15. L'Assassino e le scuse
Raggiunsi la porta dell'ufficio del Re degli Assassini, totalmente fuori dai gangheri.
Non ricordavo bene quello che era successo quando ero tornato, eppure mi ero risvegliato nella mia stanza ben cinque giorni dopo. E sprizzavo energia da tutti i pori. Ecco perché ne avevo abbastanza per sbattere in faccia ad Alaister Noir il trionfale discorso sui miei diritti.
Trill o Phil - questo non lo avevo ancora ben capito - si frappose fra me e la porta, intimidatorio. Era da tanto tempo la guardia all'ufficio del Re degli Assassini, di mezz'età, coperto di cicatrici, col collo di un toro segnato da una lunga linea che faceva pensare qualcuno avesse provato, chissà quando e in quale circostanza, a sgozzarlo.
«E' impegnato.» disse la guardia, le braccia apparentemente morbide, benché sapessi che ci avrebbe messo solo qualche secondo ad estrarre le sue armi. Era un tipo vagamente migliore degli altri componenti della Gilda - ciò voleva dire che non mi odiava a priori - ma non c'era da sottovalutarlo. Avrebbe sicuramente provato ad ammazzarmi, se fossi diventato un pericolo per l'uomo che lo capitanava. Anche se non avevo testato le sue abilità in combattimento, ero sicuro che fosse molto bravo nel suo lavoro: forse per la postura, forse per il mistero che lo avvolgeva, più probabilmente perché Alaister lo aveva scelto e piazzato lì. E il Re degli Assassini non si affiancava ai deboli.
«Anche io lo ero, ma eccomi qui!» dissi, ostentando un sorriso tagliente. Lui strinse le labbra, ma non mi sbarrò la strada quando io, girando la maniglia dell'ufficio, lo aggirai e mi intromisi all'interno. Il Re degli Assassini sedeva alla sua scrivania intarsiata ed era concentrato ad esaminare noiosissima burocrazia. Senza nemmeno annunciarmi, avanzai verso il tavolo e sbattei i palmi delle mani sulla lucidissima superfice di legno.
Poi spalancai le labbra, pronto a riversare e declamare tutta la mia rabbia e le ragioni che la scatenassero. Tuttavia, Alaister si limitò a sollevare una mano per frenarmi, accennando ad un lievissimo sorriso prima di tornare ai documenti. Una sgradevole sensazione di disagio e gelo iniziò ad impossessarsi di me. Alaister scartabellò fra i fogli, scrutando rapidamente scritte ed inchiostro: tenni a bada la curiosità, mentre lui muoveva le dita affusolate in un vago cenno. Accomodati, diceva.
Sfogliava, accarezzando gli angoli dei documenti prima di girare la pagina quasi senza battere le palpebre. Strinsi i braccioli della poltroncina, ticchettando le dita contro di essi. Ancora e ancora. Ma ad Alaister sembrava non importare: ero praticamente trasparente.
Perseverava nello studiare i documenti. Il messaggio sotteso era più che evidente: dovevo aspettare che lui fosse concorde nel ricevermi. Entrare e aspettarmi che fosse a mia disposizione, pronto ad ascoltarmi, proprio non era da lui. Voleva impartirmi la lezione - anche adesso! - e la cosa mi faceva inferocire, ma finché non avessi pazientato, avrebbe continuato a trattarmi come fossi invisibile. Così sprofondai nella poltrona e attesi.
La pioggia aveva iniziato a tamburellare i vetri lucidi delle finestre dell'ufficio. I secondi si tramutarono in minuti. Le fantasie che mi ero costruito nella testa - io che urlavo contro Alaister, io che lanciavo cose per aria, io che gli sbattevo trionfalmente in faccia tutte le sue ingiustizie - si azzittirono in quella mattina uggiosa.
Alaister raccolse gli ultimi documenti dal plico che mi guardavano derisori sullo scrittoio. Mentre lui leggeva, non smisi di pensare all'ultima volta in cui mi ero seduto su questa stessa sedia, dei pochi centimetri che dividevano me ed il Re degli Assassini, delle strane domande su Yul.
Quando ero arrivato alla Fortezza l'avevo scorto all'entrata, anzi, gli ero praticamente crollato fra le braccia. Da che mi ero svegliato ancora non lo avevo incontrato e la risposta che mi ero dato era che fosse semplicemente impegnato. Sperai lo fosse, perché questo voleva dire che era ancora vivo e che non era sparito nel nulla più assoluto.
Finalmente Alaister sollevò gli occhi color topazio su di me. Rimasi fieramente composto, col mento alzato, anche quando i suoi occhi gialli e luminosi mi scandagliarono da capo a piedi, indugiando soprattutto sulle impronte violacee che avevo intorno al collo.
«Be'» esordì «credevo di trovarti meno cadaverico.» Mancava poco perché mi mettessi a ridere istericamente, o forse ad urlare. Ma fui in grado di mantenere un certo contegno.
«In fondo ero a stretto contanto con un morto vivente.» spiegai. «Vampiro.» chiarii. Alle mie orecchie le parole parvero più tranquille e meno affilate di quanto desideravo. Non se lo meritava.
«Mmh.» fu tutto quello che disse, mentre le mani eleganti restavano intrecciate sul bordo della scrivania.
Inalai un profondo respiro, cercando di ricordare tutta la lunga lista di cose che avevo intenzione di dirgli, lista stilata attentamente durante il viaggio di ritorno a Skys Hollow. Magari avrei cambiato la mia situazione. Me lo doveva. Mentre facevo appello alla mia temerarietà, Alaister mi precedette e iniziò a parlare, lasciandomi completamente basito.
«Scusa.» scandì. Rimasi senza più parole da dire. Gli occhi del Re degli Assassini erano fissi su di me, aveva definitivamente finito di badare ai documenti. «Se potessi ripercorrere i miei passi, non ti rimanderei in quelle missioni.» arretrò un poco dalla scrivania. Subito notai come non avesse detto "quella missione", al singolare. Perché sapevo che aveva iniziato dalla missione a Costantinopoli, ordinandomi di stare via per più di tre mesi, di uccidere due degli esponenti più importanti di quel regno, mettendomi in un grosso pericolo.
