16. L'Assassino e il teatro
Stavo ancora male per quanto era successo quella mattina, perciò trovarmi seduto al fianco di Alaister nella sala da pranzo della Fortezza, gomito a gomito, mi fece sentire ancora più colpevole di quanto già non fossi. Mi stava versando una qualche purea nel piatto, osservandomi con la coda dell'occhio e il placido sorriso di una pantera pigra che si mette in posa davanti alla preda.
Fissai insistentemente il mio piatto, tagliando meccanicamente il filetto di lonza con nessuna voglia di mangiare. Sapevo che lì da qualche parte doveva esserci anche Yul, evitavo di guardare il resto della stanza anche per questo. «Prepara il tuo miglior vestito per stasera.»
Appoggiai le posate al lato del piatto. «Perché?»
Sorrise e la luce delle candele - accese, visto il clima uggioso nonostante fosse ora di pranzo - gli fece sembrare le iridi d'oro colato. «Joseph Martin sarà a teatro. Dovresti cogliere ogni occasione per studiarlo.» forse era una scusa per spingermi ad accettare il suo invito, ma non aveva affatto torto.
Mancavano soltanto quattro giorni allo scambio di documenti: ogni possibilità che avevo di scoprire informazioni su quell'uomo era da prendere al volo. Avevo già progettato come pedinare il mio obiettivo, ma non volevo perdere l'occasione di godermi l'opera accompagnata da un'intera orchestra, col balletto classico, i costumi... E tutto dal palchetto privato di Alaister.
Potevo rifiutare qualsiasi altro regalo, ma un biglietto gratuito per l'opera no. Tornare a teatro riportava alla mente vecchi ricordi che non avrei mai dimenticato, nonostante fossi piccolo, allora. Tutte le sere, il giorno del mio compleanno, mia madre mi portava a teatro a vedere uno spettacolo ed ogni volta era una festa. La musica, le danze, la mano di mia madre stretta nella mia, il profumo vanigliato impigliato nella sua grande gonna di pizzo e le lacrime di commozione che le scendevano sulle guance.
Non potevo dire di no.
Ma il Re degli Assassini era stato sleale. Pensavo saremmo stati solo io e lui, invece, quando quella sera accettai la sua mano ed entrai nella carrozza rivestita di broccato verde, ricevetti una spiacevole sorpresa. Mi si seccò la bocca, lingua appiccicata al palato, quando vidi sui sedili di fronte Yul e Lysandro seduti l'uno accanto all'altro.
A quanto pare mancava un mese alla famosa Cerimonia dell'Offerta, il momento in cui veniva venduta la verginità del brunetto. Aveva bisogno di essere notato dal maggior numero di esponenti nobili di Skys Hollow, disse Alaister. Yul si era unito a noi per fargli da guardia del corpo, anche se io fui quasi sicuro si fosse autoinvitato.
Gli lanciai uno sguardo fugace mentre mi accomodavo accanto ad Alaister. Di fronte, i nostri piedi si toccavano sul tappetino della carozza. Fissai i punti in cui gli stivali combaciavano, sentendo il peso del suo sguardo addosso. Quando sollevai con cautela le pupille, lo trovai di profilo verso il finestrino, ad scrutarmi di sottecchi, con cautela, come se temesse un'altra lite, o magari che io potessi spifferare al Re degli Assassini la sua bravata. Pensava davvero che fossi quel genere di persona? Che fossi così asservito?
Dispiaciuto, distolsi lo sguardo. Lui concentrò il suo su Alaister e quasi potei scommettere di aver visto delle scintille crepitare fra loro. Proprio mentre Yul e il Re degli Assassini sembravano duellare a colpi di occhiatacce e io abbassavo lo sguardo in un certo senso affranto, Lysandro si limitò a sorridere e ad allungare una mano verso Alaister, come avrebbe potuto fare una coppietta romantica.
Feci una smorfia e pregai di arrivare il prima possibile.
***
Dopo aver lasciato gli ombrelli nel guardaroba vicino al foyer e solcato tappeti rossi, la maschera ci accompagnò al palchetto privato di Alaister e presto sopraggiunse anche un servitore in frac, che allungò un vassoio carico di calici di vino fra cui avere l'imbarazzo della scelta. Le mie dita si allungarono intorno allo stelo di cristallo di un rosso corposo.
