fece sorridere.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top