Poi c'era stata la missione col Re dei Pirati e i suoi falsi contatti con le tratte degli schiavi. Ed infine quella in Transilvania, in cui non aveva accumulato abbastanza informazioni per poter essere sicuro di inviarmi a compiere una missione. «Scusa.» ripeté. Alcune ciocche gli erano scivolate dal codino sulla nuca e la loro intrusione intorno al volto, rendeva i suoi lineamenti ancora più affascinanti. «Ogni giorno, da quando hai perso i sensi, ho pensato a te, ho pregato che ti riprendessi.» L'immagine del Re degli Assassini con le mani giunte in atteggiamento di pentimento e prostrazione era davvero surreale, ma le sue parole parevano autenticamente sentite. Era una farsa ben recitata o la realtà? «Non avrei dovuto metterti in pericolo in tal modo.»
Affilai lo sguardo color ghiaccio. Alaister scorse l'ira e il sospetto che s'intravedevano sul mio viso. Sapevo bene che l'aveva fatto apposta e adesso lui lo ammettava senza alcuna scusa. «Dammi occasione di redimermi.» Si sollevò dalla poltrona e aggirò la scrivania. I pantaloni d'alta sartoria gli fasciavano perfettamente le gambe slanciate e muscolose, che si piegarono quando mi si inginocchiò davanti, occhi dentro agli occhi, una scintilla carica di aspettativa dentro ai suoi.
Allungò le mani e svelò un regalo. Avrei dovuto lanciare la scatola dall'altra parte della stanza, alzare i tacchi e allontanarmi indignato. Avrei dovuto dirgli che corrompermi non era certo il modo per far svanire le sue malefatte. Tuttavia, rimasi imbambolato quando alzò il coperchio foderato di seta azzurro cielo. Una spilla d'oro bianco, brillanti e zaffiri grossi quanto un'unghia, catturò la debole luce che filtrava dalle finestre.
Il gioielliere che aveva creato quella piccola opera d'arte doveva essere estremamente abile, nonché famoso e, soprattutto, incredibilmente costoso. Avrebbe fatto un figurone, quella spilla, su uno dei miei cappotti, su un mantello, o su una giacchetta a doppio petto. La adoravo. E lui lo sapeva perfettamente, come capiva cosa pensavo: mi conosceva meglio di chiunque altro.
«Sensazionale, non è vero?» esclamò lui «Ed è tuo. Il primo di tanti altri doni.» Poi sollevò una mano, avvicinandosi lentamente e con dolcezza inaspettata al mio viso. Seguì con un dito la curva della mia mascella, dalla tempia fino al mento, per poi arrivare alla bocca e sfiorarmi le labbra con il pollice, facendomi rabbrividire. «Perdonami.» mormorò ancora, spingendomi a sollevare le pupille per incontrare le sue.
Sarebbe stato impossibile affermare che cosa provassi per il Re degli Assassini. Non aveva mai avuto un ruolo ben definito, nella mia vita: era stato una strana specie di educatore, che invece di insegnarti le buone maniere, ti strappava via l'innocenza con l'arte dell'omicidio. Un padre, un fratello o un amante... Non si era mai affermato come niente di tutto quello. Almeno, non fino ad ora.
Interruppi quell'incrocio di sguardi e fu quello il segnale che gli fece capire di alzarsi dal pavimento. Puntellò la scrivania con i fianchi, rivolgendomi un'espressione serafica. «Se vuoi, ho anche qualcos'altro in serbo per te.» Tutti quei giorni dal Conte Alucard, tutti quei giorni in cui avevo viaggiato fino a Skys Hollow e quei momenti in cui ero incosciente, a pianificare il discorso trionfale... Perché non riuscivo semplicemente a sbatterglielo in faccia?
«Conosci il celebre Joseph Martin, no? Si sta muovendo verso Skys Hollow.» disse Alaister. Puntellai il bracciolo della poltroncina col gomito, posando delicatamente il mento sulle nocche. Martin... Era una specie di imprenditore, un affarista di prestigio con molto seguito nella sua terra. Veniva dal sud-ovest, da Malescot, una delle primissime conquiste del Re di Darlan, a quanto dicevano i libri.
«E quindi?» La mia voce trasmise una certa circospezione, specialmente perché gli occhi del corvino si affilarono come quelli di una pantera davanti ad una piccola preda.
«Fa parte di un'importante rappresentanza che Eliza Smetanova sta guidando verso la capitale. Lady Smetanova è un'amica dell'ex sovrana di Malescot, che ha intenzione di dialogare attraverso di lei col Re di Darlan.» Giusto. Malescot faceva parte di quella piccola nicchia di regni che si erano venduti al Re pur di non finire sulla forca. Non molto dignitoso. «La rappresentanza vuole dare lustro a tutto ciò che Darlan potrebbe ottenere dal loro regno» arte, cultura, merci di ogni tipo «in cambio della concessione del diritto di costruire una strada» spiegò Alaister.
Sollevai gli occhi verso il soffitto, facendo mente locale per ricordare la mappatura del continente. «Una strada per collegare Malescot a Warsaw e a Darlan?» chiesi. Da quel poco che avevo appreso durante le lezioni private di geografia, Malescot non era mai stata capace di commerciare facilmente, vista la sua posizione, fra montagne rocciose e le foreste impervie di Oak, dove il bracconaggio non mancava, sebbene fossero pochi i criminali che si arrischiavano a sfidare le zone del Re. Costruire una strada avrebbe reso quella città finalmente potente.
«La rappresentanza starà a Skys Hollow per sette giorni.» aggiunse Alaister annuendo. «Ovviamente, le operazioni di mercato, fra parate ed allestimenti, non mancheranno. Ci sarà anche un ballo di tre giorni per festeggiare l'inizio dell'estate. Tutto per far sì che i cittadini della capitale apprezzino loro e le merci che posseggono.»