Mentre assaggiavo un dito di vino, un nobile in affari col Marchese Ellis - Alaister - con tutta probabilità un uomo pagato per mantenere la copertura, venne a porgere i suoi ossequi. Io fui ignorato, conosciuto come il nipote, mentre non perse occasione di notare il giovane cortigiano che squadrò con occhiate languide. Proprio perché non avevo intenzione di sopportare i flirt di Lysandro mi allontanai dall'anticamera e superai le tende di velluto per dirigermi alle poltrone dinnanzi alla balconata.
Il nostro palchetto si trovava sul lato sinistro della sala, un paio di piani sopra la platea, abbastanza centrata da favorire un'ottima visione dello spettacolo. L'angolazione, sebbene minima, mi faceva guardare con invidia i palchi reali. Occupavano le postazioni centrali, le più ambite, di solito deserte. Stasera, però, uno stormo di damine gironzolava attorno al giovane lord il cui viso era coperto dai loro numerosi ventagli. Considerando le guardie che li affiancavano, immaginai dovesse trattarsi del famoso principe ereditario. Nessuno di cui mi importasse, comunque.
Spostai gli occhi verso gli altri palchi, ammirando il tripudio di gioielli scintillanti, di abiti delle stoffe più raffinate, nel luccichio dei calici ricolmi di alcol e nel chiacchiericcio concitato dei nobili. L'atmosfera a teatro era ogni volta incredibile: i minuti precedenti allo spettacolo l'aria si faceva elettrica, come se durante l'attesa avrebbe potuto succedere di tutto.
Mi sentivo completo, in un posto simile, il più vicino a mia madre. Ogni cosa mi ricordava lei. Il gigantesco lampadario di cristallo sopra le nostre teste, l'odore dei sedili di velluto scarlatto, gli affreschi sulla cupola alta e il parquet lucido sullo scenario. Ed era solo ad un quarto d'ora di carrozza dalla Fortezza!
Rimasi in piedi, con le mani sulla ringhiera d'oro della balconata a guardare in avanti, ma quando sentii il passo leggero aggiunto all'odore dell'acqua di colonia del Re degli Assassini, mi raddrizzai. Si inclinò sopra di me, il suo viso nell'incavo del mio collo, il fiato a solleticarmi l'orecchio. «Hai individuato il tuo obiettivo?» mormorò e, prima che potessi rispondere, aggiunse: «Il quarto palco, una fila sopra di noi.»
Feci vagare gli occhi finché non lo trovai. Non era così brutto come mi aspettavo fosse un simpatizzatore dello schiavismo, non era nemmeno molto bello, comunque. Ben piazzato, con una chioma bionda che faceva a pugni con l'abbronzatura esagerata. Nessun dettaglio in particolare, a parte il colore discutibile dell'abito: un verde pistacchio che doveva credere fosse sofisticato. Non lo era.
Non era solo, in piedi accanto alla sua poltrona c'era un'affascinante nobildonna, esile come una ballerina, con un vestito da sirena turchese che ne metteva in mostra la silhouette.
«Lady Eliza Smetanova.» illustrò Alaister, capendo chi stavo osservando. La donna che aveva commissionato l'omicidio. Non era così strano, vedere vittima e mandante insieme prima di un lavoro. Molto spesso ad ingaggiare era proprio chi stava vicino all'obiettivo.
Non conoscevo granché la loro storia matrimoniale, ma Lady Eliza aveva un volto astuto. Se aveva preso la drastica decisione dell'omicidio, fingersi nelle sue grazie avrebbe messo a tacere le ambiguità. Il fatto di vederla recitare così magistralmente, nonostante tutto quello che sapeva sul conto dell'ex marito, mi faceva ammirare il suo autocontrollo. Anche adesso stava lavorando per proteggere la gente di Malescot dalla schiavitù.
Nell'anticamera oltre le tende cremisi, alle loro spalle, riuscii a vedere ombre di uomini grandi e grossi, che immaginavo fossero le guardie del corpo di uno dei due. Entrambi, forse. Stavo per aggiungere altro, ma il cortigiano e l'assassino che volevo-odiare-ma-non-ci-riuscivo arrivarono finalmente sul palchetto. Avevano finalmente congedato il collega di Alaister e ora tutti prendevamo posto.
Io avevo già scelto il posto migliore e non mi stupii di vedere Lysandro sedersi, purtroppo, al mio fianco, mentre Yul e Alaister presero i posti di dietro. Sperai che non si scannassero durante lo spettacolo. Ma poi mi dissi che era di due assassini che si stava parlando, di due uomini maturi.
Si, certo.
«Uh, ci sono un sacco di clienti di Sophia!» esclamò Lysandro nel migliore dei suoi toni civettuoli. Incominciò a ciarlare di tutti coloro che avrebbe voluto piacevolmente lavorarsi e smisi frettolosamente di prestargli attenzione. Ero assolutamente consapevole di Yul proprio alle mie spalle, i suoi occhi blu sul sipario di velluto cremisi e forse, anche sulla mia nuca. Volevo rompere il ghiaccio, sfondare il muro del silenzio che era andato a formarsi. Dovevo chiedere scusa, o ringraziarlo per il sangue. Bastava anche solo una parola. Ebbi la sensazione che anche lui volesse farlo.
Nessuno dei due, però, fece in tempo, perché risuonò la campana che segnalava al pubblico di fare silenzio, perché l'opera stava per cominciare. Dovevo fare qualcosa.
Non sapevo perché il cuore mi battesse in quel modo, ma non mi diedi il tempo di interrogarmi oltre. Mi girai sulla poltroncina, voltandomi a guardarlo e feci scorrere uno sguardo sui suoi vestiti, rapidamente. Ora o mai più.
«Sei... davvero bello.»
Mi guardò sgomento mentre mi giravo a dargli le spalle con una velocità sorprendente, le guance in fiamme. Yul era incantevole, sensuale, avvenente. E anche di più. Non solo bello, ma avevo davvero fatto uno sforzo e sperai che lo riconoscesse. Nonostante ciò, invece di sentirmi meglio, ero più scombussolato di prima, mentre la pancia mi traballava come per contenere quel lieve accenno d'ansia e imbarazzo.
Da quant'è che Yul mi faceva sentire in quel modo? Mi sentivo uno sciocco e un grandissimo idiota.
Senza neanche vederlo, lo percepii ghignare. Nascosi le mani fra la poltroncina di velluto e le gambe, fasciate da un paio di pantaloni neri. Non erano certo attillati come quelli di Lysandro, che sembrava far di tutto pur di mettersi in mostra il posteriore, ma il mio panciotto di taffetà bordeaux dai brillanti toni cangianti era davvero invidiabile. Inoltre, per quanto cercasse di mettersi brillantina fra i capelli castani, non possedeva i miei splendidi e scintillanti boccoli dorati.
Lanciai una brevissima occhiata a Martin, sentendo la repulsione salire insieme alla disapprovazione. Eliza Smetanova si era seduta proprio al suo fianco e le guardie di Martin sembravano non smettere di guardarla un attimo, sicuramente non perché fosse una bella donna. Erano uomini molto diligenti, dunque. Qualcosa di cui avrei dovuto preoccuparmi...
Tuttavia, accantonai il pensiero quando le luci si affievolirono gradualmente e il silenzio si diffuse come una magia in tutta la sala. Gli archi incominciarono flebilmente a dare vita alla musica, in un delicatissimo crescendo. Dimenticai Joseph Martin: era troppo buio per studiarlo ed ero troppo attratto dallo spettacolo. Poi, improvvisamente, la mano di Yul mi accarezzò la nuca e fu difficile non sussultare nel sentire le sue labbra poggiarsi sul mio orecchio. Un brivido di piacere mi percorse la schiena.
«Tu non sei bello...» Pausa. «Sei incantevole.»
Gli lanciai uno sguardo color diamante da sopra alla spalla, abbozzando un piccolo sorriso, di quelli esasperati. Tutto cercando di trattenere il rossore. Lui ghignò beffardamente di rimando e tornò composto sulla sua poltrona, con i suoi bei capelli rosso sangue a confondersi con il velluto scarlatto. Soffocando la voglia di allungare le mani per toccarlo e sentire la sua pelle calda sotto le dita, mi voltai tornando a farmi ipnotizzare dalla musica, aspettando l'inizio del balletto.