«Non capisco il collegamento con Joseph Martin...» sottolineai.
«E' qui per fare affari e per mettere i bastoni fra le ruote in quelli dell'ex moglie: Eliza Smetanova.» Ecco il collegamento. «Specialmente perché sa che lei vuole liberarsi di lui.» Alzai un sopracciglio. Se ti fa piacere, aveva detto Alaister. Avrebbe dovuto farmene? «Sai, Martin viaggia con dei documenti davvero preziosi.» disse il Re degli Assassini, il tono di voce strano, furbo avrei detto, ma in una maniera che mi fece venire i brividi. «Il suo compito non è solo freddarlo. Devi impossessarti di quei documenti.»
Il morso della diffidenza tornò ad azzannarmi lo stomaco. «Di cosa stiamo parlando, esattamente?» Alaister piegò le labbra in un ghigno sensuale.
«Gli affari di Martin riguardano una nuova tratta di schiavi con colleghi di Skys Hollow. Se la costruzione della strada andasse in porto, sarebbe perfetto per i suoi piani. I documenti dovrebbero contenere i nomi di alcuni personaggi in vista che si sono dichiarati contrari a questa faccenda, con prove incluse. Considerata la facilità con cui il Re di Darlan parla di ribellione quando qualcuno non approva le sue politiche, immagina quanto la faccenda sia delicata.» Mi azzannai il labbro inferiore, senza smettere di ascoltarlo. «Martin non vede l'ora di usare questa lista per ricattare i diretti interessati e obbligarli ad assecondare i suoi piani.» fece una pausa «Se si rifiuteranno, Lady Smetanova paventa che l'ex marito consegni l'elenco di nomi nelle mani del Re.»
Mi morsi l'interno della guancia, riflettendoci a fondo. Alaister agiva in modi misteriosi, ma era chiaro che ciò che stava facendo era collegato alla missione col Re dei Pirati. Lui sapeva bene quanto mi stava a cuore la faccenda degli schiavi, dopo tutto quello che avevo passato...Dopo essere divenuto io stesso uno schiavo... Tuttavia, l'idea di averci ancora a che fare mi faceva salire un groppo alla gola, di quelli che ti rendono difficile respirare.
«E cosa ci guadagna lady Smetanova in tutto questo?» affilai gli occhi diamantini. «Perché vuole che Martin venga eliminato?»
Alaister si umettò le labbra e il guizzo della sua lingua mi ipnotizzò per un brevissimo momento, prima che distogliessi lo sguardo. «E' una fervente abolitrice della schiavitù, sa bene quanti danni può causare alla sua città. Oltre al fatto che le interessa proteggere le amicizie coinvolte in quella lista. Sono abbastanza sicuro che voglia salvare gli schiavi implicati.» Allora la conosceva, eh?«Invece, l'alleato del mio obiettivo, qui a Skys Hollow? Di chi si tratta?» Non mi sarei perso neanche un dettaglio, ora. Le ultime volte ero sempre stato tratto in inganno dalle piccole informazioni. Ci avrei riflettuto davvero attentamente.
«Non si è venuto a sapere. Ciò di cui siamo a conoscenza, con certezza, è che fra sei giorni ci sarà il baratto di documenti col socio nell'abitazione che Martin ha affittato. Secondo Eliza, le carte che gli offrirà l'uomo di Darlan riguardano persone a favore della schiavitù nel nostro paese, possibili alleati per Joseph Martin quindi. Sappiamo anche che ci sarà una stanza prestabilita dove avverrà l'incontro, presumibilmente al primo piano o nei dintorni. E' convinta di sapere come agirà l'ex marito.» spiegò diligentemente, offrendomi tutto il necessario.
Non mi restava altro che individuare l'orario di quell'incontro, saggiare i possibili intralci e capire come neutralizzarli. Con tutto quello che avevo saputo, pareva un compito davvero facile. Poi mi ricordai come era andata a finire col Visconte durante il ballo dell'Orchidea e, trattenendo una smorfia, rammentai che non dovevo sottovalutare nemmeno situazioni all'apparenza semplici. Niente era mai facile.
«Perciò...» strinsi le labbra, traendo le conclusioni «non basta ammazzare Martin. Devo anche rubare i documenti, i suoi e quelli del suo complice.» Alaister alzò l'angolo delle labbra, compiaciuto. «E a proposito di questo. Che ne sarà di lui? Me ne devo occupare io?»
«Non conosciamo la sua identità, perciò il contratto non prevede la sua morte.» La sua espressione si fece distante per un attimo: stava pensando a qualcosa, era come vedere la sua mente mettersi in moto, le macchinazioni di quell'uomo gelido muoversi fino a sentirne il ticchettio. «Comunque, Lady Smetanova disprezza Martin e l'idea di quel contratto, per cui potrebbe apprezzarlo. Con le sue laute risorse, ti riserverà sicuramente un compenso.»
Un compenso aggiuntivo, eh? Mi mordicchiai il labbro inferiore. «Com'è retribuito questo incarico?» Andai dritto al punto.
«Davvero generosamente.» la voce del Re degli Assassini era serafica quanto soddisfatta, nonostante quel che disse dopo. «E ho intenzione di lasciare tutto a te. Non godrò della mia percentuale sull'assassinio.» Il mio sguardo si spostò di scatto dalla scrivania al suo viso, senza riuscire a mascherare lo sbigottimento. Questa sì, che era una novità.
Studiai quegli occhi dorati, le iridi scintillanti e la pupilla a spicchio come quella di una vipera. Lo sguardo di un predatore, che tuttavia pareva pieno di pentimento. Sapevo che questo era il genere di lavoro che in momenti normali non avrebbe mai accettato, troppo vicino agli affari del Re. Se ficcavi troppo il naso nell'oscurità di Darlan, finivi per essere scoperto, per metterti nei guai. Nessuno di noi voleva finire in un campo di prigionia, o torturato in una delle prigioni sotterranee del Castello di Cristallo.
Il fatto che, quindi, avesse accettato questo lavoro... Che voleva dire? Mi stava seriamente chiedendo scusa? Capiva il suo errore?
Accarezzai col pollice la spilla che mi aveva regalato, sentendo la freddezza dello zaffiro sotto al polpastrello. «Immagino che Martin sarà circondato da guardie del corpo, giusto?»
«Immagini bene.» rispose Alaister, facendo scorrere le mani sull'orlo della scrivania contro cui era appoggiato. «Sarà sempre protetto, fino alla fine dei festeggiamenti, dopodiché tornerà a Malescot molto in fretta.»
Quanto bene potevo fare, accettando questa missione? Quanti schiavi avrei salvato? Ricordai quello che avevo subito a Treblin, il dolore di quelle aste penose, il languore sporco dentro agli occhi dei compratori. Ricordai anche che Alaister mi aveva offerto una via di fuga e quanti - quanti! - soldi gli dovevo. Avevo un tremendo bisogno di denaro, se volevo estinguere il mio debito col Re degli Assassini.
All'improvviso, lui scompose la postura indolente contro lo scrittoio e tornò scritto, avanzando un poco verso di me. Mentre mi alzavo dalla poltrona, approfittò di quel momento per mettermi un ricciolo dietro all'orecchio. Era strana la sensazione di quelle dita sul volto.
«Sono così felice che tu stia bene.» mormorò, facendomi tornare quel groppo alla gola.
La sua mano scese dai miei capelli al viso, il palmo aperto contro la guancia, tanto vicino che pensai volesse abbracciarmi. Restò semplicemente così, senza fare altro. Scrutai insistentemente il suo viso, così familiare dopo tutti questi anni insieme. Gli occhi gialli e luccicanti,i capelli mossi e corvini raccolti nel piccolo codino sulla nuca,le labbra tumide.
Non volevo perdonarlo per il modo in cui mi aveva trattato, eppure ero conscio che fosse una parte importante di me. Non avevo più mia madre, né i miei amici di strada con cui facevo il ladruncolo. Era rimasto soltanto lui. Ero legato al corvino in maniera quasi dolorosa, come se un'uncino ficcato sotto alla carne ci tenesse vicini e allontanarsi implicasse lo strappo di qualcosa. Se me ne fossi andato, se avessi estinto il mio debito e lo avessi perso per sempre...
Mi distaccai dalla sua mano, scostandomi. Qualsiasi cosa pensava potesse accadere - un abbraccio o un bacio - lasciò perdere, facendo un passo indietro con disinvoltura, affatto dispiaciuto dal mio reclinare quell'occasione.
«Ti darò la mia risposta sulla missione, dammi un po' di tempo.» conclusi, sapendo che non era un problema lasciarlo sulle spine, almeno un po'. E poi, ero realmente incerto.
Annuì, prima di sussurrare un ultimo: «Perdonami.» Non mi girai a guardarlo. Mi limitai ad uscire dal suo ufficio, incapace di liberarmi di quelle sensazioni contrastanti.
***
Un fulmine squarciò l'aria proprio non troppo lontano dalla Fortezza, ed io mi svegliai di soprassalto a quel suono. Era passato un giorno dalla chiacchierata con Alaister, ma le giornate continuavano ad essere uggiose e il mal tempo si scatenava ferocemente sulla città. Ancora con la testa appiccicata al cuscino e i riccioli scompigliati intorno alle guance, udii i movimenti discreti di un servitore - solo loro avevano accesso alle chiavi delle stanze e perderle o farsele rubare sarebbe voluto dire guai grossi per loro. Stava lasciando qualcosa sul mio comodino intarsiato.
Aprii un occhio e, simulando totale disinteresse mentre il sonno abbandonava pian piano il mio corpo, finché il servo non lasciò la stanza. Poi scattai a sedere e velocemente, ancora in camicia da notte, scartai il regalo, sciogliendo ogni nastro con la perfetta consapevolezza di chi fosse il mittente. Alaister non poteva certo pensare di comprarsi il mio perdono così, eppure mi lasciai andare ad un sospiro di meraviglia quando scoperchiai la scatola rettangolare e guardai estasiato un orologio col quadrante d'oro, con un'elaborata catenina di rubini da avvolgere intorno al polso.
Scesi dal letto così rapidamente che rischiai di inciampare nelle lenzuola e cadere col naso dritto sul pavimento, ma riuscii a districarmi e dirigermi senza intoppi alla toeletta di fronte al baldacchino di legno. Di fronte allo specchio, indossai il lussuoso regalo avvicinando la mano al viso per osservare l'effetto finale. Ne fui ampiamente soddisfatto.
Continuai vanitosamente a rimirarmi, finché sui miei occhi calò un'ombra scura, quando notai le impronte livide e violacee di dita intorno al collo. Ricordavo benissimo la stretta, la sensazione dell'aria che veniva meno, i polmoni che urlavano. Soffocai a stento il singulto che mi salì alla gola, accarezzandomela involontariamente, per poi lanciare un'occhiata alla finestra, oltre la carta da parati in broccato. Ero lontano dalla Transilvania. Era tutto finito, ero a Skys Hollow. Sospirai, facendomi cullare dal picchiettare della pioggia, che nonostante fosse inizio estate non ne voleva sapere di smettere.
Dalla mia stanza, si godeva un ottimo panorama della città, che stamattina era avvolta dal caratteristico grigiore del maltempo, una patina che donava una luce argentata a tutto quanto. Le case eleganti con l'architettura antica o all'avanguardia, i tetti color smeraldo o rubino, le baraccopoli delle zone malfamate verso le rive del fiume Tibor, che svettava serpentino per tutta la capitale. E poi il Castello, che sovrastava la città, il regno, il mondo. O almeno quella era la mia impressione.