Quel fugace istante prima dello spettacolo mi riempiva di aspettativa: col buio e il silenzio, sembrava che tutto potesse succedere. Che i morti si risvegliassero, che i cattivi diventassero buoni, che alla tirannia si sovrapponesse la pace. Tutto poteva essere possibile a teatro. Trattenni il respiro sulla mia poltrona, dimenticandomi perfino chi ero, mentre l'incanto cominciava.
Quando la musica iniziò ad inondarmi le orecchie, dovetti mordermi il labbro per non sospirare. Le danze erano semplicemente spettacolari. E la storia, la leggenda di un principe innamorato di un usignolo, che doveva superare tre prove per far diventare l'uccellino una donna, era molto coinvolgente, ma quell'armonia... Dubitavo di aver mai udito qualcosa di così struggente, così dolce, così stupendo.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trascinare, completamente libero di farmi avvolgere e sovrastare da quella melodia come un assetato che si tuffava a bocca aperta sotto una cascata. Ormai il finale incombeva in un crescendo di violini, in un rullo di tamburi, in uno squillo di flauti, che mi rombavano dentro alla testa proiettandosi lungo tutto il corpo in una eco feroce. La musica distruggeva tutto. E dava vita ad ogni cosa.
Poi, il picco massimo, il culmine venne raggiunto, i miei suoni preferiti riprodotti nella cupola dorata del Teatro per incantare e lasciare senza fiato ogni ascoltatore, perdendosi ben oltre, fra le strade di Skys Hollow fino all'infinito. Mi sentii ansimare e nemmeno mi accorsi, mentre le ultime note di violino scivolavano sulla punta dei crini d'archetto dei musicisti, che le lacrime mi avevano raggiunto il mento, scivolandomi dagli occhi come un rubinetto aperto. E non m'importava neanche.
Alla fine, arrivò il silenzio.
E lo detestai terribilmente. Il silenzio faceva riaccendere la scintilla della ragione, ricordandomi chi fossi: la mia identità, il mio ruolo, le mie responsabilità. Il mondo tornava ad esistere. L'ondata scrosciante di applausi che mi investì all'improvviso fu stordente e, come se mi fossi risvegliato da un sogno, restai immobile sulla poltroncina. Finché anch'io non scattai in piedi, riempito da un orgoglio clamoroso per tutti gli artisti, che palesavo battendo le mani più forte degli altri.
«Wow. Valentine ha delle emozioni, allora.» gongolò Lysandro, al mio fianco, con un insopportabile tono d'ilarità. «Davvero lo spettacolo era così interessante?» Si mise a sbadigliare. Lo ignorai.
«Sta' zitto, Lysandro.» lo rimbeccò Yul, stringendo lo schienale della mia poltrona. Alaister esalò un rumoroso sospiro dalle narici, evidentemente irritato, come se si trovasse circondato da mocciosi urlanti.
Ma io non mi curai di nessuno e continuai ad applaudire, nascondendo molto bene la goduria che provavo nel sentire Yul schierato dalla mia parte. Gli applausi proseguirono ancora a lungo, mentre i ballerini si inchinavano entusiasti sorridendo alla platea. Io continuavo la mia ovazione, anche se la folla iniziava a infagottarsi di nuovo con gli impermeabili e ad uscire dal teatro, scontenti perché dovevano affrontare il mal tempo.
Mi ero completamente dimenticato di Joseph Martin e non mi servii nemmeno dare un'occhiata al suo palchetto per sapere che doveva essersene andato anche lui. Così come Alaister, Lysandro e Yul che si allontanarono mentre io mi attardavo, ancora a battere le mani estasiato. Eppure, finito il mio applauso, restai ad osservare i tecnici della scena che smontavano pezzo per pezzo la scenografia, mentre i musicisti rinfoderavano i loro strumenti. Mi voltai verso la poltroncina vuota accanto a me, mentre il silenzio di tomba iniziava a farsi strada per tutta l'enorme sala.
«Anche a te è piaciuto lo spettacolo, mamma?» mi ritrovai a sussurrare, con una stretta al cuore che sapeva di malinconia e di dolorosi, cari, vecchi ricordi. Col cuore più pesante, mi trascinai fuori dal teatro.