La rappresentanza di Malescot aveva scelto questo periodo, convinta che l'estate sarebbe stata un momento perfetto per le bancarelle esotiche e i party all'aperto, invece aveva avuto sfortuna. Le loro feste avrebbero dovuto svolgersi solo dentro ai bei palazzi e assistere alle parate - di cui sentivo già i lontani schiamazzi - avrebbe significato inzupparsi fino all'osso. Se mi fossi sentito abbastanza intrepido, magari avrei anche ceduto per sfamare la mia curiosità.
Oggi iniziavano i festeggiamenti, era questo che mi aveva comunicato Alaister durante una barbosa cena privata con qualche altro elemento della Fortezza, Trill compreso, che come sempre mi osservava quasi fossi una minaccia, sguardi a cui rispondevo con sorrisetti di sfida.
Quanto al Re degli Assassini, non aveva ricevuto ancora un mio responso, nonostante mancassero ormai cinque giorni dal fatidico scambio di documenti. Non aveva insistito, anzi, era stranamente paziente. Durante la cena mi aveva coccolato con sorrisi e occhiate cortesi, servendomi ogni porzione, addirittura facendomi assaggiare dal suo piatto le pietanze che io non avevo preso.
A dir la verità,ero piuttosto sorpreso di questo suo cambiamento drastico. Era sempre stato un gran bastardo, non ne aveva mai fatto mistero, ma questa volta si stava sforzando di comportarsi in maniera gentile e sembrava del tutto imprevedibile.
Mi guardai di nuovo i lividi e li nascosi bene avvolgendomi un fazzoletto di seta intorno al collo. Dannata guarigione, non poteva levarmeli in fretta? Mi alzai, avviandomi a grandi passi verso il mastodontico armadio che possedevo. Non mi sarei fatto abbindolare dal comportamento di Alaister: avrei deciso di mia sponte cosa fare di Joseph Martin e i suoi agganci con gli schiavisti.
Adesso, nemmeno il diluvio universale mi avrebbe fermato dal dirigermi verso i miei negozi preferiti e il mio sarto di fiducia.
Qualche ora dopo mi avventurai per le strade allagate della città. Sebbene l'acquazzone si stesse ancora scatenando, molti fra gli abitanti di Skys Hollow avevano scelto di abbandonare il riparo e di ammirare l'arrivo della rappresentanza. Sostai sotto la pensilina di un panettiere - il profumo che ne emergeva mi fece ricordare che non avevo messo niente sotto i denti, a colazione - e scrutai la sfilata con un sorrisetto deliziato.
Il regno straniero procedeva dal viale principale verso gli enormi e spaventosi cancelli del Castello di Cristallo. A presenziare alla parata c'erano saltimbanco colorati e danzatori sinuosi con le braccia avvolte da serpenti, vestiti con abiti vaporosi, resi però sgonfi dall'acqua che aveva inzuppato le loro gambe. A chiudere la fila c'erano i personaggi illustri di Malescot, per lo più nascosti da un grande tetto di ombrelli, che rendeva davvero difficile vederli.
Mi sventolai spasmodicamente il viso con le mani unite, con la pioggia che invece di essere rinfrescante, rendeva solo l'aria più umida. Dietro il corteo si trascinavano lenti i carri che avrebbero riempito gli stand in mostra per Skys Hollow: i portelli erano stati chiusi per colpa del maltempo e ciò voleva dire che potevo battere in ritirata.
Le merci di Malescot erano di una raffinatezza ineccepibile, essendo per lo più un regno di artigiani e artisti. Creavano meraviglie: dipinti che sembravano muoversi e statue che facevano pensare a persone pietrificate per via di qualche incantesimo, non a blocchi di pietra levigata. Gioielli, abiti, ninnoli, avevano ogni bellissima stranezza per soddisfare il gusto del cliente. Se erano chiusi, non sarei rimasto ad osservare gente eccentrica che starnutiva sotto alla pioggia.
Comprai al volo una pasta alla crema, prima di rifuggire dalla folla verso le stradine anguste della città. Mi domandai se Yul fosse lì da qualche parte, ai bordi della strada ad ammirare la parata, e se Lysandro lo accompagnasse. Dopo che ero partito verso Costantinopoli, quanto gli ci era voluto prima che lui e Lysandro diventassero così uniti?
Me ne rammaricai. Non era forse meglio il passato, quando volevo strangolarlo a mani nude? Lo avevo creduto diverso dagli altri, invece mi ero sbagliato. Si faceva abbindolare dai bei visini esattamente come Alaister, che investiva sulle cortigiane di Sophia.
Sentii l'irritazione montarmi dentro, ma scossi la testa e strinsi i pugni, obbligandomi a lasciar perdere e basta. Nonostante fosse difficile.
Tanto che, alla fine, mi dissi che dovevo contare soltanto su me stesso. Come al solito. Non fu una sorpresa quindi ritrovarmi a gocciolare acqua piovana sul prezioso tappeto persiano dell'ufficio di Alaister Noir, le mani strette dentro alle tasche, sentendomi dire con una certa determinazione: «Accetto di occuparmi di Martin e del suo complice.» Dalla sua espressione, percepii la sua approvazione e mi sentii un po' meglio.
***
Lo sguardo ferale di Alaister mi stava facendo ribollire il sangue nelle vene, mentre mi scandagliava dalla testa ai piedi con un sorriso ammantato dal trionfo. Quella mattina, indossavo un altro dei suoi doni: una tuta di un puro nero ossidiana, un modello anatomico che mi copriva dalla testa ai piedi, di cuoio opaco, assolutamente maneggevole e leggera, sebbene sembrasse estremamente resistente. Passando le dita sulle maniche e sulle gambe, non sentivo le cuciture degli scomparti nascosti che contenevano tutte le mie armi.
Compii qualche movimento sciolto, senza timore di ferire qualcuno, visto che mi trovavo in una stanza apposita vicino alle palestre per l'allenamento. Avevo quasi mozzato un orecchio al sarto, che era fuggito spaventato dopo aver finito di prendermi le misure, sotto gli occhi gelidamente divertiti del Re degli Assassini.
Che adesso, comodamente appoggiato alla parete, studiava il modo in cui la tuta mi calzava a braccia conserte. Sentivo i suoi occhi vagare dappertutto e temetti che la divisa fosse un po' troppo aderente. Come mi calava sul posteriore? Ah, dannazione! In ogni caso, si abbinava alla perfezione con gli stivali che mi aveva fatto recapitare dopo cena, il giorno prima, un compenso per avergli detto che accettavo la missione.
Sguainai le lame gemelle con una rotazione del polso, esattamente come il progettatore della tuta mi aveva spiegato, ripetendo l'operazione ancora ed ancora, soddisfatto almeno quanto lo sembrava il corvino.
Disporre di armi sempre attaccate al vestito era decisamente meglio della semplice lama celata che dovevo faticare a nascondere sotto le maniche degli abiti. Ed era tutto grazie all'ingegneria di Malescot, che aveva reso possibile questo: non mi sarei distaccato dalla divisa in nessuno dei futuri incarichi in città. Adesso sì, che ero pronto a portare a termine con successo la missione.
A proposito di quello: gli affari del marito di Eliza Smetanova si chiudevano fra quattro giorni, tutto il tempo che mi serviva per imparare ad usare al meglio la divisa nuova di zecca, così come per scoprire l'ora precisa dell'incontro, che ormai sapevo fosse nella casa in affitto di Martin, al primo piano. Ogni pezzo della scacchiera si stava collocando al posto giusto e mi sentivo carico.
Ma mi guardai bene dal farlo presente ad Alaister, verso cui scoccai un'occhiata indagatoria. «Sono disposto a pagare per la tuta.» mantenni un tono neutro, osservandolo con la coda dell'occhio che si discostava dalla parete per avvicinarsi.
«Non dire sciocchezze. E' un dono, Helias.» ripetè il mio nome come miele colato e mi dovetti azzannare il labbro inferiore, facendo finta che quel tono stucchevole non mi facesse effetto. Recitando la parte di quello super interessato al suo regalino.
Non mi servivano certo dei mezzucci per tornare vittorioso da una missione, ma non mi meritavo forse il meglio? Era l'attrezzatura che ogni sicario avrebbe desiderato. Stivali ottimi per arrampicarsi, di un materiale impermeabile ma morbido e comodo, anti-scivolo. E l'armatura! Avrei dato del filo da torcere anche a... A nessuno, perché ero io il migliore. Ma magari, avrei potuto affrontare il Re degli Assassini stesso.
Quello che ora mi si era avvicinato, facendomi scivolare una mano lungo la spina dorsale, un gesto che scatenò una piccola raffica di brividi sotto l'epidermide. «Come pensavo, le misure che ho fornito al sarto erano perfette.» usò un tono fin troppo appagato, quasi libidinoso, quasi avesse voluto dire fra le righe che sapeva ogni cosa di me. Anche le più intime.
Deglutii il groppo che mi si era formato in gola. «E tu, ne avrai una?»
«Ovviamente. E anche Yul.» Sorrise, girandomi intorno come uno squalo attratto dall'odore del sangue, movenze che mi sforzai di non seguire ogni due per tre con lo sguardo, girandomi attorno come un cane che si insegue la coda.
«Da quando fai regali a Yul?» sbottai, senza riuscire a trattenere la domanda insolente. Ero troppo stranito: sapevo si detestassero.
Alaister si lasciò andare ad una bassa risata sensuale, che avrei definito sadica come il suo sguardo. «Non ho detto che lo sarà. E' nel suo interesse non rallentare il mio miglior elemento con un equipaggiamento inadeguato...»
Ah, quindi era così. Restai a bocca chiusa, senza parole, stavolta. Questa divisa doveva costare quanto uno stallone, o una carrozza, quel genere di investimento per cui mettere da parte tanti soldi. Doveva aver commissionato il lavoro al sarto molto tempo prima - significava che già si era pentito? - per averla pronta adesso. E senza ombra di dubbio stava obbligando Yul a comprarla. Per non rallentarmi. Sentii una fastidiosa morsa allo stomaco.
Quando l'orologio a pendolo nelle vicinanze rintoccò l'ora, Alaister si batté la mano su una coscia e proseguì: «Devo lasciarti, ho un appuntamento.» Bruciò le distanze, ancora una volta. «Il conto è già stato pagato.» Sentii le sue labbra posarsi sulla mia fronte, un gesto che mi fece strabuzzare gli occhi e mi spinse a guardarlo come se lui - o io - fosse posseduto. «Mi sei mancato in questi ultimi mesi.» sfiatò, accarezzandomi i capelli, prima di uscire dalla stanza, lasciandomi solo a provare i meccanismi della divisa ancora per qualche minuto.
Uscii dalla stanzetta della palestra diretto all'anticamera e lì, finalmente, lo vidi. Era passato un mese dall'ultimo incontro con Yul Pevensie. Aveva visto la sua tuta su un manichino e sicuramente era lì per provarlo, tuttavia non proseguì oltre. Si fermò e mi scandagliò dalla testa ai piedi, notando il modo in cui mi calava addosso la nuova divisa.
«Guarda guarda.» esordì, con un sorrisetto sul viso, facendogli salire sulle guance due fossette irresistibili. Stavo per incrociare le braccia sul petto, ma mi arrestai: non volevo attivare una raffica di coltelli da lancio e ferirmi da solo. O lui. O magari sì? «Un altro regalo, pare.» notai subito la sfumatura di ilarità nella voce, di... rabbia.
«Invidioso?» domandai, a voce bassa ma insolente.
Non aveva avuto nemmeno il buon gusto di mostrare la sua faccia nei giorni seguenti al mio risveglio. Poteva palesarsi o almeno mandare un bigliettino per chiedermi come stavo. Insomma, ero stato incosciente per cinque giorni e l'ultima persona a vedermi in quelle condizioni era stato proprio lui!