***
Quando tornai alla Fortezza, quella musica ancora mi risuonava nella mente, quasi si fosse impossessata della mia anima: sentivo il viscerale bisogno di riprodurla, di sentirla almeno un'altra volta ancora. A malapena avevo prestato ascolto ad Alaister, che durante il viaggio di ritorno in carrozza mi aveva invitato a presenziare ad una festicciola notturna insieme a Lysandro, Sophia e tutto l'allegro quadretto di cortigiane. Yul non sarebbe mancato. L'ultima cosa che volevo era vedere il brunetto lentigginoso fare lo svenevole con lui e il resto dei presenti, mentre il Re degli Assassini tesseva le sue lodi di... Cosa non lo sapevo neanche io.
La scusa era che, dopo tutto quell'applaudire, mi fosse venuta una terribile emicrania, perciò avevo bisogno di una dormita ristoratrice. Cosa che mi serviva davvero: dovevo essere nel pieno delle mie forze quando avrei assassinato Joseph Martin e mandato a monte i suoi piani. Eppure, erano soltanto le undici e l'idea di mettermi a letto come un bambino in castigo, mentre il resto della Fortezza festeggiava, mi faceva sentire ridicolo.
Insomma, ero l'Assassino di Darlan, il temibile Sfavillo! Mi ero guadagnato la posizione di sposo del Sultano, avevo rubato navi pirata, affrontato mostri marini, ucciso un vampiro! Potevo divertirmi anche io, non avevo bisogno mica di partecipare alla loro stupida festa.
Ignorai i suoni concitati del party, fra tintinnii di bicchieri e rumoreggiare di risate che si diffondevano per tutto il secondo piano. Ancora intenzionato a sfoggiare il mio completo elegante - anche se nessuno mi stava guardando - optai per scivolare silenziosamente nella sala della musica, che isolava i rumori circostanti. Nessuno sarebbe entrato lì: tutti gli assassini della gilda erano o alla festa, o impegnati in qualche missione.
Lasciai vagare gli occhi sull'arpa dorata in un angolo, o su un paio di delicati violini situati su piedistalli sopra un lungo tavolo a ridosso del muro. E continuai a camminare, raggiungendo il meraviglioso strumento laccato di nero al centro della stanza, che sembrava aspettarmi. Sollevai il coperchio del pianoforte, trattenendo il respiro.
La prima volta che mia madre mi aveva insegnato, quando avevo appena quattro anni, aveva usato una frase simile a: "Devi imparare almeno un'arte!". Forse perché sperava mi allontanassi dall'infelice aspettativa di vita che aveva il figlio di una cortigiana: dietro le porte di un bordello. La musica era stato come rivelarmi una magia. Una magia che il Re non avrebbe mai bandito.
Alaister, quando si era accorto del mio talento, aveva deciso di pagarmi svariate lezioni, e forse quella era una delle poche cose buone che aveva fatto, a parte salvarmi la vita e darmi una casa, ovvio. Ma adesso non avevo più bisogno di alcuna lezione e quando potevo, di nascosto mi mettevo a suonare.
Ed eccomi lì, seduto davanti al piano, incapace di liberarmi dal motivetto udito a teatro. Riecheggiava e rintoccava come una pendola a mezzanotte, una musica a cui non potevo sfuggire, quasi si fosse incatenata alla mia anima.
Se solo avessi potuto sentirla ancora una volta, una sola!
Allungai una mano, pigiando i tasti con calma, in cerca del suono giusto. Eppure mi interruppi dopo poco, storcendo le labbra in una smorfia: mi concentrai, canticchiando a bassa voce la sinfonia perché potesse scorrere nel modo giusto. Le note si sovrapposero al mio canto sussurrato e finalmente trovai l'incastro esatto. La musica invase la stanza, sinuosa, libera.
Eppure non era abbastanza.
Quelle erano solo una manciata di note e a disposizione per riprodurle c'era solo un pianoforte. Anche se nella mia testa suonava un'orchestra intera. Le dita affondarono con forza sui tasti, alla ricerca dell'apice, dell'esplosione musicale. Eppure mi sfuggiva, proprio quando ci arrivavo più vicino.
Tentai finché la mia frustrazione non mi spinse a chiudere il coperchio sui tasti bianchi e neri con un tonfo secco, alzandomi di scatto. Mi allontanai, sospirando. E appena emersi dalle porte, trovai Yul appoggiato al muro del corridoio.
Probabilmente, aveva sentito tutto, dal mio canticchiare ai rovinosi tentativi di riprodurre la musica dello spettacolo. Arrossii.
Non disse nulla: si limitò a studiarmi, sornione, come se capisse il motivo che mi crucciava. Lo squadrai da capo a piedi, assaporando la vista delle sue spalle larghe, il bacino stretto, i capelli lisci e setosi, rossi come il sangue, gli occhi blu notte, messi ancora più in risalto dai suoi meravigliosi abiti di seta color pervinca, le labbra carnose e rosate, la pelle perfettamente bianca.
Com'era bello.
Ma non potevo permettermi di fare certi pensieri. Mi voltai senza dire una parola, incamminandomi verso le mie stanze, anche se non avevo nessuna voglia di restarmene da solo. Ricordare mia madre aveva rievocato anche il senso d'abbandono che la sua perdita mi aveva lasciato.
«Immagino la frustrazione di non riuscire a suonare una musica che sembra ti appartenga... » esclamò, il tono eloquente di chi sembrava non stesse realmente parlando di sinfonie. Si avvicinò con passo leggero, come quello di un aggraziato ballerino, o meglio, di un abile assassino. Sbuffai dalle narici una risatina sussurrata.
«Disse quello che non suonava ma stonava.» Fra le mie guance si palesò il mio miglior sorriso dispettoso. «Che fine hanno fatto tutti gli archetti di violino che hai spezzato nel corso del tempo?» lo pungolai, mentre un'armonia risuonava libera nel corridoio, dalla zona del party.
«Non sapevo avessi prestato tanta attenzione alle mie vecchie lezioni di musica...» gongolò, con le mani nelle tasche dei pantaloni. Affondai l'incisivo nel labbro inferiore e lui dirottò su un altro argomento: «Ti restano solo quattro giorni per portare a termine l'incarico, però non hai seguito Martin.» constatò. Molto spesso le mie missiono erano tanto importanti quanto alla portata di tutti: certi assassini della Gilda conoscevano i dettagli grazie ad Alaister. Strinsi le labbra in un movimento quasi impercettibile, sentendo una fitta di struggimento farsi strada dentro al petto.
«No, non l'ho seguito. A volte vorrei solo... Dimenticare il sangue e apprezzare tutto il resto.» soffiai, con un groppo in gola, sentendomi così inaspettatamente libero di aprirmi a lui. Anche se si trattava di un piccolissimo spiraglio.
Un lampo di sorriso scivolò sulla sua bocca. «Lo capisco.» Cercai di restare impassibile, sostenendo il suo sguardo. Sapevo che le sue parole sottintendevano qualcosa di preciso, ma non capivo bene cosa.
In un impeto improvviso ed irrazionale, le mie labbra si mossero da sole: «Perché ultimamente stai sempre con Lysandro?» Deglutii, sentendo una punta di fastidio corrodermi lo stomaco. Che cosa mi prendeva?
«Guarda che non è così terribile, se si va oltre alla tipica facciata che mostra con Sophia.» Stropicciò la fronte. «Credo che tu lo sappia piuttosto bene, visto che ci siamo passati anche noi... A volte facciamo quel che facciamo perché la vita non ci lascia scelta.» Si riferiva al suo mestiere di cortigiano, ma anche al nostro come sicari. «E poi, si comporta in quel modo con te perché vuole attirare la tua attenzione...» Si passò una mano fra i capelli rossi, mentre storcevo la bocca. Non percepivo sfumature nelle sue parole. Nessuna malizia, nessun interesse, nessuna attrazione. Solo compassione.
«Be', di quello che vuole me ne infischio. Non mi hai risposto. Perché state sempre insieme ultimamente?» ripetei, perentorio, mentre lui sbuffava una specie di sospiro amaramente divertito.
«Richiesta di Alaister. Te l'ho detto, era la mia punizione... Che tuttavia si sta protraendo troppo a lungo. Ma non ho voglia di farmi prendere a pugni di nuovo, la faccia mi serve anche per lavorare.» Restai di sasso. Cosa aveva appena detto?
Mi sentii montare dentro una rabbia cieca. «Cosa ti ha fatto?» chiesi, il tono di voce un po' incerto, ma poi calmo, freddo, mentre il sangue mi ribolliva nelle vene. Cosa gli aveva fatto quello stronzo?!