Aveva scelto di non farsi vedere? Bene, ovviamente, io non avevo fatto nulla per farmi trovare. Non ci tenevo affatto ad incontrarlo, se questo significava vedermi comparire davanti quello stupidotto svenevole di Lysandro. Certo, ritenevo strano che non fosse stato coinvolto in alcuna missione ma fosse comunque sparito. Quando un assassino non aveva incarichi, stava in Fortezza ad allenarsi, non a bighellonare in giro.
Lui incrociò le braccia e la camicia bianca che indossava, abbastanza sottile, lasciò intravedere ogni rigonfiamento di quei muscoli scolpiti. «Tsk, come no.» rise, sarcastico. «Sono giusto un po' sorpreso di sapere che li stai accettando.» sentii la sua voce aumentare di volume man mano che proseguiva. «Come puoi perdonarlo, dopo che ti ha gettato in pasto ai leoni in quel modo?» ringhiò.
Strabuzzai gli occhi. «Ma sentitelo! Sono forse io quello che abbaia come un cagnolino obbediente a Lysandro, partecipa ai fantastici pranzi di Sophia e fa tutto quello che hai fatto tu, qualsiasi diavolo di cosa sia, in quest'intera primavera?!» stavo gridando, lo sapevo anche io.
Lo vidi affilare gli occhi blu notte, che quasi sembravano neri dalla rabbia. «Te l'ho già detto. Non è stato. Affatto. Piacevole.» scandì in un sibilo.
«Oh, tu non eri sperduto nel Deserto, non eri su una nave piena di criminali e non eri nel castello di un pazzo indemoniato!» sbraitai, rosso in viso.
«Credimi, avrei preferito trovarmi ovunque, ma non qui.» Aveva la mascella contratta con durezza.
«Certo, come no!» Magari anche con Lysandro al seguito. Soprattutto con lui. Una meravigliosa fuga romantica a galoppo verso l'orizzonte.
Schioccò la lingua, con la fronte aggrottata. «Cosa accidenti vuoi insinuare?»
«Proprio un bel niente. Non c'è niente da dire.» mi sforzai di prendere dei respiri lenti, di calmarmi, di non sentire la faccia quasi esplodere nel suo bollore. «E soprattutto non ho niente da dire a te, Yul Pevensie.» gli lanciai uno sguardo collerico.
«Allora levati dai piedi.» sibilò lui e fu come un pugno nello stomaco. «Corri a piagnucolare dal tuo Alaister. Permettigli di soffocarti di regali, pettinarti i capelli e darti il bacino della buonanotte.» proseguì, estremamente sarcastico tanto da essere tagliente come una delle mie lame. «Non gli ci vorrà molto per scoprire il prezzo del tuo perdono!» Mi fiondai contro di lui, sbattendolo contro al muro, cosa che riuscii a fare soltanto perché lo avevo preso di sorpresa.
«Chiudi quella cazzo di fogna! Come ti permetti di giudicarmi?!» Avevo ancora le mani addosso a lui, ma le tolsi quasi scottasse, senza neanche guardarlo in faccia.
«Nessun problema. Tanto è come parlare ad un muro.» Schioccò rumorosamente la lingua. «Helias Bloomwood e Alaister Noir: i due perfetti piccioncini dell'anno, tutti occhi dolci e sorrisini smielati!» intonò con un sorriso di scherno e una rabbia sempre più nera.
«Oh, povero piccolo.» misi su un falsissimo broncio dispiaciuto. «Il bimbo impudente è geloso!» Alzai il mento, rivolgendogli un sorriso affilato. «Eppure hai avuto un bel po' di mesi per stare con lui mentre io ero occupato. Che c'è? Non sei riuscito a convincerlo a diventare il suo prediletto?» Sbuffai una mezza risata. «Ah! Deve aver compreso che non sei tanto bravo come dici di essere.» Sembrava una gara fra chi dei due era il più crudele. Non volevo davvero dirle, tutte quelle cose, ma sembravano uscirmi violentemente dalla bocca come un fiotto di sangue dopo una pugnalata. Non c'era modo di fermarmi. Perché non stavo solo zitto?
All'improvviso, la faccia di Yul campeggiò nel mio campo visivo tanto in fretta che quasi saltai indietro. «Tu non hai la minima idea di cosa sono stati questi giorni. Non ne hai idea!»
«Sai cosa?» Sbuffai. «Non me ne frega niente. Di quello che hai fatto o di quello che pensi di me, chiaro?» I suoi occhi color zaffiro erano tanto scuri che mi chiesi se non lo avessi accidentalmente accecato con uno dei pugnali della tuta. Il silenzio che seguì fu peggiore di qualsiasi risposta.
«Lo sai cos'è successo quando sei tornato, una settimana fa?» chiese, la voce bassa, distante, gelida quasi. Scandendo ogni parola per bene, come a volermele vomitare in faccia, una per una. Rimasi in silenzio, a labbra strette. Non avevo idea di cosa parlasse.
Si avvicinò a me tanto velocemente che all'improvviso mi ritrovai spalle al muro. Sbatté una mano accanto alla mia testa, con rabbia, e non riuscii ad evitare di sobbalzare. «Stavi morendo, cazzo!»
Cosa? Ma di che parlava?
«Dopo il tuo svenimento abbiamo chiamato un dottore.» iniziò a spiegare in fretta. «Ricordo ancora le sue parole. Se lo avessimo chiamato un'ora più tardi tu non saresti qui adesso.» Prendeva aria fra le parole, talmente arrabbiato che pareva non riuscire a dire una frase tutta insieme «Ti ha dovuto fare ben due trasfusioni. Avevi un gruppo sanguigno talmente strano che non sapevamo che tipo di sangue darti e tu intanto morivi sotto i nostri occhi!»