Iniziai a giocherellare nervosamente con la chiave che portavo sempre al collo, cercando di trattenermi dall'irrompere in quella stupida festa per fare una scenata davanti al temibile Re degli Assassini, tacciandolo come l'uomo senza scrupoli che era. Purtroppo, lo sapevano già tutti. L'unico che avrebbe fatto una gran brutta figura sarei stato io.
«E' successo dopo la tua partenza per la Baia del Teschio. Diciamo che mi ha cortesemente avvertito di non toccare le sue cose...» esclamò, con un sorriso carico di ironia e disprezzo.
Imprecai a bassa voce. Possibile che la "cosa" che Yul non doveva toccare fossi proprio... io?
«Tu sarai anche finito a Costantinopoli, ma io ho dovuto fare il servitore di Lysandro e anche beccarmi la mia buona dose di botte.» sghignazzò, nel modo più sdegnoso possibile. Quel bastardo del Re degli Assassini... Se lo avessi avuto sotto le mani! Oh, se avessi avuto anche solo un coltello!
I pugni mi si strinsero in una morsa d'acciaio, mentre tentavo in tutti i modi di non catapultarmi al party per compiere un omicidio. Come mai mi sentivo così furioso? Yul mi scostò una ciocca di capelli dorati dal viso, facendosi sempre più vicino.
«Ora capisci perché voglio andarmene?» mi sussurrò, con voce bassa e calda. No. Non volevo sentire quell'argomento.
«Avanzerai un'offerta per Lysandro?» lo cambiai volutamente, ma comunque la domanda mi interessava davvero molto. Yul scoppiò a ridere, mettendo in mostra le sue stupende, maledettissime fossette.
L'ombra di un sorrisetto beffardo sul viso restò ad incurvargli la sua bocca carnosa e invitante. «Come mai ti interessa?» iniziò, con fare provocatorio, cominciando a far vagare un dito lungo il bordo del panciotto, all'altezza delle clavicole. Subito mi affrettai a trovare una scusa, facendo spallucce, emulando bene il mio disinteresse.
«Per accertarmi che tu non sia diventato ancora più scemo di quanto ti ricordo.» ribattei prontamente. Ridacchiò, sempre più divertito, mentre sulle mie guance incominciava a raccogliersi tutto il sangue, imporporandomele.
«Temi in una scappatella primaverile fra me e Lysandro?» Eccola lì, la sua espressione da sensuale sbruffone pronto a darti lo scacco. Avrei voluto strappargliela dalla faccia a unghiate. O a baci. Invece scelsi un'altra arma. Una pessima arma.
«Be', sarebbe equo, a quel punto... Visto quello che ho fatto io.» replicai, fingendo innocenza. Il suo sorriso sparì come un lampo, mentre allontanava le mani dal mio corpo.
«Cioè?» Affilò le palpebre, mentre io facevo spallucce, come se non fosse una gran cosa quello che stavo per raccontare.
«Diciamo solo che il Re dei Pirati mi ha riservato un trattamento di favore...» E se per questo lo aveva fatto anche il Conte Alucard, ma due giorni dopo mi aveva quasi ammazzato senza ritegno. Be', non che non ci avesse provato anche il Capitano Ren, ma... Era un pirata in fondo, mica un santo!
Negli occhi blu notte di Yul vidi scintillare qualcosa di simile alla collera, ma più fredda e spaventosa. La mia piccola vendetta contro di lui, che aveva preso le difese di Lysandro e continuava ad approfittarne per logorarmi, era stata un successo. Eppure, il senso di trionfo e di vittoria che mi aspettavo giungesse, non arrivò. Anzi: desiderai potermi rimangiare ogni cosa. O, forse, ritornare indietro nel tempo per evitarli alla radice, quei trattamenti di favore.
L'assassino fece per allontanarsi. Ecco, ancora una volta il mitico Helias Bloomwood aveva sbagliato tutto. Lo fermai appena in tempo, tendendomi verso di lui, un passo in avanti. «Collaboriamo in questa missione!» Ero capacissimo di portare a termine l'omicidio di Joseph Martin da solo, ma quella proposta sembrava una tregua. Anzi, un ringraziamento. Insomma, mi aveva salvato la vita e io ci avevo sputato sopra! «Avrai la metà del profitto.»