Rimasi raggelato. Senza parole. Incapace di poter proferire anche solo una sillaba. Non ne sapevo nulla. Alaister me lo aveva taciuto. «Alla fine abbiamo dovuto pregare, affidarci alla fortuna, scegliendo un gruppo sanguigno di cui non eravamo affatto sicuri e sperando che la cosa non ti portasse ad uno shock e ad una morte ancora più rapida!» sfiatò, a denti stretti.
Quello che disse dopo mi fece sentire stupidamente felice e allo stesso tempo un grandissimo stupido. «Io stesso non ho esitato a darti il mio sangue.» Il fatto di avere il suo sangue nelle vene mi fece sentire in qualche modo... speciale. Protetto e orgoglioso. Si era preoccupato tanto?Aveva dato il suo sangue per me?!
«E la cosa che mi fa imbestialire è che è tutto per colpa di quel grandissimo pezzo di merda!» Quel grandissimo pezzo di merda era Alaister Noir. Quel grandissimo pezzo di merda era il Re degli Assassini. Mi sentii pungere di nuovo dal risentimento. Aveva il diritto di giudicarlo, quando lui non si era nemmeno fatto vivo?
«Ah si? E allora perché non sei venuto quando mi sono risvegliato?» domandai, sospettoso. Prese un grosso respiro.
«Sapevo che se ti avessi rivisto in quello stato...» Il suo sguardo scivolò dal mio viso al collo,dove il fazzoletto tentava di nascondere le impronte livide di una mano. Sfiorò con le dita la mia gola, slacciando il fiocco che legava la stoffa, che cadde a terra gonfiandosi. «... L'avrei ucciso.» non c'era bisogno di specificare,per capire che parlava di Alaister Noir.
La mascella aveva ceduto ed ero a bocca aperta, completamente, incapace di nascondere l'incredulità crescente. Fu difficile trovar voce per parlare. «Ma-ma che dici?» Il mio tono, dapprima incerto, si fece più sicuro «Non puoi parlare così del Re degli Assassini!» Nei suoi occhi brillò una scintilla di puro furore.
«Certo, porterò più rispetto al tuo fidanzatino!» sbraitò, scostandosi dal muro per voltarsi, senza nemmeno guardarmi in faccia. Si avviò verso la porta, con tutta l'intenzione di andarsene, furioso, ma poi si fermò. «Vuoi sapere cosa ho fatto in questi giorni, in cui non ci sono stato?»
Si voltò lentamente e sentii, nel profondo, che temevo di conoscere la risposta.
La sua voce era diventata piatta, gelida, imperturbabile. Faceva paura, perché non sapevo cosa aspettarmi dopo, o forse perché i fulmini fuori dalla finestra si fondevano a quel gelo così inaspettato, tinteggiando l'anticamera di chiaroscuri e grigiori. Il rosso delle sue ciocche rilucevano ad ogni lampo ed io rimasi fermo, silente. sulle spine.
«Ho partecipato a delle missioni. Da solo.» disse, infine.
Capii subito il senso di quel da solo. Significava che non erano missioni venute da Alaister. Significava missioni fuori dalla Gilda. Una cosa che non era ammissibile, se eri al di sotto del controllo del Re degli Assassini, se avevi un debito con lui. Anche solo se vivevi nella stessa città della sua attività. La concorrenza faceva sempre una brutta fine.
Strabuzzai gli occhi. «Sei impazzito? Hai idea di cosa potrebbe succedere se Alaister dovesse scoprirlo?!» sbottai, basito. Ogni assassino dentro la Gilda era tenuto a partecipare solo alle missioni che il Re degli Assassini gli assegnava, obbligato a devolvere una grossa percentuale dei profitti. Specialmente col debito di mezzo. Quindi il guadagno complessivo era davvero irrisorio.
Yul fece un sorrisetto maligno, incrociando le braccia ed ignorando la mia domanda. «Ed erano davvero ben pagate.» aggiunse. Ovviamente fare delle missioni al di fuori della Gilda era decisamente più conveniente, perchè il profitto era tuo e soltanto tuo. Ma era anche una grave divieto, che nessuno si sarebbe mai azzardato a violare. Chi osava mancare di rispetto in tal modo al Re degli Assassini?
Rimasi in silenzio, mandando giù un groppo in gola. Yul stava giocando col fuoco.
«Perché?» mi ritrovai a chiedere con una voce flebile. Non volevo immaginare cosa gli sarebbe potuto succedere se Alaister l'avesse scoperto. Fece un verso di scherno.
«Perché non ne posso più di essere comandato a bacchetta da uno stronzo.» fece una lunga pausa, in cui trattenni il respiro. «Ho intenzione di estinguere una volta per tutte il mio debito»sibilò. «E andarmene.»
Sentii il cuore precipitarmi sotto agli stivali costosi e scavare un buco nel pavimento. Avrei preferito un calcio in piena faccia, sarebbe stato meno doloroso. Lui pensava alla sua libertà e in fondo, aveva assolutamente ragione.
Con la paura di non riuscire a trattenere le lacrime, colmo di tristezza e allo stesso tempo di vergogna, mi precipitai verso l'uscita. Non sarei mai più riuscito a guardare in faccia Yul, non mi sarei mai più avvicinato. Con quale diritto? A lui importava della libertà e a me di cosa? Dei regali? Dei soldi?
Aveva avuto il coraggio di sfidare Alaister violando le regole severissime della Gilda pur di far valere la sua libertà. Aveva parlato del Re degli Assassini come di un grandissimo pezzo di merda. Solo per me.
Non conoscevo parole per esprimere il senso di struggimento che sentivo nel petto, o il pentimento per tutte le orribili frasi che gli avevo sputato addosso. Non avevo nemmeno la forza per mettere insieme delle scuse decenti. Lui aveva dato il suo sangue per me. E se ne sarebbe andato presto. Se ne sarebbe andato.
Cos'era questo senso di abbattimento, di delusione? Questa specie di vuoto dilagante nel petto? Detestarlo sarebbe stato molto più facile.
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