La mascella irrigidita dell'altro iniziò ad allentarsi. «Ptf, come se la volessi. Non mi serve altro che rovinare la prossima asta di schiavi fra nobili pervertiti.» Nascosi un accenno di sorriso, al ricordo che risaliva a diversi mesi prima, al ballo dell'Orchidea. Quando Yul mi aveva salvato dall'essere venduto come un pezzo di carne in macelleria, alla mercé di maiali ingioiellati. Da quel giorno sembrava essere cambiato tutto. «A che ti serve il mio aiuto?» Alzò gli occhi al cielo, sarcastico, sentendo che non gli rispondevo. «Sicuro che lo vuoi?»
«Certo.» risposi, senza alcuna ombra di dubbio nella voce. Torse la bocca in un ghigno a metà fra il disprezzo e il divertimento.
«Non credo che il caro Re degli Assassini approverebbe.» sorrise, amaramente.
Mi affrettai a rispondere, con un accenno di rabbia nella voce. «Onestamente, me ne frego.» Mi studiò a lungo, come per capire se stessi dicendo seriamente una cosa simile. Provai un moto di inaspettata tristezza nel sapere che dubitava di me. Tuttavia, concluse con un cenno d'assenso del capo.
«Affare fatto allora. Domani mattina andiamo a dare un'occhiata alla dimora della nostra vittima.» Mi mostrò un sorriso sbilenco. «Ci vediamo dopo colazione.» Tagliò corto, mentre nel petto mi martellava il bisogno pulsante di continuare a restare lì per parlare, per sistemare meglio le cose, per dirgli... Per dirgli... Tutto quello che si era depositato sulla lingua e che non veniva fuori.
Ma mi arresi e lo lasciai andare, battendo lentamente le palpebre, fisse sulla sua schiena ampia. Solo che dopo un paio di passi si fermò, girandosi dalla mia parte. «Senti, Helias...» Mi azzannai l'interno della guancia. Camminavo sul filo del rasoio, in attesa delle sue prossime parole. «Mi sei mancato, questa primavera.» Tentai in tutti i modi di non spalancare la bocca in un enorme sorriso. Alla fine, sostenni il suo sguardo blu da mozzare il fiato, non potendo fare a meno di restituirgli il ghigno.
«Odio ammetterlo, Yul Pevensie, ma la tua faccia da schiaffi è mancata anche a me.» Mi voltai soddisfatto, pronto a tornare nelle mie stanze, ed anche lui fece lo stesso perché sentii i suoi passi leggeri risuonare per il corridoio di marmo.
«Helias.» mi chiamò di nuovo. Mi fermai e i suoi passi tornarono rapidamente indietro. Mi afferrò il polso, facendomi voltare verso di lui e con agili mosse mi spinse contro il muro, bloccandomi. Sentii i miei battiti accelerare e pulsare nelle orecchie, a tutta velocità. «Sai, potrai anche essere una sua proprietà» mi prese il mento fra le dita, accostando il mio volto al suo. Eravamo talmente vicini che i nostri nasi e le nostre ciglia si sfioravano, potevo sentire il suo respiro profumato di menta e caramello mescolarsi col mio. «ma ti toccherò anche a costo di farmi ammazzare.»
E la sua bocca fu sulla mia.
Non fu per niente delicato. Non chiese, non accarezzò. Solo le labbra, forti e forse un po' rabbiose, ma pure affamate, bramose di assaggiarmi. Sentii subito il suo sapore accarezzarmi il palato, la sua lingua intrecciarsi alla mia, i suoi respiri farsi miei. Riuscii a portargli le mani sui capelli setosi, gli avvolsi un'anca con la gamba sinistra e se lui mi divorava, io ero ancora più famelico, ancora più desideroso. Lo volevo e lo cercavo e ci baciavamo e baciavamo e baciavamo ancora.
Mi spinse via con un ghigno beffardo sulla faccia, leccandosi le labbra come a voler acchiappare ancora il sapore di quel bacio. Aveva i capelli tutti dritti, il petto che si alzava e abbassava. E io ero come lui, se non peggio, perché lo volevo ancora, volevo assaporare la sua pelle, desideravo sentire le sue mani sul mio corpo e sulla mia pelle nuda.
Invece, con un ultimo sorriso sornione, lasciandomi ansante contro il muro, si mise le mani in tasca e tornò al party muovendo la testa a tempo di musica, lontana nel corridoio.
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